La storia delle arti marziali orientali
è costellata di figure di grandi guerrieri esperti nel combattimento
con le armi o a mani nude: le loro gesta sono parzialmente
documentate e, in alcuni casi, le avventure di cui si sono resi
protagonisti sono ormai entrate nella leggenda.
Anche in Occidente però grandi
combattenti hanno reso famose le loro discipline di lotta creando dei
veri e propri “sistemi nel sistema”; è questo il caso dei
leggendari campioni di pugilato del passato che, nel vecchio
continente come negli Stati Uniti, hanno elaborato tecniche e
tattiche che, pur rientrando nell’ottica generale della disciplina
pugilistica, hanno portato innovazioni poi diventate dei classici in
materia di combattimento a mani nude.
In alcuni casi poi, gli studi fatti al
fine di migliorare una performance “agonistica” hanno apportato
miglioramenti anche in ambito self defence o combattimento reale.
Uno dei più grandi guerrieri a mani
nude dei tempi moderni è stato un pugile americano di nome Jack
Dempsey, detto “Manassa Mauler” (il massacratore di Manassa, la
sua città natale in Colorado); egli fu il primo campione di boxe dei
tempi moderni che formalmente studiò ed applicò i principi
fondamentali della “Nobile Arte” al combattimento da strada,
documentandoli con testi scritti precisi e dettagliati.
Dempsey, grazie alla destrezza
acquisita con i suoi studi ed ai suoi originali metodi di
allenamento, dominò la categoria dei pesi massimi nei primi anni del
1900 (fu campione mondiale dal 1919 al 1926) in un epoca quindi in
cui i combattimenti sul ring erano vinti più con la forza fisica e
con la resistenza che con fini azioni tecniche.
Rimase famoso, nella storia del ring,
l’incontro che Dempsey disputò a Toledo nel 1919, in cui vinse il
titolo mondiale contro il campione Jess Willard detto “il gigante”
poiché alto oltre due metri e pesante Kg 110. Dempsey di fronte a
Willard era di dimensioni irrisorie. Tutto deponeva a suo sfavore.
In quella occasione, Dempsey utilizzò
i principi del falling step e del double shift, due delle tecniche da
lui formalizzate ed applicate “sul campo” con successo,
dimostrandone la straordinaria efficacia. Egli fu aggressivo, ma
controllato, incassò ed evitò con destrezza con una alzata di
spalle i colpi di Willard, scagliando i suoi pugni in maniera
esplosiva, sfruttando in pieno l’intero peso del suo corpo in
movimento. Ogni sua azione era organizzata in improvvise e devastanti
combinazioni di colpi.
In un solo round Dempsey atterrò
Willard ben sette volte. Jack fu così potente e preciso che alla
fine dell’incontro Willard si ritrovò con il naso, la mascella e
le costole rotte, oltre ad aver perso due denti sul tappeto. Il
campione in carica (aveva strappato il titolo al grande Jack Johnson,
uno dei più forti pugili di colore di tutti i tempi) superò il
primo round solo perché salvato dalla campanella, sopravvisse
all’attacco micidiale di Demspey per ancora due round, ma al quarto
assalto il suo angolo chiese l’interruzione dell’incontro prima
che subisse una punizione eccessiva.
Dempsey, nonostante fosse inferiore di
peso ed altezza rispetto al suo avversario, sul ring di Toledo
dimostrò di essere realmente uno dei più grandi campioni di boxe di
tutti i tempi e soprattutto mostrò l’efficacia dei suoi principi
tecnici.
Per noi appassionati di arti marziali
gli studi compiuti da un grande del passato come Jack Dempsey non
possono che rivelarsi come una miniera di informazioni pratiche di
altissimo valore; due in particolare sono le tecniche fondamentali su
cui vogliamo soffermarci in questo ed in una serie di prossimi
articoli: il falling step o passo a caduta ed il double shift o
doppio cambio (di guardia).
Entrambi questi spostamenti sono azioni
aggressive che tendono ad imprimere il massimo della potenza ai colpi
scagliati contro l’avversario con il solo fine di ottenere un
rapido fuori combattimento.
Infatti, lo stesso Dempsey vedeva
l’arte del fist fighting o bare knuckles fighting (combattimento a
pugni nudi, cioè senza l’utilizzo di guantoni da boxe) in primis
come un superbo sistema di auto difesa e solo in seconda istanza lo
considerava un’attività sportiva; egli soleva ripetere (e scrisse
a più riprese) che il sistema di combattimento da strada deve
differire da quello sportivo soprattutto per l’obiettivo da
raggiungere (e di conseguenza il praticante dovrà adattare a tale
fine metodi di allenamento e impostazione tecnica): in strada esiste
solo il ko, non c’è arbitro, categoria di peso e giudici a
sentenziare che vince e chi perde, la sola regola è “mettilo a
dormire il più velocemente possibile!”.
Ma come mettere fuori combattimento un
avversario più pesante di noi, aggressivo ed intenzionato a farci
del male? La risposta secondo Jack Dempsey sta in tecniche d’attacco
potenti (con un abile sfruttamento dell’intera massa corporea in
movimento per ottenere la massima potenza in ogni colpo) portate in
combinazione, in una difesa aggressiva (per ottenere la quale è
necessario anche sviluppare la tecnica di resistenza ai colpi
ricevuti), e nella applicazione del falling step e del double shift
che, se padroneggiati alla perfezione, sono in grado di farci
ottenere tutto ciò.
Nell’ambito degli studi condotti da
chi approfondisce tematiche relative al combattimento marziale
partendo dalla pratica delle tradizioni guerresche, emergono molti
punti d’incontro tra le teorie esposte da Dempsey e quanto
tramandato dai maestri: nell’ottica di una pratica il più
possibile realistica e fondata su principi di combattimento testati
sul campo e ben documentati, le indicazioni del Manassa Mauler in
tema di boxe a pugni nudi orientata alla difesa strada rappresentano
un patrimonio inestimabile di conoscenze degne di essere approfondite
ed applicate, al pari delle tecniche tramandati dai maestri
dell’estremo oriente.
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