lunedì 25 dicembre 2017

Lotta con i coltelli, alcune verità scomode!




L'unico posto in cui ancora c'è chi spaccia per certezze assolute
le proprie fantasie nel combattimento con i coltelli è nelle palestre
di arti marziali. Non esiste nulla del genere nel moderno
mondo civilizzato.
In termini legali si può tentare di uccidere qualcuno,
aggredendolo con un'arma impropria, e questa aggressione può
sfociare in un omicidio. Per uno streetfighter
si tratta di assassinio, non di un "combattimento".
Per il criminale il coltello non è altro che uno strumento
per perpetrare un misfatto.
Tutti gli altri la considerano alla stregua dell'aberrante stupidità di
un macho.

In giro sulle riviste, ma soprattutto nelle palestre, si possono trovare molti cosiddetti "esperti" che affermano con una risolutezza preoccupante di essere in grado di insegnare il combattimento con i coltelli o l'estrema difesa contro un assalitore munito di coltello. Il problema è che molti di questi individui stanno semplicemente insegnando le arti marziali per come gli sono state insegnate, di solito da un insegnante esperto in stili filippini. Sia ben chiaro che nutro un sacro rispetto verso tutte quelle arti marziali che hanno dimostrato la loro validità e di conseguenza hanno superato la prova del tempo, la verità è che noi viviamo dove ci troviamo fisicamente.
Molto probabilmente, chi legge questo blog non vive in una "cultura" dove regna sovrano il coltello. Ciò significa che qualunque addestramento si voglia iniziare con i coltelli si deve:
A) Lavorare per rimanere vivo, studiando il modo in cui si può essere attaccati con un coltello nella propria patria
e
B) Se funziona, cercare di non finire in prigione per omicidio
Il punto B diventa realmente importante, e di conseguenza un problema solo se si sopravvive ad A. Sfortunatamente, sulla base di mie esperienze personali dirette su ciò che ho visto insegnare con i miei occhi, ho potuto sincerarmi mentre lavoravo con gli studenti di questi sedicenti "esperti di coltello", autoproclamatisi, che acquisire i principi basici del punto A sarà molto più difficile di quanto non pensino. Sinteticamente, la maggior parte degli assalti portati con un coltello non sono altro che tentativi di omicidio ... il modo in cui questi si verificano è significativamente diverso da come un avversario "combatte con il coltello". Qui esprimo le mie opinioni su molti istruttori di combattimento con icoltelli, ciò che il quale questo blog è nato è per aiutarvi ad evitare alcune delle situazioni più comuni di ciò che viene insegnato male là fuori.
Ricordatevi sempre ... è la vostra vita in pericolo, quindi non lasciate che *nessuno* vi dica che non avete il diritto di informarvi su queste cose o pensare alla vostra incolumità personale.

Avrai il tempo necessario per estrarre la tua arma?
Sono stato aggredito con i coltelli un numero imprecisato di volte, e in tutte queste occasioni solo una volta sono riuscito ad estrarre il mio coltello. Portavo un coltello da guaina, e avevo praticato fino allo sfinimento il gesto di estrarlo velocemente. Potrei, in una crisi, impugnare ed estrarre un coltello in poco più di un secondo. La mia non è vanagloria, lo dimostro in molti dei miei stage. Eppure, nonostante questa incredibile velocità, ogni volta che sono stato attaccato non ho avuto il tempo materiale di estrarre il mio coltello, eccetto per quell'unica volta in cui ho fatto un balzo all'indietro per guadagnarmi lo spazio.
Questo perché quando capivo che era un'aggressione con coltello, ormai era già troppo tardi ero coinvolto, ed ero già stato attaccato.
La maggior parte delle "aggressioni" con coltello si basano sul presupposto che il tuo avversario sia riuscito in qualche modo a rimediare una lama nella sua mano. Abbastanza onestamente, se si è attaccati da un incompetente totale o qualcuno che brandisce il coltello per farci indietreggiare, allora forse c'è una possibilità che si possa avere il tempo di estrarre il proprio coltello.
Se vieni coinvolto in uno scontro con chiunque abbia realmente esperienza, difficilmente sarai in grado di estrarre la tua lama quando sarai attaccato. Questa persona, non ti concederà tempo. Non mostrerà la sua arma prima dell'attacco.
Eppure questo è esattamente quello che ti aspetti da lui, perchè così ti è stato insegnato, così da poter estrarre il tuo coltello e sconfiggerlo.



Sarà un coltello da "combattimento"?
Spesso mi trovo a discutere della moda del "combattimento con i coltelli" che confonde e diverte allo stesso tempo i veterani del tema. Riassumo il problema con quello che viene promosso come apprendistato al coltello come se si "Stesse insegnando la pratica del duello". Con ciò intendo dire che viene insegnato a stare lì in punta di piedi, con le stesse armi e cercare di uccidersi a vicenda come signori civilizzati.
Non voglio essere il solito portatore di cattive notizie, ma la ragione per cui un'aggressore (di solito) usa un'arma contro un altro essere umano è per ampliare il numero di possibilità a proprio favore. Le persone non usano le armi per combattere, usano le armi per vincere. L'ultima cosa in assoluto che un qualsiasi attaccante vuole fare è combattere contro il suo avversario ad armi pari.
Se stava cercando un combattimento, non ti avrebbe attaccato con un'arma in primo luogo. E se sa che se armato con un coltello, ti attaccherà con un'arma più grande e migliore per impedirti di vincere.
Personalmente uno dei pochi gruppi che rispetto davvero sono i Dog Brothers, i quali in allenamento sperimentano degli scontri con armi non corrispondenti. *Quella* è una realtà.
Se il primo tira fuori un coltello il suo avversario prenderà un bastone. Tiri fuori una mazza e l'altro una pistola. Non si viene coinvolti in inutili combattimenti, si usa un'arma superiore per disabilitare il proprio avversario. E lo si fa prima che quest'ultimo lo faccia a te.
Per quanto riguarda il tuo attaccante, il suo non è un combattimento, è un assassinio. Non sarà sua intenzione fermarsi davanti all'aggredito e tirare fuori il coltello. Sfortunatamente, questa è esattamente una delle fantasie che molti cosiddetti istruttori di coltelli da combattimento promuovono. L'ultima cosa che vorrai fare è provare a "combattere".
Un altro motivo per cui ci si deve scacciare dalla testa l'idea di partecipare ad un "combattimento con i coltelli", è che in molti stati c'è questa attitudine secondo cui "i litigi consensuali" possono essere risolti meglio portando entrambi i cretini che vi hanno partecipato in carcere. È vero, hai il diritto di difenderti dagli attacchi, ma se decidi di combattere contro qualcuno, non è più autodifesa, e se usi un'arma letale su qualcuno in una "lotta con il coltello" che avresti potuto benissimo evitare, avrai una serie di problemi da affrontare dopo.

"Ma cosa succede quando sono messo alle strette?"
Il buon senso ci dice che il combattimento con i coltelli è pericoloso. Eppure, siamo come un cane che circonda la tana di un orso - dove una parte, la sua più intelligente sa che non è il caso di svegliare l'orso addormentato, ma un'altra parte ancora più oscura e istintiva lo spinge - molte persone che si allenano nella lotta con i coltelli hanno gli stessi conflitti interiori. Uno dei maggiori problemi che spingono queste persone è che hanno quello che serve? " .
A differenza dei cani, tuttavia, gli esseri umani hanno la capacità di autoingannarsi e di razionalizzare. E uno dei modi che usiamo noi umani per imbrogliarci e fantasticare su situazioni in cui ci diamo il permesso per giungere fino agli estremi". Queste persone si oppongono fortemente all'idea che il combattimento con i coltelli sia un brutto posto dove andare. È letteralmente come se stessero cercando una scusa.
Uno degli indicatori più forti di questa mentalità da videogioco fantasy è la reazione che si ha quando viene detto loro di fuggire, invece di combattere con un coltello, letteralmente le parole successive che usciranno dalla loro bocca saranno; "Ma cosa succede se sono messo alle strette e non posso allontanarmi?" Ci sono molte scuse, tutte simili che si possono usare e iniziano tutte con la parola ma: "ma cosa succede se sono con persone anziane o bambini e non posso correre?", "Ma cosa succede se sono fuori forma (o infermo?) e non posso correre?"
In tutti i casi che si possono prendere in esame, delle milioni di possibili opzioni a disposizione, sembrano concentrarsi sempre su quella che richieda loro di impegnarsi in una lotta con il coltello.
La verità è che nella realtà è incredibilmente difficile riuscire a "mettere in un angolo" qualcuno che è determinato a scappare. Se chiedi ad un qualsiasi esperto, se preferisce affrontare, una persona che vuole combattere o qualcuno che ti scavalca per scappare, ti diranno il primo.
Sanno bene che quest'ultimo ti farà più male e sarà più difficile da sconfiggere. Questo perché quella persona è pienamente impegnata in una linea d'azione. Mentre una persona che si è lasciata "coinvolgere" si troverà a gestire un conflitto interiore e quindi incapace di esprimersi al suo meglio in combattimento. E questo è esattamente ciò che ci vuole per sopravvivere in una situazione di ptenzialmente a nostro svantaggio in cui si è stati coinvolti.
Questo è il vero pericolo di non essere stati adeguatamente preparati mentalmente. Perché una parte della nostra mente si chiederà se abbiamo ciò che serve e "possiamo farlo", ci si può inconsciamente ingannare nel non prendere le opportune precauzioni e ignorare i segnali di pericolo. Il nostro orgoglio e il nostro ego accetteranno ciò che stiamo facendo fino a quando non sarà troppo tardi. Una volta coinvolti, tuttavia, tutta la nostra vita - se sopravviveremo aalla situazione - verrà completamente distrutta.
Quindi non fantasticate troppo sul trovarvi in una situazione in cui si è costretti ad usare le proprie abilità nel combattimento con i coltelli, perché si può finire per auto ingannarci e trovandoci in una situazione estrema accecare noi stessi non vedendo possibili vie di fuga.

Verrai attaccato in un certo modo!
Durante gli stage che organizzo sul combattimento con i coltelli, faccio sempre una dimostrazione. Cerco il praticante più qualificato, meglio ancora se proveniente dalle arti marziali filippine e gli chiedo di farmi da sparring partner e di subire un mio attacco e di reagire come meglio crede. Quindi procedo con un attacco ben bilanciato, veloce e cauto. Questo è un attacco da manuale anche se veloce e solitamente tendono a bloccarlo. Poi chiedo di bloccare un'altro attacco - mirando sempre allo stesso obiettivo – solo che questa volta mi comporto come un carcerato nel cortile di una prigione. Fino ad oggi avrei potenzialmente potuto sventrare tutti i miei sparring partner.
La ragione? Sono attacchi di coltello completamente diversi.
I veri omicidi da coltello si verificano con maggior frequenza nelle prigioni di massima sicurezza. Non sono attacchi sofisticati, ma sono modi molto comuni per attaccare qualcuno con un coltello.
Le arti marziali insegnate in palestra si basano su un presupposto di base, che combatterete sempre contro un avversario munito di coltello addestrato. Il problema alla base di questa errata ipotesi è che non tutti attaccheranno nel modo in cui qualcuno addestrato nelle arti marziali classiche vi attaccherà. Questo è un problema non da poco perché le lezioni in palestra sono progettate per funzionare contro il modo in cui le persone che si stanno addestrando vi attaccheranno. Contro questi tipi di attacchi, ciò che avete appreso funziona alla grande.
La linea di fondo è, nella cultura occidentale, quando qualcuno ti attacca con un coltello vuol dire che sta tentando di ucciderti. Non indietreggeranno con cautela nel timore della tua arma e della tue abilità nel combattimento. Invece solitamente tenteranno di sopraffarti e di ucciderti rapidamente con qualsiasi mezzo necessario e a loro disposizione. Un tale attacco è totalmente diverso dagli attacchi telegrafati e liquidi delle arti marziali praticate in palestra.
So che coloro che includono nei loro corsi un settore di addestramento specifico alla lotta con i coltelli e altri che non sanno neanche dell'esistenza di altri sistemi avranno da ridire, ma: solo perché si sa come gestire un sistema, non significa che si sappia come gestire anche gli altri. Ciascuno a suo modo è diverso, e ciascuno è egualmente letale. E le differenze POSSONO ucciderti.
E rimarrà passivamente lì mentre ti difendi e lo tagli!
Proprio come nelle riviste e nelle esercitazioni di allenamento.
Ciò che pochi sanno è che una difesa selvaggia, agitando in mano un coltello, è altrettanto pericolosa e dannosa di una tecnica acquisita e applicata in modo intenzionale. In realtà, il primo caso è spesso più pericoloso a causa della sua natura imprevedibile. Se stai davvero combattendo con qualcuno, i suoi movimenti difensivi possono ferirvi gravemente, specialmente se si sta agitando cercando di fermare il nostro prossimo attacco.
I combattimenti non sono mai statici ... bisogna tenere sempre presente la capacità del nostro avversario di muoversi come la sua capacità di farci del male....



Disarmare il proprio avversario!
Vengono insegnate ai livelli più alti, mosse sottili e complesse che vengono esercitate dagli studenti avanzati in modo che possano disarmare il coltello dalle mani del proprio attaccante.
C'è solo un problema, queste mosse hanno ben poco a che fare con la vera difesa da coltello e hanno invece molto a che fare con il fare in modo che lo studente iscritto continui a pagare la propria retta mensile. Tali mosse si basano su un'attaccante in perpetuo movimento "proprio così" e quindi ciò ci dovrebbe mettere nella posizione perfetta per eseguire le nostre mosse.
Il fatto è che anche i maestri più anziani dicono che queste mosse sono puramente opportunità e possibilità. Eppure, queste mosse sono sovente enfatizzate a spese di mosse finali di alterazione più efficaci. In breve, si allenano come se fossero l'elemento più importante o il più alto livello dell'arte. In verità, a meno che un attaccante non sia ubriaco o pateticamente lento, le probabilità di afferrare con successo la mano e fare tutte queste meravigliose leve articolari o mosse di controllo sono molto, molto sottili. Inoltre, non sarai in grado di controllare efficacemente un braccio dell'avversario che lotta selvaggiamente con una sola mano. La realtà è che sarà in grado di dimenarsi e causare comunque un certo grado di danni.
Questo, tuttavia, solleva un problema a cui ho fatto riferimento in precedenza. Spesso vedo troppa enfasi sul controllo del proprio avversario in modo da poter chiudere in sicurezza. La pura realtà è che non è possibile controllare efficacemente qualcuno a una tale distanza. Mentre ci sono cose che puoi fare che ti danno un vantaggio momentaneo, non è reale in nessuna realtà il controllo completo. Sfortunatamente, ho visto troppe persone cercare di stabilire il controllo in modo che possano controllare in piena sicurezza il proprio avversario. La mia personale esperienza, mi insegna che non si può fare. Quello che realmente puoi fare è creare un'apertura, entrare e poi impedirgli di contrattaccare. Ma se provi a controllarlo finché non è "sicuro" entrare nella sua guardia, allora farai più danni rimanendo a distanza e cercando di creare la soluzione perfetta.
Oltre a questa realtà già spiacevole di per sè, c'è qualcos'altro che è molto più importante.
Una volta che disarmi un avversario con una leva o la tua lama, se continui a usare il coltello su di lui, non è più autodifesa. Per lo meno si tratta di tentato omicidio, probabilmente omicidio colposo.



Taglio bio-meccanico!
Il semplice fatto è che tagliare tendini, muscoli e nervi funziona . Una tale ferita distruggerà/ostacolerà le abilità motorie del nostro avversario. Non c'è neanche da iniziare una discussione sulla sua reale efficacia.
Tuttavia, "Meglio essere giudicati da un giudice che essere trasportati da sei", in un cliché di ignoranza sui problemi legali, ho visto questa idea seriamente fraintesa e bandita da coloro che ignorano le leggi, i precedenti e le sfumature legali riguardanti l'uso di una forza letale.
Agli occhi della legge, un coltello è un'arma mortale. Il suo uso su un altro essere umano è classificato come forza letale. E l'unica volta che sei giustificato nell'usare la forza letale - nella maggior parte degli stati - è quando sei "in pericolo immediato di morte o di gravi lesioni fisiche". In altre parole, se si è giunti al punto di dover usare un coltello su qualcuno, è perchè questo qualcuno ha intenzione di ucciderti. Se sei al punto in cui stai solo cercando di ferire qualcuno, non sei abbastanza in pericolo da giustificare l'uso di un coltello.
Esiste un'esitazione naturale prima di prendere un'altra vita umana. Tuttavia, quando questa attitudine si manifesta nel cercare di "ferire" qualcuno per farlo "andare via", si finisce in una zona grigia della legalità molto pericolosa. E il fatto che si fosse anche in una situazione in cui veniva usato un coltello renderà quella zona grigia ancora più pericolosa. Un coltello è considerato un'arma tipica dei teppisti.

Sapere come combattere contro il bastone significa saper combattere con i coltelli!
La gente afferma che un bastone è un'arma media. Che ha molte somiglianze con molte altre armi. Questo è vero. Ma poi affermano che se sai come usare un bastone puoi usare tutte le armi. Questo non è vero. Quello che non capiscono è che le differenze sono importanti quanto le somiglianze.
Solo perché sei abile con un tipo di strumento non significa automaticamente che puoi trasferire quell'abilità su di un'altra arma. Eppure moltissime persone dicono che sia così, anzi, insistono piuttosto enfaticamente che sia così. Apparentemente il fascino di essere un "maestro di tutte le armi" è più grande dell'essere abile con un semplice bastone.
La semplice verità è che le diverse armi vanno gestite diversamente. Hanno pesi diversi, dimensioni diverse, tempi diversi, requisiti diversi e usi diversi. Ci sono in effetti alcune somiglianze, ma è meglio che tu non parli delle somiglianze e inizi a guardare le differenze.
Per iniziare un bastone non ha un vantaggio. Nella lama, il punto e il bordo sono componenti critici, ma non necessariamente con i bastoni. Il controllo del bordo è praticamente l'indicatore tra qualcuno che sa come usare un coltello e un bastone e che cerca di dimostrarti che conosce il lavoro con il coltello. Se sai cosa cercare, puoi individuare la differenza a colpo d'occhio.
La fisica di un bastone non richiede questa esattezza del controllo del bordo. Questo perché un bastone è un'arma da impatto, mentre una lama è progettata per tagliare, pugnalare e, all'occorrenza, incidere.
Se stai imparando a combattere con i bastoni, allora accetta che stai imparando a combattere con i bastoni, questa è una ricerca legittima. Se stai imparando il lavoro con il coltello, allora stai imparando il lavoro con il coltello ... mentre ci sono innegabili somiglianze è altrettanto vero che ci sono differenze radicali. Se non ci credete, provate a lavorare con un'ampia varietà di armi e fate esattamente le stesse mosse. Queste differenze si manifestano specialmente quando la vostra arma incontra la carne.
Conoscere il kali ti rende un pugile combattente superiore!
Kali, Escrima, Arnis, tutti hanno un'aura di mistero di essere arti basate sulle armi. Arti mortali e selvagge dei guerrieri filippini. Stupide storie di azioni di guerriglia contro gli invasori giapponesi, duelli mortali che hanno coinvolto i fondatori dello stile.
Ad essere onesti ciò a cui questi maestri sono sopravvissuti è incredibile ed è più che degno di lode. Questi vecchi signori sono sopravvissuti alla colonizzazione di una cultura totalmente diversa dalla loro, ai mutamenti dell'ambiente socio-economico del loro tempo e, in alcuni casi, a una guerra mondiale e all'invasione straniera della loro patria.
Non erano guerrieri, quelle persone sono sopravvissute. È ciò che viene dal vivere una vita dura. Loro avevano abilità fisiche che li aiutavano, ciò che li teneva in vita, ciò che permetteva loro di colpire velocemente, forte e brutalmente non era la loro arte - era l'impegno a non morire. Era quella feroce ferocia a fare tutto il necessario e farlo più velocemente e più duramente dell'altro che li teneva in vita. Nel lessico avevano "cuore".
La loro arte ha solo permesso loro di farlo più velocemente.
Conoscere un'arte non ti dà quel tipo di impegno, quel tipo di spietatezza, quel tipo di dura resistenza o quella disponibilità a scendere in ferocia per sopravvivere. Solo conoscere l'arte non ti rende un guerriero. Devi avere anche il "cuore" - la volontà di attraversare l'inferno e uscire dall'altra parte.

Il grappling con un coltello
Ero in Germania con un gruppo di artisti marziali che insegnavano il "lavoro con coltelli da strada". Pur dimostrando che avevo le mani vuote, uno di loro mi ha affrontato e mi ha portato a terra (questo non è un grosso problema come quando faccio stage non permetto "attacchi di cortesia". Insisto che le persone mi attacchino come se fossero coinvolte in un vero combattimento - questo di quando in quando significa che vengo colpito o abbattuto. Era una di quelle volte). Ad ogni modo, quando colpimmo il pavimento, mi resi conto che non potevo contestare la forza di questo ragazzo, era un toro, pieno di muscoli e abilità. Purtroppo per lui ero atterrato vicino a un coltello da allenamento che ho prontamente raccolto con calma e trascinato sulla sua gola.
Ci alzammo e i suoi occhi erano grandi come due dischi volanti perché si rese conto di quale fosse il significato di ciò che era appena successo. Un coltello era venuto fuori dal nulla e se fosse stato vero, sarebbe morto. La cosa sorprendente era che c'erano solo poche altre persone che lo facevano. Uno dei più grandi sostenitori del grappling stava lì e disse: "Egli ti ha attaccato". A cui ho risposto, "Sì, e gli ho tagliato la gola" "Ma lui ti ha attaccato".
Nella loro mente non ci sono differenze nei livelli di danno. Il fatto che fossi stato portato giù contava come se un coltello avesse attraversato la gola.
Il mito alla base del grappling è che funziona ovunque. Il fatto che abbia avuto un tale successo nell'anello UFC ha accecato molte persone sul fatto che ci sono molte differenze critiche tra il combattimento a mani nude e il combattimento con le armi. Mentre il combattimento a mani vuote potrebbe facilmente trasformarsi in una maratona di resistenza, dove le dimensioni, la forza, la forma fisica e la capacità di sopportare le percosse influenzano in modo significativo l'esito di un alterco, tutto questo non è automaticamente applicabile al lavoro sulle armi.
Ricordate cosa ho detto sul taglio bio-meccanico e sui danni che un coltello può causare?
Cosa vi fa pensare di poter continuare a combattere con quel tipo di danno che vi viene procurato? Non tentare di "lottare" con un avversario provvisto di coltello. Una volta a terra, non è garantito che si sia in grado di controllare il suo braccio con il coltello abbastanza bene da impedirgli di inciderci. Se si tratta di una lotta a mani nude, spesso si può impedire al nostro avversario di essere in grado di generare abbastanza energia per colpirci efficacemente, ma un coltello non ha bisogno di energia, ha solo bisogno di toccarti. E se stai tentando di controllare il braccio del tuo avversario mentre è a terra, egli si dimenerà e ti taglierà ripetutamente finché non riuscirai più a resistere.



Il coltello è un'estensione della tua mano!
Questa bugia viene spesso promossa da coloro che praticano stili a mani vuote e che insistono sul fatto che possono insegnare come difendersi da un coltello o usarne uno. Sfortunatamente, molte persone che hanno iniziato con tali sistemi hanno allargaato il loro bagaglio di insegnamenti continuando a promuovere questo detto spesso erroneamente interpretato.
Il combattimento con le mani vuote non è lo stesso del combattimento con le armi: richiede diverse meccaniche del corpo, diverse strategie, tempi diversi e, soprattutto, un'enfasi sul movimento che non si trova nella maggior parte delle arti di calci e pugni. Almeno non nel modo in cui vengono insegnati nei paesi occidentalizzati.
Quest'enfasi sulla mano deriva in gran parte dall'influenza sportiva delle moderne arti marziali. Tuttavia, il problema è che alla maggior parte dei combattenti che provengono da stili senza armi manca la comprensione di come generare forza in uno stato mobile, cercando invece di generare forza in una posizione stazionaria/radicata con una rotazione dei fianchi. Mentre questo funziona per gli stili di combattimento a mani nude, non riesce a soddisfare le esigenze di un combattimento con le armi.
Per ragioni che vanno oltre lo scopo di questo blog, preferisco il termine più onnicomprensivo e flessibile: il coltello è un'estensione della tua volontà.



Esiste un maestro che sappia combattere con il coltello?
Nonostante tutti gli scenari di autodifesa fantasiosi, che i cosiddetti "esperti di coltello" escogitano nelle loro menti e di cui parlano sempre - dove sarebbero stati giustificati nell'usare un coltello su un altro essere umano - la verità è che nel 99.9 % delle volte che un coltello viene usato su un altro essere umano, questo è un atto criminale. Non per mettere in imbarazzo qualcuno, ma tutte quelle famose sfide e combattimenti mortali di cui si favoleggia che i vecchi maestri siano stati impegnati erano illegali.
Ora, detto questo, sono il primo a sottolineare che i giovani, che cercano di mettersi alla prova, spesso si impegnano in comportamenti estremamente stupidi, pericolosi e criminali in nome dell'orgoglio o della rabbia. Ma sapete una cosa? Se sopravvivono, spesso finiscono in prigione.
La legge tende a disapprovare i combattimenti, e molto meno i duelli.
"Non esiste un combattente professionista con il coltello". Nessuno viene pagato per combattere con i coltelli. Oltre a questo, non si sopravvive a più scontri con i coltelli senza esserti fatto almeno un bel graffio. Ma soprattutto, molto prima di accumulare abbastanza omicidi per essere qualificato come "maestro combattente con i coltelli", ci si troverebbe in prigione.
Quindi cercate a lungo e chiunque si faccia chiamare maestro spadaccino, esperto combattente con i coltelli o più in generale esperto di coltelli ... molto probabilmente, ha un titolo che si è auto-imposto e che molto probabilmente non ha alcun rapporto con la realtà. Se fosse un maestro che ha sperimentato realmente in combattimento come afferma, come mai non ha cicatrici e non è in prigione?

Questo non è un tipo di "lotta" per tutti!
Se vuoi vivere, non entri in un "atteggiamento combattivo" se sono coinvolte le armi.
Le armi ti portano fuori dall'arena del combattimento e ti mettono direttamente nel regno del combattimento.
E se non ti senti pronto per entrarci, sappiate che non c'è vergogna in questo. Ma non lasciate mai che il vostro orgoglio o la vostra rabbia vi spingano, perché le regole sono totalmente diverse, e se non le conoscete, allora sarete voi quelli che si faranno del male.
Se vedete che qualcuno estrae un coltello, correte. Se rimanete, non pensate nemmeno a combattere.... qualcuno si farà seriamente male se rimanete. Ora la domanda è: sarà lui o Voi?
O entrambi?

Aspettatevi di essere tagliati
Ricordatevi quella cosa chiamata taglio bio-meccanico? Ho detto che il problema principale è sul fronte legale, ma, "un coltello vi farà un sacco di danni", c'è molto da dire su questo. Ciò che mi stupisce è che alcune persone possono parlare del danno che il loro coltello farà a un aggressore, ma allo stesso tempo di ricorrere al vecchio cliché di "aspettarsi di essere tagliati", come se essere tagliati fosse solo un piccolo inconveniente.
Chi si trova davvero al centro di questa mentalità sono coloro che provengono da un sistema di combattimento a mani nude e che tentano di "combattere" contro un avversario armato, nello stesso modo in cui farebbero con un avversario disarmato.
Il fatto è che sono queste stesse persone coloro che spesso parlano di "aspettarsi di essere tagliati". E poi, detto questo, non prendono alcuna misura efficace per evitare che ciò accada!
Molte di loro apparentemente intendono dire che possono permettersi di essere tagliate a fette, senza effettuare efficaci mosse difensive per cercare di ottenere un buon colpo, purchè si raggiunga il nostro antagonista almeno una volta, per loro è un tasso di cambio accettabile.
Questo è ciò che risulta dal tentativo di estendere una "mentalità da combattimento" al combattimento con armi. Semplicemente non funziona.
Volete sapere la nostra filosofia su questo argomento?
Scambia un taglio per un'uccisione, ma nient'altro.
Questa è la differenza tra combattimento e combattimento.

Le FMA sono i migliori sistemi di combattimento con i coltelli?
Lasciate che lo metta bene in chiaro qui. Quando si tratta di combattere con i coltelli, sono tutti dannatamente pericolosi.
Non esiste un "metodo assoluto" di combattimento con i coltelli. Non c'è un posto sulla terra dove sia stato sviluppato maggiormente il combattimento con il coltello. Non c'è una razza che detenga il monopolio per usare in combattimento un coltello.
Quello che posso dire è essere il primo in assoluto ad ammettere è che le FMA hanno fatto miracoli per organizzare e spiegare le idee dietro a quello che fanno e come lo fanno. E per questo mi toglierò sempre il cappello davanti a loro. E saluto e rispetto l'abilità e la prodezza dei loro eskrimadors, guru del kali e padroni di arnis. Ma io traccio sempre una linea di demarcazione quando qualcuno cerca di elevare un gruppo e le abilità di combattimento di quest'ultimo sopra tutti gli altri.
Non esiste un modo giusto, un modo o un solo modo di usare un coltello ... e più se ne conoscono, più è probabile si possa trovare un segnale di come vieni attaccato in uno di questi metodi. Ma se hai studiato solo un sistema, le probabilità sono che tu non riesca a trovare qualcosa che funzioni. E devo dirvi, anche se ai praticanti occidentali piace affermare che le FMA lo fanno, quelle arti non coprono tutti i modi in cui un coltello può essere usato su di voi. C'è letteralmente un mondo pieno di differenze là fuori.
L'ho detto prima e lo dirò di nuovo: *Nessuno* ha il monopolio della verità sul combattimento con i coltelli. L'intero argomento è troppo grande. Ognuno ha una fetta della torta. E imparare quello che hanno da dire su di esso e come lo fanno, da dove vengono è il modo migliore per aumentare le possibilità di sopravvivenza.

È facile disarmare un avversario armato!
Ogni volta che sento qualcuno dire questo, rabbrividisco.
Perché:
A) mi hanno appena detto che non hanno mai avuto a che fare con qualcuno intento a cercare di ucciderli.
B) Le probabilità sono che sia un bullo o peggio uno spaccone.
C) Se insegnano alla gente queste assurdità, prima o poi qualcuno si farà uccidere.
In un senso molto reale, qualcuno che sta lì a brandire un coltello non sta cercando di ucciderti ... sta cercando di spaventarti. Ora ammetterò che spesso è più facile sopraffare una persona del genere perché non è in modalità di attacco, ma non è mai facile. Queste persone possono essere sorprese e spesso non possono reagire in tempo. Tuttavia, qualcuno che è sinceramente intenzionato ad attaccarti con una lama non è *mai* facile da disarmare. E promuovere questa bugia sta letteralmente aumentando le possibilità di far uccidere qualcuno - specialmente se incontrano un attaccante fortemente motivato.
Il problema che ho riscontrato con i bulli è che sono molto selettivi su chi scelgono per fare i prepotenti.

Puoi combattere con successo un attaccante armato!
Questo intero post è stato dedicato a smentire questa menzogna. La ragione principale per cui è una bugia è che non puoi "combattere" un avversario armato. Puoi sopravvivere contro uno e potresti persino riuscire a metterlo giù prima che ti causi un danno maggiore ... ma, qualunque cosa tu faccia, deve essere veloce, efficace e brutale. Se non lo è, allora non lo fermerai prima che ti causi maggiori danni.
Non puoi stare lì e impegnarti in una lunga battaglia con un avversario armato. Se provi a farlo, perderai. Non è questione di se, ma di quando.
Detto semplicemente, ogni tocco con il coltello causerà seri danni. Come puoi sperare di lanciare una lunga rappresaglia contro di lui quando ogni volta che ti tocca provoca un "taglio biomeccanico" su di te? Stai per sanguinare e smettere di funzionare molto prima che la tua strategia diventi realtà.

Gli esercizi ti insegnano come combattere con i coltelli!
Le esercitazioni insegnano i principi. Insegnano idee. Sono la mappa, non il territorio.
Sfortunatamente, molte persone scambiano la mappa per il territorio. Una delle tendenze più irrealistiche che insegnano le esercitazioni è che non ti insegnano il giusto range. L'oggetto di un attacco è pugnalare/tagliare il tuo partner. Tuttavia, spesso durante gli allenamenti vedrai le persone che stanno indietro e che attaccano contro il bastone del loro compagno o il loro coltello da allenamento che cade almeno a meno di un metro dal loro compagno. Inoltre non stanno attaccando con lo stesso livello di impegno e forza con cui si verificherà un vero assalto di coltello. Pertanto l'allenamento, manca di diversi componenti critici.

Puoi usare un coltello su un altro essere umano senza ripercussioni legali
Ho visto video dei cosiddetti "maestri della lotta con i coltelli" che in realtà mostrano un pazzo che incoraggia i suoi studenti a tagliare qualcuno con un coltello per cercare di colpirlo. Ho anche visto dei video in cui, dopo aver disarmato i loro attaccanti con diversi tagli al braccio, questi sicari continuano a tagliarli – anche se non più armati -. Sfortunatamente, questo tipo di allenamento spesso va male quando l'attaccante tenta di ritirarsi e lo studente continua a tagliare, anche dopo che l'ex-attaccante gli ha voltato le spalle. Ora, questo ex attaccante è stato tagliato molte volte dopo essere stato disarmato ed è stato in più tagliato sulla sua schiena mentre tentava di ritirarsi ... indovinate chi andrà in prigione per tentato omicidio?
Un coltello è considerato uno strumento di forza letale ... Se lo usi su di un altro essere umano, è meglio che tu sia dannatamente sicuro di ciò che fai... se no, allora sei - agli occhi della legge e della società - il cattivo.
Prima ancora di pensare di prendere un coltello per "autodifesa", esci e fai un corso sull'uso giudizioso della forza letale. NON prendere in considerazione nessun esperto di coltelli da combattimento in materia, vai dagli avvocati e testimoni esperti sull'uso della forza.

domenica 24 dicembre 2017

Famiglia giapponese

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La famiglia giapponese (家族 kazoku) svolge un ruolo fondamentale per una perfetta integrazione nella società giapponese. Essa è rigidamente basata sulla linea di successione, ove discendenti e figli sono collegati tra loro tramite un'idea di genealogia della famiglia (系図 keizu), il che non significa relazioni basate sulla mera successione di sangue, ma piuttosto su un legame di relazione col fine incentrato sul mantenimento e il perpetuarsi della famiglia stessa come istituzione.
Dalla fine del periodo Tokugawa, quando il nucleo familiare di base era costituito dallo ie (gruppo familiare”), fino alla seconda guerra mondiale, quando questo sistema fu smantellato sotto l'egida delle Forze alleate, la struttura della famiglia giapponese ha subito notevoli cambiamenti fino ad arrivare a un concetto di famiglia fondata sulla parità dei diritti per le donne, eredità condivisa tra tutti i figli e libera scelta di carriera e matrimonio.
Il rapido progresso economico del dopoguerra ha tuttavia portato all'interno della società giapponese una serie di problemi sociali di varia natura, soprattutto nella famiglia, quali ad esempio l'assenza di una figura paterna per i figli, dovuta agli orari rigidi delle aziende giapponesi nei quali lavorano i mariti e i padri di famiglia, e la pressione all'autorealizzazione e al successo personale nei ragazzi, innescando la diffusione di vari disturbi sociali che vedono i giovani giapponesi non uscire più di casa, ricorrere ad antidepressivi o suicidarsi.

Storia

Famiglia tradizionale

Per gran parte del XX secolo il modello ideale di famiglia utilizzato in Giappone è quello dello ie, caratterizzato da un sistema patrilineare e da una rigida gerarchia strutturata in base all'età dei suoi membri. Le responsabilità familiari hanno la precedenza sui desideri individuali, poiché la famiglia, piuttosto che l'individuo, è considerata l'elemento collante che garantisce la sopravvivenza all'interno del sistema sociale.
La peculiarità di tale sistema consiste nella caratteristica essenziale, per ritenersi membri di una medesima famiglia, di abitare tutti all'interno della stessa casa e, in caso di mancanza di eredi maschi, di far rientrare nel nucleo familiare anche il genero, o qualsiasi estraneo che abbia anche solo un minimo grado di parentela, al quale viene dato il cognome della famiglia. Ciò può verificarsi anche nel caso in cui i figli maschi non siano ritenuti degni di perpetuare il nome di famiglia. L'ideale tradizionale del sistema ie designa infatti il figlio maggiore come erede della famiglia, il quale diviene responsabile della cura e del sostentamento degli anziani genitori, mentre i figli minori si trasferiscono formando famiglie autonome, che tuttavia rimangono affiliate e subordinate (in base al grado di interdipendenza economica) a quella principale. Il compito principale delle figlie è invece quello di trovare marito presso altre famiglie, col fine di donare degli eredi alla propria casata.
Nella famiglia tradizionale, il matrimonio viene visto come un importante collegamento tra le famiglie ed è fonte di grande preoccupazione in quanto la salvaguardia dell'identità dello ie ha priorità assoluta, sicché il matrimonio combinato (見合い miai) è molto diffuso nel Giappone pre-bellico mentre i membri della giovane coppia hanno poca o nessuna voce in capitolo nell'organizzazione. Tali matrimoni sono gestiti da un mediatore specializzato che si assume l'onere e la responsabilità di comunicare ai genitori l'eventuale rifiuto o la conclusione positiva dell'accordo. Inoltre, i genitori hanno anche il potere di richiamare i figli presso la propria abitazione se non soddisfatti dell'esito del matrimonio. Il ruolo della donna, una volta entrata nella nuova famiglia, è quello di onorare, più di quanto non faccia con i genitori, i propri suoceri, obbedire e servire il marito, mostrarsi accondiscendente e premurosa. Questa totale sottomissione è la chiave di volta che tiene in piedi l'intero sistema governativo del Giappone e viene considerato l'unico modo per dare pace e stabilità al Paese, benché sia noto il totale sacrificio delle donne a questo tipo di gerarchia.

Secondo dopoguerra

La struttura della famiglia giapponese subisce importanti cambiamenti già dalla restaurazione Meiji del 1866, quando lo sviluppo economico e il capitalismo contribuiscono alla caduta graduale del sistema dello ie, causando l'abbandono della tradizione della famiglia patriarcale. La politica di democratizzazione voluta dagli Alleati durante il periodo d'occupazione contribuisce ad affinare questo processo: anzitutto viene privato di potere legale il vecchio sistema familiare, attraverso l'abolizione dell'eredità a disposizione del solo figlio maggiore e passando a un'eredità condivisa con tutti i membri del nucleo familiare, e nel frattempo anche la responsabilità del mantenimento dei genitori smette di essere un'esclusiva del primogenito passando a essere onere di tutti i figli. Anche il matrimonio combinato viene abolito, restituendo al matrimonio il vero significato di accordo reciproco tra le due persone coinvolte.
In secondo luogo, le famiglie diventano più piccole, il tasso di fertilità si abbassa, mentre la popolazione abbandona le aree rurali per concentrarsi nelle zone industrializzate delle grandi città, spostando il baricentro della forza lavoro dal settore agricolo e manifatturiero al settore dei servizi. Come in altri Paesi industrializzati, un numero sempre maggiore di giovani ha la possibilità di accedere all'istruzione terziaria e sempre più donne hanno accesso al mercato del lavoro; per contro, la certezza di trovare un lavoro viene meno, mentre i giovani cominciano a ritardare il matrimonio più possibile o a non sposarsi affatto.
Grandi cambiamenti avvengono anche nello stile delle abitazioni, le quali passano da essere pensate per una famiglia composta da tre generazioni a uno stile ideato per delle famiglie composte al massimo da quattro membri, ognuno dei quali ha a disposizione la propria stanza, divise tra loro non più dai tipici divisori scorrevoli (fusuma e shōji) ma da spesse mura di pietra. Questa rivoluzione viene tuttavia frenata dal costo elevato di tali abitazioni, corrispondente in certi casi a sette volte il reddito medio di una famiglia giapponese dell'epoca.

Anni 1950 e 1960

Verso la fine degli anni cinquanta e l'inizio degli anni sessanta inizia a diffondersi in Giappone una particolare tipologia di famiglia composta da un marito lavoratore dipendente impiegato nel settore terziario, solitamente presso aziende fuori città, avente un reddito fisso e stakanovista (il cosiddetto salaryman, サラリーマン sararīman), dalla moglie, in genere casalinga (主婦 shufu) e dai loro figli.
Il marito svolge il ruolo di capofamiglia, nonostante manchi da casa la maggior parte del giorno per sei giorni a settimana, lasciando la gestione della famiglia nelle mani della moglie. In quanto assente per lunghi periodi da casa, egli diventa quasi una figura estranea per i figli, i quali non hanno possibilità di vederlo mentre lavora né tanto meno di passare del tempo con lui nei periodi di pausa dal lavoro. Così i bambini rimangono in gran parte privi di un modello maschile, e la presenza del padre a casa finisce per creare confusione all'interno della vita familiare, piuttosto che rappresentare una situazione naturale.
Mentre il marito si occupa del sostentamento della famiglia, lavorando fino a tardi e mantenendo le sue amicizie all'interno della sfera lavorativa, la moglie si occupa dell'educazione e dell'istruzione dei figli. Grazie all'espansione dell'economia giapponese, i ragazzi che riescono ad ottenere buoni risultati in ambito scolastico hanno il futuro assicurato con opportunità illimitate all'interno del mondo del lavoro. A causa di ciò l'obbiettivo primario della madre giapponese diventa il successo e la realizzazione dei figli: si diffonde così il fenomeno delle kyōiku mama (教育ママ), termine spregiativo per indicare le madri ossessionate dalla buona riuscita del figlio in ambito scolastico e lavorativo, anche a costo di renderlo infelice. Questa particolare attenzione è rivolta soprattutto ai figli maschi, il cui futuro dipende esclusivamente dall'entrata nell'università giusta, mentre le figlie femmine sono incoraggiate a studiare soprattutto per trovare più facilmente marito o un lavoro part-time, il quale dagli anni sessanta viene adottato diffusamente in tutto il Giappone.
Sebbene la cosiddetta salaryman family non sia la più diffusa in Giappone nei primi anni sessanta, gli impiegati d'azienda risultano la categoria più ambita dalle donne giapponesi, in quanto in grado di assicurare un futuro benestante all'intera famiglia. Il poco tempo a disposizione della coppia per stare insieme non viene ancora affrontato come un vero problema. I suddetti cambiamenti nella struttura familiare, infine, portano la donna giapponese a essere sempre più istruita, incoraggiando gli stessi uomini a scegliere come mogli questa tipologia di donna. Sul finire del decennio si registra anche un aumento del numeri dei divorzi.

Anni 1970

Durante gli anni settanta la generazione figlia della salaryman family cresce in modo sostanzialmente differente dalla precedente, abituata a convivere con l'assenza dei padri, con i genitori con ben poco in comune, oltre a non avere la percezione delle difficoltà economiche in tempo di guerra o nell'immediato dopoguerra, prendendo confidenza con la vita familiare come rappresentata nei film americani e con il concetto di "matrimonio per amore".
Tutto ciò, unito alle richieste di eguaglianza da parte delle donne che sfociarono nell'istituzione di un Movimento di liberazione delle donne, e alle proteste studentesche di fine anni sessanta, dà adito alla nascita di una nuova tipologia di famiglia conosciuta con il nome di new family. Quest'ultima differisce dalla sua precedente concezione in tre concetti chiave: in primo luogo, le relazioni tra le coppie sono sempre più associate all'idea romantica dell'amore, con la vita matrimoniale basata sulle relazioni sentimentali e non più su un mero accordo economico tra le parti. In secondo luogo, i rapporti tra moglie e marito diventano più equilibrati e democratici, con una maggiore partecipazione negli affari familiari da parte del marito, il quale lo si può vedere accompagnare le mogli al supermercato e passare del tempo con i figli durante il fine settimana. Inoltre il termine new family viene pubblicizzato in riviste (alcune delle quali sviluppate per soddisfare il mercato), o usato come marchio associato a un innovativo stile di vita.
La maggiore partecipazione delle donne in attività extra-domestiche, lo sviluppo economico del Paese, il lavoro degli uomini al di fuori della comunità residenziale, e il numero crescente di donne più istruite, con lunghi periodi liberi da obblighi familiari, contribuisce allo sviluppo di una varietà di opportunità per le donne, che vanno dal lavoro part-time (il quale cresce di tre punti percentuali passando dal 9% degli anni sessanta al 12%) all'educazione dei figli alla partecipazione delle attività della comunità, oltre a provvedere ai bisogni del marito.

Anni 1980 e 1990

Durante gli anni ottanta, il tasso di natalità cala drasticamente, mentre l'età media del matrimonio aumenta diventando una delle più alte tra i Paesi industrializzati. Questi dati riflettono l'aumento del livello di istruzione di entrambi i sessi e il modello praticamente universale delle donne che lavorano fuori casa per diversi anni prima di sposarsi, assottigliando il divario di preparazione scolastica e lavorativa tra le donne e gli uomini. Nel 1986, il Giappone firma la Dichiarazione delle Nazioni Unite sulle donne e, di conseguenza, adotta la legge per le pari opportunità garantendo alle donne la possibilità di accedere a qualunque tipo di lavoro. I ruoli manageriali rimangono tuttavia a solo appannaggio degli uomini.
Una minoranza significativa delle donne giapponesi concorda sul fatto che se una donna è in grado di mantenersi, non è obbligata a contrarre matrimonio. Ciò è in contrasto con la tradizionale convinzione che la felicità di una donna dipenda dalla creazione di una famiglia. Tutto questo mina l'autorità patriarcale. Eppure durante questo periodo la stragrande maggioranza dei giapponesi si sposa, con la convinzione diffusa che il matrimonio dovrebbe avvenire all'età giusta. Le donne preferiscono avere figli prima dei 30 anni, sia per motivi di salute sia perché in questo modo le problematiche economiche connesse alla crescita dei bambini possono essere risolte prima che il marito vada in pensione e il reddito familiare diminuisca.
Durante tutto questo periodo il Giappone diventa sempre più consapevole del rapido invecchiamento della sua società, costringendo il governo ad attuare drastiche riforme quali invitare le donne ad avere più figli, ad occuparsi della cura dei genitori anziani — anche se in questo periodo iniziano a diffondersi specifiche case di riposo chiamate rōjin hōmu (老人ホーム) — e a coprire le esigenze di scarsità di manodopera. Difatti, durante il periodo post-bellico, le donne non vengono impiegate come forza lavoro a causa di una combinazione di fattori, tra cui sufficiente manodopera maschile, l'efficienza economica di mantenere un pool di manodopera a basso costo da utilizzare solo in caso di necessità, le esigenze della famiglia e il livello di istruzione non eccelso delle donne. Dagli anni ottanta, tuttavia, alcuni dei fattori che hanno impedito alle donne una piena partecipazione alla forza lavoro hanno cominciato a cambiare. Una maggiore istruzione delle donne e esperienza in ambito lavorativo, la loro longevità, un minor numero di figli da crescere, e l'alto costo delle abitazioni e dell'istruzione dei bambini sono tra i motivi della crescente partecipazione delle donne sposate alla forza lavoro.
Nel frattempo la diffusione della tecnologia, in particolare del mercato degli apparecchi televisivi, contribuisce ad allentare i legami familiari, rendendo i membri della famiglia più indipendenti l'uno dall'altro. Ciò si rispecchia anche nel palinsesto televisivo, da cui in pochi anni scompaiono i programmi generalisti ideati per intrattenere tutta la famiglia, sostituiti da programmi specifici in base alla fascia d'età, oltre ai programmi pensati per un pubblico maturo in seconda serata. Ciò comporta una maggiore autonomia anche negli adolescenti, i quali oltre a passare il tempo nella propria camera quando sono a casa, occupano il loro tempo a scuola, negli sport o in un lavoro part-time, mentre lo sviluppo della ristorazione pubblica permette la consumazione dei pasti al di fuori delle mura domestiche.

Famiglia moderna

Nel 2005 il tasso di mortalità supera il tasso di natalità per la prima volta dal 1889, mentre il tasso di fecondità delle donne giapponesi raggiunge il livello minimo di 1,26 neonati, confermando le stime che vogliono la popolazione giapponese diminuita di un terzo entro il 2060. Solo nel 2006 si verifica un incremento nelle nascite con 1,086 milioni di bambini nati nel Paese, 23.000 in più rispetto all'anno precedente, portando il tasso fino all'1,29. Tuttavia gli esperti di demografia affermano che sia necessario un tasso di 2,1 per evitare il decrescere della popolazione.
Questo problema sociale è uno dei maggiori problemi che caratterizza la moderna famiglia giapponese, oltre una diminuzione costante del tasso di nuzialità. Dopo il picco del 2002 (289.836) il numero di divorzi si stabilizza, e sebbene la maggior parte di questi si verifichi intorno ai trent'anni, aumentano sensibilmente i casi di divorzi tra persone molto più mature, che vedono finire il loro matrimonio intorno al periodo di pensionamento del coniuge maschile della coppia. Tra i vari fattori che contribuiscono a questo fenomeno vi sono: il non preoccuparsi più di tanto della reazione e dello stato emotivo dei figli, in quanto già grandi e sistemati con la propria famiglia; il senso di compiacimento della moglie che sente di avere ormai compiuto il proprio dovere, allevando i figli e avendo accudito il marito per la maggior parte della sua vita, spinta dal bisogno di cambiare stile di vita, allaccia nuove amicizie indipendenti dal rapporto coniugale. Questo fenomeno contrasta in modo indicativo la norma tradizionale che vuole la moglie comportarsi da elemento collante che tiene assieme la famiglia, sopportando anche eventuali differenze con il marito.
Un altro problema sorto durante gli anni duemila è quello che riguarda il sistema di registro familiare chiamato koseki (戸籍). Tale sistema prevede che la coppia sposata condivida lo stesso lo stesso cognome, con uno dei due coniugi (di solito la moglie) che rinuncia al suo cognome per appropriarsi di quello del compagno. Un numero sempre maggiore di donne in carriera è contrario alla cancellazione del proprio nome di famiglia quando si sposa, e decidendo di non registrare ufficialmente il matrimonio corre il rischio che i figli siano riconosciuti come illegittimi; eventualità che può portare a conseguenze spiacevoli dato che il koseki viene utilizzato per l'iscrizione a scuola o nelle domande di lavoro.
In caso di separazione, all'interno del registro familiare è inoltre necessario specificare per quale tipo di divorzio si sia optato. Pertanto se un giovane ha bisogno del koseki per iscriversi a una scuola, o per presentare una domanda di lavoro, tutti i soggetti coinvolti vengono a conoscenza di quando e come i suoi genitori abbiano divorziato. Lo scioglimento del matrimonio in seguito a rottura dei rapporti è visto come un aspetto che può sconvolgere la vita dei bambini, molto di più rispetto al divorzio consensuale, e quindi è percepito come un qualcosa da evitare. Questo atteggiamento ha impedito il diffondersi di questo tipo di divorzio e potrebbe essere legato al fenomeno dei divorzi tra coniugi maturi, che si verificano dopo l'utilizzo del koseki per i vari aspetti della vita dei figli, causando meno danni rispetto ai divorzi avvenuti durante la loro fase di crescita. La natura fortemente convenzionale del koseki, che in qualche modo incoraggia il mantenimento della struttura patrilineare già in auge nel Giappone pre-bellico, costringe inoltre le coppie di fatto a rimanere nell'ombra, e le famiglie composte da coppie dello stesso sesso non hanno protezioni legali paritarie rispetto a quelle eterosessuali. Al 2017 sei città o suddivisioni in Giappone (Shibuya, Setagaya, Iga, Takarazuka, Naha, Sapporo) riconoscono le unioni tra persone dello stesso sesso, garantendo loro alcuni dei benefici di un matrimonio.
La maggior parte delle famiglie giapponesi moderne sono famiglie nucleari, simili a quelle presenti negli Stati Uniti e in Nord America. Sono composte al massimo da quattro-cinque membri: due coniugi, due figli e in alcuni casi da un nonno. Nonostante l'aspetto sia molto simile alle famiglie occidentali, il percorso storico, sociologico e culturale che ha portato il Giappone ad adottare questo sistema familiare è molto diverso.

Ruoli nella famiglia contemporanea

All'interno della famiglia giapponese contemporanea, i ruoli di madre, padre, figli e nonno sono per certi versi simili a quelli della famiglia americana contemporanea. Il padre passa solitamente molte ore fuori casa, con alcune eccezioni rappresentate da padri impegnati in imprese a conduzione familiare nella quale la famiglia vive e lavora sotto lo stesso tetto. In questo caso, non vi è una netta separazione della figura del padre dal resto della famiglia, separazione che rappresenta una dinamica peculiare nella vita familiare giapponese.
Il fatto che i padri giapponesi passino così tanto tempo al lavoro significa che essi spesso abbiano poco tempo o energia da trascorrere con i loro figli, e quindi non solo la responsabilità di crescere i figli ricade sulle madri, ma i padri finiscono per venire rimossi dalle vite dei bambini.
È normale che la madre si assuma la piena responsabilità dell'educazione dei figli, supervisionando la loro educazione, oltre a gestire anche le finanze della famiglia. Questo pone pesanti pressioni sia sulle donne giapponesi, sia sul rapporto tra la madre e i figli.
La terza età in Giappone infine rappresenta idealmente il momento della vita in cui è possibile venire meno agli obblighi sociali, continuare a fare parte dell'azienda di famiglia pur lasciando la responsabilità principale ai figli, socializzare, ricevere attenzioni dai propri cari e attestati di stima dalla comunità.

Onorifici utilizzati all'interno del nucleo familiare

Nella lingua giapponese vi è l'usanza di utilizzare dei suffissi onorifici posti dopo il nome di una persona per stabilire il grado di confidenza o rispetto che si ha nei confronti della stessa. Anche all'interno del nucleo familiare questi vengono utilizzati, soprattutto nella forma più comune (-san), anche se sono diffusi i suffissi -chan (soprattutto tra fratelli e sorelle) o il -sama. Da notare inoltre che per riferirsi ai propri familiari mentre si parla con altri, sono usati altri termini, come ad esempio haha ( nomignolo per "mamma").

Fenomeni sociali derivati

L'eccessiva interdipendenza tra madre e figlio può essere causa di problemi di sviluppo psicologico nei bambini, mentre una spropositata pressione all'autorelizzazione e al successo personale sui ragazzi può avere effetti contrari se questi ultimi non riescono a esorcizzarla o non riescono a conformarsi con il resto della società giapponese, nella quale è indispensabile seguire un preciso e lineare percorso di vita, soddisfacendo le aspettative pre-imposte dalla società, ove discostarsi da queste significa fallire totalmente. Per cui, non è raro che alcuni ragazzi non riescano a sopportare questa pressione, a cui si unisce la mancanza di una figura maschile e dei periodi passati in solitudine a causa del lavoro dei genitori, finendo per chiudersi in se stessi, non uscendo più di casa per mesi o per anni, a ricorrere a medicine o, in casi estremi, al suicidio.
Anche i padri, che passano numerose ore sul posto di lavoro, finiscono per soffrire di stress da “troppo lavoro”. Il fenomeno, segnalato per la prima volta alla fine degli anni sessanta, è causa di numerosi suicidi ogni anno in Giappone, oltre a morti naturali come attacchi cardiaci.

sabato 23 dicembre 2017

Chindōgu

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Chindōgu (珍道具) è l'arte dell'inventare oggetti "utili ma inutilizzabili", inventata dal giapponese Kenji Kawakami.

Genesi

Il Chindogu è in realtà un'arte creata nel 1980 da Kenji Kawakami, un ingegnere giapponese. Nonostante abbia depositato numerosi brevetti, Kenji Kawakami sostiene l'idea di inventare o innovare senza che ciò abbia una finalità commerciale o utilità. Egli denuncia il "consumismo" e "utilitarismo" onnipresente nel mondo moderno.
Un'associazione con oltre 10.000 membri in tutto il mondo sono: La ICS (international chindougu society)

Esempi di Chindōgu

  1. La forchetta con motore integrato per avvolgere gli spaghetti (che provoca schizzi se c'è troppa salsa).
  2. Mini-ombrelli per scarpe.
  3. Barra pratica Ctrl-Alt-Canc consente di premere tre tasti di una tastiera in una sola pressione.

Regole

  1. Un Chindōgu non dovrebbe essere progettato per un uso reale. Dal punto di vista pratico dev'essere praticamente inutilizzabile.
  2. Un Chindōgu deve esistere fisicamente, anche se di fatto non si può utilizzare.
  3. Ogni Chindōgu deve trasmettere l'idea di una certa anarchia e deve essere creato con una certa anarchia. I Chindōgu sono oggetti creati dall'uomo ma che si sono liberati del concetto di utilità. Essi rappresentano la libertà di pensiero e di azione; la libertà di sfidare il vecchio e soffocante dominio dell'utile; la libertà di essere (quasi) inutile.
  4. I Chindōgu sono progettati per la vita quotidiana. Devono essere compresi da tutti, ovunque. Il Chindōgu è una forma di comunicazione non verbale. Le invenzioni altamente specifiche o tecniche non sono classificabili come Chindōgu.
  5. Un Chindōgu non dev'essere venduto. I Chindōgu non sono fatti per essere venduti o acquistati.
  6. L'umorismo non deve essere l'unica motivazione per la creazione di un Chindōgu. La creazione di un Chindōgu è l'attività di base di "problem solving". L'umorismo è semplicemente il sottoprodotto della scoperta di una soluzione sofisticata e / o non convenzionale per un problema che non è necessariamente vincolante.
  7. Un Chindōgu non ha nessun fine di propaganda. Un Chindogu è innocente. È fatto per essere usato, anche se non lo si farà. Non dovrebbe essere creato come un commento perverso o ironico sulla condizione umana.
  8. Un Chindōgu non può essere un tabù. Non dovrebbe essere volgare, o influenzare una creatura vivente.
  9. Un Chindōgu non può essere brevettato. I Chindōgu sono offerti al mondo. Non sono idee che possono essere protette dal diritto d'autore, brevettate, raccolte o di proprietà. Come dicono gli spagnoli "Mi Chindōgu, es tu Chindōgu".
  10. Un Chindōgu non deve causare alcun danno.

venerdì 22 dicembre 2017

Bōsōzoku

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Bōsōzoku (暴走族 lett. "tribù della velocità sfrenata") è il termine con cui si indicano, in Giappone, le bande di teppisti motorizzati o mototeppisti che, solitamente in groppa alle loro moto, più raramente le automobili, sfrecciano di notte nella città di Tokyo, o nella sua periferia, terrorizzando i pacifici cittadini. Per la maggior parte studenti liceali, animati da un vago spirito ribelle, i bōsōzoku sono diventati parte dell'immaginario collettivo, in particolare a partire dai primissimi anni ottanta.
Ai bōsōzoku sono stati dedicati diversi film, manga e romanzi. Tra i più celebri ci sono i manga e anime Akira, Shonan Bakusozoku e Shonan Junai Gumi. Pioniere del genere è stato il regista Sōgo Ishii nei primi anni ottanta, con film come Crazy Thunder Road e Burst City, quest'ultimo una vera e propria celebrazione della sottocultura Bōsōzoku.

giovedì 21 dicembre 2017

Bonsai



I bonsai sono alberi in miniatura, che vengono mantenuti intenzionalmente nani, anche per molti anni, tramite potatura e riduzione delle radici. Con questa particolare tecnica di coltivazione si indirizza la pianta, durante il processo di crescita, ad assumere le forme e dimensioni volute, anche con l'utilizzo di fili metallici guida, pur rispettandone completamente l'equilibrio vegetativo e funzionale.

Storia

"Bonsai" è la lettura giapponese dei due kanji 盆栽: il primo (bon) significa "bacinella", "ciotola", mentre il secondo (sai) significa "piantare".
L'arte giapponese dei bonsai si è originata da quella cinese del penzai (o penjing). A partire dal secolo VI, l'organico dell'ambasciata e gli studenti buddisti giapponesi ritornarono dalla Cina con dei vasi. Almeno 17 missioni diplomatiche sono state mandate dal Giappone alla corte Tang dal 603 all'839.
La tecnica bonsai, nata in Cina e modificata in Giappone applicando alle piante coltivate i canoni della propria estetica influenzata dallo Zen, è legata a quello che gli Orientali chiamano seishi: l'arte di dare una forma, di coltivare, il praticare le tecniche più svariate sempre nel rispetto della pianta. I bonsai sono dunque natura viva, piccoli alberi che malgrado le dimensioni contenute esprimono tutta l'energia che è racchiusa in una pianta grande.

Arte Bonsai

Si parla di arte bonsai, in quanto fare bonsai è un'arte che comporta svariate conoscenze, sia nel campo generale della botanica, che in quello più particolare delle tecniche bonsaistiche. Tutte queste conoscenze vengono applicate per coltivare una pianta che rispetti determinati canoni estetici. Questi alberi in vaso possono essere paragonati a normali piante che sono state "semplicemente" coltivate in maniera migliore ovvero con cure e attenzioni delle quali generalmente altre piante non necessitano. Per rendere la pianta nel suo complesso più forte e adatta a sopravvivere in spazi ristretti, si procede alla potatura delle radici fittonanti (quelle che penetrano in profondità nel terreno), al rinvaso periodico e ad adeguate potature dei rami.
I bonsai, sia come senso estetico naturale sia come la filosofia orientale suggerisce, devono seguire degli stili ben precisi accomunati dalla conicità del tronco, dalla dimensione ridotta delle foglie e soprattutto dalla naturalezza della pianta stessa, che nel suo insieme (vaso compreso) ha lo scopo di riprodurre la natura in piccole dimensioni.
È importante che un bonsai evochi in chi lo guarda una sensazione di forza, maturità e, soprattutto, di profonda pace e serenità. Un altro aspetto interessante è che si tratta di un'opera d'arte mai finita: la pianta continua a crescere e modificarsi, bisogna quindi accudirla sempre.
È sbagliato pensare che i bonsai soffrano nei vasi: è solo un'impressione che si ha, a causa delle forme spesso contorte o delle parti di legno secco create appositamente per dare un effetto di vetustà alla pianta. Se un bonsai soffrisse non arriverebbe a fiorire o addirittura a fruttificare.
Gli orientali definiscono il bonsai come l'unione della natura con l'arte, così come il teatro Nō e la danza classica sono per i giapponesi la sintesi di musica e storia. A differenza dell'Ikebana, l'arte di comporre i fiori, il bonsai non si può insegnare con formule esatte o regole matematiche, ma con i comuni principi di botanica, senso estetico e una buona dose di pazienza.
Per esigenze didattiche i maestri giapponesi hanno stabilito regole e principi di bellezza che hanno permesso ai neofiti di seguire un percorso preciso e facilitato per creare un bonsai.
Come in ogni arte esistono veri e propri capolavori, anche plurisecolari e dal valore inestimabile; a differenza di altre attività artistiche, nell'arte Bonsai il soggetto è in continua (e lenta) evoluzione. Oltretutto nel caso di Bonsai famosi, sulla stessa pianta, nel corso del tempo, intervengono diversi maestri e collezionisti, rendendo l'opera indipendente dall'artista che l'ha creata (o raccolta).



Caratteristiche di un bonsai

Per valutare un bonsai si devono prendere in considerazione i cinque punti fondamentali attraverso i quali si esprime tutta la sua bellezza e la sua armonia.

Apparato radicale

Le radici devono disporsi possibilmente a raggiera, deve essere visibile la parte di radici che penetra nel terreno, in modo da dare il più possibile la sensazione di forza e stabilità della pianta.

Tronco

Il tronco deve avere, a seconda degli stili, andamento eretto o sinuoso. La base (piede) deve essere di buon diametro per poi assottigliarsi gradualmente nella zona apicale. Molto importante è la presenza di una corteccia "vecchia" che conferisce al bonsai un aspetto vetusto. In genere il tronco, in un bonsai apprezzabile, resta visibile per circa due terzi della sua lunghezza totale.
Fondamentale, in alcune piante come le conifere, è la presenza di shari, sabamiki e jin, cioè ferite della corteccia e dei rami che mettono a nudo il legno, dando alla pianta un aspetto ancora più vissuto.

Rami

Per la formazione della chioma la miglior disposizione da dare ai rami è quella in cui i più grossi, ramificazione primaria, si espandono verso i lati e il retro per dare profondità e tridimensionalità e i più piccoli, ramificazione secondaria e terziaria verso la parte frontale, posteriore e superiore per creare i "palchi".
Fatti salvi casi particolari non sono ammessi rami che partono frontalmente verso l'osservatore. La forma della chioma e dei singoli palchi deve essere riconducibile a un triangolo.

Foglie

Le foglie vengono mantenute piccole somministrando correttamente l'acqua e i fertilizzanti e praticando al momento giusto, solo su piante sane e vigorose, sia la pinzatura degli apici che la defogliazione, che consiste nell'eliminazione parziale o totale delle foglie, in modo da permettere alla pianta di emetterne di nuove più piccole.

Apice

L'apice, ovvero la porzione terminale del bonsai, deve mostrare vitalità, in quanto simbolo di vita.
I bonsai che presentano l'apice spezzato o inesistente, non hanno pregio. Diversamente, se nella zona apicale sono presenti jin (legna secca) segni di lunga vita, il bonsai è apprezzato in quanto è ritenuto un triste tocco di natura austera.

Creazione di un bonsai

I bonsai si possono ottenere con i seguenti metodi:
  • da seme
  • da talea
  • da margotta
  • da piante da vivaio
  • da piante raccolte in natura
  • da "pre bonsai"

Da seme

È il metodo forse più naturale. La semina può avvenire in primavera o in tarda estate-autunno, a seconda delle specie. Per alcuni semi è necessaria la stratificazione: si devono tenere in inverno in mezzo a della sabbia al freddo, poi si piantano a primavera. È utile durante la stratificazione spruzzare del fungicida per evitare che i semi marciscano durante questo periodo. La stratificazione si può fare naturalmente (lasciando i semi all'aperto) o artificialmente in frigorifero. Il terreno ideale per la germinazione è composto da un 50% di sabbia e da un 50% di terra o torba. I semi vanno piantati in un vaso o una bacinella forati sul fondo per favorire il drenaggio. Il vaso va coperto con del vetro o plexiglas trasparente fino alla germogliazione. Questa tecnica "raffinata" dovrebbe conseguire ottimi risultati. In alternativa si può evitare di coprire il vaso e lasciare fare tutto alla natura. Partire da seme è un metodo che richiede molta pazienza: ci vogliono dai 5 ai 7 anni prima di poter avere un bonsai discreto; l'altra faccia della medaglia è che consente di avere piante molto belle, perché si possono impostare fin da giovani seguendo il gusto del bonsaista.

Da talea

È un metodo più veloce rispetto alla semina. Le talee possono essere semi-legnose o legnose.
Nel primo caso, il periodo migliore per la radicazione è a metà estate (giugno-luglio) perché le talee, per radicare necessitano di calore al piede e costante umidità sulle foglie. Si prende un ramo giovane (da un altro bonsai) tagliandolo nettamente, con un coltellino ben affilato, all'altezza di un internodo fogliare, o lasciando un talloncino di corteccia del ramo da cui viene prelevata la talea. Lo si priva di tutte le foglie tranne le due più in cima, poi si taglia la base del ramo a 45 gradi o si lascia il talloncino di corteccia, lo si immerge in una soluzione di ormoni radicanti e lo si pianta nel terreno leggermente inclinato. Il terreno deve essere ben drenante e soffice per agevolare lo sviluppo delle radici: un misto di terriccio e sabbia. La talea va posta al riparo dai raggi diretti del sole e dal vento. Per agevolare la radicazione si coprono i vasetti contenenti le talee con carta trasparente o sacchetti di plastica sorretti da sostegni metallici; questo per mantenere l'umidità nell'ambiente di radicazione. Si innaffia per aspersione quando il terreno è quasi asciutto. Se tutto va bene nel giro di qualche settimana dovrebbero spuntare delle nuove foglie: a questo punto è bene far prendere un po' di sole alla talea, ma non troppo. Se il vaso è troppo piccolo è utile trapiantare in un vaso più grande nel giro di un paio di mesi, altrimenti lasciate la piantina nello stesso vaso fino alla primavera successiva.
Per le talee legnose si procede in autunno con i rami ormai già ingrossati e lignificati: il procedimento è identico al precedente: bisognerà solo far attenzione a proteggere le radici dal gelo invernale. Il metodo della talea è più veloce rispetto a quello da seme, ma non ha sempre un'alta percentuale di successo; inoltre non tutte le specie si propagano bene per talea, ad esempio la maggior parte di conifere e resinose, ad esclusione dei ginepri che ben si prestano per il tipo di riproduzione.

Da margotta

La margotta è un metodo molto rapido per ottenere un bonsai quasi fatto, ma richiede una certa tecnica. Bisogna innanzitutto scegliere un ramo che abbia già una forma interessante, bonsaisticamente parlando, al quale applicare la tecnica che permette di far crescere le radici al ramo. Una volta che saranno apparse le radici, si taglierà il ramo dalla pianta e si rinvaserà, ottenendo così un nuovo alberello. La margotta può essere effettuata in vari modi. Il primo consiste nell'incidere il ramo fino al cambio con un filo di rame o di ferro e spalmarvi sopra degli ormoni radicanti. Questa incisione va poi coperta con una "caramella" composta da sfagno bagnato avvolto in un telo di plastica. È bene stringere saldamente le estremità della caramella per non far passare aria. Fatto questo non rimarrà che aspettare, mantenendo umido lo sfagno con iniezioni d'acqua, che spuntino le radici. Il tempo di radicazione varia da specie a specie, ma di solito si aggira sui 2 o 3 mesi. A questo punto si separerà il ramo dalla pianta tagliando sotto le radici e si metterà il ramo in un vaso, sempre con terreno soffice e drenante. Se si ritiene che il ramo abbia troppe foglie è bene tagliarne un po' per non affaticare le giovani radici. È bene tenere la nuova pianta al riparo dal sole e dal vento per almeno un mese.
Un altro metodo consiste nello scortecciare completamente una parte di ramo alta circa una volta e mezzo il diametro del ramo, spargere con ormoni e coprire con la caramella di sfagno e aspettare. Un ulteriore metodo, denominato propaggine non richiede la caramella, dato che il ramo viene posto nel terreno dopo essere stato scortecciato, spalmato di ormoni e ricoperto con la terra. Una volta che ha radicato, lo si separa dalla pianta madre.
La tecnica della margotta si applica ad aprile-maggio, preferibilmente maggio, quando la pianta è nel pieno della spinta vegetativa. Questa tecnica è molto usata perché permette di ottenere buoni risultati e se il ramo non emette radici, cicatrizza e non viene perso, ma si può riprovare l'anno successivo. La margotta è utilizzata, inoltre, non solo per ottenere nuove piante, ma anche per eliminare inestetismi dai bonsai: si può applicarla al tronco per abbassare una pianta troppo alta o per migliorare la forma delle radici (nebari).
Non tutte le specie possono essere margottate: il pino per esempio richiede fino a 2 anni per emettere radici, la margotta risulta così praticamente impossibile.

Da piante da vivaio

I vivai permettono di reperire del materiale a prezzi accessibili, anche se non è sempre possibile trovare materiale adatto, perché le piante da vivaio molto spesso non hanno le caratteristiche dei bonsai: sono troppo alte, con tronchi sottili o rami troppo disordinati. È necessario soprattutto guardare l'apparato radicale, il tronco e l'impianto generale dei rami.

Da raccolta in natura

La raccolta in natura è molto problematica: innanzitutto è vietata in Italia sui terreni demaniali, mentre è permessa sui terreni privati, previo consenso del proprietario. Un altro grosso problema è costituito dalla scarsa probabilità di attecchimento delle piante una volta estratte dal terreno. La raccolta si effettua in autunno o primavera, togliendo una zolla di terra contenente le radici la cui grandezza sarà pari alla proiezione della chioma sul terreno, si toglie successivamente il fittone e si rinvasa nel terreno più adatto alla specie, preferibilmente lo stesso substrato del luogo in cui è stata trovata la pianta. Lo Yamadori raccolto in natura non va lavorato a bonsai per almeno due anni, proprio per dare tempo alla pianta di attecchire nel nuovo vaso. In Giappone ci sono dei veri e propri "cercatori" di piante che, in accordo con i coltivatori, raccolgono piante in natura adatte ad essere successivamente lavorate.

Da pre-bonsai

Il pre-bonsai è un concetto tutto occidentale e con esso si intende una pianta coltivata in vivaio, ma pensata fin dall'inizio per diventare bonsai: si cura l'ingrossamento del tronco e il formare le radici a raggiera. Un pre-bonsai può essere lavorato praticamente quasi subito, sempre che non abbia subito un rinvaso. Il rovescio della medaglia è costituito dal costo, naturalmente più alto rispetto alle piante da vivaio.
In realtà in Giappone non esiste il prebonsai ma si usa il termine materiale, che può essere ad un dato stato di maturazione.

Gli stili

Nella coltivazione bonsaistica i giapponesi hanno dato grande importanza alle regole che riguardano le varie forme che la pianta deve assumere; per questo motivo sono stati creati gli stili che mirano al raggiungimento della perfezione estetica. Gli stili nascono dall'osservazione e dall'imitazione della natura e dei capolavori creati da grandi maestri.
Ogni pianta ha una sua personalità e delle caratteristiche proprie che il bonsaista deve cercare di accentuare il più possibile senza però far perdere la naturalezza propria dell'essere vivente. È importante che l'intervento dell'uomo si noti il meno possibile e lasci immaginare all'osservatore solo l'azione del tempo e delle stagioni.
Qui di seguito una descrizione sommaria dei vari stili. Si noti che se ciascuno degli stili ha delle caratteristiche di base fisse, le regole d'impostazione più precise possono variare.

Eretto formale (Chokkan)

È tipico nelle piante che in natura crescono verso l'alto come le conifere le quali riescono a mantenere vigoria nonostante le condizioni avverse. È uno stile molto vincolante che obbliga a regole fisse, definendo perfettamente la disposizione dei rami e del tronco. Quest'ultimo sarà rigido e diritto, con il ramo principale, a destra o a sinistra, a circa 1/3 dell'altezza totale, il secondo ramo a 1/3 della distanza tra il primo ramo e l'apice in direzione opposta al primo, il terzo ramo rivolto posteriormente a una distanza pari a 1/3 della distanza fra il secondo ramo e l'apice e così via, con minor attenzione per ciò che riguarda gli ultimi rametti.

Eretto casuale (Moyogi)

In questo caso il bonsai è formato da un tronco più o meno sinuoso. Comune per la maggior parte delle piante, è probabilmente il più semplice da realizzare.

Inclinato (Shakan)

Stile Bonsai caratterizzato da: tronco e vegetazione molto inclinati verso destra o sinistra, radici robuste ed evidenti sulle superficie del terriccio e disposte nella direzione di inclinazione della pianta

Tronchi gemelli/Madre e figlio (Sokan)

Stile così chiamato perché composto da due soggetti con le stesse sinuosità e andamento di crescita, uno più grande e uno più piccolo che danno l'idea di una madre che tiene vicino a sé il figlio. La base dei due tronchi è molto ravvicinata e certe volte può essere la stessa. Per una buona riuscita, il punto di separazione dei due tronchi deve essere il più in basso possibile, così da suggerire l'immagine di due alberi completamente autonomi, ma cresciuti vicini per un capriccio del caso.

Scopa rovesciata (Hokidachi)

È la classica forma di una latifoglia, molto simile ad una scopa rovesciata, con i rami si dipartono pressappoco dallo stesso punto e sono più o meno della stessa lunghezza. Il tronco deve essere visibilmente conico e senza alcuna curva.

Spostato dal vento (Fukinagashi)

Questo stile ricorda gli alberi che crescono in presenza di vento forte, il quale li porta ad avere rami allungati da una sola parte e un tronco spesso ricco di legna secca o numerose curve.

Cascata / semi-cascata (Kengai / Han-Kengai)

Questo stile simula una pianta che vive aggrappata ad un dirupo dove, piegata dalle intemperie, tende a crescere verso il basso, il tronco si piega subito dopo il nebari (termine che indica le radici in vista e la base del tronco) e spesso l'apice giunge più in basso della base del vaso. Se l'apice si ferma al di sopra del bordo inferiore del vaso si parla di semi-cascata o prostrato. Quest'ultimo si ispira di più agli alberi inclinati sulle sponde dei fiumi o dei laghi.

Radici su roccia e radici nella roccia (Ishitsuki)

Nello stile a radici sulla roccia, un frammento di roccia sporge dal terriccio del vaso. L'albero cresce abbarbicato sulla roccia. Le radici sono visibili sulla pietra fino al punto in cui penetrano nel terriccio. Il meno frequente è lo stile con radici nella roccia: presenta una o più piante che crescono con le radici completamente inserite negli anfratti della roccia riempiti di terriccio. Le radici in questo caso non si avvinghiano all'esterno della roccia e non scendono fino nel vaso.

Letterati (Bunjin)

Lo stile dei letterati è quello ritenuto più elegante e artistico fra tutti e simula un albero nato in un luogo scomodo come ad esempio coperto da altri alberi oppure in una zona spesso colpita da fulmini o da eventi atmosferici. La chioma si sviluppa solo nella parte più alta ed è spesso molto ridotta come anche la dimensione del tronco. L'albero ha infatti speso la maggior parte delle sue energie per crescere in altezza alla ricerca della luce in concorrenza con gli alberi vicini.

A boschetto (Yose-Ue)

Si tratta di uno stile molto suggestivo che comprende più piante messe in un vaso basso e largo oppure su lastra. È molto importante la posizione di ogni singola pianta che devono dare una sensazione di profondità sviluppo del boschetto in più anni e soprattutto naturalezza.

A Zattera (Ikaa)

Stile simile al Boschetto con la variante che tutti i fusti sono uniti da una stessa radice. Rappresenta un tronco caduto sul fianco che ha dato vita a una nuova vegetazione. Anche in questo caso valgono le regole viste precedentemente in fatto di proporzioni degli alberi e aspetto scenografico. Questa foresta si può realizzare con un albero coricato, dove il tronco fungerà da radice principale che collega tra loro i vari fusti (gli ex rami).

Principali tecniche d'impostazione e di mantenimento

Il bonsaista impiega svariate tecniche per dar forma a una comune pianta secondo uno degli stili sopra citati per trasformarla in un bonsai. Questo lavoro si articola su un lasso di tempo che dipende dal ritmo di crescita naturale dell'essenza e possono passare parecchi anni affinché la pianta raggiunga la forma che il bonsaista ha voluto darle. Quando la pianta è finalmente diventata un bonsai, il lavoro del bonsaista non è finito, perché una cura continua è necessaria al mantenimento della forma ottenuta. Inoltre, il bonsaista può decidere di reimpostare un bonsai, ossia di modificarne più o meno drasticamente la forma o lo stile. Qui di seguito alcune delle principali tecniche impiegate dal bonsaista.

Potatura

È la tecnica più importante dell'arte bonsai e ne esistono vari tipi. Quando il bonsaista inizia a impostare una pianta, è sempre indispensabile procedere a una potatura di formazione. Si tratta di un intervento piuttosto drastico nel quale il bonsaista decide quali rami asportare completamente e quali rami accorciare al fine di raggiungere l'armonia necessaria all'ottenimento di un bonsai secondo le regole dello stile prescelto. Lo si esegue prevalentemente a inizio primavera o comunque in momenti in cui la pianta può reagire col necessario vigore.
Questa potatura dei rami principali può essere ripetuta se il bonsaista sceglie di impostare il suo Bonsai secondo un metodo di "taglia e lascia crescere": dopo una drastica potatura, si permette durante uno o più anni alla pianta di far crescere liberamente i suoi rami o di farne spuntare di nuovi a partire da gemme dormienti, poi si procede a una nuova potatura e così via, finché il bonsai prende la forma desiderata. Questo metodo è importantissimo per dare conicità (una caratteristica estetica essenziale) ai rami e al tronco della pianta.
Esistono, strumenti specifici per il bonsai, quali pinze a taglio concavo e forbici a manico grosso, per ottenere una potatura che non lasci antiestetici segni nel luogo del taglio.
Esiste, poi una potatura più leggera, attraverso la quale i rami di un bonsai formato vengono regolarmente accorciati affinché la forma armonica della pianta non sia modificata. Questo intervento è necessario anche più volte l'anno per essenze a ritmo vegetativo rapido (soprattutto certe latifoglie), mentre si limita a qualche ritocco a intervalli pluriennali per piante a crescita lenta (soprattutto le conifere e piante vecchie).
La defogliazione è una potatura delle foglie che si esegue durante la bella stagione per ragioni estetiche, affinché la pianta produca, dopo alcuni giorni, foglie nuove più piccole e quindi meglio proporzionate al bonsai. Si tratta di produrre una sorta di nuova primavera, un processo dispendioso in energia, ed è quindi un intervento possibile soltanto se la pianta si trova in ottime condizioni di salute. Lo si esegue di solito soltanto se è veramente necessario che il Bonsai abbia foglie più proporzionate alla sua taglia, per esempio quando si desidera esporlo a una mostra. Solo certe latifoglie sono adatte alla defogliazione.

Il filo

Per dare un aspetto di albero maturo con dei rami orizzontali o addirittura leggermente volti verso il basso a piante giovani e vigorose, che tendono invece a produrre rami che crescono verso l'alto, è spesso necessario correggere la direzione dei rami grazie alla tecnica del filo. Anche le curve del tronco e dei rami devono spesso essere indotte dal bonsaista per ottenere un bonsai di forma accettabile.
La tecnica prevede che si avvolgano tronco e rami in spire di filo di metallo (in genere di alluminio o, per rami grossi, anche di rame) e di piegarli, modificandone l'andamento. Può essere utile utilizzare della rafia, avvolgendola a spirale attorno al ramo da trattare col filo, allo scopo di non intaccare il delicato strato esterno del ramo stesso, sede dei condotti linfatici. Dopo un certo tempo, che dipende dall'essenza, il filo metallico è rimosso e il ramo o il tronco si sono fissati nella posizione voluta. Più il ramo è grosso, maggiore sarà il diametro necessario per il filo. Non tutte le essenze sopportano il filo e in ogni caso un'applicazione errata può produrre la perdita della pianta.

Altre tecniche

Altri metodi, quali pesi e tiranti, permettono di modificare la forma del tronco o di un ramo. Esistono poi tecniche particolari per creare effetti di vetustà nelle piante, trattando tronco, rami e radici. Trattando opportunamente tronchi o rami morti col tempo, sbiancadoli e scortecciandoli, si ottiene un effetto di "pianta colpita dal fulmine", chiamato jin.