Innanzitutto,
la disistima è figlia
dell'ignoranza: non esistono discipline da combattimento migliori o
peggiori di altre, esistono solo praticanti più o meno preparati.
Detto questo: la differenza di vedute
tra
marzialisti tradizionali e
praticanti di sport da combattimento
a contatto pieno (e non) ha
radici storiche profonde.
Le arti marziali nascono come metodo
di difesa ed offesa nella notte dei tempi
e vengono
codificate per poter essere
tramandate da maestro a discepolo
in periodi in cui la
tradizione orale
e la
pratica
fianco a fianco erano l'unico
mezzo per diffondere il sapere.
La loro
controparte sportiva, che
all'epoca era costituita da
esibizioni pubbliche
(dall'antica Grecia al Giappone, alla
Persia) è cominciata a diventare
"antagonista"
quando la pratica marziale si è
ulteriormente scissa in due.
Gli antichi "marzialisti",
civili o militari, hanno dovuto far evolvere le loro tecniche,
a mano o all'arma bianca,
per integrarle con l'utilizzo
delle
armi da fuoco
e di strategie più complesse
di squadra. Il concetto di scontro fisico "uno ad uno"
o "uno a molti" è lentamente stato assorbito da una
nuova concezione della pratica
militare.
Ora i moderni marzialisti non sono più
i monaci che dovevano sviluppare tecniche di difesa dai ladri ed
assassini che infestavano i boschi,
oppure i contadini che volevano
difendersi dai soprusi dei samurai:
oggi, con l'evolversi dell'etica,
che bandisce lo
scontro civile, gli unici a
doversi realmente difendere con
tecniche marziali atte ad
uccidere o neutralizzare una minaccia
sono i soldati che operano
in squadre d'assalto, oppure personale addetto alla
difesa di figure in vista.
Tutto quello che ruota attorno alla
preparazione militare nel corpo
a corpo
è quello che è rimasto delle
antiche pratiche marziali realmente applicate quotidianamente.
Di contro, la disciplina sportiva si
è evoluta
fino ad arrivare a livelli
notevoli, godendo anche di un
supporto economico
derivante da
introiti pubblicitari,
sponsorizzazioni e vendite di biglietti, merchandise e via
dicendo, consentendo ad atleti di sport da combattimento di diventare
noti a livello mondiale e sviluppare la loro preparazione sul piano
fisico, accompagnati da stuoli di tecnici come
nutrizionisti, cutman,
preparatori atletici, psicologi dello sport.
Oggi un atleta di punta di uno
sport da combattimento a contatto pieno può godere di una
preparazione eccelsa in termini qualitativi rispetto ad un suo
collega marzialista tradizionale.
Le
antiche pratiche marziali
invece, private della loro
pratica quotidiana, restano
come
studio storico della
disciplina, intesa come
forma d'arte,
spesso volutamente ancorate
alla loro tradizione.
La frammentazione in migliaia di
federazioni e stili
poi impedisce spesso di godere di
un adeguato supporto economico, paragonabile alla loro
controparte sportiva.
Alcune arti marziali hanno tentato una
fusione con gli sport da
combattimento a contatto pieno: Sanda, Kyokushinkai,
la stessa
Muay Thai
hanno introdotto
limitazioni
e "correzioni" alle loro
pratiche d'origine per poter essere praticate in sicurezza su un
tatami o su un ring.
Nessuno oggi, ad esempio, può
realmente praticare la
Muay Boran, se non come
studio di una antica arte
marziale,
per vari motivi: innanzitutto
perché i suoi colpi sono effettivamente
mortali, in secondo luogo
perché sono
anacronistici.
In questo contesto storico attuale i
pugili
(inteso come praticanti di uno
sport da combattimento a contatto pieno) sono quelli, quindi, che
esperiscono la versione più "dura" possibile della
disciplina da combattimento,
comprendente
KO
ed una
iperspecializzazione della
tecnica in funzione del risultato sportivo.
Dobbiamo aggiungere anche l'effetto
negativo dato dalla
narrativa
costruita storicamente attorno
alle arti marziali, nata ben prima della
televisione
ma da essa portata a livelli
parossistici.
Capita spesso che un praticante
una arte marziale tradizionale si senta al riparo da ogni pericolo
perché "forte" dello studio di antiche tecniche mortali di
disarmo o di attacco: questo è fuorviante, tendenzioso e
pericoloso.
Questo non significa ovviamente che un
marzialista non sia "pericoloso"
tout court, anzi: lo studio
approfondito di tecniche potenzialmente mortali o invalidanti senza
alcuna protezione può rendere il praticante una arma vivente. Un
Taekwondoin
esperto che dovesse tirare un
Eeadan Dwi Chagi
("calcio girato saltato",
equivalente di un
Tobi Ushiro Geri per
un Karateka) ad una persona potrebbe tranquillamente
ammazzarla, considerando che si tratta di un calcio praticato
migliaia di volte in palestra e per il quale si riesce ad ottenere
una precisione notevole oltre che una forza nel colpo devastante.
Concludendo, la risposta all'ultima
domanda è "normalmente no". Chiaramente le
variabili sono tantissime e difficilmente un ragazzino di quindici
anni che pesa 50 kg può pensare di avere la meglio contro un
trentenne che ne pesa 100, a prescindere dalla preparazione, ma
normalmente un marzialista sa esattamente come schivare, come
fintare
e dove
colpire, quindi
generalizzando
ed assumendo che la situazione non
sia
impari, non c'è possibilità
per chi non abbia una preparazione specifica.