mercoledì 20 agosto 2025

Il vecchio modo di apprendere le arti marziali: una lezione di disciplina e dedizione

 


Negli ultimi quarant’anni ho avuto l’opportunità di osservare e praticare le arti marziali in diverse epoche, e posso dire con certezza che il modo in cui ci si allenava una volta era completamente diverso da quello odierno. Quando iniziai a studiare arti marziali, il percorso era duro, spietato e richiedeva un impegno totale. Non c’erano scorciatoie, e ottenere una cintura nera significava anni di allenamento costante, senza alcuna garanzia che la progressione fosse automatica. La meritocrazia era reale: contava solo la capacità di resistere, di imparare, di affrontare il dolore e la fatica.

Le lezioni duravano spesso due ore, e quando tornavo a casa ero fisicamente esausto, con muscoli doloranti e qualche livido qua e là. Eppure, il giorno successivo tornavo in palestra senza esitazione. Questo era il ritmo naturale di chi voleva progredire seriamente. Le classi erano quasi esclusivamente maschili, e la presenza di bambini o donne era rara. Frequentare tre o quattro lezioni a settimana era la norma, e non era insolito per chi aveva grandi ambizioni allenarsi anche cinque volte a settimana.

Quello che osservai nel tempo, e che ho vissuto in prima persona, fu un cambiamento lento ma costante. Col passare degli anni, molti istruttori iniziarono a rendere le arti marziali più accessibili, attratti dall’idea di aumentare il numero di iscritti. Le lezioni divennero più leggere, più sicure e orientate al divertimento, e gli standard per le promozioni furono allentati. Questo ha avuto conseguenze profonde: una cintura nera oggi può non riflettere la stessa abilità e disciplina che richiedeva qualche decennio fa. La trasmissione della disciplina, della resistenza e della vera forza mentale si è indebolita generazione dopo generazione.

Quando penso al vecchio modo di allenarsi, ricordo la preparazione fisica completa e senza compromessi. Indurivamo gli avambracci, rinforzavamo le gambe, irrigidivamo i nervi e costruivamo tolleranza al dolore. La flessibilità e la forza delle articolazioni non erano semplici esercizi: erano strumenti essenziali per affrontare situazioni reali. Dopo un allenamento, il gi era completamente inzuppato di sudore, tanto che non osavo indossarlo di nuovo prima di lavarlo, perché sapevo che nella lezione successiva sarebbe stato un ricordo evidente della fatica accumulata.

Lo sparring era duro e autentico. Non c’erano guanti imbottiti, caschi o protezioni moderne: l’unico divieto era colpire la testa e il viso, tutto il resto era pratica reale. Ero preparato a reagire in maniera decisa, a subire e infliggere colpi, a sentire il corpo e la mente mescolarsi in una preparazione che oggi molti giudicherebbero estrema.

Negli ultimi quarant’anni ho visto come, parallelamente, la mancanza di impegno e l’annacquamento degli standard abbiano trasformato le arti marziali in una versione più simile a uno sport o a un passatempo. Molti praticanti si accontentano di lezioni leggere, con sicurezza e comfort, senza affrontare la vera difficoltà. Ho incontrato studenti e istruttori che raramente mettono alla prova il corpo o la mente. Il risultato è una disciplina meno intensa, meno formativa e, purtroppo, spesso superficiale.

Tuttavia, ho anche osservato che chi cerca ancora la vera preparazione marziale si rivolge agli sport da combattimento moderni come Muay Thai, Judo o MMA, dove l’allenamento richiede dedizione reale e resistenza fisica autentica. In alcune palestre moderne ho incontrato istruttori che mantengono metodi tradizionali, esercizi duri e contatto reale, preservando almeno in parte ciò che un tempo definiva la pratica marziale: disciplina, forza, resistenza, autocontrollo e capacità di affrontare lo stress fisico e mentale.

Ciò che emerge chiaramente dalla mia esperienza diretta è che il vecchio modo di apprendere le arti marziali non riguardava solo la tecnica: era una scuola di vita. Si imparava a superare i propri limiti, a gestire la fatica e il dolore, a migliorare la mente e il corpo in un percorso che non ammetteva scorciatoie. Oggi molti cercano scorciatoie o comfort, e questo cambia radicalmente il senso dell’allenamento.

Per chi voglia davvero sviluppare capacità marziali autentiche, credo che il riferimento debba essere ancora il modello tradizionale che ho vissuto personalmente: allenamento costante, contatto reale, resistenza alla fatica, disciplina rigorosa. Solo così si forgiano corpo e mente, e si comprendono appieno i principi delle arti marziali. La differenza tra la pratica moderna e quella tradizionale non è solo tecnica: è un abisso di esperienza, impegno e sviluppo personale.

Guardando indietro, dopo quarant’anni di osservazioni e pratica, posso affermare con certezza che il cambiamento che ho visto non riguarda solo l’allenamento fisico: riguarda la filosofia stessa delle arti marziali. Una volta, queste erano scuole di resistenza, autocontrollo e rigore; oggi, in molti contesti, sono più simili a corsi di fitness o intrattenimento. Riconoscere questa differenza è essenziale per chi desidera praticare in modo serio e autentico, comprendendo che la disciplina marziale è un percorso che richiede sacrificio, costanza e dedizione quotidiana.







Nessun commento:

Posta un commento