Aikido e Hapkido condividono un’origine storica sorprendentemente vicina: entrambi derivano, direttamente o indirettamente, dal Daitō-ryū Aiki-jūjutsu giapponese, un’arte marziale basata su leve articolari, proiezioni e uso dell’energia dell’avversario. Tuttavia, la loro evoluzione ha seguito direzioni opposte, portando oggi a una differenza netta di reputazione. L’Aikido è percepito come un’arte marziale pacifica, elegante e filosofica; l'Hapkido come un sistema pragmatico, ricco di colpi e adatto alla difesa personale reale.
L’Aikido, sviluppato da Morihei Ueshiba, punta a neutralizzare
l’aggressione senza danneggiare l’attaccante. Le tecniche si
basano su movimenti circolari e armonici, sfruttando lo squilibrio e
la direzione della forza dell’avversario per proiettarlo o
immobilizzarlo. L’obiettivo non è la vittoria fisica, ma la
risoluzione pacifica del conflitto.
L'Hapkido, codificato in Corea
da Choi Yong-sul e poi arricchito da vari maestri, combina proiezioni
e leve con un arsenale di colpi diretti — calci, pugni, gomitate e
persino testate — per fermare l’aggressore in modo rapido ed
efficace. L’enfasi è sulla funzionalità e sull’adattabilità a
contesti reali, compresi scenari di polizia e militari.
Nell'Aikido, gli atemi esistono ma hanno funzione
prevalentemente didattica: servono a distrarre, creare un’apertura
o rompere la concentrazione dell’avversario. Non sono il fulcro
della strategia e raramente vengono allenati per infliggere danni
seri.
Nell'Hapkido, invece, i colpi sono parte integrante della
tecnica: vengono usati per indebolire l’aggressore, colpendo punti
vulnerabili come inguine, gola, ginocchia e zone sensibili del corpo.
La combinazione tra colpi e proiezioni rende le tecniche più
incisive in situazioni caotiche.
L’Aikido lavora soprattutto a
distanza media e corta, partendo spesso da prese o attacchi
relativamente “puliti” e facilmente leggibili. Questo approccio
permette di perfezionare la forma, ma espone a critiche di scarsa
applicabilità contro attacchi caotici o colpi improvvisi.
L'Hapkido,
al contrario, copre tutte le distanze: dalla lunga — grazie a calci
rapidi e vari — alla corta, con leve, proiezioni e controlli al
suolo. Questa completezza gli conferisce un’immagine di arte
marziale “totale”.
Nella pratica dell’Aikido, gli attacchi
sono quasi sempre prestabiliti e il partner è collaborativo. Questo
favorisce l’apprendimento delle meccaniche e della sensibilità, ma
limita l’esposizione a scenari imprevedibili. Lo sparring libero è
raro e, quando presente, mantiene un carattere controllato.
L'Hapkido
offre un allenamento più vario, che include esercizi semi-liberi e
simulazioni di aggressioni con colpi e prese miste. Pur non sempre
utilizzando il pieno contatto, introduce una maggiore dose di
pressione fisica e mentale.
L’Aikido ha mantenuto un forte legame con la filosofia
originaria di Ueshiba, centrata sull’armonia e la trasformazione
personale. L'Hapkido, invece, ha integrato elementi del Taekwondo
(calci), del Judo (proiezioni) e della lotta libera, modellandosi
come strumento pratico per autodifesa e impieghi istituzionali.
La
divergenza tra Aikido e Hapkido non è solo tecnica ma culturale: il
primo coltiva la maestria del controllo senza danno, il secondo la
capacità di interrompere subito la minaccia con ogni mezzo
necessario. La reputazione di ciascuno è il riflesso di queste
scelte — e del diverso equilibrio tra filosofia e pragmatismo che
incarnano.
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