Quando ci si avvicina al mondo delle arti marziali, uno dei
dilemmi più frequenti riguarda la distinzione tra discipline create
per la reale autodifesa e quelle pensate principalmente per
spettacolo, fitness o competizione sportiva. La confusione è
comprensibile: molte arti marziali moderne hanno sviluppato
componenti sceniche, estetiche e sportive che le rendono visivamente
affascinanti, ma che non sempre rispondono alle esigenze pratiche di
protezione personale in situazioni di pericolo reale. Capire se uno
stile sia genuinamente pratico richiede osservazione critica, studio
storico e analisi delle tecniche insegnate.
Un esempio emblematico è il sistema Defendu, sviluppato da William E. Fairbairn negli anni ’20 e ’30 a Shanghai. Fairbairn, agente della polizia e istruttore militare, progettò il Defendu per addestrare poliziotti e agenti di sicurezza in contesti urbani estremamente pericolosi. Tutto in questo metodo era finalizzato alla sopravvivenza: colpi mirati ai punti vulnerabili, tecniche di controllo rapide, difesa da aggressioni con e senza armi. Non c’era spazio per forme coreografiche, katas scenici o tornei. L’obiettivo era semplice ma crudo: sopravvivere e neutralizzare l’aggressore nel minor tempo possibile. Ancora oggi, molte tecniche di autodifesa militare moderne discendono direttamente da questa filosofia.
Per capire se uno stile sia orientato all’autodifesa, si possono considerare alcuni criteri fondamentali:
1. Finalità dichiarata dello stile
Le arti
marziali praticate esclusivamente per spettacolo, intrattenimento o
competizione tendono a enfatizzare la performance visiva, la
complessità dei movimenti e la regolarità di sequenze codificate.
Al contrario, uno stile di autodifesa genuino si concentra su
tecniche semplici, dirette ed efficaci, progettate per rispondere a
scenari realistici come aggressioni improvvise, attacchi multipli o
uso di armi. Se il curriculum di uno stile enfatizza principalmente
forme sceniche, dimostrazioni o tornei, è probabile che l’autodifesa
pratica non sia l’obiettivo primario.
2. Realismo delle tecniche
In uno stile
autentico di autodifesa, ogni tecnica ha una ragione tattica chiara.
Colpi mirati a zone vulnerabili, leve articolari rapide e proiezioni
che sfruttano la biomeccanica naturale del corpo sono comuni.
Tecniche spettacolari, che richiedono equilibrio perfetto, rotazioni
lunghe o acrobazie, spesso hanno un’efficacia pratica limitata in
situazioni reali. Valutare il realismo implica anche capire se le
tecniche funzionano senza la cooperazione di un partner preparato,
cosa che molti stili sportivi tendono a richiedere.
3. Adattabilità al contesto urbano o di vita reale
Le
arti marziali orientate all’autodifesa insegnano strategie per
luoghi comuni: strade, parcheggi, stanze, vicoli, spazi ristretti. I
sistemi che prevedono scenari ipotetici altamente stilizzati o spazi
di allenamento perfettamente controllati rischiano di risultare meno
efficaci al di fuori della palestra. Defendu, Krav Maga e alcune
varianti di Jiu-Jitsu moderno pongono grande attenzione al contesto
reale, insegnando come reagire a più aggressori, aggressioni da
dietro o situazioni in cui la fuga è possibile solo come seconda
opzione.
4. Uso della forza proporzionata e difesa dai colpi più
comuni
Uno stile autentico non ricerca il confronto fine
a se stesso, ma prepara il praticante a gestire attacchi comuni:
pugni, calci, afferramenti, aggressioni con coltelli o bastoni.
L’enfasi è sulla sopravvivenza e sulla neutralizzazione
dell’aggressore nel modo più rapido ed efficace possibile. Al
contrario, le discipline sportive spesso scoraggiano colpi agli
organi vitali, al volto o all’inguine, privilegiando regole di
sicurezza che riducono il rischio di infortuni durante gare o
esibizioni.
5. Approccio psicologico
La preparazione
mentale è un elemento centrale nelle arti marziali di autodifesa.
Allenamenti realistici, simulazioni di stress e gestione della paura
sono tipici di sistemi pratici. In molti stili orientati a spettacolo
o sport, la componente psicologica è limitata: l’enfasi è sulla
tecnica pura, sulla precisione dei movimenti e sull’estetica. La
capacità di mantenere il sangue freddo, valutare rapidamente la
situazione e reagire sotto pressione è un indicatore chiave di
autenticità.
6. Storia e origine dello stile
Studiare le
radici storiche di un’arte marziale può rivelare molto sulla sua
finalità originaria. Defendu, per esempio, nasce in un contesto
militare e di polizia, concepito per addestrare uomini a sopravvivere
in ambienti ostili. Molti stili tradizionali giapponesi, cinesi o
coreani hanno origini militari o legate alla protezione personale,
anche se nel tempo si sono evoluti in forme sportive. Confrontare
l’evoluzione storica con le pratiche attuali aiuta a capire se
l’obiettivo originale è stato preservato o modificato per esigenze
di intrattenimento.
7. Coinvolgimento della comunità professionale
Le
arti marziali dedicate all’autodifesa spesso trovano applicazioni
pratiche al di fuori della palestra: polizia, militari, guardie di
sicurezza o civili preparati a situazioni critiche. Se uno stile è
adottato o raccomandato da professionisti della sicurezza, è
probabile che sia strutturato con efficacia reale in mente. Al
contrario, stili che non trovano riscontro pratico nella protezione
reale tendono a rimanere confinati a competizioni e spettacoli.
Distinguere uno stile di autodifesa genuino da uno orientato a spettacolo o sport richiede uno sguardo critico su storia, tecnica, metodologia e applicabilità reale. L’arte di William Fairbairn, Defendu, rimane un esempio chiaro: brutalità controllata, efficacia immediata e obiettivo pratico di sopravvivenza. Non c’è nulla in Defendu che sia pensato per dimostrazioni sceniche o punteggio sportivo. La sua lezione principale è che un’arte marziale è autentica quando il praticante può applicare ogni tecnica in situazioni reali, con una comprensione chiara del rischio, della biomeccanica e della psicologia dell’aggressore.
Per chi desidera avvicinarsi alle arti marziali con finalità di autodifesa, la regola d’oro è semplice: osservare le tecniche insegnate, valutare la loro praticità, informarsi sulle origini storiche e, soprattutto, chiedersi se ogni movimento possa essere applicato fuori dalla palestra in scenari di vita reale. Solo così si potrà separare l’arte del combattimento reale dalla rappresentazione sportiva o spettacolare.
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