venerdì 7 agosto 2015

Pergamena di Chinon

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La Pergamena di Chinon è un documento medievale scoperto nel settembre 2001 da Barbara Frale, una paleografa italiana presso l'Archivio Segreto Vaticano, il quale dimostra che nel 1308 Papa Clemente V concesse l'assoluzione sacramentale al Gran Maestro Jacques de Molay nonché i restanti maggiorenti dei Cavalieri templari, trascinati in un processo organizzato dal re di Francia Filippo IV il Bello servendosi dell'inquisizione medievale. Il Papa tolse loro ogni scomunica e censura riammettendoli nella comunione della Chiesa cattolica. La pergamena è datata Chinon, 17-20 agosto 1308 e fu redatta su ordine di Berengario, cardinale prete di San Nereo ed Achille, Stefano, cardinale prete di San Ciriaco in Thermis, e Landolfo, cardinale diacono di Sant'Angelo in Pescheria; il Vaticano custodisce la copia originale e autentica degli atti di quella inchiesta, con segnatura archivistica Archivum Arcis Armarium D 217, mentre una seconda copia autenticata è conservata al numero D 218. Un'altra versione dell'evento, pervenuta in copia e con un resoconto dei fatti in parte alterato, era stata pubblicata da Étienne Baluze nel 1693 e da Pierre Dupuy in 1751.

La storia
Gli agenti del Papa svolsero un'inchiesta per verificare le affermazioni contro gli accusati nel castello di Chinon, posto nella diocesi di Tours. Secondo il documento, Papa Clemente V diede istruzione ai cardinali di condurre l'inchiesta sui Cavalieri Templari accusati. I Cardinali pertanto «dichiarano attraverso questa relazione ufficiale diretta a tutti coloro i quali vorranno leggerla, che, lo stesso Signore Il Papa, desiderando ed intendendo di conoscere la pura, completa ed intera verità dai maggiorenti di detto Ordine, nominalmente Fratello Jacques de Molay, Gran Maestro dell'Ordine dei Cavalieri Templari, Fratello Raymbaud de Caron, Precettore delle Commende dei Cavalieri templari d'Oltremare, Fratello Hugo de Perraud , Precettore di Francia, Fratello Geoffroy de Gonneville, Precettore di Aquitania e Poitou, e Geoffroy de Charney, Precettore di Normandia, ci ha ordinato ed incaricati appositamente e per suo oralmente espresso desiderio affinché noi si esaminasse con diligenza la verità interrogando il Gran Maestro ed i summenzionati Precettori uno per uno ed individualmente, avendo convocato pubblici notai e testimoni degni di fede.» (Pergamena di Chinon datata 17-20 agosto 1308)
Raymbaud de Caron fu il primo ad essere interrogato, il 17 agosto 1308. «Dopo questo giuramento, per l'autorità conferitaci appositamente per questo scopo dal Signore il Papa, noi accordiamo all'umilmente richiedente Fratello Raymbaud, la grazia del perdono, in una forma accettata dalla Chiesa, dal verdetto della scomunica nel quale era incorso a causa delle sue azioni precedenti, riportandolo all'unità con la Chiesa e reintegrandolo nella comunità dei fedeli ed ai sacramenti della Chiesa.»(Pergamena di Chinon datata 17-20 agosto 1308)
Il secondo a essere interrogato nella stessa giornata fu Geoffroy de Charney. Il terzo a essere interrogato il medesimo giorno fu Geoffroy de Gonneville. Hugo de Perraud fu il quarto a venire interrogato, il 19 agosto 1308. Il Gran Maestro fu l'ultimo a essere interrogato il 20 agosto 1308. Secondo il documento, tutti gli interrogatori degli accusati svoltisi dal 17 al 20 agosto 1308 ebbero sempre luogo alla presenza di pubblici notai e dei testimoni riuniti. Tra le accuse si annoveravano la sodomia, la bestemmia contro Dio, baci illeciti, lo sputare sulla croce e l'adorazione di un idolo.
Il corpo del testo riporta la comparsa degli imputati, il giuramento degli imputati, le imputazioni contro gli accusati e la maniera con cui furono interrogati gli accusati. Dall'interrogatorio di Molay: «Quando gli fu chiesto se avesse confessato queste cose perché sollecitato, per una ricompensa, per riconoscenza, per cortesia, per timore, per astio, per persuasione da parte di qualcun altro, o per l'uso della forza, o per il timore di venire sottoposto a tortura, egli rispose di no. Quando gli fu chiesto se, dopo essere stato arrestato, fosse stato sottoposto ad un interrogatorio o alla tortura egli rispose di no.»
Il testo, successivamente, elenca le denunce, le richieste di assoluzione, e la concessione dell'assoluzione da parte degli agenti del Papa; tutto ciò avvenne sempre alla presenza di testimoni. Un estratto delle indulgenze concesse a Molay poi recita «Dopo di ciò giungemmo alla conclusione di estendere la grazia del perdono per quegli atti che Fratello Jacques de Molay, il Gran Maestro dell'Ordine, nella forma e nella maniera sopra descritta aveva denunciato in nostra presenza, come pure per le eresie descritte ed ogni altra , e giurò di persona sul Santo Vangelo del Signore, e umilmente chiese la grazia del perdono (contro la scomunica), riconducendolo all'unione con la Chiesa e riaggregandolo alla comunità dei fedeli ed ai sacramenti della Chiesa». (Pergamena di Chinon datata 17-20 agosto 1308).
L'analisi della pergamena di Chinon ha permesso a Barbara Frale di riconoscere alcune delle pratiche segrete di iniziazione dei Templari. Malgrado tre degli accusati abbiano ammesso di essere stati invitati dai loro superiori durante l'iniziazione a rinnegare la croce e a sputare su un crocefisso, le loro storie sono tutte incoerenti. Geoffroy de Gonneville ammise di non avere ceduto, malgrado le minacce, a rinnegare ed a sputare sulla croce. Malgrado ciò, Geoffroy de Gonneville fu comunque ammesso nell'ordine, il che potrebbe significare che il rifiuto della croce possa essere stato una qualche sorta di prova. Gli altri ammisero di «avere rinnegato solo con le parole non con lo spirito». Gordon Napier ritiene che la pratica di rinnegare la croce fosse un addestramento in caso di cattura da parte dei saraceni.
Tutti negarono la pratica della sodomia o di avere assistito ad atti di sodomia; tuttavia fu ammesso di avere dato dei baci come forma di rispetto solamente durante l'iniziazione a Templare. Il solo Hugo de Perraud dichiarò che durante la sua iniziazione gli fu detto «…di astenersi dall'accompagnarsi a donne, e se non fosse stato in grado di limitare la sua lussuria, di congiungersi con fratelli dell'ordine». Inoltre, solamente Hugo de Perraud dichiarò di avere visto la testa di un idolo che i Templari furono accusati di adorare, a Montpellier, in possesso del Fratello Peter Alemandin, Precettore di Montpellier. Tutti gli altri Templari menzionati nella pergamena di Chinon negarono di essere stati incoraggiati a congiungersi con altri fratelli, e a nessuno di loro fu chiesto dell'idolo. Tutti loro aggiunsero che, come per ogni cattolico, ogni trasgressione contro la fede cattolica veniva pienamente confessata ad un prete o ad un vescovo, venivano impartite penitenze e concesse assoluzioni.
La pergamena di Chinon fu materialmente redatta da Robert de Condet, chierico della diocesi di Soissons, nonché notaio apostolico. I notai apostolici furono Umberto Vercellani, Nicolo Nicolai da Benvenuto, Robert de Condet e maestro Amise d'Orléans le Ratif. I testimoni dei procedimenti furono Fratello Raymond, abate del monastero benedettino di San Teofredo, nella diocesi di Annecy, Maestro Berard (o Bernard?) di Boiano, arcidiacono di Troia, Raoul de Boset, confessore e canonico proveniente da Parigi, e Pierre de Soire, supervisore di Saint-Gaugery di Cambresis.
Inoltre, secondo il documento, furono redatte ulteriori tre copie maggiormente dettagliate dagli altri notai pubblici. A tutti i documenti fu apposto il sigillo e furono tutti firmati dai partecipanti. Secondo il documento: «Le loro parole e confessioni furono scritte esattamente nella maniera in cui sono riportate qui dai notai i cui nomi sono elencati sotto alla presenza di testimoni elencati sotto.Abbiamo altresì ordinato che queste cose venissero redatte in forma ufficiale e convalidate dalla protezione dei nostri sigilli».(Pergamena di Chinon datata 17-20 agosto 1308).
La pergamena di Chinon riporta un tentativo fallito da parte del Papa di preservare i Templari dalle macchinazioni del re di Francia, Filippo IV, stabilendo che l'ordine non fosse eretico e fosse capace di riformarsi sotto l'egida della Chiesa. Le colpe dell'ordine consistevano soltanto in fenomeni di grave malcostume, che però non era un fatto grave e insanabile come l'eresia per la quale i Templari erano stati trascinati in un processo. Tuttavia, quando divenne evidente che Filippo IV era determinato a sterminare l'ordine (ed a confiscarne i considerevoli beni e le proprietà all'interno del regno) il Papa abbandonò i templari al loro destino. Al di fuori della Francia la dissoluzione dell'ordine fu conseguita con molto meno spargimento di sangue, ed i membri superstiti dell'ordine furono assorbiti da altre istituzioni religiose.

La scoperta e la pubblicazione
Nel settembre del 2001, Barbara Frale, trovò l'originale pergamena di Chinon nell'Archivio Segreto Vaticano, che si credeva perduta da 700 anni ma invece era stata catalogata in modo improprio. La storica ha pubblicato le sue scoperte nel "Journal of Medieval History" e scrisse diversi saggi sull'argomento, fra cui "Il papato ed il processo ai Templari" e anche "The Templars". Nel 2007 il Vaticano ha pubblicato la pergamena di Chinon come parte di una edizione limitata di 799 copie del Processus Contra Templarios dopo settecento anni di oblio, con un'ottocentesima copia presentata a Papa Benedetto XVI.

Un'altra versione dell'inchiesta di Chinon
Esiste un'ulteriore versione dell'inchiesta di Chinon, ben nota agli storici, pubblicata da Étienne Baluze nel 1693 e da Pierre Dupuy nel 1751. Questa seconda versione non è originale ma invece una copia, datata Chinon 20 agosto 1308 e fu redatta dai cardinali Berenger Fredol Cardinale-prete dei Santi Nereo ed Achilleo, Etienne de Suisy cardinale-prete di San Ciriaco in Thermis e Landolfo Brancaccio, Diacono di Sant'Angelo in Pescheria, sotto forma di lettera indirizzata a Filippo IV di Francia, riportando che era stata concessa l'assoluzione a tutti quei Templari che avevano confessato l'eresia, riammettendoli ai Sacramenti ed all'unione con la Chiesa.


giovedì 6 agosto 2015

L'arte della guerra filippina


L'eroe Lapu Lapu


L'Escrima è un'arte di combattimento originaria delle tribù dell'arcipelago filippino, conosciuta anche come Kali o Arnis de mano.
Questo stile di combattimento venne scoperto per la prima volta nel 1521 nei pressi dell'isola di Mactan dai conquistadores spagnoli capeggiati da Magellano e proprio quest'ultimo, cercando di imporre con la violenza la religione cattolica e il predominio spagnolo, pagò a caro prezzo restando ucciso dalla lancia dell'eroe Lapu Lapu.
Con affermazione del predominio spagnolo e l'imposizione del divieto di praticare le arti marziali, le micidiali tecniche dell'Escrima furono tramandate sotto forma di danza coreografica detta Sayaw che favorì una maggiore coordinazione e fluidità dei colpi.
La mentalità aperta e ingegnosa dei maestri filippini ha consentito, nel corso dei secoli, di arricchire il grande bagaglio tecnico di quest'arte con i principi e i segreti derivanti dagli stili stranieri. Le principali arti assorbite dal Kali filippino sono il Kung Fu cinese, l'Aikido e il Judo giapponese, la scherma spagnola e il Silat indonesiano.
Per una migliore illustrazione è stato conveniente suddividere l'Escrima in due settori: armi utilizzate e tecniche a mani nude.
Per quanto concerne il settore delle armi, da una parte, la tradizione filippina riteneva che il guerriero armato si trovasse in vantaggio nei confronti di un nemico sprovvisto, dall'altro, la capacità di utilizzo di un'arma può essere trasferita ad altre armi e allo stesso tempo può migliorare la prontezza delle tecniche a mani nude.
Le principali armi utilizzate dai praticanti di Escrima sono:
  1. Olisi. È un bastone lungo 70cm di rattan decorato a fuoco, rappresenta l'arma principale del mondo dell'escrima. L'abilità di usare quest'arma viene chiamata "scherma a mano viva" poiché, al contrario della scherma occidentale, la mano disarmata viene portata all'altezza del petto allo scopo di eseguire eventuali tecniche di disarmo. Doppio Olisi non è altro l'utilizzo di due bastoni allo scopo di migliorare la sequenzialità dei colpi e la parte difensiva;
  2. Spada e Daga. I guerrieri filippini rimasero colpiti dall'utilizzo, contemporaneo, da parte degli spagnoli di una spada e un coltello chiamato daga. Nel combattimento ravvicinato i conquistadores impiegavano una spada per gli attacchi a lungo raggio e nell'altra mano una daga per infliggere colpi mortali quando il nemico entrava in un raggio più ravvicinato. Questa tecnica è stata applicata anche con un bastone e un pugnale;
  3. Balisong e Kriss: sono i tipi di coltelli utilizzati nel Kali. Il Balisong è il coltello a farfalla che viene aperto longitudinalmente per scoprire la lama, mentre il Kriss è il pugnale con lama a biscia capace di procurare lacerazioni interne al corpo del malcapitato rendendole difficilmente curabili. Il coltello nelle mani di un praticante di questa disciplina diventa un'arma formidabile;
  4. Bolo o machete filippino. Utilizzato principalmente per fare strada all'interno della giungla, il machete filippino risulta un arma micidiale in combattimento grazie ai potentissimi colpi capace di infliggere;
  5. Kampilan e Barong. Il primo è una spada con lama a doppia punta dotata di un manico esteso di 20 cm come contrappeso, mentre il Barong è un coltello a lama a foglia leggermente curvata verso l'interno;
  6. Bangkow e Sibat. Rappresentano le principali armi a lungo raggio del Kali. Il Bangkow è la lancia utilizzata dai guerrieri insieme ad uno scudo circolare mentre il Sibat è un lungo bastone derivante dalla cultura cinese.
Il vasto armamentario dell'Escrima comprende anche armi flessibili come la frusta, le corde, la cintura e i nunchaku.
L'altro aspetto tenuto gelosamente segreto dai migliori maestri filippini è il combattimento a mani nude. Nel Kali il combattimento senza armi si suddivide in:
  1. Panantukan. È l'arte di boxare filippina che unisce tecniche derivanti dal pugilato occidentale e i principi utilizzati nell'uso del bastone e del coltello. Una particolare tecniche utilizzata è il gunting (rompere il dente del serpente), che consiste nel parare con la mano sinistra (o viceversa) e colpire di taglio con la destra (o viceversa) l'arto del nemico provocando la rottura dei tendini e dei muscoli;
  2. Sikaran. Comprende i colpi portati solo con gli arti inferiori (calci, ginocchiate);
  3. Hubud Lubud. Chiamata anche mani incatenate, questa tecnica viene eseguita a coppia senza staccare le mani dall'avversario effettuando ripetute sequenze di colpi, parate e leve al fine di migliorare l'equilibrio e l'elasticità mentale. Può essere anche praticata a occhi bendati o vicino a tronchi d'albero il che la rende simile al C'hi Sao del Wing Chun;
  4. Dumong. Sono una serie di tecniche di proiezioni, leve e contro leve basate sul judo giapponese.



L'immenso bagaglio tecnico rende l'arte di combattimento filippina una delle più complete e micidiali del mondo.

mercoledì 5 agosto 2015

Furoshiki

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Il furoshiki (風呂敷) è un tipico involucro quadrato di stoffa, tradizionalmente utilizzato in Giappone per trasportare vestiti, bentō, regali e altri beni.

Origini

Il termine furoshiki fu coniato nel periodo Edo (1603-1868), sebbene questo tipo di incarto fosse già in uso nei secoli precedenti con i nomi di koromo tsutsumi (衣包み "pacchetto di vestiti") e, successivamente, hira tsutsumi (平包み "pacchetto di piatti"). Esistono infatti fonti del periodo Nara (710-794) e del periodo Heian (794-1185) che descrivono o ritraggono dei vestiti incartati e trasportati in involucri di stoffa.
Nel XVII secolo, con la massiva costruzione di bagni pubblici, gli hira tsutsumi si diffusero come modo per facilitare il trasporto ed il cambio dei vestiti che, una volta incartati, non potevano mescolarsi a quelli di altri avventori del bagno. Fu in questo periodo che il termine cambiò in furoshiki, da furo (風呂 "bagno") e shiki ( "aprire, spiegare").
Verso la fine del periodo Edo, sull'onda della crescita economica, i furoshiki iniziarono ad essere utilizzati anche dai mercanti per trasportare i loro beni.

Uso moderno

In Giappone

I furoshiki moderni sono realizzati in vari tessuti, inclusi seta, cotone, rayon e nylon. Tra questi materiali, il cotone è il più utilizzato. Sono spesso decorati con disegni tradizionali o con shibori. Non esiste una misura standard e quella più comune è un quadrato di 45cm per lato.
Sebbene il furoshiki in Giappone sia ancora usato — soprattutto nelle aree rurali e per il trasporto dei bentō, o negli onsen e nei sentō per avvolgere gli indumenti e gli accessori per il bagno — il suo utilizzo è progressivamente diminuito dopo la Seconda guerra mondiale a causa della larga diffusione dei sacchetti di plastica.
Negli anni duemila è emerso un rinnovato interesse per il furoshiki, motivato soprattutto dai suoi risvolti in termini di sostenibilità ambientale rispetto ad altri tipi di involucri. Nel marzo del 2006, il Ministro dell'Ambiente, Yuriko Koike, ha presentato un furoshiki ideato per promuovere la riduzione dei rifiuti. Questo manufatto, realizzato da bottiglie PET riciclate e decorato con motivi del periodo Edo, è stato denominato mottainai furoshiki, dal termine mottainai (もったいない) che in giapponese indica il dispiacere per qualcosa che diventa un rifiuto senza averne sfruttato pienamente le potenzialità.

In Argentina

L'associazione GIFT (Grupo de Investigadores de Furoshiki y sus Técnicas) operante a Buenos Aires promuove il furoshiki in Argentina, attraverso la ricerca delle tecniche e delle modalità di adattamento ai costumi locali. L'associazione, inoltre, istruisce i consumatori argentini sull'utilizzo di questo involucro.

Esempio storico

Presso l'Australian War Memorial a Canberra è conservato un furoshiki ottenuto da un soldato giapponese, Tsuchiya Akira, catturato da un soldato australiano, E. J. Knight, nella zona del Distretto di Bougainville Meridionale durante la campagna di Bougainville del 1945. Il furoshiki è realizzato in fibra sintetica ed è decorato con una mappa dell'Asia sudorientale, un aeroplano, una nave e una canzone patriottica. La canzone può essere tradotta con:
«Sia in difesa sia in offesa, possiamo contare sul nostro castello galleggiante in acciaio nero. Dobbiamo difendere fino alla fine tutte le parti dell'impero giapponese, che è il nostro castello galleggiante».
C'è anche una breve poesia scritta a mano che indica che Tsuchiya è il terzo figlio arruolato dello scrittore. La poesia recita:
«Ho visto i miei figli partire per i campi di battaglia per tre volte in una bella giornata di gioco».
Sul panno è riportato anche:
«A Tsuchiya Akira da tutto il personale dell'ufficio di Minenobu».

martedì 4 agosto 2015

Dirk

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Il dirk è un lungo pugnale di origine scozzese con la lama a un filo. Diffuso anche come arma per i civili, divenne nei secoli l'arma personale degli ufficiali di marina di varie nazioni, sebbene fosse utilizzato anche dagli ufficiali dell'esercito, era infatti l'arma da lato degli ufficiali dei reggimenti di Highlander Scozzesi.

Etimologia
Il termine è stato coniato nel XVI secolo in Scozia, e si ritrova scritto anche in altre forme come dork o durk a partire dal secolo successivo, che probabilmente è di derivazione danese, olandese, svedese, tedesca o slava. L'esatta etimologia della parola non è chiara; il cambiamento fonetico da -lk a - rk è piuttosto comune quando gli scozzesi o gli inglesi del nord prendono in prestito vocaboli dal danese (ad esempio kirk, chiesa, che deriva dal danese kilche).
Il termine è stato anche usato per indicare genericamente un "pugnale", soprattutto in riferimento ai pugnali preistorici come l'Oxborough dirk.

Naval dirk
Il naval dirk è un'arma da affondo, originariamente usata come arma da bordo e come un funzionale pugnale da combattimento. Veniva indossato dai cadetti e dagli ufficiali durante i giorni di navigazione, e nel tempo è diventato un'arma di rappresentanza e un segno distintivo del loro rango. Nella marina britannica, la naval dirk è ancora oggi parte dell'equipaggiamento dei giovani ufficiali, e in questi ultimi 500 anni non ha subito che lievi cambiamenti.
Il naval dirk faceva parte dell'uniforme degli ufficiali della marina militare e di quella civile sia dell'Impero russo che della marina sovietica e in russo veniva chiamato кортик. Più tardi, divenne parte dell'uniforme di altri ufficiali di marina tra cui quella francese, finlandese, argentina, messicana, giapponese.

Highland dirk
Il dirk scozzese (detto anche highland dirk, in gaelico scozzese, biodag) è arma da fianco tradizionale e cerimoniale degli ufficiali dei reggimenti di Highland scozzesi ed forse derivato dal ballock del XVI secolo.
Il tradizionale dirk scozzese si diffuse in particolare nella seconda metà del XVII secolo, quando divenne un'arma molto diffusa tra i militari durante l'insurrezione giacobita, come ci riporta ad esempio il maggior generale James Stewart nel 1780 che descrivendo l'equipaggiamento del "78° Fraser Highlanders" dice che è composto da: «moschetto e spada, a cui molti soldati aggiungono il dirk a proprie spese».
Dal XIX secolo il dirk scozzese divenne un'arma di rappresentanza. La forma dell'impugnatura spesso non è più quella storica cilindrica ma hanno la forma di un cardo, simbolo della Scozia, e sono in legno di rovere o d'ebano. Foderi e impugnature sono spesso molto decorati con inserti in argento e con i pomoli con pietre (solitamente semi-preziose) incastonate. Quando indossato, il dirk di solito pende da una cinghia di cuoio, chiamata "frog" (cioè rana) che è attaccata ad una larga cintura di pelle con una grossa fibbia, solitamente decorata, che viene indossata intorno alla vita con il kilt.
Molti dirk scozzesi posseggono sul lato esterno del fodero due piccoli foderi in cui si inseriscono un piccolo coltello e una forchetta,


lunedì 3 agosto 2015

Watsu

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Il Watsu è un trattamento alternativo che si svolge in vasche di acqua calda (35° circa). Il nome deriva dalla contrazione di "Water" ("acqua" in inglese) e Shiatsu.

Descrizione
Durante una sessione di Watsu il ricevente galleggia supino in acqua a temperatura corporea (circa 35°), sostenuto dalle braccia dell'operatore; entrambi sono immersi in una piscina di circa 110-120 cm d'altezza.
Nella posizione iniziale un braccio dell'operatore sostiene la testa del ricevente e l'altro braccio è posto all'altezza del bacino. Nel pieno rispetto dei limiti e delle potenzialità del corpo che sta sostenendo, il watsuer (watsu practitioner) applica stiramenti, rotazioni, digitopressioni. Le orecchie sono di norma immerse in acqua, mentre il viso è sempre in superficie. L'acqua calda, unita al sostegno e ai delicati movimenti, potrebbe facilitare il raggiungimento di uno stato di benessere e rilassamento con effetto antistress.
Oltre ciò non esistono prove mediche dell'efficacia clinica del Watsu.
Ogni manipolazione curativa della colonna vertebrale e delle articolazioni è un atto sanitario, che deve quindi essere effettuato, sia per motivi di sicurezza medica che legali, solo da soggetti autorizzati e specializzati (medici ortopedici, fisioterapisti). Un errore di manipolazione potrebbe portare anche a danni gravi o irreversibili al paziente. Inoltre in un ambiente acquatico, perdipiù rilassato, sempre in caso di manipolazioni errate, il rischio di traumi è maggiore poiché a causa del rilassamento corporeo si riduce il fisiologico tono contrattivo muscolare che ha anche funzione protettiva delle articolazioni.

Storia
Il Watsu è nato negli anni ottanta in California, quando Harold Dull iniziò ad applicare tecniche proprie dello Shiatsu in acqua termale. Il Watsu è oggi un marchio registrato di proprietà dello stesso Dull. Negli anni si è evoluto in una forma autonoma ed indipendente, pur mantenendo alcune caratteristiche di base dello Shiatsu.

Il Tantsu
Il Tantsu (Tantric Shiatsu) fu sviluppato da Harold Dull contemporaneamente al Watsu. Come quest'ultimo è basato su posture che l'operatore fa assumere al ricevente. Il trattamento avviene però su materassini, dove vengono esercitati stiramenti e pressioni tipiche del Watsu.


domenica 2 agosto 2015

Uomo mellificato

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L'uomo mellificato è una sostanza medicinale leggendaria creata immergendo un cadavere umano nel miele.
Il leggendario medicinale è descritto in alcune fonti mediche cinesi, quali il Bencao Gangmu del medico e farmacologo Li Shizhen, vissuto nel sedicesimo secolo. Secondo questo trattato, dopo essersi nutrito esclusivamente di miele per alcune settimane il donatore deceduto veniva posto in una bara di pietra riempita anch'essa della dolce sostanza. Dopo un secolo di attesa la bara veniva aperta e il contenuto utilizzato come rimedio capace di guarire pressoché ogni malanno e di curare le ossa rotte.

Storia
La pratica di conservare i corpi dei defunti nel miele ha avuto come antecedenti gli assiri che, come riporta lo storico greco Erodoto, erano soliti imbalsamare i loro morti usando il miele, una tecnica anche adottata dagli antichi egizi. Più tardi, nel IV secolo a.C., il corpo di Alessandro Magno venne rinchiuso in un sarcofago pieno di miele. L'esistenza di un farmaco prodotto da uomini mummificati nel miele è stata descritta molti anni dopo dal farmacologo cinese del sedicesimo secolo Li Shizhen. Sebbene lo stesso Shizhen non sia certo che l'esistenza degli uomini mellificati sia vera, egli ha descritto l'usanza dettagliatamente nel suo Bencao Gangmu (1578), il più grande trattato farmacologico della medicina cinese, in cui spiega di esserne venuto a conoscenza dagli scritti dell'erudito cinese Tao Jiucheng, conosciuto anche come Tao Zongyi, vissuto verso la metà del quattordicesimo secolo:
«Secondo [Tao Jiucheng] nel suo [Chuogenglu], nelle terre degli arabi ci sono uomini di 70 o 80 anni che sono disposti a dare il proprio corpo per salvare gli altri. (Il volontario) non prende più né cibo né bevande, fa il bagno e mangia un poco di miele, finché dopo un mese i suoi escrementi non sono altro che miele; poi segue la morte. I suoi compatrioti mettono il corpo a macerare in una bara di pietra piena di miele, con un'iscrizione che dà l'anno e il mese della sepoltura. Dopo un centinaio di anni i sigilli vengono rimossi e la confezione così formata è usata per il trattamento di ferite e fratture del corpo e degli arti - solo una piccola quantità presa internamente è necessaria per la cura. Anche se è scarso da quelle parti, la gente comune lo chiama "uomo mellificato", o, nel loro linguaggio straniero, "mu-nai-i". Non sono certo se la storia sia vera o meno. In ogni caso la cito in modo che possa essere presa in considerazione dagli eruditi.»
Il miele, assunto come alimento esclusivo e dalle proprietà lassative, causava eccessiva perdita di peso e quindi la morte del volontario; il suo corpo veniva quindi ricoperto di miele che, povero d'acqua e ricco di sostanze antibiotiche, ne impediva la putrefazione. Quando la bara veniva aperta il cadavere era ormai completamente macerato; la sostanza rimasta veniva quindi donata ai discendenti del defunto oppure raccolta in barattoli e venduta ad altissimi prezzi.
Secondo gli storici della scienza cinese Joseph Needham e Lu Gwei-djen, sebbene Li Shizen parli della pratica dell'uomo mellificato come originaria dell'Arabia, è possibile che in realtà la sua origine ricada nella pratica birmana di preservare i corpi di abati e monaci nel miele, così che "la nozione occidentale di un farmaco ricavato dalla perdurabile carne umana fosse combinato con il caratteristico motivo buddista del sacrificio di sé per gli altri". Invece Mary Roach ha affermato che l'uso medicinale delle mummie e la vendita di falsi è documentato nei libri di chimica risalenti al sedicesimo e diciottesimo secolo in Europa, ma raramente queste mummie erano conservate nel miele e in nessun luogo al di fuori dell'Arabia i cadaveri usati per le mummie erano di volontari.







sabato 1 agosto 2015

Surik

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Il surik è una spada tradizionale originaria dell'isola di Timor.

Descrizione
È un'arma dotata di lama ad un solo filo, che si restringe verso la punta. Il manico è realizzato in corno e decorato con peli di capra o crine di cavallo. Al centro dell'impugnatura può essere presente una decorazione ad intaglio raffigurante un occhio, che, secondo le credenze popolari, dovrebbe aumentare i poteri soprannaturali dell'arma. Il fodero è in legno.

Cultura
Per le popolazioni della provincia delle Piccole Isole della Sonda il surik è considerato una spada sacra, le cui facoltà soprannaturali dipendono dalla persona che la adopera. Inoltre si ritiene che i comuni cittadini non possano toccare la spada, che altrimenti si ritorcerebbe contro il portatore. A questo scopo, la decisione di chi debba portare il surik in battaglia è presa durante lo svolgimento di assemblee comunitarie. L'arma è usata anche in una danza tradizionale chiamata tari surik laleok. Il surik è anche portato dai meos, i guerrieri più eminenti e solitamente i cacciatori di teste di maggior successo del villaggio. L'arma ha una certa importanza per l'identità culturale del popolo di Timor, al punto che il primo stemma della repubblica di Timor Est presenta due surik incrociati.