Altro che pesca con il cormorano: in Corea, le haenyo ("donne del mare") si immergono fino a 20 metri di profondità, trattenendo il respiro per oltre due minuti. Niente male anche per un provetto nuotatore, soprattutto se si considera che oltre il 90% delle haenyo coreane ha più di 50 anni.
L'isola vulcanica di Jeju è lunga approssimativamente 175 km, ed è nata da un'eruzione vulcanica verificatasi circa 2 milioni di anni fa. Come moltissime altre isole al mondo, la separazione dal continente ha favorito lo sviluppo di culture e pratiche del tutto particolari, come quella delle haenyo e della pesca subacquea tradizionale.
Fino al XIX° secolo, la pesca sull'isola di Jeju veniva praticata principalmente dagli uomini, ma la professione divenne poco produttiva per via delle tasse imposte su ogni individuo maschio della regione. La provincia, che basava la sua economia esclusivamente sul pescato, iniziò a risentire dell'abbandono della pesca tradizionale, e fu solo grazie all'aiuto delle donne che questa pratica centenaria riuscì ad sopravvivere fino ad oggi.
Le donne, non soggette allo stesso regime fiscale degli uomini, presero le redini dell'attività di pesca, dando alla luce una vera e propria società matriarcale le cui caratteristiche sono ancora evidenti in tempi moderni. Dato che le donne erano le uniche produttrici di reddito in famiglia, la loro posizione sociale iniziò a salire fino ad arrivare a ricoprire ruoli considerati prettamente maschili dalla società coreana del tempo.
Gli uomini iniziarono a dedicarsi ai figli e agli acquisti quotidiani, mentre le donne si immergevano ogni giorno tra squali e meduse per pescare e sostenere l'intera famiglia grazie al loro reddito.
Questo stile di vita cozzava nettamente con la cultura coreana del tempo, che considerava le donne inferiori agli uomini. Gli amministratori statali di Seoul tentarono di proibire alle donne di praticare l'attività di pesca inventando il pretesto della nudità sulle spiaggie del Paese, ma non ottennero alcun risultato.
Le haenyo del XVIII° secolo non avevano a disposizione maschere e tute ermetiche, ma si immergevano seminude fino a 15-20 metri di profondità, dando la caccia per interi minuti a polpi, pesci, ostriche, ricci di mare e abaloni. Nessuna bombola di ossigeno (per ovvie ragioni cronologiche), ma solo pura capienza polmonare.
Fu solo nel XX° secolo che le haenyo iniziarono ad utilizzare le mute e le maschere da sommozzatore, ma solo per motivi principalmente anagrafici e senza mai utilizzare alcun sistema di respirazione subacquea moderna. Le haenyo si sono sempre immerse in apnea durante tutto l'anno senza alcuna protezione dalle rigide temperature del mare, ma la tradizione è ormai affidata a donne di oltre 50 anni d'età.
La tradizione delle haenyo non è minacciata dalla moderna economia globale: durante gli anni '70-'80 del secolo scorso, le esportazioni del pescato verso il Giappone hanno consentito a molte haenyo di arricchirsi e mandare i figli all'università.
L'abbandono dei piccoli villaggi da parte delle figlie delle haenyo che hanno preferito la vita di città alla pesca tradizionale ha favorito un processo che ha portato le 30.000 haenyo del 1950 a diventare solo 5.650 nel 2003. L'85% delle pescatrici di Jeju del 2003 aveva ormai superato (a volte abbondantemente) i 50 anni, e la pratica tradizionale della pesca subacquea sta sparendo dalla tradizione coreana.