lunedì 29 gennaio 2018

Ki

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Il termine cinese qi, in giapponese ki o anche ci in coreano (forma più antica) è il nome dato all'energia "interna" del corpo umano ricorrente in tutte le aree soggette all'influenza culturale cinese (Giappone, Corea) ma spazia da ambiti prettamente filosofici alle arti marziali o la medicina tradizionale cinese fino alla geomanzia, idraulica, pittura, calligrafia e poetica. La pronuncia in italiano è "ci".
In particolare il termine sinogiapponese ki è l'elemento centrale costitutivo del vocabolo giapponese Aikido 合気道 (scritto in kanji) od anche 合氣道 (usando la grafia non semplificata), di cui il termine ki costituisce il concetto essenziale.

Traslitterazione

Il termine ki è presente sia nella lingua giapponese che in quella cinese. Dato che queste lingue condividono in parte il sistema di scrittura ma il giapponese utilizza pronunce adattate dei termini cinesi, le traslitterazioni nell'alfabeto latino non sempre risultano univoche. La traslitterazione dal giapponese è quindi ki, secondo il sistema Hepburn, mentre dal cinese esistono due possibili traslitterazioni in uso: la prima segue il metodo Wade-Giles ed è C'hi, la seconda segue il metodo Pinyin ed è .

Storia del ki

Il concetto orientale di ki è di difficile definizione.
In Giappone, tale termine è usato quotidianamente a partire dall'instaurarsi della cultura cinese. Il ki esprime il concetto delle energie fondamentali dell'universo, di cui fanno parte la natura e le funzioni della mente umana. Nell'antica Cina, poiché era visto come la forza che originava tutte le funzioni fisiche e psicologiche, il concetto di ki venne ampiamente utilizzato nella medicina tradizionale cinese, nelle arti marziali ed in molti altri aspetti della vita. Il concetto di ki fu utilizzato per determinare il massimo livello della forza dei soldati, per scegliere in base a ciò il movimento militare idoneo. In seguito, lo studio dei ki divenne una forma di pratica di predizione del destino, mediante l'abilità dell'indovino di leggere il ki di un individuo.
Nella cultura tradizionale induista il termine con significato corrispondente è il vocabolo sanscrito Prana.
Nella cultura tradizionale occidentale, il significato del termine latino spiritus di cui il vocabolo ki è termine equivalente, traduce la parola greca πνευμα (pneuma, il soffio vivificatore) da πνειν (soffiare) e questa a sua volta traduce la voce ebraica rû:ăh (accento sulla u e suono gutturale aspirato finale). La rû:ăh ebraica (che a differenza degli altri termini è invece un sostantivo femminile), in relazione all'ambito della natura indicava il soffio del vento, in relazione all'ambito di Dio significava la sua forza di creare la vita e di imprimere un senso alla storia, in relazione all'ambito dell'Uomo ne indicava non solo il suo essere vivo, ma anche il suo respiro ed il suo alito.

Il ki nella filosofia

La possibile traduzione dell'ideogramma ki, è Essenza Individuale, cioè quella peculiare caratteristica che distingue ogni essere da tutti gli altri. Secondo una interpretazione spirituale o filosofica potremmo parlare di Anima, di Microcosmo, di Coscienza, di Psiche oppure più concretamente di Personalità, Individualità, Carattere, Identità. Ciò che importa stabilire ora è l'esistenza di una energia che muove dall'interno del nostro corpo (inteso come sistema Mente/Corpo) e gli permette di interagire con la realtà. La cellula è l'unità fondamentale della materia vivente, il suo cuore è il nucleo, il suo corpo è la membrana citoplasmatica. La membrana plasmatica non è solamente una barriera passiva tra l'ambiente esterno e quello interno della cellula, ma è capace di governare il passaggio delle sostanze che l'attraversano. Durante lo sviluppo dell'organismo, sono le cellule che evolvendosi e specializzandosi formano i tessuti. La cellula consiste quindi dei componenti essenziali, necessari al processo vitale, in grado di fornire a tutto l'organismo energia e materiali di costruzione. Il complesso delle reazioni che generano energia è detto respirazione interna, per distinguerlo dalla respirazione polmonare. Crescita, rinnovamento e riparazione sono le caratteristiche fondamentali di ogni tipo di vita. Nell'essere umano esiste una memoria di un passato antichissimo, un collegamento con i primordi della vita ed esistono misteriose e segrete, le istruzioni per edificare l'intera vita. Le cellule sanno perfettamente quello che devono fare la crescita, la vita e la riproduzione. Questa conoscenza è una forma di energia, ed è in questo senso che si intende il ki, come energia ancestrale, primordiale, come memoria, saggezza e armonia interiori, collegamento a tutti gli esseri precedenti e conseguenti. Il ki è l'essenza, il seme, il germe, il nucleo dove si condensa il significato della vita. Come la cellula conosce il proprio scopo, sa chi è e cosa deve fare e lavora instancabilmente per essere sé stessa, anche l'essere umano ha un preciso compito nella vita. Cercarlo, scoprirlo, comprenderlo e realizzarlo è la chiave della felicità.
Ki è quindi la Forza Vitale che scorre in ogni organismo vivente. In Sanscrito è conosciuta come Prana, nella Medicina tradizionale cinese si chiama Chi, e circola negli organi interni e nei meridiani generando i principali processi fisiologici come la respirazione, la digestione, la circolazione sanguigna e linfatica, la secrezione e l'escrezione. Nelle arti marziali indica la capacità di concentrare e dirigere il potere personale durante il combattimento, (Kumite). Le pratiche yogiche di respirazione o Pranayama mettono in condizione di accumulare l'energia all'interno del corpo, attraverso la meditazione, i mudra, i mantra possiamo interagire con il nostro equilibrio psicofisico.

Il ki (qì) nelle arti marziali

Il ki di cui si tratta nella disciplina giapponese dell'Aikido, è rappresentato dall'ideogramma giapponese che, nei caratteri della scrittura kanji, raffigura il vapore che sale dal riso in cottura.
Nella disciplina dell'Aikido significa spirito, ma non nel significato che tale termine ha nella religione, bensì nel significato del vocabolo latino "spiritus", cioè soffio vitale ed energia vitale.
Il riso, nella tradizione giapponese, rappresenta il fondamento della nutrizione e quindi l'elemento del sostentamento in vita ed il vapore rappresenta l'energia sotto forma eterea e quindi quella particolare energia cosmica che spira ed aleggia in natura e che per l'Uomo è vitale. Il ki è dunque anche l'energia cosmica che sostiene ogni cosa.
Nella disciplina dell'Aikido e più in generale nelle arti marziali giapponesi ed orientali, l'essere umano è vivo finché è percorso dal ki dell'universo e lo veicola scambiandolo con la natura circostante: privato del ki l'essere umano cessa di vivere e fisicamente si dissolve. Nella concezione delle arti marziali orientali, l'essere umano è pieno di vita, di coraggio, di energie fisiche ed interiori finché veicola il ki in modo vigoroso attraverso il proprio corpo e lo scambio con la natura circostante è abbondante; quando invece nel suo corpo la carica vitale del ki è carente, l'essere umano langue, è debole, codardo, rinunciatario.
Nella pratica della disciplina dell'Aikido 会氣道, ci si impegna per imparare a riempire il corpo con il ki ed a veicolarlo energicamente; pertanto nell'Aikido 会氣道 è necessario comprendere bene la profonda natura del ki ed imparare a riconoscerne le manifestazioni e gli effetti, i quali vanno sotto il nome di Kokyu.
Per estensione di significato il ki può essere associato a quella che i fisici del XVIII e XIX secolo chiamavano vis viva (forza viva), ovvero una sorta di fluido attraverso il quale l'energia ha la possibilità di trasferirsi da un oggetto materiale ad un altro. Secondo le antiche credenze, attraverso la respirazione il ki si accumula e riempie tutte le parti del corpo, ma viene emanato solo quando corpo e mente sono sereni e distesi.
Nell'aikido o nel taijiquan ogni gesto è un movimento di energia, nel Jūdō, nel ju jitsu non è importante la forza muscolare quanto l'abilità di gestire e direzionare il ki.
Secondo una trattazione scientifica corrispondente alla mentalità occidentale, il ki potrebbe essere inteso come l'energia interna di un corpo.
La questione dell'armonia del ki (o Ai-Ki) è un concetto orientale di una certa complessità. Si noti innanzitutto che tale questione è assolutamente diversa da quella di una mente (nel senso di Kokoro) salda e lucida, anche se entrambe si riconducono allo stesso principio: il miglior impiego dell'energia. Tale principio, enunciato e fermamente sostenuto da Jigoro Kano (Ki-Ai) fu concretamente realizzato da Morihei Ueshiba con la creazione dell'Aikido (termine composto dai vocaboli Ai-Ki-Do, ciascuno dei quali ha un suo proprio significato che, unito agli altri, genera un significato più complesso). Questa disciplina realizza l'Ai-Ki nella vita interiore dell'uomo e nella sua manifestazione esteriore: questa esteriorizzazione è denominata nella lingua giapponese con il termine Kokyu. La realizzazione dell'Ai-Ki è infatti la manifestazione di uno stato di totale controllo del corpo che vive ed agisce in perfetta armonia con le leggi naturali e cosmiche. Tuttavia, sebbene questo stato sia raggiungibile sotto il controllo dell'esercizio della volontarietà in modo relativamente facile, il requisito fondamentale dell'Ai-Ki è l'assoluta spontaneità ed istintualità dei propri movimenti, per quanto precisi essi siano. Le azioni passano dallo stato di consapevolezza volontaria a quello di libera istintualità e perciò si dice che la mente (sempre nel senso di Kokoro) è ricettiva e conforme ad adattarsi alle situazioni.
Nella disciplina dell'Aikido con il termine "istintualità" s'intende quell'istintività non naturale, cioè che nessuno possiede in modo innato e spontaneo, ma che un'abitudine frutto di un allenamento particolare può far penetrare nei meccanismi istintivi naturali e consolidarli ad essi, radicandoli nell'istinto naturale come se questi fossero stati conferiti insieme alla nascita. Per fare un esempio: sono reazioni istintuali le complesse reazioni istantanee fra di loro combinate ed armonicamente sincronizzate quali le azioni contemporaneamente esercitate su freno, frizione, cambio, acceleratore, volante, che quando siamo alla guida di un autoveicolo poniamo in essere in situazioni d'emergenza senza pensare ai gesti che compiamo, mentre il ritrarre istantaneamente la mano senza pensare e premeditare il gesto che si compie quando questa è scottata da una fiamma, questo è invece un gesto istintivo.
Secondo la tradizione orientale e specificamente delle arti marziali giapponesi, esistono tre sedi naturali in cui il ki si localizza che nella lingua giapponese sono denominate "tanden" 丹田, le quali non sono però delle vere e proprie sedi fisiche, materiali, corporee, ma sono dei punti virtuali dove viene localizzata la cosiddetta "presenza mentale" del praticante e precisamente: il "Kikai Tanden" 気海丹田, la sede viscerale, il "Chudan Tanden" 中段丹田, la sede mediana ed il "Jodan Tanden" 上段丹田, la sede superiore.
Il ki è l'energia vitale che percorre i centri vitali e li rende funzionali e capaci di svolgere il loro compito essenziale per il mantenimento in vita dell'essere umano.
Il Maestro Shingeru Egami (Shotokai) in un passaggio del suo libro Karate-Do Nyumon dice:
Il problema della mente è profondo. La sua elevazione ad uno stato superiore, l'allargamento e la purificazione di se stessi, sono le ultime cose da conseguire per mezzo della pratica. Si devono allenare mente e corpo, perché diversamente la pratica non ha senso. Tentando di pulire la vostra mente dalle impurità della vita quotidiana, per mezzo del contatto spirituale con gli altri. La mente ed il corpo sono simili a due ruote di un carro, nessuna delle due ha il predominio. Questa è la pratica autentica. Ottenere qualcosa di valore spirituale nella vita è vera pratica. Entrando in contatto fisico con gli altri, si entrerà anche in contatto spirituale. Nella vita quotidiana bisogna arrivare a conoscere le nostre relazioni con gli altri, come ognuno di noi influisca sugli altri e come le idee si possano scambiare. Si devono rispettare gli altri e pensare bene di loro. Le persone devono essere mentalmente aperte e rispettose del benessere e della felicità altrui. In un combattimento, quando riuscirete a trascendere dalla semplice pratica, riuscirete ad essere una cosa sola con il vostro avversario.

domenica 28 gennaio 2018

On'yomi

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La lettura on o on'yomi (音読み lett. "lettura del suono") di un kanji, è quella derivata storicamente dal cinese. Essa coesiste con la lettura kun o Kun'yomi, la lettura d'origine giapponese attribuita al kanji al momento della sua "importazione" in Giappone.
Se la lettura kun è usata di norma per un kanji che si presenta a sé stante o seguito da okurigana, la lettura
on è più spesso utilizzata per leggere il kanji quando questo forma parole composte da due o più kanji. Questa lettura può essere quindi paragonata alle radici greco-latine delle lingue occidentali. Per esempio, il kanji vuol dire "viaggio". La pronuncia kun (kun'yomi) è tabi, mentre la lettura on, utilizzata appunto quando il kanji è accompagnato da altri ideogrammi, è ryo. Dunque un albergo giapponese, cioè un edificio (yakata) dove ci si ferma quando si è in viaggio (tabi), è detto 旅館 ryokan.
I kanji possono avere più letture on in quanto gli stessi caratteri furono importati dalla Cina in epoche diverse (e da diverse aree geografiche), in cui dunque la pronuncia era mutata. Ad esempio, il kanji può essere letto, tra gli altri modi, sia sei sia shō, a seconda dei vocaboli in cui si trova. Dunque un kanji può avere da zero a 4 pronunce on. L'on'yomi può non essere presente se il kanji è nato in Giappone, cioè se è un 国字 kokuji, kanji nazionale, (ciò non è vero per tutti i kokuji poiché ad alcuni è stata attribuita una lettura on, come al verbo "lavorare", 働く hatara.ku, il cui kanji ha anche l'on'yomi ).
Le letture on sono normalmente classificate in quattro gruppi:
  • Le letture Go-on (呉音 "suono Wu") hanno origine dalla pronuncia cinese del periodo delle Dinastie del Nord e del Sud tra V e VI secolo. Poiché il kanji è lo stesso sembra probabile che Go si riferisca alla regione Wu (nelle vicinanze della moderna Shanghai), dove la lingua wu, la variante della lingua cinese che lì viene parlata, presenta delle somiglianze con la lingua giapponese moderna.
  • Le letture Kan-on (漢音 "suono Han") hanno origine dalla pronuncia cinese del periodo della Dinastia Tang nel VII e IX secolo, essenzialmente dalla lingua parlata standard della capitale, Chang'an (長安 o 长安, la moderna Sian). Il carattere Kan è usato con il significato generico di Cina, non in riferimento alla Dinastia Han, sebbene il kanji sia comune.
  • Le letture Tō-on (唐音 "suono Tang") hanno origine dalla pronuncia cinese durante dinastie successive, come la Dinastia Song () e la Dinastia Ming (). Includono le letture adottate tra il Periodo Heian (平安) e il Periodo Edo (江戸). A volte si parla di Tōsō-on (唐宋音).
  • Le letture Kan'yō-on (慣用音 "suono idiomatico") sono pronunce confuse o scambiate tra due kanji che però sono entrate nell'uso comune e sono state accettate come ufficiali.

La pronuncia on più comune è la kan-on. Le letture go-on sono particolarmente comuni nella terminologia buddhista (es. gokuraku 極楽 "paradiso"), nonché per alcuni dei kanji importati in tempi più antichi, come quelli dei numeri. Le letture tō-on si incontrano in parole "più recenti", come isu 椅子 "sedia", futon 布団 e andon 行灯, un tipo di lanterna giapponese di carta.
Il passaggio dal fonema cinese al fonema giapponese, essendo le due lingue molto differenti, è stato fatto commettendo alcuni errori, trasformando alcuni suoni e facendone scomparire altri. A questo si aggiunge il fatto che il passaggio è avvenuto in epoche diverse e quindi con diversi dialetti cinesi (oppure con la mediazione della lingua coreana) e che le due lingue si sono evolute, più dal punto di vista della lingua che della sua scrittura. A volte questa lettura si può avvicinare alla pronuncia della cinese dello stesso sinogramma.

sabato 27 gennaio 2018

Baku

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Il baku (in giapponese: o ; in cinese , , letteralmente "tapiro") è una creatura leggendaria originaria della mitologia cinese, passata poi anche a quella giapponese.

Aspetto

Probabilmente legato a un significato mitologico del tapiro, condivide con esso il nome e molte caratteristiche fisiche; è però spesso rappresentato in termini chimerici. Una popolare rappresentazione lo vorrebbe dal corpo di orso, zampe di tigre, coda di bue e occhi di rinoceronte; un'antica descrizione cinese gli attribuisce invece l'aspetto di una capra con nove code, quattro orecchie e occhi sul dorso.

Caratteristiche

Il baku è considerato una creatura benigna, a cui in Cina si attribuisce la capacità di allontanare il male, ma è soprattutto conosciuto per la sua capacità di divorare gli incubi degli esseri umani e la sfortuna che li accompagna. In alcune zone, come le aree di Fukushima e Kumamoto, è d'uso che una persona che si risveglia da un incubo reciti tre volte la frase "cedo il mio sogno al baku perché lo mangi", o varianti della frase. Le immagini della creatura (o il suo ideogramma) erano considerate ornamenti di buon auspicio per gli arredamenti delle camere da letto, e anticamente venivano cuciti in oro sui cuscini delle famiglie nobili.
Viene narrato che Toyotomi Hideyoshi, famoso samurai e daimyō del periodo Sengoku, ne conservasse un disegno accanto al capo mentre dormiva per garantirsi un sonno senza incubi.
Il baku è anche considerato capace di divorare gli spiriti cattivi che causano le epidemie, e dormire sulla sua pelliccia preverrebbe le malattie e la malasorte.







venerdì 26 gennaio 2018

Makara Naotaka

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Makara Naotaka (真柄 直隆; 1536 – 9 agosto 1570) è stato un samurai giapponese del periodo Sengoku servitore del clan Asakura.
Era noto anche come Makara Jūrōzaemon (真柄 十郎左衛門). Makara si dice fosse un gigante, in grado di portare una spada nodachi con una lama lunga più di un metro e mezzo che chiamava tarōtachi ("la spada più vecchia"). Una nodachi di solito veniva utilizzata con due mani, ma Makara Jūrōzaemon la teneva con una mano sola e la brandiva dalla sella. Durante la battaglia di Anegawa del 1570 fu in prima linea assieme al figlio Naomoto (armato di una spada più corta chiamata jirōtachi, "seconda spada più vecchia"). Coprendo la ritirata dei soldati Asakura ormai in rotta dopo gli assalti di Tokugawa Ieyasu gridò 'Sono un uomo di nome Makara Jūrōzaemon! Se qualcuno lo dovesse dimenticare, gli mostrerò chi sono guadagnandomi l’ennesima vittoria!'. Gli Asakura riuscirono a ripiegare aldilà del fiume Anagawa, seguita lentamente in coda dai due Makara, padre e figlio, che mozzavano furiosamente teste e gambe. Infine i due vennero sopraffatti da quattro uomini del Mikawa: il padre fu arpionato sotto l’armatura con una lancia, e sbalzato da cavallo ebbe solo il tempo di dire: 'Chiunque avrà la mia testa si guadagnerà grande gloria!', prima che una spada gli fendesse il collo e lo decapitasse. Stessa sorte capitò al figlio poco dopo.
La sua spada, tarōtachi, è preservata presso il Santuario di Atsuta a Nagoya.


giovedì 25 gennaio 2018

Kuan-Chun Chi

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Chi Kuan-Chun, noto anche come Chik Goon-Gwan (Guangdong, 14 giugno 1949), è un attore e artista marziale cinese di Hong Kong, pratica lo stile Hung Gar.
È meglio conosciuto per l'interpretazione del monaco Shaolin ribelle Hu Huei Chien (Hu Hui Gan) e per diversi film di arti marziali girati a partire dal 1970. È stato anche co-protagonista con Alexander Fu in molti film sulle arti marziali.

Biografia

Nato col nome di Wu Dong-wai, nel Guangdong, in Cina, si trasferisce con la famiglia a soli tre anni ad Hong Kong.
Si è diplomato alla Sam Yuk Middle School ed ha seguito un corso di recitazione alla Cathay Studio nel 1968.
Dopo aver vinto il primo posto al "Manhood Competition" tenuto dal Chiang Jiang Film Company, Chi si è unito al Shaw Brothers Studio. Il suo debutto alla recitazione avvenne nel film Men From The Monastery, del regista Chang Cheh. Dopo queste prime esperienze arrivarono altri ruoli sempre sotto la supervisione di Cheh, tra cui: Shaolin Martial Arts, Disciples Of Shaolin, The Shaolin Avengers and Magnificent Wanderers.
Dopo aver concluso il suo contratto con la Shaw Brothers nel 1976, Chi fonda la Champion Film Company. Nel 1977, si trasferisce a Taiwan per proseguire la sua carriera, dove ha recitato in film come Showdown at the Cotton Mill.
Si ritira ufficialmente agli inizi degli anni novanta, per tornare anni più tardi, nel 2003, sul grande schermo in Drunken Monkey di Lau Kar-leung e successivamente, nel 2005, in Seven Swords di Tsui Hark.

mercoledì 24 gennaio 2018

Niten Ryu

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Niten Ryu, o più precisamente Niten Ichiryu, è una dottrina strategica sviluppata da Miyamoto Musashi, celebre samurai vissuto dal 1584 al 1645, ed è esposta nel celebre Gorin no Shò, Il libro dei cinque anelli, scritto dallo stesso Musashi. Vuol dire letteralmente "Due cieli: una scuola".
In realtà, con Niten Ichiryu si intende la componente esoterica di tale disciplina, che fa complemento alla dottrina esoterica comunemente detta "Due spade: una scuola".
Nella sua componente più esoterica, il Niten comprende una trattazione delle varie armi e del loro utilizzo e un'esposizione della varie posture del corpo e dei vari modi di colpire l'avversario. Musashi non espone mai la propria dottrina in maniera esplicita: pure nelle sezioni più "tecniche" l'importanza del non-detto travalica quella dell'esposizione formale. D'altra parte lo stesso autore del Gorin no Sho afferma di non aver mai avuto un maestro, e il vero stratega deve apprendere da solo i fondamenti della strategia, attraverso poche fondamentali linee guida.
Uno dei concetti fondamentali del Niten è l'uso delle due spade. All'epoca dei samurai un guerriero (bushi) aveva due spade alla cintura: la katana (spada lunga) e la wakizashi o tanto (spada corta). Morire con una di queste armi ancora nel fodero significava non aver fatto tutto il possibile per vincere. Questo è ovviamente contrario all'etica del samurai: nel Niten si raccomanda dunque di imparare ad utilizzare tutte e due le spade in combattimento.
Altro importante concetto è il non fare affidamento solo sull'equipaggiamento. Certe scuole di scherma dell'epoca insegnavano l'utilizzo di un particolare tipo di arma, magari una spada più lunga del normale, e come trarre vantaggio da queste. Un vero stratega, ammonisce Musashi, conosce pregi e difetti di ogni singola arma, ma non si limita ad usarne solo una: una spada lunga ad esempio può essere inutile negli spazi stretti. L'eccessiva specializzazione porta all'estinzione, e l'eccessiva fiducia nel mezzo porta alla sconfitta.
Per quanto riguarda la parte "tecnica", il Niten considera le posizioni di guardia basilari, assumendo la guardia classica (chudan) come centro dell'azione. Raccomanda altresì di non affidarsi solo a questo: le varie posizioni del corpo devono rispondere alle necessità del momento, così come non esiste un solo modo di muovere i piedi o di portare un fendente.
Anche per quanto riguarda i fendenti, Musashi resta sul vago: la spada si impugna (come nel kendo) con una presa forte delle ultime due dita di ogni mano. Nel portare un fendente l'unica preoccupazione deve essere: tagliare il nemico. Il Niten tratta in maniera abbastanza "fumosa" vari tipi di colpi e fendenti, senza mai curarsi di spiegare la tecnica del colpo nel dettaglio, Musashi preferisce focalizzare l'attenzione sulla percezione mentale di ogni colpo. Quindi si avrà il "fendente che va proprio a segno", il "fendente fuoco e pietre", il fendente "foglie rosse", ecc... Più della tecnica in sé, traspare nel Niten una caratteristica fondamentale: il colpo, quale che esso sia, deve essere scagliato in una sola unità di tempo, e deve andare a segno nella propria mente, prima che nell'avversario. Il ritmo dei fendenti e delle parate è importante: chi non conosce il ritmo di un duello, chi non sa colpire nell'unità di tempo giusta, anche se in possesso di grande forza ed impareggiabile tecnica verrà sconfitto.
In effetti, più che una scuola di scherma, il Niten Ichiryu è una dottrina filosofica: essere sempre pronti a cambiare ed adattarsi, come l'acqua si adatta al contenitore. Lo stratega non è solo colui che impone il proprio metodo e il proprio ritmo al duello, ma anche e soprattutto chi sa leggere la situazione, valutare velocemente i punti di forza e debolezza, cambiare la situazione in proprio favore e -fondamentale- vincere.
Addentrandosi attraverso il Gorin no Sho nella dottrina del Niten si scopre il fondamento della scuola: il vuoto. Sia la postura, che la camminata, che il colpire con un fendente devono sottostare alla regola del vuoto. Colpire, sì, ma senza l'intenzione di colpire. Colpire con la mente vuota. Il concetto di vuoto nel Niten, ma anche nelle altre discipline orientali, è molto diverso da quello occidentale. Il vuoto è l'assenza di forma, di intenzione, di evidenza. Colpire senza l'intenzione, avere una posizione non evidente, una forma-senza forma, questo è il fondamento del Niten Ichiryu. Solo attraverso la mente vuota, avverte Musashi, è possibile trovare la Via.

martedì 23 gennaio 2018

Liming Yue



Liming Yue (Xiangtan, 4 aprile 1964) è un artista marziale cinese.
Maestro di taijiquan, è il detentore del lignaggio di 12ª generazione del Chen-style taijiquan. I suoi maestri sono stati il Granmaestro Chen Zhenglei ed il granmaestro Kongjie Gou.

Biografia

Il Granmaestro Liming Yue inizia gli studi delle arti marziali dello stile Shaolin da bambino, in Cina, nel 1972. Nel 1983 sbalordito dall'abilità dei giovani studenti del famoso villaggio di Chenjiagou (Chenjiagou, 陳家溝), provincia di Henan, incomincia il suo percorso da studente per avvicinarsi a questo stile interno, attraverso lo studio dello Stile Chen ortodosso, sotto la guida dei maestri Chen dell'undicesima generazione nello stesso villaggio. Viene accettato come discepolo dal Granmaestro Chen Zhenglei nel 1998, e riceve il grado: 7° Duan Wei Grandmaster dalla China National Wushu Association nel 2004. Studia per diversi anni l'arte interna del Qigong con i migliori maestri del monastero della montagna di Nanyue e del monastero sito nel parco della foresta di Zhangjiajie.
Il Granmaestro Liming Yue nel 1995 si trasferisce in Inghilterra dove fonda il centro Chen Style Tai Chi Centre a Manchester, Inghilterra. Qui diventa capo giuria nelle competizioni Internazionali per la Taichi Union per la Gran Bretannia e vice presidente onorario della stessa.
Quale attività collaterale al lavoro di sviluppo ed insegnamento presso il "Chen Style Tai Chi Centre", il GM Liming Yue insegna il Tai Chi anche presso "Age Concern" una Organizzazione che lavora con e per le persone della terza età, con "The Workers Education Association", la più grande associazione inglese per il volontariato e l'insegnamento, per moltissime Società private e come docente presso l'Università di Salford e l'Università Medica di Leeds, collabora con la Western Oregon University, l'Istituto di Medicina Cinese a Londra e la Caledonian University a Glasgow.
Secondo i canoni della tradizione Cinese il Granmaestro Liming Yue è il Top 18 dei discepoli del Granmaestro Chen Zhenglei dal 2008 ed il No.1 dei discepoli del Granmaestro Kongjie Gou dal 1993.

Contributi al Taijiquan stile Chen

Il Granmaestro Yue ha creato due versioni brevi della forma laojia; la forma 11 e la forma 11 con ventaglio.
È autore insieme al Granmaestro Chen Zhenglei di due importanti libri sul Taichi ed ha realizzato diversi DVD didattici e Video per istruttori. In Italia esamina personalmente gli istruttori che si diplomano presso l'AICS Associazione Italiana Cultura e Sport. Dal suo arrivo in Europa ha aiutato decine di istruttori in Inghilterra, Spagna, Portogallo, Irlanda, Grecia ed Italia a comprendere profondamente gli insegnamenti del Taichi stile Chen, garantendo l'apertura di numerose scuole in tutto il territorio Europeo. Ha ricevuto il prestigioso titolo di World Tai Chi Promotion Ambassador dal villaggio di Chenjiagou e dalle autorità governative Cinesi nel 2009, per il suo prezioso contributo al Taichi stile Chen.

lunedì 22 gennaio 2018

Battaglia di Azukizaka (1564)

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La Battaglia di Azukizaka (小豆坂の戦い Azukizaka no tatakai) o Battaglia di Batō-ga-hara (馬頭原の戦い Batō-ga-hara no tatakai) ebbe luogo nel 1564, anno in cui Matsudaira Motoyasu (più tardi conosciuto come Tokugawa Ieyasu) cercò di porre fine alla crescente minaccia degli Ikkō-ikki, un gruppo di monaci, nobili locali e contadini che, tra il quindicesimo ed il sedicesimo secolo, insorsero contro le regole sociali imposte dai samurai.
Le tensioni tra guerrieri ed Ikkō-ikki erano aumentate a Mikawa dopo che questi ultimi avevano resistito agli sforzi dei samurai di tassare i loro templi. Lo scontro scoppiò nel 1563 quando Suganuma Sada, vassallo del clan Matsudaira, irruppe nel tempio Jōgūji ad Okazaki, confiscandone le scorte di riso per nutrire le proprie truppe; come risposta a tale gesto i monaci attaccarono il castello di Suganuma, recuperando il riso e barricandosi nel tempio Jōgūji. Quando Motoyasu mandò messaggeri al tempio per investigare, questi vennero giustiziati. Un successivo episodio vide samurai Ikkō-ikki attaccare un mercante presso il tempio della città di Honshōji; Motoyasu tentò un'incursione contro il tempio, ma fu sconfitto.
La battaglia di Azukizaka fu combattuta il 15 gennaio 1564. Motoyasu aveva deciso di concentrare le proprie forze per eliminare gli Ikkō-ikki da Mikawa ed aveva ottenuto l'aiuto dei monaci guerrieri del tempio di Daijuji, con i quali era in buoni rapporti. Tra le file Ikkō-ikki vi erano diversi vassalli di Motoyasu, come Honda Masanobu che si era schierato a favore della ribellione spinto da simpatie religiose. La battaglia fu feroce e Motoyasu scese in campo personalmente, sfidando diversi samurai nemici e combattendo in prima linea. La condotta eroica di Motoyasu nella battaglia spinse numerosi samurai avversari a schierarsi dalla sua parte e gli Ikkō-ikki, a corto di forze, furono sconfitti.
L'esito della battaglia non determinò comunque la fine degli Ikkō-ikki a Mikawa, e Motoyasu dovette proseguire la propria campagna per pacificare la provincia.

domenica 21 gennaio 2018

Uke-Mochi

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Uke Mochi (保食神 Giapponese; Italiano: "Dea che possiede cibo") è una dea del cibo nella religione shintoista del Giappone.
Quando Uke Mochi invitò Tsukuyomi (dio della luna) ad un banchetto in rappresentanza della sorella Amaterasu (dea del sole), la dea del cibo preparò la festa. Voltandosi verso l'oceano sputò un pesce, voltandosi verso la foresta fece uscire dal suo ano la selvaggina, infine, rivolgendo lo sguardo ad una risaia tossì una ciotola di riso; Tsukuyomi, fu totalmente disgustato dal cibo, nonostante le pietanze fossero squisite, quindi uccise Uke-Mochi. Anche il suo corpo dopo che fu uccisa produsse cibo: miglio, riso, fagioli saltarono dal suo corpo. Le sue sopracciglia divennero anche bachi da seta.
La dea è talvolta chiamata anche Ōgetsuhime-no-kami (大宜都比売神).
Uke Mochi è anche la moglie di Inari (dio del riso) in alcune leggende e in altri si è Inari.

sabato 20 gennaio 2018

Áo tứ thân






L'Áo tứ thân è un vestito tradizionale vietnamita, composto da quattro parti.

Storia

L'Áo tứ thân può essere considerata una delle testimonianze più antiche della cultura vietnamita, essendo stato indossato dalle donne dal dodicesimo al ventesimo secolo. Fu sviluppato dopo l'introduzione del tradizionale hanfu cinese.
Dopo che in Vietnam si cominciarono a distinguere culture diverse a seconda della regione, l'ào tứ thân gradualmente cominciò ad essere associato alla zona settentrionale del Vietnam.

Il vestito

Áo tứ thân era il vestito delle donne del popolo, il che spiega il motivo per cui era realizzato in tessuti poveri e con colori scuri, ad eccezione dei modelli indossati in occasioni particolari come matrimoni e celebrazioni. I moderni Áo tứ thân sono invece realizzati in colori molto vivaci.
Sostanzialmente il tradizionale ào tứ thân consisteva di quattro pezzi:
  • Una lunga tunica aperta sul davanti, come una giacca. All'altezza della vita, la tunica si divide in quattro lembi: due lembi dietro cuciti insieme, e due davanti, lasciati appesi o annodati fra loro.
  • Una gonna lunga indossata sotto la tunica.
  • Il tradizionale yếm, un corpetto indossato sotto la tunica.
  • Una fascia di seta, legata in vita come una cintura.
Il vestito, come viene concepito al giorno d'oggi (quasi esclusivamente durante festeggiamenti tradizionali nel nord del Vietnam), tende ad essere estremamente colorato, con tonalità di colore diverse su ognuno dei quattro capi.

venerdì 19 gennaio 2018

Kan Guixiang

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Kan Guixiang (闞桂香) (Qiyui, 6 luglio 1940) è un artista marziale cinese, 8 duan di wushu, con il marito Men Huifeng (a sua volta 9 duan di wushu), ha ideato lo stile Dongyue Taijiquan (東岳太極拳).
Lo stile Dongyue è una sintesi di tutti gli stili di Wushu (in particolare del Taiji quan) ed è stato presentato per la prima volta sulla montagna sacra Tai Shan all'alba del 1º gennaio 2000.
Men Huifeng et Kan Guixiang sono autori di numerose forme codificate del Wushu, in particolare del Taijiquan. Tra queste:
  • Forme di stile Yang dette "Forme simplificate": 8, 16, 24 movimenti a mani nude e 32 movimenti di spada
  • le quattro forme principali correnti degli stili Chen, Yang, Wu et Sun
  • Forme di stile Chen a mani nude e di spada
  • Formes combinate di 42 movimenti a mani nude e di spada
  • Forme di Tui shou per il Taijiquan
  • Forme di Sanshou per il Taijiquan



giovedì 18 gennaio 2018

Clan Ashina

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Il clan Ashina (蘆名氏) fu un clan Giapponese attivo nel periodo Sengoku nella provincia di Mutsu in quello che fu il dominio di Aizu.

Storia

Il clan dichiarava di discendere dal clan Taira attraverso il clan Miura. Sono usati spesso anche i caratteri Kanji "芦名" e "葦名". Il nome deriva da un'area chiamata Ashina nella città di Yokosuka, nella prefettura di Kanagawa. Tra i vari capi clan ci fu il daimyo Ashina Morikiyo, quindicesimo capo del clan. Ci furono due rami del clan: Sagami-Ashina (相模蘆名氏) e Aizu-Ashina (会津蘆名氏). I Sagami-Ashina si formarono quando il terzo figlio di Miura Yoshitsugu adottò il nome Ashina. Gli Aizu-Ashina invece discendevano dal settimo figlio di Miura Yoshiaki, Sawara Yoshitsuru. Tuttavia alcune fonti sono discordanti. Durante il periodo Muromachi il clan pretese il ruolo di shugo di Aizu.
Nel 1589 gli Ashina subirono da Date Masamune una pesante sconfitta nella battaglia di Suriagehara che portò alla scomparsa del clan.

mercoledì 17 gennaio 2018

Date Tanemune

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Date Tanemune (伊達 稙宗; 1488 – 16 luglio 1565) è stato un daimyō giapponese del periodo Sengoku.
Tanemune fu nominato shugo della provincia di Mutsu nel 1522. Compose il codice della famiglia Date, chiamato Jinkaishu, nel 1536. Poco dopo intervenne nel conflitto interno della famiglia Ōsaki e li portò sotto la sua influenza dando il suo secondo figlio come erede del clan. Nel 1542 Tanemune annunciò l'intenzione di dare il suo terzo figlio Sanemoto in adozione al clan Uesugi, ma l'erede del clan, Date Harumune si oppose fermamente. Il conflitto tra padre e figlio sfociò in quello che viene chiamato conflitto Tenbun, nel quale servitori, vassalli e clan confinanti dei Date si schierarono da una parte o dall'altra. Alla fine Tanemune fu sconfitto e si fece da parte lasciando al suo erede Harumune un clan notevolemente indebolito. Sua figlia sposò Sōma Akitane.

martedì 16 gennaio 2018

Susanoo

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Susanoo, o Susanowo, è una delle principali divinità (Kami) dello shintoismo, noto come il dio delle tempeste e degli uragani.
La sua nascita viene narrata nella prima parte del Kojiki (古事記), primo testo ufficiale della Letteratura Giapponese, che narra le origini del paese stesso.

Il mito

Venne generato dall'acqua scorsa nel naso di Izanagi, il Dio Creatore, durante il compimento di un harai (rito di purificazione) dopo la visita nell'oltretomba. Venne incaricato dal "padre" di dominare e occuparsi della Piana del Mare.
La sua forza e il suo coraggio erano pari unicamente alla sua insolenza ed al suo carattere bellicoso. Annoiato dalla monotonia dell'incarico assegnatogli lo abbandonò, dandosi ad una serie di gesti violenti nei confronti degli esseri umani e degli altri Kami.
Si narra che la sorella Amaterasu, fu una delle numerose vittime dei suoi "dispetti". Pare infatti che Susanoo, sceso sulla Terra, distrusse gli argini delle risaie che la Dea aveva costruito per nutrire gli uomini, avesse scuoiato immolando un cavallo e avesse defecato sui campi degli uomini, e che lei, sentendosi oltraggiata, si rinchiuse in una grotta e ne sbarrò l'accesso facendo calare l'oscurità sul mondo. Solo grazie ad uno stratagemma, ideato da Amenouzume, i Kami riuscirono a condurre nuovamente Amaterasu allo scoperto e a riportare alla normalità la situazione.
Per quest'episodio, Susanoo venne condannato all'esilio e cacciato sulla Terra nella regione di Izumo.
Fu allora che il Dio divenne un difensore dell'umanità e si dedicò alla causa del bene. Lottò contro Yamata no Orochi, un potente serpente ad otto teste per salvare una giovane destinata al sacrificio. Ucciso il mostruoso animale, lo fece a pezzi e scoprì che nella sua coda era celata una grande spada, Kusanagi no Tsurugi, servendosi della Spada di Totsuka (十挙剣 Totsuka no Tsurugi), una spada che trasporta la vittima colpita in un'altra dimensione ove regna un'illusione eterna. Questa creatura possiede anche uno scudo potentissimo, lo Scudo di Yata (八咫鏡 Yata no Kagami), in grado di bloccare qualsiasi attacco, che venne utilizzato contro Izumo.

Nella cultura moderna

Susanoo compare tra i personaggi principali del manga Orion, di Masamune Shirow.
Nel manga Inferno & Paradiso del mangaka OhGreat! Susanoo si re-incarna nel protagonista Soichiro Nagi.
Susanoomon è inoltre un Digimon che appare in Digimon Frontier e che si ispira palesemente al dio Susanoo.
Susanoo è anche presente nell'anime Kamigami no Asobi, nei panni di un giovane ragazzo di nome Takeru.
Un'arma imperiale organica di Akame ga Kill! si chiama Susanoo.
Nel gioco per Nintendo 3DS Bravely Default esiste un'evocazione chiamata Susano-o.
Susanoo è il protagonista del film d'animazione il piccolo principe e il drago a otto teste (Wanpaku Ouji no Orochi Taiji)
Nel manga e anime Naruto, Susanoo è un'armatura di chakra preerogativa del clan Uchiha. Viene infatti utilizzata da personaggi come Sasuke Uchiha. Itachi Uchiha e Madara Uchiha. Viene utilizzato anche da Kakashi Hatake per aiutare il Team 7 a sconfiggere Kaguya, dopo che gli sono stati donati gli occhi da Obito Uchiha, ormai nell'aldilà, come regalo alla sua futura nomina di Hokage.
Il mostro Yamata no Orochi appare anche nel manga L'Emblema di Roto
Susano è rappresentato come personaggio giocabile anche nel videogioco Smite
Susanoo è uno dei tre Ars magus originali, utilizzati da Hakumen e Terumi (nonché la vera essenza di quest'ultimo) nel videogioco picchiaduro della Arc System Works, Blazblue
Susanoo è anche il nome di un fucile a fusione leggendario nel videogioco Destiny. Nella descrizione dell'arma sul sito ufficiale si può leggere: "Le impetuose tempeste di oggi diverranno le acque curative di domani."

lunedì 15 gennaio 2018

Hiroshi Shirai

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Hiroshi Shirai (Nagasaki, 31 luglio 1937) è un karateka e maestro di karate giapponese.
X dan, è considerato uno dei maestri più preparati al mondo nel karate di Stile Shotokan.
È il fondatore dell'Istituto Shotokan Italia (ISI), un ente morale della FIKTA per lo studio dello stile omonimo e riconosciuto dal Consiglio dei Ministri. Il Maestro Shirai tiene ancora allenamenti coadiuvato dal Maestro Carlo Fugazza ed è presidente della commissione esaminatrice della FIKTA per il passaggio di DAN.

Biografia

Nasce nel 1937 a Nagasaki. Nel 1955 inizia la pratica del Karate sotto la guida dei celebri maestri della JKA (Japan Karate Association) Masatoshi Nakayama, Hidetaka Nishiyama e Taiji Kase. Questo può essere considerato l'inizio del percorso formativo di Sensei Hiroshi Shirai. Nel 1957, dopo soli due anni, ottiene il I dan. Nel 1959 consegue il II dan e si qualifica al primo posto nei campionati universitari. L'anno successivo (1960) inizia il Corso Istruttori alla JKA; tra i suoi maestri figurano Nakayama, Nishijama, Kase e Sugiura. Nel 1961 ottiene la qualifica di istruttore e conquista il III dan. Nel 1962 si aggiudica il primo posto ai campionati organizzati dalla JKA in entrambe le prove, Kata e Kumite. Nel 1963 diviene Maestro (Sensei). Conquista il V dan nel 1964.
Nel 1965, assieme ad altri importantissimi maestri, svolge stage e dimostrazioni in tutto il mondo (Europa, Sud Africa e Stati Uniti). Giunto In Italia, si stabilisce a Milano e contribuirà a formare e diffondere un nuovo spirito e ad animare una passione, quella delle arti marziali, istruendo maestri tuttora attivi a livello internazionale. Nel 1966 fonda la A.I.K. (Associazione Italiana Karate). Nell'anno 1969 ottiene il VI dan.
L'anno successivo fonda la celeberrima FE.S.I.KA (Federazione Sportiva Italiana Karate) che riporta numerosissimi risultati a livello nazionale, europeo e mondiale. Nell'anno 1974 ottiene il VII dan. Nel 1979 fonda l'I.S.I. (Istituto Shotokan Italia - Ente Morale). Nel 1986 ottiene l'VIII dan. Nel 1989 (novembre) insieme ad un gruppo di Maestri e futuri dirigenti fonda la F.I.K.T.A. (Federazione Italiana Karate Tradizionale e Discipline Affini)di cui è Direttore Tecnico. Nel 1999 ottiene il IX dan proponendosi come una della più importanti personalità nell'ambito del Karate Do ancora viventi.
Nel 2011 riceve una delle più alte onorificenze concesse dal Ministro degli Affari Esteri nipponico. Nel 2011 gli è stato conferito il titolo di X dan a Busto Arsizio (VA).