sabato 1 dicembre 2018

Sette Divinità della Fortuna

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Le Sette Divinità della Fortuna (七福神 Shichi Fukujin), sono sette dèi portatori di buona fortuna nella mitologia e nel folclore giapponese. Sono spesso soggetto di netsuke.

Nomi e patronato

Ognuno ha tradizionalmente un attributo:
  1. Hotei, dio della fortuna
  2. Jurōjin, dio della lunga vita
  3. Fukurokuju, dio della felicità, ricchezza, e longevità
  4. Bishamonten, dio dei guerrieri
  5. Benzaiten, dea della conoscenza, delle arti e della musica
  6. Daikoku, dio della ricchezza e commercio. Ebisu e Daikoku sono spesso rappresentati assieme
  7. Ebisu, dio dei pescatori e mercanti
Questo gruppo di dèi è frutto di un lento processo di assimilazione, che trae la sua origine da varie tradizioni religiose: Buddismo, Induismo, Taoismo e Shintoismo.
Tale processo, definito con il termine shinbutsu shūgō, è stato generalmente spiegato attraverso la teoria dello honji suijaku, in cui i kami Shintoisti non sono altro che la manifestazione (suijaku) dei Budda, la fonte originale (honji) dalla quale essi emergono. Secondo questa teoria è possibile porre in armonia il rapporto tra kami e Budda e fornire quindi una spiegazione del perché la pratica religiosa giapponese non trova nessun conflitto dottrinale con le diverse istituzioni religiose.
Ma i fattori che hanno contribuito maggiormente a favorire questo processo assimilativo vanno ricercati nella struttura rituale e concettuale che ruota intorno al genze riyaku. Sono i benefici che le divinità offrono ai devoti a rendere possibile la loro fusione e la loro interscambiabilità di status, che si concretizza nella loro capacità, o meglio nella loro specializzazione, nel fornire particolari benefici.
Il risultato di questa fusione ha portato alla sovrapposizione e, in alcuni casi, a confondere l'identità stessa della divinità. Ebisu, ad esempio, risulta avere più di un'identità, in base alla località in cui lo si venera e in base a quali benefici può fornire. Egli viene considerato un ta no kami (dio della risaia) nell'ambiente rurale, mentre viene considerato una forza benefattrice, identificata con svariati oggetti ritrovati o pescati in mare, dai villaggi di pescatori.
Tradizionalmente rappresentati come sette figure bonarie, i shichifukujin sono un elemento iconografico fondamentale per lo shogatsu, il capodanno giapponese, oltre a essere raffigurati negli oggetti e nelle merci più disparate del merchandising, come, ad esempio, nel caso di Ebisu, dove il kami presta il suo nome a una famosa marca di birra giapponese.
I shichifukujin, come simboli della buona fortuna, appaiono spesso in pubblicità per istituzioni finanziarie, come il kōfuku kurejitto (credito della buona fortuna), che pubblicizza i suoi servizi finanziari utilizzando i sette dèi della fortuna, raffigurati con il takarabune, la nave dei tesori. Questo vessillo, oltre a essere il recipiente di benefici e tesori, è iconograficamente l'elemento che riunisce e porta insieme divinità provenienti da differenti tradizioni religiose, ed è un elemento importante per delineare le origini dei shichifukujin e le loro prime raffigurazioni iconografiche.
Il Baika Mujinzō (Il magazzino inesauribile di boccioli di prugno) contiene una descrizione risalente al 1491 di un dipinto in cui Śakyamuni, Kannon, Daruma, Confucio e Lao Tzu sono imbarcati su una nave. Il monaco buddista Shūgatsu, vissuto alla fine del XV secolo, dipinse un'imbarcazione che portava un gruppo di dèi che includevano Daikoku, Fukurokuju e Hotei, tre membri appartenenti al gruppo dei shichifukujin.
Un altro monaco buddista, che si chiamava Keishun, nel 1491 fu ispirato dalla descrizione dei sette saggi taoisti del boschetto di bambù e dipinse un rotolo in cui apparivano Ōkuninushi no Mikoto, Ebisu, Uzume no Mikoto, il kami femmina che danzò per far uscire Amaterasu Ōmikami dalla grotta. Questa venne rimpiazzata da Benzaiten, mentre Daikoku rimpiazzava il posto di Ōkoninushi no Mikoto. Il gruppo risultante costituisce la configurazione più comune dei sette dèi.
Le fonti buddiste, oltre a dare informazioni riguardo all'origine dei shichifukujin, offrono anche la spiegazione del perché questi dèi sono rappresentati in gruppo di sette. Nel Ninnōkyō (“Sūtra della Saggezza dei Re Benevolenti”) si riporta che il Budda spiega a un re che egli sta trasmettendo la sua saggezza a tutti i re della terra e non ai monaci, alle monache e agli uomini e alle donne dalla fede pura, perché essi hanno già compreso la sua dottrina. Dato che i re non conoscono la dottrina del Budda, essi dovranno recitare questo sūtra al fine di eliminare le sette sofferenze da cui sono afflitti e ricevere di conseguenza le sette benedizioni.
Altri dipinti, resoconti letterari e commedie kyōgen documentano ciò che dalla fine del periodo Muromachi (XVI secolo) comincia a delinearsi il riconoscimento ufficiale di questo gruppo di dèi: grazie all'espansione commerciale nel kamigata, ovvero la zona delineata dalle città di Ōsaka, Edo e Kyōto, il culto dei shichifukujin cominciava a prendere piede presso le grandi famiglie dei commercianti, in particolar modo verso Ebisu e Daikoku, venerati come dèi del commercio e dei buoni affari.
Sebbene i shichifukujin vengano generalmente venerati in gruppo, questo non significa che non vi siano culti indirizzati al singolo kami: Benzaiten è famosa a Chikubushima nel lago Biwa, Itsukushima e Enoshima; Bishamonten è ben conosciuta al tempio Kurama, a Shigisan e a Ikoma; Ebisu riceve una particolare venerazione a Nishinomiya e il monte Hiei è famoso per il triplice volto di Daikoku.



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venerdì 30 novembre 2018

Mogami Yoshiaki

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Mogami Yoshiaki (最上義光; 1 febbraio 1546 – 29 novembre 1614) è stato un daimyō giapponese del clan Mogami durante il periodo Sengoku.

Biografia

Mogami Yoshiaki fu il primo figlio di Mogami Yoshimori (最上義守) del clan Mogami e succedette al padre come daimyō di Dewa. Durante i primi anni si scontrò ripetutamente con i clan Date e Uesugi nelle zone di Shōnai e Semboku per espandere l'area di influenza del clan.
Quando venne al potere Toyotomi Hideyoshi, Yoshiaki si sottomise, ma divenne in seguito un sostenitore di Tokugawa Ieyasu dopo la morte di Hideyoshi. Era noto odiasse i Toyotomi poiché Hideyoshi ordinò l'esecuzione della figlia adolescente di Yoshiaki (Komahime) quando eliminò il nipote Toyotomi Hidetsugu, con il quale era impegnata la ragazza. Dopo di questi fatti mandò il suo secondo figlio, Iechika, come ostaggio ai Tokugawa e si avvicinò a Tokugawa Ieyasu.
Nel 1600 combatté contro Uesugi Kagekatsu, nemico dei Tokugawa, assieme a Date Masamune (suo nipote), un altro potente daimyō del lontano nord. Portò aiuto al clan Date nell'assedio di Shiroishi, e fu poi attaccato nel suo castello di Hataya. Più tardi quell'anno, Mogami e Date sostennero Ieyasu alla famosa battaglia di Sekigahara, dopo della quale il dominio dei Mogami fu ampliato a 520.000 koku come ricompensa della loro fedeltà.
Questo rese il dominio di Yamagata il quinto più grande nel Giappone dell'epoca, escludendo la terra dei Tokugawa.
Morì nel castello di Yamagata nel 1614. A Yamagata è presente il museo storico di Mogami Yoshiaki, appena fuori dalla grande porta orientale del castello di Yamagata, nella quale mostra il suo elmo, il bastone di comando di battaglia e gli altri attrezzi effettivamente utilizzò.

Eredità

Mogami Yoshiaki stabilì e costruì la città del castello, che divenne il fondamento della città di oggi Yamagata. Riuscì a controllare i "Tre Luoghi Difficili" sul fiume Mogami, rendendo più sicura la navigazione dal Mare del Giappone all'entroterra e portando la cultura di Kyōto e Osaka a Yamagata. I suoi progetti di costruzione delle dighe a Kitadaseki, Inabazeki e in altri luoghi assieme ad altre misure di controllo dell'irrigazione contribuirono a sviluppare le coltivazioni di riso nella pianura di Shōnai.

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giovedì 29 novembre 2018

Clan Ashikaga

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Il clan Ashikaga (足利氏 Ashikaga-uji) fu una nobile e potente famiglia feudale giapponese, protagonista del periodo Muromachi della storia del Giappone.
La sua illustre origine è da rintracciarsi nella linea Seiwa Genji del clan Minamoto, attraverso Minamoto Yoshikane, pronipote diretto di Yoshiie (1039–1106) e quindi vantava un'ascendenza imperiale, in quanto discendente dell'Imperatore Seiwa.
I capi del clan furono daimyō di Ashikaga, nella provincia di Shimotsuke (attuale prefettura di Tochigi) durante il periodo Kamakura, ma con il famoso generale Ashikaga Takauji il casato riuscì a prendere il potere in Giappone ed impose lo Shogunato Ashikaga che detenne il potere dal 1336 al 1576. Dopo la fine dello shogunato ad opera di Oda Nobunaga, divennero un clan di daimyō di Kitsuregawa (l'attuale città di Sakura nella prefettura di Tochigi), ed i discendenti del casato esistono ancora oggi.
Questa casata ebbe vari e famosi rami, come quello degli Imagawa, Hosokawa, Hatakeyama e Shiba.

Albero genealogico Ashikaga

Minamoto no Yoshiyasu (+ 1157), discendente dei Minamoto e quindi dalla linea Seiwa Genji assunse per primo il cognome Ashikaga;
Yoshikane (+ 1199)
Yoshiuji (+ 1255)
Yoshuuji (1216-1270)
Yoriuji (1258-1280)
Ietoki
Sadauji (1273-1331)
Takauji (1305–1358), divenne 1º shōgun e iniziò lo shogunato Ashikaga
Yoshiakira (1330–1368) (2º shōgun 1359–1368)
Yoshimitsu (1358–1408) (3º shōgun 1368–1394)
Yoshimochi (1386–1428) (4º shōgun 1395–1423)
Yoshikazu (1407–1425) (5º shōgun 1423–1425)
Yoshinori (1394–1441) (6º shōgun 1429–1441)
Yoshimasa (1436–1490) (shōgun 1449–1473)
Yoshihisa (1465–1489) (shōgun 1474–1489)
Masatomo (+ 1491)
Yoshizumi (1480–1511) (shōgun 1495–1508)
Yoshiharu (1510–1550) (shōgun 1522–1547)
Yoshiteru (1536–1565) (shōgun 1547–1565)
Yoshiaki (1537–1597) (shōgun 1568–1573), ultimo shogun della famiglia
Yoshikatsu (1434–1443) (shōgun 1442–1443)
Yoshimi (+ 1491)
Yoshitane (1466–1523) (shōgun 1490–1493, 1508–1521)
Yoshifuyu
Yoshihide (1540–1568) (14º shōgun 1568)
Yoshitsugu (1394-1418)
Motouji (1340-1367)
Ujimitsu
Tadafuyu (1327-1400)
Tadayoshi (1306-1352)
Ieuji, capostipite della famiglia Shiba
Yoshiaki, capostipite della famiglia Shibukawa
Yorishige, capostipite della famiglia Ishidoo
Kooshin, capostipite della famiglia Isshiki
Nagauji (1211-1290), capostipite della famiglia Kuniuji e Mitsuuji
Yoshizumi (1176-1210), capostipite della famiglia Hatakeyama
Yoshitane, capostipite della famiglia Momonoi
Yoshikiyo (+ 1183)
Yoshizane
Sanekuni, capostipite della famiglia Niki
Yoshisue, capostipite della famiglia Hosokawa


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mercoledì 28 novembre 2018

Balisong

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Il balisong (detto anche coltello a farfalla o in lingua inglese butterfly knife) è un coltello di origine filippina, così detto per la particolarità del manico, che viene aperto in due parti longitudinalmente, per scoprire la lama. Oltre ai soliti attacchi eseguibili con qualsiasi lama, è possibile utilizzare il coltello chiuso come un kubotan.

Curiosità
Il balisong potrebbe derivare da un coltello di origine franco-genovese.
Il balisong è una delle armi tradizionali del kali, un'arte marziale filippina.
Balisong è anche il nome di un gruppo di criminali filippini presenti del romanzo Gioco Perverso di Massimo Lugli, lo stesso coltello è usato da un membro della gang.

martedì 27 novembre 2018

Balestra di Avigliano

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Il Coltello di Avigliano, conosciuto come Balestra di Avigliano, è un coltello-pugnale caratteristico di Avigliano, nella provincia di Potenza, risalente alla metà del XVII secolo.
Ideato come strumento di difesa-offesa, più che un coltello è un "pugnale chiudibile" la cui lama slanciata ed acuminata a "foglia d'ulivo" ne faceva un'arma molto efficace.
Tristemente famosa e riportata nelle Cronache Giudiziare sino alla metà del secolo scorso, resa famosa dall'Epopea del Brigantaggio Lucano post-unitario, è oggi considerata un oggetto di altissimo pregio da parte di appassionati collezionisti.
Resta oggi in attività, ad Avigliano, un solo produttore.


lunedì 26 novembre 2018

Hanbō

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L'hanbō (半棒 : はんぼう), letteralmente "mezzo bastone", è un bastone da combattimento usato nelle arti marziali, che misura 90 centimetri di lunghezza, l'esatta metà del bō, come il nome suggerisce.
L'arte marziale che si focalizza sull'utilizzo dell'hanbō è chiamata hanbōjutsu (半棒術, arte o tecnica dell'hanbō).

Storia
Secondo la storia giapponese, l'hanbō venne inventato da Kuriyama Ukon, quando, combattendo contro Suzuki Tangonokami nella battaglia di Nagashino (28 giugno 1575), la sua naginata venne spezzata. Secondo l'aneddoto che descrive questa storia, Kuriyama continuò a combattere con il solo bastone rimastogli nelle mani, lungo circa 90 centimetri.



domenica 25 novembre 2018

Advanced Combat Knife

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L’Advanced Combat Knife (ACK) fu il prototipo del coltello da combattimento della Bundeswehr.

Origine
Per il G3 della Bundeswehr esiste una baionetta, ma non fu impiegata. Dopo la riunificazione tedesca vi fu in eredità un numero notevole di nuove baionette per gli MPi-K già MPi AK74 della NVA. Questa lama venne dal 1993 impiegata come Kampfmesser Bundeswehr. Il diametro dell'anello per il sostegno sul tromboncino spengifiamma era troppo stretto per i nuovi G36, così il coltello non poté essere usato come baionetta.

Descrizione
Il coltello fu sviluppato dalla società di Solingen Eickhorn e presentava una lama tipo Bowie come una sega sul retrolama e con funzionalità di coltello da combattimento pesante (Kampfmesser, schwer).

Impiego
L'ACK fu ideato per le truppe militari come coltello d'ordinanza ma non fu mai introdotto in via definitiva nella Bundeswehr. Al suo posto venne impiegato il KM2000.
Il modello della Eickhorn-Solingen Ltd. ACK è costruito per impieghi civili.

sabato 24 novembre 2018

Arco cinese

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L'uso dell'arco a scopo militare e rituale ha rivestito un ruolo fondamentale nella civiltà cinese per millenni. La pratica del tiro con l'arco, già preminente al tempo della Dinastia Zhou (1146 a.C.-256 a.C.), era motivo di vanto ed orgoglio i sovrani del Celeste Impero tanto quanto per i grandi filosofi e pensatori sinici: insegnante di tiro con l'arco era appunto Confucio, mentre di Lie Yukou (filosofo del taoismo) era detto che fosse un appassionato arciere. Chiaramente, l'enorme vastità spazio-temporale dell'ecumene cinese ha portato il Gōng ad assumere diverse fogge, risentendo grandemente anche di influssi culturali esterni (fond. mongoli e coreani). Questa solida tradizione andò drasticamente scemando nel corso del XX secolo, quando in tutta la Cina il numero dei fabbricanti di archi "tradizionali" si ridusse ad una sola bottega. Solo recentemente, la Cina è tornata ad incentivare tale antica pratica.

Utilizzo

Guerra

L'arco era utilizzato dai cinesi in guerra sin dal tempo della Dinastia Zhou (XII secolo a.C.-III secolo a.C.). L'equipaggio standard del carro da guerra sinico prevedeva infatti un conducente, un alabardiere ed un arciere. Durante il Periodo dei regni combattenti (453 a.C.-221 a.C.) l'influsso culturale delle popolazioni della steppa mongolica (la confederazione degli Xiongnu) spinse in favore della diffusione della pratica del tiro con l'arco dagli arcioni della sella: anche in Cina si diffusero così truppe di arcieri a cavallo. I primi reggimenti di questa nuova tipologia di truppa vennero reclutati per ordine del sovrano Wuling di Zhao nel 307 a.C.: alla truppa venne fatto obbligo di abbandonare l'ampia veste tradizionale (hanfu), in favore dei più pratici calzoni dei barbari.
Rispetto alla cavalleria, la fanteria cinese ordinaria fece un uso molto limitato dell'arco, preferendogli la balestra, arma più potente, necessitante di un addestramento meno pesante e costante. Balestre con sofisticati meccanismi in bronzo erano già in uso in Cina del VII secolo a.C., soppiantati poi in Epoca Ming (1368-1644) da esemplari di fattura più semplice (si ritiene perché l'arte del bronzo subì un netto declino nel Celeste Impero durante il regno della Dinastia Yuan di origini mongole). L'uso dell'arco era precipuo dei soldati appiedati destinati a specifiche mansioni, come gli equipaggi delle navi da guerra o la Guardia imperiale Manciù della Dinastia Qing, in realtà dei cavalieri Manciù armati del tradizionale arco composito mongolo chiamati a proteggere i confini della Città Proibita per il loro imperatore.

Caccia

Oltre alla caccia con arco e frecce del tipo "tradizionale", largamente praticata sia a piedi che a cavallo, la Cina si distingue per il ricorso a due particolari varianti: la caccia con arco "a palline" e la pesca con l'arco. L'arco utilizzato per scagliare palline di pietra era solitamente molto piccolo e leggero, facilmente trasportabile. Il ricorso a frecce dotate di lenza per colpire e recuperare i pesci è attestato sino alla Dinastia Tang (618-907).

Tipologie

Gli archi utilizzati in Cina nel corso della storia sono stati del tipo:
  • Arco in corno sciita – L'arco riflesso degli Sciti si diffuse nelle contrade occidentali della Cina sin dai tempi della Dinastia Zhou (i principali reperti vennero rinvenuti a Subeixi e Yanghai);
  • Arco lungo – Tipico delle contrade meridionali della Cina, caratterizzate da una rigogliosa vegetazione, ancora durante il Periodo degli stati combattenti, quando cioè l'arco composito andava diffondendosi nelle contrade settentrionali, era in realtà un'arma più piccola del longbow europeo propriamente detto: si trattava di manufatti solitamente non più grandi di 1.6 m;
  • Arco composito in legno – Nelle contrade meridionali della Cina, la disponibilità di materiale vegetale favorì lo sviluppo di un arco composito realizzato mescolando diverse tipologie di materia vegetale: al legno tradizionale si aggiunsero il bambù ed il gelso, avvolti poi in strati di seta coperti di lacca. Il modello base era quello dell'arco riflesso di 1.2-1.5 m. Simili artefatti sono attestati sin dal Periodo delle primavere e degli autunni (770 a.C.-454 a.C.);
  • Arco a siyan lunghi in corno – Evoluzione matura dell'arco composito dei nomadi, questi artefatti erano caratterizzati dal lunghi e snelli (siyan in lingua cinese) contrapposti ai flettenti massicci. Vennero prodotti a partire dal tardo Periodo Han/Periodo Jìn, venendo poi soppiantati, durante il dominio degli Yuan mongoli, da forme di arco composito più simili al modello archetipico dell'arco delle steppe;
  • Arco in corno Ming – Subentrati agli Yuan con una vera e propria "Restaurazione Cinese", i Ming non disdegnarono di servirsi dei numerosi fabbricanti di archi di etnia turca e mongola rimasti nel Celeste Impero.
  • Arco in corno Qing – Evolutosi a partire dall'arco dei Manciù, era un grande arco composito di 1.7 m, con siyan lunghi e massicci, capace di scagliare a notevole distanza frecce molto più pesanti nel normale, lunghe anche un metro. Da questa tipologia di arco derivano l'arco mongolo e l'arco tibetano moderni, in buona sostanza due forme accorciate dell'arco manciù.


venerdì 23 novembre 2018

Ngöndro

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Ngöndro, o Chag Chen Ngöndro: pratiche preliminari.
In tibetano, preliminari (lett. preparazione al Grande Sigillo, il Mahamudra), inteso come pratiche fondamentali del Buddhismo tibetano. Il Ngöndro si compone di quattro pensieri comuni e di quattro pratiche particolari; i pensieri intendono motivare colui che pratica grazie alla comprensione di quattro aspetti relativi alla vita dell'uomo:
  • La Preziosa Rinascita Umana, la rarità e preziosità dell'esistenza attuale, perché la si possa utilizzare per raggiungere la liberazione e l'illuminazione;
  • l'impermanenza, la necessità di sfruttare questa opportunità ora;
  • L'ineluttabilità del Karma, la legge di causa ed effetto;
  • La sofferenza dell'esistenza ciclica o samsara.
Con le cinque pratiche particolari vengono messe nella coscienza quelle che vengono definite impronte karmiche positive e che, e vengono purificate le impronte karmiche negative formano la base per il Grande Sigillo. Per ognuna delle quattro pratiche sono previste 111.111 ripetizioni:
  • presa di rifugio con le prosternazioni;
  • generazione della mente dell'illuminazione (bodhicitta)
  • purificazione delle impronte dannose mediante la meditazione sul Buddha Mente di Diamante;
  • offerte del mandala;
  • Guru Yoga, la meditazione sul Lama.
Per queste pratiche è necessaria la trasmissione di un maestro.

mercoledì 21 novembre 2018

Shimpu

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Shimpu è una lettura alternativa e più solenne dei caratteri sinogiapponesi che formano la parola Kamikaze. In Giappone questa lettura formale è sovente preferita per indicare l'espressione "vento divino". Queste parole diedero il nome ai corpi dell'aviazione del Sol Levante adibiti a missioni suicide negli ultimi periodi della Guerra del Pacifico, durante la Seconda guerra mondiale. La diffusione del termine "kamikaze" a scapito di "shimpu" è probabilmente dovuta ai militari nipponici di leva nell'esercito degli Stati Uniti.

martedì 20 novembre 2018

Zheng Manqing

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Zhèng Mànqīng (pinyin: 鄭曼青, Wade-Giles:Cheng Man-ch'ing; Yongjia, 29 luglio 1902 – 26 marzo 1975) è stato un poeta e pittore cinese.
È chiamato il maestro delle cinque arti dato che egli studiò medicina tradizionale cinese, taijiquan, calligrafia, pittura e poesia. Esperto di Yangshi Taijiquan, ha creato una forma semplificata di questo stile che conta 37 figure, eliminando le numerose ripetizioni della forma lunga: Zheng zi jian yi taijiquan.

lunedì 19 novembre 2018

Taijiquan stile Yang

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Il pugilato del sommo polo stile Yang (楊式太極拳, 杨式太极拳, yángshìtàijíquán, yang shih t'ai chi ch'uan) è uno degli stili del Taijiquan tramandato dai membri della famiglia Yang. Attualmente è il più popolare e diffuso.

Storia

Questo ramo del taijiquan fu codificato dal maestro Yang Luchan (楊露禪, 1799-1872), noto anche come Yang Fukui (楊福魁), originario di Yongnian (永年县) in Hebei, che studiò con Chen Changxing (1771-1853) a partire dal 1820.
Fino all'arrivo di Yang Luchan, il taijiquan veniva insegnato unicamente all'interno della famiglia Chen. Si narra quindi che Yang Luchan, per capirne il segreto, avesse venduto tutti i suoi averi e si fosse fatto assumere come servo da Chen Changxing a Zhaobao. Yang Luchan apprese così bene l'arte marziale tramandato dai Chen che fu capace di lottare contro un esperto di Kungfu venuto nel villaggio per sfidare il maestro Chen Changxing e che aveva battuto il figlio di quest'ultimo e anche il miglior discepolo della scuola. Perdonato del "furto" dal maestro per aver difeso l'onore della famiglia, Yang Luchang si trasferì a Pechino, dove insegnò il taijiquan per la prima volta fuori dal villaggio di Zhaobao.
Un'altra teoria, abbastanza simile alla precedente, vuole che Chen Changxing fosse stato assunto come maestro di arti marziali da un ricco droghiere, affinché insegnasse ai suoi tre figli. Yang Luchan era servo nella famiglia del droghiere e spiò talmente bene le lezioni che il maestro lo accettò come allievo.
Yang Luchan si fece conoscere per i numerosi combattimenti contro altri maestri di arti marziali, che vinse sempre e che gli valsero il titolo di "Yang il sempre vittorioso". Successivamente lo stile Yang è stato tramandato dai suoi figli Yang Banhou (杨班侯, 1837-1892) e Yang Jianhou (楊健侯, 1839-1917), dai suoi nipoti Yang Shaohou (杨少侯, 1862-1930) e Yang Chengfu (楊橙甫, 1883-1936) dal nipote Fu Zhong Wen (傅钟文, 1904 - 1994) e dai suoi figli Yang Zhenming (1910-1985), Yang Zhenji (1921), Yang Zhenduo (楊振鐸, 1926) e Yang Zhenguo (1928). Il fondatore Yang Luchan, per primo ha aperto lo stile alla popolazione generale a Pechino. Poi, dopo i cambiamenti di tre generazioni, è stato Yang Chengfu che ha messo a punto la forma e l'ha resa ampiamente popolare, eliminando le tecniche più complesse e faticose, i calci saltati ed i movimenti esplosivi. La quarta generazione della famiglia Yang, Zhenming, Zhenji, Zhenduo e Zhenguo, e i discepoli di Yang Chengfu congiuntamente hanno diffuso il taijiquan stile Yang nel mondo, rendendolo lo stile oggi maggiormente conosciuto.

Caratteristiche

Il taijiquan stile Yang, seppur mantenendo tutte le caratteristiche di attacco e difesa (colpi con pugno, mano aperta, calci, leve) dell'arte marziale quale esso è, incorpora i movimenti fluidi e lenti incorporati da Yang Chengfu con l'obiettivo di sviluppare gli aspetti più salutari per l'organismo della pratica marziale. In contrapposizione alla "vecchia forma" insegnata da Yang Jianhou, la forma di Yang Chengfu viene a volte chiamata "grande forma" e il grande cambiamento è stato proprio quello di "limare" gli aspetti più aggressivi dell'arte marziale, tali salti e battere a terra i piedi, per focalizzare l'insegnamento sulla coordinazione dei movimenti. La forma, ossia il catalogo delle sequenze e tecniche insegnate dalla scuola, viene praticata in modo lento e regolare, anche se la sua applicazione deve essere veloce ed esplosiva, seguendo il vecchio motto del taijiquan che dice: "Se lui non si muove io non mi muovo, ma se lui attacca io arrivo prima". Ad alti livelli e proprio per il fatto che non si utilizza la forza muscolare ma l'energia interna, è previsto anche lo studio dei punti di pressione o zone sensibili.
L'addolcimento dello stile, almeno nei primi anni di allenamento, rende lo stile Yang adatto a tutte le età, non necessitando di allenamenti fisici particolari, riuscendo a soddisfare molti bisogni differenti. La sua pratica fornisce benefici sia dal punto di vista energetico-posturale, sia da quello applicativo-marziale dato che l'insegnamento prevede una combinazione naturale di un'arte marziale e di un metodo per mantenere una buona salute.
Lo studio della serie di movimenti chiamata sequenza o forma, i quali vanno sempre eseguiti abbinati ad una adeguata respirazione, procura all'organismo una serie di benefici sia di natura fisica che psichica. A livello fisico, la lenta, controllata e continua variazione della postura, comporta miglioramenti dell'equilibrio e del sistema articolare nel suo complesso, oltre che a benefici sul piano respiratorio dovuti ad una maggiore attenzione portata sul binomio respirazione-espirazione. I cambiamenti di postura, con le continue variazioni di peso da una gamba all'altra, sono una caratteristica del taijiquan. Si parla di "pieno" e di "vuoto", ma anche di "apparente" e "solido".
Un principio fondamentale sta nel differenziare fra apparente e solido, ossia tenere sotto controllo su quale gamba appoggia il peso corporeo (la gamba solida) e quale è invece libera di muoversi per sferrare un attacco, una parata o semplicemente per spostarsi (la gamba apparente).
Analoghi miglioramenti si ripercuotono sulla componente psicologica dell'individuo, che dovrebbe acquisire uno status mentale sempre rilassato. Non bisogna in effetti dimenticare che la pratica del taijiquan è, oltre ad un'arte marziale, anche una via per la crescita spirituale.

I Dieci Requisiti del Taijiquan

Yang Chengfu ha dettato un elenco di 10 principi, nello scritto che è conosciuto come Dieci Requisiti del Taijiquan (太極拳十要, 太极拳十要, tàijíquánshíyào, tai chi ch'uan shih yao).:
  • 1. essere vuoti, vivaci, con l'energia alla sommità della testa (虛靈頂勁, 虚灵顶劲, xūlíngdǐngjìn, hsu ling ting chin);
  • 2. raccogliere il petto , sollevare il dorso (含胸拔背, 含胸拔背, hánxiōngbábèi, han hsiung pa pei);
  • 3. rilassare i fianchi (鬆腰, 松腰, sōngyāo, sung yao);
  • 4. dividere il pieno dal vuoto (分虛實, 分虚实, fēnxūshí, fen hsu shih);
  • 5. abbassare le spalle e far penzolare i gomiti (沈肩墜肘, 沈肩坠肘, shěnjiānzhuìzhǒu, shen chia tsui chou);
  • 6. usare la mente, non usare la forza (用意不用力, 用意不用力, yòngyìbùyònglì, yong i pu li);
  • 7. far seguire reciprocamente alto e basso (上下相隨, 上下相随, shàngxiàxiāngsuí, shang hsia hsiang sui);
  • 8. unire reciprocamente interno ed esterno (內外相合, 内外相合, nèiwàixiānghé, nei wai hsiang he );
  • 9. essere continuamente uniti (相連不斷, 相连不断, xiāngliánbùduàn, hsiang lian pu tuan);
  • 10. perseguire la calma nel movimento (動中求靜, 动中求静, dòngzhōngqiújìng, tung chong chiu ching).

Critiche

Le critiche allo stile Yang derivano dalle sue caratteristiche di morbidezza e lentezza, originati dai cambiamenti apportati da Yang Chengfu all'inizio del XX secolo. Nel corso di tre generazioni di famiglia Yang, lo stile è stato di molto addolcito, con le applicazioni marziali passate in secondo piano. Se lo stile Yang del taijiquan è ora facilmente accessibile ad anziani e persone con problemi motori per i quali lo stile praticato da Yang Luchan sarebbe troppo vigoroso, la perdita dell'aspetto marziale rischia di svuotare il taijiquan del suo significato originario. La parola ch'uan-fa dell'espressione t'ai chi ch'uan, indica la boxe ossia l'arte del combattimento: secondo le critiche a molti insegnamenti dello stile Yang, tale parola è andata persa negli anni, così come il nucleo dell'arte, riducendosi all'espressione "Tai Chi", nella quale la forza e il vigore marziale sono stati evirati a favore di una sorta di ginnastica dolce o di un delicato esercizio per la salute.
La diffusione dello stile Yang lo rende lo stile maggiormente insegnato e questo comporta che si sono moltiplicati i maestri e i praticanti di tale arte, spesso senza che gli stessi maestri sappiano delle origini o della sostanza dell'arte, svuotandone ulteriormente l'insegnamento. La forma ha un suo preciso significato e simbolismo, radicato nella simbologia cinese, senza l'insegnamento dei quali, parte dei benefici spirituali non possono essere raggiunti. L'insegnamento della forma taijiquan va di pari passo con la pratica della meditazione: se coordinare i movimenti migliore la forma fisica, la concentrazione mentale e una corretta respirazione aiutano l'esercizio fisico rendendone la pratica quieta e senza fatica. Generalmente l'insegnamento si limita invece alla pratica della forma (senza conoscerne il significato profondo) e agli esercizi di riscaldamento, mentre pratica marziale delle sequenze e meditazione sono del tutto ignorati.

Situazione attuale

Lo stile Yang è sicuramente lo stile più noto ed insegnato, tanto da essere spesso identificato col Taijiquan stesso. Data la sua ampia diffusione anche in Europa ed in America negli ultimi anni sono state codificate moltissime forme sempre più semplificate per agevolare lo studio di questa disciplina ai neofiti. La versione moderna della Grande Forma di Yang Chengfu è nota con molti nomi a seconda del modo di contare il numero di movimenti che la compongono ( Forma 85, Forma 96, Forma 103 o Forma 108 ).

Famiglia Yang

Molte scuole utilizzano impropriamente sia il termine "Tradizionale" (La sequenza che viene definita "originale" è in realtà quella modificata e semplificata più volte verso il 1930 da Yang Cheng Fu e tuttora presa come riferimento per identificare lo stile), sia la denominazione di stile Yang "Originale", in quanto ormai è praticamente impossibile riconoscere quale sia lo stile originale poiché è documentato che fin dai tempi di Yang Lu Chan sia lui che i suoi figli Yang Ban Hou e Yang Chien You, insegnarono la sequenza in modi diversi, in tempi diversi e a persone diverse.
Tuttavia, lo stile "Originale" è sempre depositato e gestito dalla Famiglia Yang, nella quale è ben delineata la linea dei suoi appartenenti circa la responsabilità nel tempo della tradizione dello stile. Tale cronologia è condivisa da tutti gli esponenti passati e presenti della famiglia.
Essa è infatti:
  • 1ª Generazione: Yang Lu Chan
  • 2ª Generazione: Yang Jian Hou
  • 3ª Generazione: Yang Chen Fu
  • 4ª Generazione: Yang Zhen Duo
  • 5ª Generazione: Yang Jun

domenica 18 novembre 2018

Áo dài

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L'Áo dài è un vestito tradizionale vietnamita principalmente femminile. Nella sua attuale forma, consiste in un abito di seta stretto ed aderente, indossato sopra i pantaloni. Áo dài viene pronunciato ˈáʊ ˈjàɪ (ow yai) nel sud del Vietnam, e ˈáʊ ˈzàɪ (ow zai) nel nord. Áo deriva dalla parola cinese che indica "giacca imbottita" (). Nella lingua vietnamita moderna, il termine áo fa riferimento ad un capo di abbigliamento che copre dal collo in giù. Dài invece significa "lungo".
In vietnamita, la parola áo dài nel corso della storia è stata utilizzata per indicare diversi capi di abbigliamento, incluso l áo ngũ thân, un abito per l'aristocrazia del diciannovesimo secolo nato sotto l'influenza della moda cinese Manciù. Ispirato alla moda parigina invece, l'artista Nguyễn Cát Tường ridisegnò l'áo ngũ thân nel 1930. Negli anni cinquanta, i designer di Saigon concepirono l'attuale disegno del capo conosciuto tutt'oggi. L'ao dai conobbe una immensa popolarità nel Vietnam del sud negli anni sessanta e nei primi anni settanta. Tuttavia il regime comunista che regnò nel Vietnam fino al 1975, deprecava l'utilizzo dell'ao dai, a favore di costumi più frugali e dallo stile più androgino. Negli anni novanta, l'ao dai conobbe un nuovo periodo di popolarità.
L'abito equivalente maschile, chiamato áo gấm ("vestaglia broccata"), viene indossato in occasioni importanti e cerimonie, come matrimoni, funerali o ricorrenze. Attualmente l'áo gấm è indossato soprattutto dagli anziani.
La popolarità dell'ao dai ha portato ad istituire un concorso di bellezza per le giovani vietnamite, chiamato "Miss Ao Dai", celebre sia fra gli abitanti del Vietnam, che fra coloro che si sono trasferiti al di fuori. "Ao dai" è inoltre una delle poche parole vietnamite ad essere incluse nell'Oxford English Dictionary.