mercoledì 24 ottobre 2018

Ikigai

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L'ikigai (生き甲斐) è l'equivalente giapponese di espressioni italiane quali "ragione di vita", "ragion d'essere".

Significato del termine

Nella zona di Okinawa l'ikigai è visto come "una ragione per svegliarsi al mattino". La parola può inoltre indicare una persona di cui si è profondamente innamorati.
Tutti, secondo la cultura giapponese, avrebbero il proprio ikigai. Trovare quale sia la ragione della propria esistenza richiede però una ricerca interiore che può spesso essere lunga e difficile. Tale ricerca viene considerata molto importante e la sua conclusione positiva porta alla persona una profonda soddisfazione.
Oltre che aspetti positivi per chi segue il proprio 'ikigai possono esserci anche aspetti negativi: coloro che vivono la vita con estrema passione rischiano infatti di esserne consumati sino alla degradazione.

martedì 23 ottobre 2018

Sakugawa Kanga

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Sakugawa Teruya Kanga (佐久川親雲上寛賀, Sakugawa Teruya Kanga; 1733 – 1815) è stato un karateka giapponese.
Originario di famiglia nobile, fu spesso capo delle delegazioni inviate in Cina per il pagamento dei tributi; da questi viaggi tornò con una approfondita conoscenza del Kempo.
Con tutta probabilità fu il primo maestro a tentare la sistematizzazione del Tode, termine da lui coniato per individuare l'arte del combattimento a mano vuota, quindi più che tutto ebbe una fama leggendaria per il suo influsso nell'evoluzione del Karate. È ritenuto il maestro di Sokon Matsumura, purché non esistano prove certe che confermino questa tesi.

lunedì 22 ottobre 2018

Buddhismo Tendai

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Il Buddhismo Tendai (天台宗, Tendai-shū) è una scuola giapponese del Buddhismo Mahāyāna. Fondata da Saichō, discende della scuola buddhista cinese Tiāntái (天台宗, Tiāntái zong, Wade-Giles: T'ien-t'ai tsung), anche conosciuta come scuola del Sutra del Loto e fondata da Zhìyǐ (智顗) nel VI secolo.

Storia

I primi insegnamenti Tiāntái (天台宗) furono trasferiti in Giappone intorno alla metà dell'VIII secolo dal monaco cinese Jiànzhēn (鑑眞, giapp. Ganjin; 688-763) patriarca della scuola Ritsu (律宗 Ritsu shū).
Nell'805, il monaco giapponese Saichō (最澄, fondatore del Buddhismo Tendai e noto anche con il titolo postumo di Dengyō Daishi (傳教大師, cin. Chuánjiào Dàshī; 767-822) ritornò dalla Cina con ulteriori insegnamenti cinesi del Tiāntái e fece del tempio che aveva precedentemente eretto sul Monte Hiei (比叡山, giapp. Hieizan), denominato nell'823 come Enryaku-ji (延暦寺), un centro per lo studio e per la pratica di quello che divenne il Tendai, la versione giapponese della scuola cinese Tiāntái.
La scuola Tendai fondata da Saichō, seppur non deviando dal punto di vista dottrinale dalla scuola cinese Tiāntái, conserva delle importanti integrazioni con gli insegnamenti di altre scuole buddhiste. Saichō, infatti, riportò dalla Cina anche insegnamenti Chán, sia della scuola Beizōng (北宗, Chan settentrionale) che della scuola Niútóuchán (牛頭宗, Niútóu zōng, giapp. Gozu shū, scuola della Testa di Bufalo, fondata da Fǎróng, 法融, 594-657), e soprattutto insegnamenti esoterici (密教 mikkyō) della scuola Zhēnyán (眞言宗, Zhēnyán zōng, giapp. Shingon).
La tendenza ad includere via via una serie di insegnamenti di altre dottrine buddhiste, soprattutto esoterici (mikkyō) derivati dallo Shingon, divenne più marcata negli sviluppi del Tendai da parte dei successori di Saichō, come Ennin (圓仁, 794-864) ed Enchin (圓珍, 814-891).
Nei suoi primi secoli di vita la scuola Tendai fiorì sotto il diretto patronato della famiglia imperiale, divenendo dunque la forma più importante del Buddhismo giapponese, generando a sua volta buona parte delle scuole giapponesi tutt'oggi esistenti. Nichiren (日蓮, 1222-1282), Hōnen (法然, 1133-1212), Shinran (親鸞, 1173-1263), Eisai (榮西, 1141-1215) e Dōgen (道元, 1200-1253) – fondatori di alcune importanti scuole buddhiste giapponesi rispettivamente della Nichiren shū (法華宗), Jōdo shū (浄土宗), Jōdo shin-shū (浄土真宗), Zen Rinzai-shū (臨濟宗) e Zen Sōtō shū (曹洞宗), erano infatti tutti monaci ordinati nei monasteri Tendai. A causa del patronato imperiale e della sua popolarità sempre più crescente fra i ceti aristocratici, la scuola Tendai divenne politicamente e militarmente potente. Durante il Periodo Kamakura (鎌倉時代, Kamakura-jidai, 1185-1333), il Tendai utilizzò il suo potere per tentare di sopprimere la sviluppo di scuole antagoniste in particolar modo della Nichiren-shu che iniziava a diffondersi presso la borghesia e della Jōdo shū che si diffondeva presso le classi più povere. L'Enryaku-ji, il potente tempio costruito sul Monte Hiei, divenne un centro non solo frequentato da monaci asceti ma anche da brigate militari di monaci guerrieri (gli sōhei, 僧兵) che lottavano nell'interesse del tempio. Nel 1571 Enryaku-ji fu distrutto e i suoi monaci massacrati da Oda Nobunaga (織田信長, 1534-1582) in un progetto politico-militare testo alla riunificazione del Giappone. Il tempio Enryaku-ji fu ricostruito più tardi e continua a rappresentare oggi il maggiore tempio della scuola Tendai.

La dottrina dell'enyū santai (圓融三諦) e il Sutra del Loto (妙法蓮華經)

Il Tendai conserva molti insegnamenti della scuola Tiāntái cinese fondata nel VI sec. da Zhìyǐ. In particolar modo si fonda sulla dottrina della Triplice verità (giapp. enyū santai, cin. 圓融三諦 yuánróng sāndì), un originale sviluppo cinese della scuola madhyamaka indiana fondata da Nāgārjuna. Questa dottrina sostiene che dal punto di vista della Verità assoluta (sans. paramārtha-satya o śūnyatā-satya, cin. 空諦 kōngdì, giapp. kūtai) tutta la Realtà che ci appare è vuota di proprietà inerente: essa è impermanente dal punto di vista temporale e, nel contempo, non c'è un fenomeno che non dipenda dagli altri fenomeni. Questa vacuità (sans. śūnyatā, cin. kōng, giapp. ) della Realtà si poggia tuttavia sulla Verità convenzionale (sans. saṃvṛti-satya, cin. 假諦 jiǎdì, giapp. ketai) dove i singoli fenomeni vengono percepiti nella loro singolarità. La sintesi esperienziale di queste due Verità, apparentemente contraddittorie, porta alla realizzazione della terza verità, la Verità di mezzo (sanscrito mādhya-satya, cin. 中諦 zhōngdì, giapp. chūtai).
Il Tendai sostiene, inoltre, che essendo tutti gli esseri espressioni della natura di Buddha (sans. buddhatā, tathāgatagarbha, cin. 佛性 fóxìng, giapp. busshō) che soggiace all'intera Realtà, il Buddha Śākyamuni non era che una manifestazione realizzata di questa natura. Tale natura di Buddha è realizzabile da tutti gli esseri mediante l'Illuminazione (sanscrito bodhi, cin. 菩提 pútí, giapp. bodai) in questo corpo e in questa vita.
Come per il Tiāntái anche per il Tendai, il Sutra del Loto (sanscrito Saddharmapundarīkasūtra, giapp. 妙法蓮華經 Myōhō renge kyō o Hokkekyō) è il testo che conserva gli insegnamenti più profondi e completi della dottrina buddhista (dottrina perfetta, giapp. engyo). Altra caratteristica del Tendai è quello di risultare sincretico nelle dottrine e nelle pratiche e ha teso, lungo i secoli, ad assorbire ed elaborare numerosi insegnamenti buddhisti. Coerentemente con alcuni insegnamenti dell'antico Buddhismo dei Nikāya, la scuola Tendai consente ai propri seguaci giapponesi di fare offerte alle divinità locali (, Kami) proprie dello Shintoismo viste anch'esse nella propria natura di Buddha.
Infine l'insegnamento Tendai, per cui il mondo fenomenico e mondando se ben compreso alla luce della Triplice Verità non è distinto dal Dharma buddhista in quanto tutte le cose e tutta la Realtà additano all'Illuminazione, lascia spazio alla riconciliazione dell'estetica, e della vita ordinaria, con più ascetici insegnamenti buddhisti. La poesia, ad esempio, può essere considerata come un mezzo che conduce al perfezionamento spirituale. La contemplazione della poesia è semplicemente contemplazione del Dharma. Ciò può essere affermato per ogni altra forma d'arte, di studio e di attività.

La dottrina dell'ichinen sanzen (一念三千)

La lettura del Sutra del Loto alla luce della elaborazione, di impronta madhyamaka, della Triplice verità porta la scuola Tendai (come già la scuola Tiāntái) ad elaborare la dottrina dello ichinen sanzen ("tremila mondi in un istante di vita", cin. 一念三千 yīniàn sānqiān ). Questa dottrina esprime un complesso olismo e omnicentrismo radicale che caratterizza l'unicità dell'insegnamento Tiāntái e Tendai nel panorama delle dottrine buddhiste. Essa sostiene che, dal punto di vista del pensiero, tutti i mondi (le singole esperienze e la individuazione dei singoli oggetti di esperienza) esistono certamente, ma la pratica meditativa consente di scorgerne la loro ambiguità, la loro indeterminatezza. Essi esistono solo in quanto la mente li delimita in modo arbitrario sia dal punto di vista spaziale che da quello temporale. Visti nella loro continuità temporale e nel loro condizionamento reciproco questi 'mondi' non possono essere considerati che 'vuoti', privi di una identità inerente. Ma il pensiero, ovvero la vita, non si accontenta della loro vacuità, soffrendo d'altro canto per la loro incostante 'esistenza' (ogni fenomeno appare, esiste e scompare): è l'ambiguità di questi 'mondi' a generare la sofferenza negli esseri senzienti (sanscrito sattva, cin. 衆生 zhòngshēng, giapp. shūjō) ed è il continuo esercizio di consapevolezza (pratica dello shikan, 止觀) sulla dottrina dello ichinen sanzen che può portare la salvezza da questa condizione.
Le realtà possibili in un solo pensiero (sans. eka-kṣaṇa, cin. 一念 yīniàn, giapp. ichinen) indicati in questa dottrina, sono tremila (sanscrito tri-sāhasra, cin. 三千 sānqiān, giapp. sanzen) in quanto inglobano tutte le condizioni esperibili: 10 sono le condizioni esistenziali (Dieci mondi, 十界 cin. shíjiè, giapp. jùkai) che vanno dalla condizione infernale (sanscrito apāya-bhūmi, 地獄 cin. dìyù, giapp. jigoku) allo stato di Buddha (cin. , giapp. butsu), tali condizioni esistenziali vanno moltiplicate per se stesse in quanto tutte queste condizioni, da quella infernale a quella buddhica, implicano potenzialmente le altre nove esistenze al loro stesso interno. Queste cento potenziali esistenze vanno poi moltiplicate per le 10 talità (vera natura dei dharma, sans. tathātā , 如是實相 cin. rúshì shíxiàng, giapp. nyoze jissō) indicate nel Sutra del Loto e che corrispondono a: caratteristiche, natura, essenza, forza, azione, causa, condizione, retribuzione, frutto e uguaglianza di tutte queste talità tra loro. Questi mille dharma vanno poi moltiplicati per i tre mondi (sans. loka, cin. shì, giapp. se) ovvero per i cinque aggregati (sans. pañca skandha, 五蘊 cin. wǔyùn, giapp. goun), per gli esseri costituiti dai cinque aggregati (sanscrito sattva, cin. 衆生 zhòngshēng, giapp. shūjō) e per il luogo in cui essi vivono (sanscrito talima, cin. , giapp. ji), raggiungendo il numero di tremila mondi (sanscrito tri-sāhasra, cin. 三千 sānqiān, giapp. sanzen).
La vita può manifestarsi in queste tremila condizioni cambiando costantemente anche a seconda dei vissuti della mente, ma questi tremila mondi sono, per la dottrina Tiāntái, tutti immancabilmente vuoti (sans. śūnyatā, cin. kōng, giapp. ) e non sono né esistenti né non esistenti.

La dottrina dell'hongaku (本覺)

Altro elemento dottrinario tipico della scuola Tendai è la concezione dell'hongaku (本覺, illuminazione originaria) che, seppur già presente nel Dàshéng qǐxìn lùn (大乘起信論, giapp. Daijō kishin ron, Il risveglio nella fede del Mahayana), sutra di probabile origine Huáyán (華嚴宗,Huáyán zōng), fu ulteriormente sviluppato dai monaci del Monte Hiei alla luce della Triplice Verità e del Sutra del Loto. Tale attenzione su questa particolare dottrina deriva probabilmente dal fatto che lo stesso fondatore del Tendai, Saichō, era un monaco Kegon, ovvero seguace della scuola che rappresentava la versione giapponese dello Huáyán cinese. È molto probabile che Saichō, prima di ritirarsi sul Monte Hiei, ebbe modo di studiare il Dàshéng qǐxìn lùn e il suo commento Dàshéng qǐxìn lùn yìjì (大乘起信論義記, giapp. Daijō kishinron giki T.D. 1846.44.240-287), opera del patriarca cinese Huáyán, Fāzàng (法藏, 643–712).
La dottrina dell'hongaku (hongaku-shiso) sostiene che ogni cosa possiede una illuminazione intrinseca, originaria (giapp. hongaku), unitamente all'illusione (不覺 fugaku, che dipende tuttavia strettamente dall'hongaku) e che la relazione tra queste due può produrre l'illuminazione realizzata (始覺, shigaku). Tale dottrina vuole radicalizzare la vacuità (śunyātā, giapp. ) anche nella percezione dell'illuminazione che non deve essere mai distinta dall'illusione pena la creazione di una discriminazione tra le due e quindi una ricaduta nell'illusione discriminante così criticata da Nāgārjuna e da Zhìyǐ. Quindi per il Tendai tutti gli aspetti duali del mondo poggiano in realtà, sempre e comunque, sulla non-dualità. Il mondo va sempre affermato come espressione stessa della buddhità. Non c'è altra illuminazione al di fuori del mondo e delle sue apparenze. Così Ennin nel Shoji kakuku sho (Vita e morte come illuminazione): "Il meraviglioso giungere del non giungere, la vera, la vera vita della non vita, il perfetto andare del non andare, la grande morte della non morte, l'unità di vita e morte, la non dualità di vacuità ed esistenza". Un brano che riecheggia lo Yuándùn zhǐguān (圓頓止觀, giapp. Endon shikan) del patriarca cinese di scuola Tiāntái, Guàndǐng (灌頂, 561-632), quando, già nel VI secolo, affermava: "Poiché tutti gli aggregati e le forme di sensibilità sono la realtà così come è, non c'è alcuna sofferenza da cui liberarsi. Poiché la nescienza e le afflizioni sono identiche al corpo illuminato, non c'è alcuna origine della sofferenza da sradicare. Poiché i due punti di vista estremi sono il Mezzo e le visioni erronee sono la Verità, non c'è alcun percorso da praticare. Poiché il saṃsāra è identico al nirvāṇa, non c'è alcuna estinzione della sofferenza da realizzare". La concezione dell'hongaku venne ripresa, seppur in modo critico, sia negli insegnamenti di Dōgen (fondatore dello Zen Sōtō) che da quelli di Nichiren (fondatore del Buddhismo Nichiren).

Le dottrine del taimitsu (台密)

A differenza di Zhìyǐ e dei maestri cinesi del Tiāntái, Saichō proclamò l'equivalenza tra le pratiche meditative e dottrinali Tiāntái e il Buddhismo esoterico (密教 Mikkyō) da lui appreso in Cina dal maestro di scuola Zhēnyán (眞言宗), Shunxiao (順曉, n.d.) e, in Giappone, dal fondatore della scuola Shingon (真言宗 Shingon-shū), Kūkai (空海, 774-835) e che ha fondamento nel Mahāvairocanāsūtra o Mahāvairocanābhisaṃbodhi-vikurvitādhiṣṭhāna-vaipulyasūtra (Il sutra di Mahavairocana, 大日經 cin. Dàrì jīng, giapp. Dainichikyō). Tale equivalenza era stabilita da Saichō anche sul piano della salvezza personale la quale, seguendo una di queste due vie, poteva realizzarsi in questa stessa vita (sokushin jobutsu). Tali vie rappresentavano delle vie immediate (直道 jikidō, cin. zhídào) all'illuminazione (bodai). Tuttavia Saichō, differentemente da Kūkai che riteneva l'esoterismo prevalente sulla dottrina e la meditazione, non ritenne superiore una via sull'altra. Ennin (圓仁, 794-864) quarto patriarca Tendai, recatosi in Cina nell'838, dove risiedette per otto anni sul Monte Wǔtái (五臺山, oggi nella provincia dello Shanxi), tornò in Giappone portando con sé le dottrine del nembutsu (念佛) e ulteriori dottrine esoteriche che denominò taimitsu (台密) per distinguerle da quelle denominate tōmitsu (東密) di derivazione Shingon. Ennin eseguì rituali taimitsu al cospetto della Corte imperiale e ciò permise al Tendai di superare in popolarità lo stesso esoterismo dello Shingon. Il successore di Ennin, Enchin (圓珍, 814-891), recatosi anche lui in Cina nell'852, dove risiedette sui Monti Tiāntái e a Chang'an per sei anni, tornò con ulteriori insegnamenti che permisero al Tendai di superare definitivamente in popolarità lo Shingon, consentendo inoltre al monastero Miidera (三井寺, conosciuto anche come 園城寺 Onjoji), di cui Enchin era abate, di essere affiliato direttamente all'Enryaku-ji. Morto Ennin, nell'868 Enchin divenne abate dell'Enryaku-ji e quinto patriarca Tendai.

Le sottoscuole Jimon (持門) e Sanmon (山門)

Dopo la morte di Ennin e di Enchin, nel corso del IX e del X secolo la scuola Tendai crebbe in numero di seguaci e di templi diffusi in tutto il Giappone. Presto tra i due templi principali, l'Enryaku-ji e il Miidera si avviarono dei conflitti inerenti alla preminenza. Il primo si designò come Sanmon (山門, Ordine della montagna, con riferimento al Monte Hiei) rivendicando Ennin come punto di riferimento, il Miidera si denominò Jimon (持門, Ordine del tempio, con riferimento al tempio Miidera) indicando Enchin come capostipite. La nomina di abate Tendai poteva venire da ambedue le sottoscuole, ma il fatto che tale nomina riguardò fino al 989 solo la Sanmon fu motivo di rivalsa per l'altra scuola. Ambedue le scuole arrivarono a confrontarsi con dei conflitti armati, istituendo la figura dei sōhei, monaci guerrieri pronti ad uccidere e ad incendiare i templi delle altre fazioni. La nomina ad abate di Ryōgen (良源, 912-985) nel 966, il quale cercò di restituire la dignità religiosa di un tempo alla scuola Tendai, ristabilendo principi e precetti, fu tuttavia destinata al fallimento. Così la nomina ad abate, nel 989, di Yokei (余慶, 919–991). appartenente alla scuola Jimon fu causa di ulteriori conflitti che finirono, nel 993, per procurare una divisione nella scuola Tendai dove la sottoscuola Jimon elevò il Miidera a sua sede principale, lasciando il Monte Hiei. Le due scuole finirono più volte anche nell'allearsi per guerreggiare con gli sōhei della scuola Hossō. Occorrerà aspettare il periodo Kamakura per un risveglio spirituale del Tendai, quello che poi porterà numerosi monaci di questa scuola a fondare nuove scuole. Tra questi monaci vanno ricordati: Eisai, Dōgen, Hōnen, Shinran e Nichiren, tutte figure religiose che risentiranno profondamente delle dottrine insegnate sul Monte Hiei.

La pratica dello shikan (止觀)

Alla base delle pratiche meditative della scuola Tendai si pone la tecnica dello shikan (止觀), che si riferisce alla tecnica meditativa indiana del śamatha-vipaśyanā così come insegnata nella scuola buddhista cinese Tiāntái la quale a sua volta fa particolare riferimento alle opere Móhē Zhǐguān (摩訶止觀, Grande trattato di calma e discernimento, giapp. Maka Shikan, T.D. 1911) e Tóngméng Zhǐguān (童蒙止觀, Trattato di calma e discernimento per principianti; in giapponese 小止観 Shō Shikan, Piccolo trattato di calma e discernimento; T.D. 1915) di Zhìyǐ dove questa pratica meditativa viene descritta. Tale pratica meditativa permetterebbe, secondo questa scuola, di penetrare la Triplice verità (giapp. enyū santai) e raggiungere l'illuminazione (sans. bodhi, giapp. bodai) risolvendo tutte le ambiguità della propria presenza nel mondo senza dover rinviare tale risposta ad una divinità trascendente (sans. deva, giapp. tennin (天人); critica già operata nel Buddhismo dei Nikāya), senza dover rifuggire il mondo delle illusioni e della vita ordinaria (sans. saṃsāra, giapp. 輪廻 rinne; critica nei confronti del Buddhismo Hīnayāna) e senza dover contemplare la vacuità della Verità assoluta rinunciando alla propria soggettività (critica ad alcune scuole del Mahāyāna). Lo shikan prevede l'applicazione costante e coordinata dei suoi due aspetti (śamatha e vipaśyanā) in quanto, sostiene Zhìyǐ): «Praticare la concentrazione soltanto senza tenere in considerazione il discernimento produce ottusità, praticare il discernimento senza tenere in considerazione la concentrazione produca infatuazione, e anche se questi sono difetti relativamente minori, contribuiscono a generare opinioni errate». Quindi secondo Zhìyǐ bisogna praticare il śamatha-vipaśyanā (shikan) insieme: «similmente alle due ruote del carro e alle due ali di un uccello. Praticarli parzialmente è male». Inoltre lo «shikan - sostiene ancora Zhìyǐ- è facile da predicare ma molto difficile da praticare».

La disciplina monastica nel Tendai

Dal punto di vista della disciplina monastica, la scuola Tendai (come anche le scuole Zen) segue solo i 58 precetti mahayana indicati nel Brahmājālasūtra (cin. 梵網經 Fànwǎng jīng, giapp. Bonmō kyō). In questo si differenzia dalla scuola cinese Tiāntái che invece segue la doppia ordinazione, quella del vinaya Dharmaguptaka, il Cāturvargīya-vinaya (Quadruplici regole della disciplina, 四分律 pinyin: Shìfēnlǜ, giapp. Shibunritsu) e quella indicata nel Brahmājālasūtra. Tale scelta Tendai origina dal suo stesso fondatore, il monaco Saichō che pur avendo ricevuto lui stesso la doppia ordinazione nel tempio Tōdai-ji (東大寺) decise di impartire solo quella mahāyāna ai suoi successori.

Il lignaggio Tendai

  • Patriarchi cinesi del Tiāntái: 1. Huìwén (慧文, V sec.) 2. Huìsī (慧思, 515-577) 3. Zhìyǐ (智顗, 538-597) 4. Guàndǐng (灌頂, 561-632) 5. Zhìwēi (智威?-680) 6. Huìwēi (慧威, 634-713) 7. Xuánlǎng (左溪, 673-754) 8. Zhànrán (湛然, 711-782) 9. Dàòsuì (道邃, n.d.).
  • Patriarchi (座主, zasu) giapponesi: 1. Saichō (最澄, 767-822) 2. Gishin (義眞, 781–833) 3. Encho (圆澄, 771-836) 4. Ennin (圓仁, 794-864) 5. Enchin (圆珍, 814 – 891)




domenica 21 ottobre 2018

Vaiśravaṇa

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Vaiśravaṇa — dal sanscrito "colui che ode distintamente", pāli Vessavaṇa, cinese Weishamen-tian (畏沙門天, Wèishāmén Tiān) o Duowen-tian (多聞天, 多闻天, Duō Wén Tiān), giapponese Tamon-ten (多聞天) o Bishamon-ten (畏沙門天), coreano Damun Cheonwang (다문천왕), tibetano rnam.thos.sras — è il più importante dei Quattro Re Celesti del Buddhismo, equivalente del dio induista Kubera.

Attributi

La figura di Vaiśravaṇa è basata sulla divinità indù Kubera, ma ha assunto nella tradizione buddhista caratteristiche ed epiteti autonomi, con propri significati e propri miti; inoltre, in molti paesi anche non a maggioranza buddhista, la sua figura è stata assimilata dalla religione popolare, generando culti e miti locali.

Buddhismo Mahāyāna

Nel buddhismo Mahāyāna, Vaiśravaṇa è il guardiano del Nord, ed ha dimora nel quadrante nord dello strato più alto della parte inferiore del Monte Sumeru, da dove regna sugli yakṣa che abitano le pendici del Monte Sumeru.
È spesso ritratto con la faccia giallastra, con un ombrello o parasole (chatra, simbolo di regalità), talvolta al fianco di una mangusta (che si ciba di serpenti, simbolo di avidità e odio), e spesso con gioielli che fuoriescono dalla sua bocca (simbolo di generosità).

Buddhismo Theravāda

Nel Canone Pali della tradizione Theravāda, Vaiśravaṇa è indicato col nome "Vessavaṇa", e regna, come membro dei Quattro Re Celesti (Cātummahārājāno), il quadrante Nord; secondo alcuni sutta, il suo nome deriva dal regno di Visāṇa. Vessavaṇa governa inoltre sul popolo degli yakkha. La sua famiglia è composta dalla moglie Bhuñjatī, e da cinque figlie, Latā, Sajjā, Pavarā, Acchimatī, e Sutā; ha anche un nipote yakkha, Puṇṇaka, sposo della nāga Irandatī. Il suo carro è chiamato Nārīvāhana, e la sua arma era il gadāvudha (in sanscrito gadāyudha), ma vi ha rinunciato aderendo alla fede buddhista.
Secondo alcune versioni, "Kuvera" (sanscrito Kubera) era il suo nome nella sua vita mortale, in cui era un ricco brahmino che diede in beneficenza tutta la produzione di uno dei suoi sette mulini, garantendo il sostentamento dei bisognosi per i successivi ventimila anni; come ricompensa per il buon kamma (sanscrito karma) si reincarnò nel paradiso Cātummahārājikā.
Secondo un'altra tradizione, Vessavaṇa non è un nome di persona ma un titolo vitalizio, concesso di volta in volta a un mortale, ma essendo questi un abitante del Cātummahārājika la sua aspettativa di vita è di circa 90.000 anni (secondo altre fonti fino a nove milioni di anni); il Vessavaṇa di turno è incaricato di assegnare agli yakkha i luoghi da proteggere sulla terra (ad esempio laghi o foreste). Secondo alcuni, il posto di Vessavaṇa è occupato dallo yakkha Janavasabha, reincarnazione del re di Magadha Bimbisāra.
Alla nascita di Gautama Buddha, Vessavaṇa divenne suo seguace, giungendo allo stadio di sotāpanna (sanscrito srotaāpanna), cioè a sole sette reincarnazioni dall'illuminazione. Spesso agiva come intermediario portando al Buddha messaggi da parte delle divinità, ma anche da protettore; ad esempio insegnò al Buddha e ai suoi seguaci i versi Āṭānāṭā, che i buddhisti in meditazione nelle foreste possono usare per proteggersi dagli attacchi degli yakkha e delle altre creature soprannaturali.
Agli inizi del buddhismo, a Vessavaṇa erano dedicati come altari degli alberi, ed era venerato da coloro che desideravano concepire figli.

Buddhismo tibetano

In Tibet, Vaiśravaṇa è considerato un dharmapāla, cioè protettore della fede (dharma), oltre al suo ruolo classico di Re del Nord, ed è anche una divinità della ricchezza.
Le sue rappresentazioni si trovano spesso sugli ingressi dei templi; in esse regge un cedro, frutto del jambhara, il cui nome rimanda ad un altro suo nome, Jambhala (pronunciato come Zambala in tibetano) e che aiuta a distinguere le sue raffigurazioni da quelle di Kubera. Inoltre spesso è rappresentato come corpulento e ricoperto di gioielli, e quando è raffigurato seduto il suo piede destro è a terra poggiato su un fiore di loto insieme a una conchiglia.
Secondo i buddhisti di scuola tibetana l'associazione di Jambhala con la ricchezza è un mezzo per portare alla liberazione, fornendo prosperità in modo da consentire di concentrarsi sul cammino della spiritualità invece che sulle problematiche materiali.



Giappone

In Giappone, Bishamonten (anche solo "Bishamon") è un dio della guerra e dei guerrieri, punitore dei malvagi, tradizionale custode dei templi shinto, generalmente rappresentato in armatura, con una lancia in una mano ed intento a sorreggere con l'altra mano una pagoda dorata rappresentante il forziere divino, il cui contenuto egli al contempo protegge e distribuisce.
È anche noto come Tamonten (anche solo "Tamon"), che significa "colui che ascolta molti insegnamenti", poiché è considerato protettore dei luoghi in cui il Buddha ha predicato. La sua dimora è a metà delle pendici del Monte Sumeru.
Nello Shintō, egli è una delle Sette Divinità della Fortuna.



sabato 20 ottobre 2018

Karuta

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Karuta (かるた) è un nome generico che in Giappone designa sia i mazzi di carte tradizionali sia vari giochi con le carte.
La storia del karuta è ampiamente documentata nel Museo Municipale delle Carte da Gioco Miike a Omuta, nella prefettura di Fukuoka, dove esiste una mostra permanente della storia delle carte in Giappone.

Storia

Le carte da gioco vennero introdotte in Giappone alla metà del XVI secolo dai mercanti portoghesi durante gli scambi commerciali, karuta è la deformazione della parola europea che designa le carte.
In precedenza erano diffusi sul territorio giochi da tavolo di diverso genere, quasi tutti di origine cinese, come il domino, che sopravvissero fino alla fine del XVIII secolo. Vi erano inoltre altri giochi di sviluppo locale fatti con le conchiglie o i sassi, risalenti al periodo Kamakura, tra questi ultimi alcuni, come l'iroha karuta, furono gradualmente adattati alle carte a metà del XVII secolo.
La progressiva introduzione tra la popolazione dei giochi di carte e il seguente periodo di isolamento del Giappone durante lo shogunato Tokugawa, caratterizzato dall'isolamento derivante dalla politica separatista detta Sakoku, comportò una separazione del paese dal resto del mondo occidentale e fece sì che la configurazione originale del mazzo e dei semi, che fu bandita proprio durante lo shogunato, si modificasse progressivamente, divenendo più affine alla cultura nipponica. Questo fenomeno provocò una significativa divergenza tra i mazzi e i giochi praticati, ovvero tra quelli che usavano le carte di derivazione portoghese, diversi dall'originale, ma ad essi rassomiglianti, e quelli sviluppati completamente ex-novo, questi ultimi erano definitivi eawase (絵合 lett. "Gara artistica").

Karuta di derivazione portoghese

Mekuri Karuta

Si tratta del primo mazzo "autoctono" sviluppato in Giappone, esso deriva dal cosiddetto mazzo Taisho, così denominato a seguito del periodo di introduzione (1573-1592), quest'ultimo era stato realizzato a partire da quello portoghese e prevedeva un set di semi composto da coppe, bastoni, denari e spade e dalle tre figure umane.
Con la proibizione da parte dello Shogun del mazzo occidentale, venne sviluppato un complesso sistema di simboli astratti differenti dai semi occidentali, ma che fossero ad esso associabili, questi mazzi e simboli eranodetti mekuri karuta.
Quasi tutti i mazzi sviluppati con questi simboli sono andati persi durante il XX secolo perché non più utilizzati, si ha traccia solo di:
Komatsufuda (小松札)
perché ancora utilizzato nel gioco del kakkuri, praticato a Yafune, nella prefettura di Fukui.
Kabufuda (株札)
simile al precedente e utilizzato principalmente nei giochi d'azzardo, in quest'ultimo solo i 10 sono figure, mentre tutte le altre carte sono simboli astratti. Uno dei giochi ancora praticati con questo mazzo è oicho-kabu.

Unsun Karuta

Questo mazzo composto da 75 carte venne sviluppato alla fine del XVII secolo come derivazione dei mazzi portoghesi. È molto somigliante all'originale, con gli stessi semi di coppe, bastoni, spade e denari, ciascuno dei quali possiede 15 carte per seme di cui 6 figure; particolarità del mazzo è di avere delle carte con dei draghi, questa caratteristica deriva dai mazzi originari portoghesi, dove l'asso era raffigurato con un dragone, nel mazzo Unsun, però, assi e draghi sono due carte distinte. Il valore delle carte varia a seconda del gioco che si sta praticando.
Il mazzo unsun karuta è ancora utilizzato, in particolare a Hitoyoshi, nella prefettura di Kumamoto, dove è tutt'oggi praticato un gioco di carte denominato hachinin-meri, derivante dal Guritipau un gioco analogo a Ombre; tutti questi giochi seguono delle regole particolari che si pensa risalgano agli albori dei giochi di carte e sono comuni ai più antichi.
Giochi praticati: hachinin-meri

Harifuda

Il mazzo Harifuda (張札) è composto da un set di 7 semi numerati con numeri cinesi da 1 a 6 per un totale di 42 carte. Viene utilizzato per giochi di intuito e fortuna nei quali il giocatore cerca di indovinare quale carta abbia l'avversario in mano o nel proprio mazzo.

Hanafuda

Il mazzo hanafuda (花札 lett. "Mazzo dei fiori") a volte chiamato anche hanakaruta (lett. "Carte dei fiori") è un complesso set sviluppato a partire da quello originale portoghese. Anziché avere 4 semi ne ha 12 e per ogni seme ci sono 4 carte per un totale di 48.
I 12 semi rappresentano i mesi dell'anno e hanno come seme un albero o un fiore, si gioca facendo degne accoppiate tra vari tipi di semi, tra le carte con nastri oppure quelle con poesie secondo una complessa tabella di abbinamenti.
Giochi praticati: koi-koi.

Eawase Karuta

Uta karuta

Il mazzo uta-karuta (歌ガルタ lett."Carte delle poesie"), a volte scritto anche uta-garuta è un mazzo composto da carte che rappresentano le 100 uta (poesie) scritte sottoforma di tanka (ovvero composte da cinque versi per un totale di trentuno sillabe) dell'Hyakunin Isshu.
Il mazzo uta karuta è quindi composto da 200 carte, le carte di lettura, contenenti il primo pezzo della poesia sono dette yomifuda (読札), mentre le seconde tra cui deve scegliere il giocatore sono dette torifuda (取り札).
L'origine dell'Uta Karuta risale ai primi del Seicento e si tratta di un adattamento di un gioco preesistente chiamato uta awase (lett. "Combinazione di poesie"), praticato dalla nobiltà tramite conchiglie marine su cui era dipinto il testo di una poesia, i versi rimanenti erano su una seconda, la quale nel gioco doveva essere correttamente combinata con la prima.
L'introduzione del legno e della carta come supporti ha contribuito molto alla diffusione del mazzo e del gioco omonimo che viene praticato in tutto il Giappone soprattutto a Capodanno; persino le scuole ne indicono spesso dei tornei. Le carte contenenti i finali delle poesie vengono sparse davanti ai giocatori mentre le altre le raccoglie un lettore che le legge una alla volta, prendendole a caso. Il primo giocatore che prende tra le carte sparse quella che contiene la fine della poesia che il lettore sta leggendo, si aggiudica la carta. Vince chi alla fine è riuscito ad accaparrarsi più carte.
Esistono vari campionati di uta karuta in tutto il Giappone, compreso uno nazionale che si svolge ogni gennaio al Tempio di Omi, un tempio shintoista situato a Otsu, nella prefettura di Shiga.
Giochi praticati:
  • uta karuta;
  • bouzu mekuri (坊主めくり);
  • iro kamuri;

Varianti

Ita karuta
Ita karuta (板かるた) è un mazzo, variante del uta karuta, che viene utilizzato solo in Hokkaidō e nel quale le torifuda sono realizzate in legno. Viene utilizzato per giocare a shimo-no ku karuta dove, al contrario del gioco tradizionale, viene letta la seconda parte delle poesie e si deve scegliere correttamente la prima.

Iroha Karuta

Il mazzo di roha karuta (いろはかるた lett. "Carte sillabiche") contiene 96 carte, 48 contengono un proverbio, le altre 48 contengono una scenetta che rappresenta il proverbio, con in alto la sillaba iniziale. Sono rappresentate tutte le sillabe della filastrocca (irohanihoheto chirinuruwo wakayotareso tsunenaramu uwinookuyama kefukoete asakiyumemishi wehimosesu) che i giapponesi usano ancora oggi per imparare l'alfabeto sillabico hiragana, più la sillaba cinese KYÔ. La filastrocca e le carte, essendo di origini antiche, seguono un ordinamento diverso da quello odierno, detto, appunto, iroha, contiene inoltre 2 sillabe ormai desuete nel giapponese moderno: wi () e we (). Ogni sillaba è l'iniziale di uno dei proverbi. Le carte con la frase scritta vengono distribuite tra i giocatori. Uno di essi scoprirà una alla volta le carte con i disegni. Chi possiede il proverbio corrispondente alla scenetta sorteggiata, dovrà recitarlo ad alta voce. Perde chi rimane con l'ultima carta in mano.
Le varianti dell'iroha karuta che si trovano in giro per il territorio Giapponese fanno riferimento ai vari dialetti locali nei quali si pronuncia e scrivono i proverbi di riferimento.
Giochi praticati:
  • Kamigata (la più antica, soppiantata poi dalla Edo)
  • Edo (la variante più diffusa e conosciuta)
  • Owari (in voga alla fine del XIX secolo, ormai desueta e soppiantata dalla Edo)

Varianti

Obake karuta
Questa variante ormai desueta dell'iroha karuta era diffusa solamente nell'area di Tokyo, le sue carte contenevano le sillabe dell'hiragana e raffiguravano elementi della mitologia giapponese tradizionale (il suo nome significa infatti "carte dei mostri"). In questa variante la vittoria va a chi riesce a collezionare più carte possibili del mazzo.

Goita

Goita (ごいた) è un gioco tradizionale completamente diverso dai precedenti e che segue dinamiche particolari di aiuto-difesa. È praticato solamente a Noto, nella prefettura di Ishikawa, e ormai quasi scomparso.
Deriva dal gioco tradizionale dello shogi in cui i pezzi sono mutati in carte; questo gioco era popolare e praticato sul finire del XIX secolo, successivamente il numero di carte utilizzate in origine, 40 o 42, si è ridotto alle 32 della versione attuale.

venerdì 19 ottobre 2018

Yūryaku

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Yūryaku (雄略天皇, Yūryaku Tennō, o nella sua epoca Ohatsuse-Wakatake(ru)(-no-) Ōkimi; 418 circa – Sakurai, settimo giorno dell'ottavo mese del 479 (Kibi)) è stato il ventunesimo Imperatore del Giappone secondo la lista tradizionale di successione.
Nessuna data certa può essere assegnata al suo regno, ma si ritiene che abbia governato nella seconda metà del V secolo d.C.
Gli eventi e le date che lo riguardano sono riportate negli Annali del Giappone (Nihongi 日本紀) e nelle Cronache degli antichi eventi (Kojiki 古事記), testi che furono compilati all'inizio dell'VIII secolo.

Biografia

Secondo il Kojiki ed il Nihonshoki, l'imperatore Yūryaku alla nascita ebbe il nome di principe Ohatsuse Wakatake. Fu il quinto e più giovane figlio dell'imperatore Ingyō. Tre mesi dopo l'assassinio del fratello maggiore, l'imperatore Ankō, e dopo aver vinto la lotta per il trono contro gli altri fratelli, divenne il nuovo sovrano.
Yūryaku non regnò con l'attuale titolo imperiale di "sovrano celeste" (tennō 天皇), che secondo buona parte della storiografia fu introdotto per il regno dell'imperatore Temmu. Il suo titolo fu "grande re che governa tutto quanto sta sotto il cielo" (Sumeramikoto o Amenoshita Shiroshimesu Ōkimi 治天下大王), oppure anche "grande re di Yamato" (ヤマト大王/大君).
I clan dell'antica provincia di Yamato, che corrisponde all'attuale prefettura di Nara, costituirono il regno che, nel periodo Kofun (250-538), si espanse conquistando buona parte dei territori delle isole di Honshū, Kyūshū e Shikoku. A seguito di tali conquiste, ai sovrani di Yamato fu riconosciuto il titolo di "grande re" (Ōkimi 大王) di Yamato. Fu solo a partire dal VII secolo che il "grande regno" venne chiamato impero, ed il titolo di imperatore fu esteso a tutti i sovrani precedenti della dinastia.
Secondo il Kojiki, Yūryaku governò dal tredicesimo giorno dell'undicesimo mese del 456 (Heishin) fino alla sua morte nel settimo giorno dell'ottavo mese del 479 (Kibi). Le iscrizioni nelle spade ritrovate in alcuni tumuli (kofun), indicano che il suo nome fu grande re (Ōkimi) Waka Takeru. Yūryaku fu il nome assegnatogli postumo in un un'era successiva.
Quando salì al trono, spostò la corte nel nuovo palazzo Hatsuse no Asakura che fece costruire a Sakurai, la stessa città dove aveva sede il palazzo di Ankō, secondo la tradizione che vedeva di cattivo auspicio per un imperatore giapponese risiedere nello stesso palazzo del defunto predecessore.
Di carattere mutevole e violento, il sovrano fu temuto a corte e dai suoi sudditi, che diverse volte fece uccidere per motivi di scarsa importanza. Tra gli altri, fece bruciare viva per infedeltà una concubina, principessa di Baekje, mandata dal sovrano di quel regno per cementare l'alleanza tra i due stati.
Durante il regno di Yūryaku, il regno coreano di Silla era tributario di Yamato, ma da otto anni non versava quanto doveva. Per riaffermare la supremazia ed ottenere i tributi, nel 465 Yūryaku inviò un'armata a proteggere Silla dall'invasione delle truppe del regno settentrionale di Goguryeo. La spedizione ebbe successo ma Silla continuò l'insubordinazione, così che l'anno successivo l'esercito di Yamato invase il regno e ristabilì l'ordine.
Nel 469, Yūryaku fece sopprimere una rivolta nella provincia di Harima e, nel 474, quella scoppiata nella provincia di Ise.
Secondo gli annali cinesi della sua epoca, è ipotizzabile che Yūryaku fosse conosciuto in Cina come re Bu del regno di Wa, il nome con cui il regno di Yamato veniva chiamato in Cina. Tali fonti riportano che re Bu tra il 477 ed il 478 inviò degli ambasciatori nei Regni del Sud della Cina, alle corti della dinastia Liu Song, della dinastia Qi meridionale e della dinastia Liang. Oltre a chiedere supporto militare per difendere il regno coreano tributario di Baekje dalla minaccia dell'altro regno coreano di Goguryeo, ottenne dai tre imperatori il riconoscimento della sua sovranità sul regno di Yamato. Secondo altre fonti re Bu era il sovrano Muryeong di Baekje.
Yūryaku è stato anche un letterato, alcune delle poesie a lui attribuite sono comprese nell'antico testo Man'yōshū (万葉集 - Raccolta di diecimila foglie) ed alcuni dei suoi versi sono riportati anche nei Nihonji e nei Kojiki. Sempre nei Nihonji, viene anche ricordato per aver incoraggiato e diffuso la bachicoltura nel paese.
Nel 478, Yūryaku nominò il figlio principe Shiraka erede al trono. Alla morte dell'imperatore, avvenuta l'anno dopo nel palazzo di corte, l'altro figlio, il principe Hoshikawa, si rese protagonista di una rivolta per diventare il nuovo sovrano, ma i generali dell'esercito, fedeli ai voleri di Yūryaku, bruciarono vivi i ribelli, asserragliatisi nel palazzo del tesoro, e Shiraka divenne imperatore con il nome di Seinei.
Non si sa dove siano conservate le spoglie di Yūryaku, che viene venerato nel mausoleo Tajii no Takawashi-hara no misasagi di Osaka, a lui dedicato.

Genealogia

Sposò come prima moglie l'imperatrice Kusaka no Hatabihime, che non gli diede figli. Ebbe altre tre consorti:
  • Katsuragi no Karahime (葛城韓媛), gli diede due figli: il principe Shiraka (白髪皇子), che sarebbe divenuto l'imperatore Seinei (444?-484), e la principessa Takuhatahime (栲幡姫皇女) (?-459)
  • Kibi no Wakahime (吉備稚媛), gli diede i due principi Iwaki (磐城皇子) e Hoshikawa no Wakamiya (星川稚宮皇子) (?-479)
  • Wani no Warawakimi (和珥童女君), gli diede la principessa Kasuga no Ōiratsume (春日大娘皇女), che avrebbe sposato l'imperatore Ninken.



giovedì 18 ottobre 2018

Hosokawa Tamako

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Hosokawa Tamako (giapponese: (細川玉?), o Garasha (ガラシャ?); 1563 – 17 luglio 1600) fu una nobile giapponese convertita al cristianesimo.

Biografia
Tamako nacque secondogenita di Akechi Mitsuhide, samurai che serviva sotto lo stendardo di Oda Nobunaga. Si diceva fosse bellissima e a quindici anni fu data in sposa a Hosokawa Tadaoki, sotto consiglio di Nobunaga. Dall'unione nacquero due figli.
Nel 1582 Akechi tradì e uccise Nobunaga al tempio di Honnoji, per poi essere sconfitto alla battaglia di Yamazaki dalle forze di Toyotomi Hideyoshi. La famiglia di Akechi fu completamente sterminata e Tamako, unica sopravvissuta, fu subito identificata come "la figlia del traditore". Non volendo gettare discredito sulla famiglia, ma per nulla intenzionato a rinunciare a una simile bellezza, Tadaoki non divorziò da Tamako, ma la confinò fino al 1584 nel suo palazzo di Osaka.
Durante il periodo di confino, Tamako divenne amica di diverse dame cristiane e fu iniziata a tale religione da Takayama Ukon. Nel 1587 si fece battezzare col nome di Grazia (giapponesizzato in Garasha). Quando Tadaoki seppe della conversione lo considerò un vero e proprio affronto e le ingiunse di abiurare, ma ricevette un secco rifiuto. Dovette quindi cedere, sapendo che inoltre Tamako aveva convinto a convertirsi al cristianesimo anche la suocera.
Alla morte di Hideyoshi, Tadaoki non cercava che un pretesto per potersi schierare dalla parte di Tokugawa Ieyasu e fu proprio Tamako ad offrirglielo. Essendo ad Osaka, Tamako avrebbe dovuto risiedere al castello, come pegno di fedeltà da parte della famiglia Hosokawa. Tuttavia, quando Ishida Mitsunari glielo chiese, Tamako oppose resistenza, fino a farsi uccidere da un servo (essendo cristiana, non poteva suicidarsi) per sfuggire alla cattura. Ancora non si sa se l'ordine è stato suo oppure del marito.

Nella letteratura
Tamako è stata il modello di James Clavell per uno dei principali personaggi di Shogun, Toda Mariko. Anch'ella è cristiana e viene definita "figlia del traditore", anche se si sa per certo che Tamako non ha mai avuto storie d'amore con William Adams (nel romanzo chiamato John Blackthorne), il primo inglese sbarcato in Giappone.

Nella musica
Hosokawa Grazia è un'opera lirica in tre atti, la prima scritta in lingua giapponese. Fu composta dal missionario e musicista salesiano don Vincenzo Cimatti. Nata originariamente come dramma lirico in parole e canto, venne rappresentata per la prima volta nel 1940. Successivamente venne riformulata integralmente in musica e rappresentata negli anni 1960, 1965, 1966, 1967, 1989, 2004.


mercoledì 17 ottobre 2018

Dīgha Nikāya

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Il Digha Nikaya (dīghanikāya, "Raccolta dei discorsi lunghi") è una scrittura buddhista, il primo dei cinque Nikaya, o collezioni, del Sutta Piṭaka, che - a sua volta - è uno dei "tre canestri" che compongono il Tipitaka: il Canone pāli del buddhismo theravada. Alcuni dei sutta più noti del Digha Nikaya, sono: il Maha-parinibbana Sutta (DN 16), che descrive gli ultimi giorni e la morte del Buddha, il Sigalovada Sutta (DN 31) in cui il Buddha discute di etica e pratiche per i seguaci laici, e Samaññaphala (DN 2) e Brahmajala Sutta (DN 1) che descrivono e mettono a confronto il punto di vista del Buddha, rispetto a quello di altri asceti dell'India del quinto secolo a.C., in particolare sui temi dell'Universo e del tempo (passato, presente e futuro). Infine Potthapada Sutta (DN 9), che descrive i benefici e la pratica della meditazione śamatha.

I 34 discorsi
Tre gruppi
Il Digha Nikaya è composto da 34 discorsi, suddivisi in tre gruppi:
  • Silakkhandha-Vagga - Il Gruppo della moralità (sutta 1-13), prende il nome da un trattato sulla moralità dei monaci che viene illustrata in ciascuno dei suoi sutta, nella maggior parte degli insegnamenti conduce agli stati jhanici (jhana), obiettivo della meditazione śamatha, alla coltivazione dei poteri psichici e all'ottenimento dello stato di Arahant.
  • Maha-Vagga (sutta 14-23)
  • Patika-Vagga (sutta 24-34)

I discorsi del primo gruppo (Silakkhandha-Vagga)
1. Brahmajala Sutta (Jala): 62 punti di vista sbagliati
2. Samannaphala Sutta (Samanna): il re Ajatasattu di Magadha chiede al Buddha quali sono i benefici in questa vita di chi intraprende la strada del samana (il più delle volte tradotto come "solitario"). La risposta del Buddha è un invito a diventare Arahant.
3. Ambattha Sutta (ambaṭṭha): Ambattha il bramino è inviato dal suo maestro per verificare se il Buddha possiede i 32 marchi corporei, ma è scortese con il Buddha per motivi di casta, il Buddha risponde che egli è in realtà superiore di nascita rispetto a Ambattha, perché la società considera i Brahmini inferiori agli Aristocratici, mentre il Buddha considera la saggezza superiore a nobili natali.
4. Sonadanta Sutta (Sonadanda): il Buddha chiede a Sonadanda il bramino quali sono le qualità che rendono una persona un bramino; Sonadanda ne definisce cinque, ma il Buddha le riduce a due: morale e saggezza.
5. Kutadanta Sutta (kūṭadanta): Kutadanta il bramino chiede al Buddha come si esegue un sacrificio. Il Buddha racconta una delle sue vite passate, quando era cappellano di un re, dove si facevano offerte, senza uccidere animali. Kutadanta chiede se ci sono sacrifici migliori, e il Buddha raccomanda la protezione nei Tre Rifugi e il rispetto dei cinque precetti.
6. Mahali Sutta (Mahali): in risposta a una domanda sul motivo per cui un certo monaco ha visioni divine, ma non sente suoni divini, il Buddha spiega che è a causa del modo in cui pratica la meditazione.
7. Jaliya Sutta (Jaliya): due bramini chiedono se l'anima e il corpo sono uguali o diversi, il Buddha di contro chiede loro se pensano che, una persona che abbia percorso la via della liberazione, debba porre simili domande.
8. Kassapa Sihanada Sutta (Sihanada): La parola significa letteralmente "il ruggito del leone": questo discorso riguarda l'ascetismo.
9. Potthapada Sutta (Potthapada): Il Buddha spiega la causa del sorgere di saññā, di solito tradotto come percezione.
10. Subha Sutta: Ananda spiega il Sentiero
11. Kevaddha Sutta (kevaḍḍha): Kevaddha chiede al Buddha perché non cerca di convincere nuovi discepoli con i miracoli, il Buddha spiega che la gente dovrebbe semplicemente respingere queste magie.
12. Lohicca Sutta: sugli insegnanti buoni e cattivi.
13. Tevijja Sutta: Unione con Brahma: il Buddha spiega i quattro Brahma Viharas.
I discorsi del secondo gruppo (Maha-Vagga)
14. Mahapadana Sutta (mahāpadāna): racconta la storia di una vita di un Buddha del passato, fino alla sua illuminazione. Simile a quella del Buddha attuale.
15. Maha nidana Sutta (nidana): Origine dipendente.
16. Maha Parinibbana Sutta (nibbāna): Gli ultimi mesi di vita del Buddha, la sua morte, il funerale e la distribuzione delle reliquie.
17. Mahasudassana Sutta: storia di una delle vite precedenti del Buddha, come re.
18. Janavasabha Sutta: Re Bimbisara del Magadha, rinato come il dio Janavasabha, dice al Buddha che il suo insegnamento ha portato un gran numero di persone a rinascere come divinità.
19. Maha-Govinda Sutta: storia di una vita passata del Buddha.
20. Mahasamaya Sutta: lunga lista degli dei che vengono a onorare il Buddha.
21. Sakkapanha Sutta (Panha): Domande e risposte del Buddha a Sakka, signore degli dei (una versione buddhista di Indra)
22. Maha Satipatthana Sutta (Patthana): uno dei sutta più importanti per chi medita: i quattro pilastri della consapevolezza. È alla base della tradizione laica birmana di meditazione vipassana. Recitato al momento del trapasso.
23. Payasi Sutta (pāyāsi-) o Payasi Rajanna Sutta (rājañña): Il dialogo tra il principe scettico del titolo e un monaco.

I discorsi del terzo gruppo (Patika-Vagga)
24. Patika Sutta (Patika) o Pathika Sutta (pāthika): Un monaco ha lasciato l'ordine, perché si dice deluso del fatto che il Buddha non fa miracoli.
25. Udumbarika Sihanada Sutta o Udumbarika Sutta: un altro discorso sull'ascesi.
26. Cakkavatti Sihanada Sutta o Cakkavatti Sutta: storia del declino dell'umanità dall'età dell'oro ai giorni del Buddha.
27. Agganna Sutta (aggañña): un'altra storia sul declino dell'umanità.
28. Sampasadaniya Sutta (pasādaniya o pasādanīya): Sariputta loda il Buddha.
29. Pasadika Sutta (pāsādika): la risposta del Buddha alla notizia della morte del suo rivale, il fondatore del giainismo.
30. Lakkhana Sutta (lakkhaṇa): illustra le azioni del Buddha nelle sue vite precedenti e descrive le pratiche di un bodhisattva (forse la prima descrizione di questa importante figura)
31. Singalovada Sutta (siṅgālovāda), Singalaka Sutta o Sigala Sutta: tradizionalmente considerato come il vinaya laico.
32. Atanatiya Sutta (Āṭānāṭiya): Una divinità offre una poesia al Buddha, per la protezione dagli spiriti maligni e crea un maṇḍala. Una versione di questo sutta è classificata come un tantra in Tibet e in Giappone
33. Sangiti Sutta (Sangati): Sariputta su richiesta del Buddha, enuncia una serie di elenchi disposti numericamente (Anguttara Nikaya).
34. Dasuttara Sutta: simile al precedente ma sono indicate dieci categorie, questo materiale è stato poi utilizzato anche nel Patisambhidamagga
Corrispondenza con Dīrgha Āgama
Il Digha Nikaya corrisponde in parte a Dīrgha Āgama del Sutra Pitikas sanscrito di varie scuole dei primi buddhisti. Una versione completa della Dīrgha Āgama della scuola Dharmagupta sopravvive nella traduzione cinese con il nome Chang Ahánjīng 长阿含经. Contiene 30 sutra anziché i 34 del Digha Nikāya Theravadin. Inoltre, alcune parti della Dīrgha Āgama sopravvivono nella scuola Sarvāstivādin in sanscrito e nella traduzione tibetana.

martedì 16 ottobre 2018

Akashita

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Un Akashita (赤舌 lett. "lingua rossa") è uno yōkai che appare nell'opera Gazu Hyakki Yagyō di Toriyama Sekien. Esso è stato disegnato come una bestia con mani artigliate e volto peloso, con la maggior parte del suo corpo nascosto da una nuvola nera sopra ad una diga. Nella sua bocca aperta c'è una grande lingua. Sekien non allegò all'immagine una nota esplicativa, quindi non è certo se esso fosse una sua creazione originale, ma potrebbe essere correlato allo shakuzetsujin (赤舌神 lett. "dio dalla lingua rossa") che custodisce la porta occidentale di Giove. Esso potrebbe essere legato anche allo shakuzetsunichi (赤舌日), che indica una giornata di sfortuna nell′Onmyōdō.

lunedì 15 ottobre 2018

Amitori-shiki

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Lo amitori-shiki (網取り式) o amitori hō (網取法) è un particolare metodo di caccia praticato in Giappone sin dal XVI secolo. Si ritiene che questo tipo di caccia sia stato sviluppato a Taiji, Wakayama da un cacciatore di nome Wada Kakuemon, a partire dalla tecnica precedente della caccia di gruppo (刺手組).



Descrizione
Grazie ad un particolare accorgimento consentiva di attaccare cetacei di grandi dimensioni che gli europei non osavano all'epoca ancora attaccare. Le balene venivano spinte in acque poco profonde, a non meno di 400 metri dal luogo previsto per la cattura. Delle barche, posizionate in tre punti precisi, si disponevano a gettare le reti in acqua. A un dato segnale del capo equipaggio, gli uomini facevano forza sui remi, allontanando le imbarcazioni e gettando nello stesso tempo le reti in acqua, che così si allargavano. I battitori forzavano il transito della balena verso un passaggio lasciato aperto tra le reti spaventandola con rumori assordanti, battendo ad esempio sul fianco della barca. La balena si gettava quindi tra le reti, venendo poi arpionata allorquando ritornava in superficie per respirare.


domenica 14 ottobre 2018

Tiger Hu Chen

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Tiger Hu Chen (cinese semplificato: 陈虎; cinese tradizionale: 陳虎; pinyin: Chén Hǔ) (Chengdu, 3 marzo 1975) è un artista marziale e attore cinese. Tiger Chen è pupillo di Yuen Wo Ping e maestro di Keanu Reeves, ha fatto anche da controfigura a Uma Thurman.


Biografia
Primi anni
Tiger Chen nasce il 3 marzo 1975 a Chengdu nella provincia di Sichuan, dove studia Kung Fu. All'età di 18 anni entra a far parte della Sichuan Wushu Team. Successivamente vince il National Youth Martial Arts Competition.
A 19 anni Tiger si trasferisce negli Stati Uniti, dove vive in una piccola baracca di legno studia jeet kune do jujitsu e karate. Rimembrando quel difficile periodo Tiger dichiarerà: "In Cina, almeno si può praticare il Kung Fu e partecipare a tornei di arti marziali, ma negli Stati Uniti, Vi troverete a passare la maggior parte del tempo a lavare i piatti e fare il facchino." Tiger divenne studente di Yuen Woo-ping nei primi anni 2000.

Carriera cinematografica
Nel 1998 Tiger debutta nel mondo del cinema come assistente coreografo di Yuen Wo Ping in Matrix, celebre film fantascientifico che vede come protagonisti attori del calibro di Keanu Reeves, Laurence Fishburne, Carrie-Anne Moss, Hugo Weaving, e Joe Pantoliano. Sul set ha avuto modo di diventare grande amico di Keanu Reeves.
Nello stesso periodo, Tiger è il coreografo delle scene di lotta in Charlie's Angels, Once in the Life (2000) e Kill Bill: Volume 1.
Tiger prese parte, interpretando un ruolo minore, in Matrix Reloaded, seconda pellicola della saga. Nel 2005 prende parte a House of Fury assieme a Anthony Perry, Gillian Chung, Stephen Fung e Charlene Choi. Nel 2012 il primo ruolo da protagonista in Kung Fu Man (2012) assieme a Vanessa Branch e Jiang Mengjie.
Dopo aver preso parte in numerose altre pellicole, sempre recitando ruoli minori, il 2013 è l'anno del film, ad ora più importante, e che ha fatto conoscere Tiger al grande pubblico, Man of Tai Chi, che vede il debutto alla regia del suo amico ed allievo Keanu Reeves, film in cui compaiono anche Karen Mok e Simon Yam



sabato 13 ottobre 2018

Kata

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Con il termine Kata (giapponese o , traducibile con forma, modello, esempio) si indica, nelle arti marziali giapponesi, una serie di movimenti codificati che rappresentano varie tecniche di combattimento in modo da evidenziarne i principi fondanti e le opportunità di esecuzione ottimali (spazio, tempo e velocità). L'espressione è l'equivalente del Taolu nelle arti marziali cinesi.
Queste forme sono il risultato di secoli di studio e codifica da parte dei grandi maestri: lo scopo primario di un Kata è infatti quello di tramandare la grande conoscenza acquisita agli allievi, poiché all'interno dei vari Kata è possibile trovare tutte le tecniche dell'arte marziale che si sta eseguendo. Sebbene lo scopo principale di un Kata sia prettamente didattico non è da sottovalutare anche il suo aspetto spirituale, secondo il quale il praticante vive il Kata facendo vibrare le corde più profonde del proprio corpo esercitando un forte autocontrollo sulla respirazione e ricercando la maggiore efficacia possibile nelle tecniche, armonizzando il tutto in un qualcosa che va oltre un semplice schema.
I Kata esistono nel Karate, nel Judo e all'interno della pratica di diverse scuole antiche di armi giapponesi come il Kobudo, lo Iaidō, il Jodo e la Naginata.
L'esercizio del Kata non si pratica solo nelle discipline marziali, ma in tutte quelle forme d'arte che abbiano come fine il Dō (, la "via"): si possono citare ad esempio lo Shodō, l'Ikebana, anticamente il Kado (composizione floreale) e il Chado. In tutte queste discipline ci si propone di fondere, attraverso la respirazione, la componente fisica e mentale eseguendo una predeterminata sequenza di gesti per raggiungere una più elevata condizione spirituale.
Ogni kata è composto da una serie di movimenti che ne costituiscono la caratteristica evidente, ma presenta altri elementi che sfuggono alla comprensione più immediata: i maestri che li hanno creati hanno spesso volutamente mascherato il significato di alcuni passaggi per evitare che altri se ne impadronissero. Per esempio i kata vennero mimetizzati in danze innocue nel periodo in cui ad Okinawa vigeva la proibizione di praticare le arti marziali.
Un particolare tipo di Kata è il Kata Bunkai: "Bunkai" significa letteralmente "smontare, fare a pezzi" e indica quindi l'applicazione del Kata alla realtà. Mentre i Kata possono essere eseguiti anche individualmente, il bunkai necessita di uno o più partner sui quali applicare le tecniche.


venerdì 12 ottobre 2018

Hirokazu Kobayashi

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Hirokazu Kobayashi (小林 裕和 Kobayashi Hirokazu; 14 febbraio 1929 – 28 agosto 1998) è stato un artista marziale giapponese. È stato l'allievo principale del fondatore dell'Aikido Morihei Ueshiba, detto Ōsensei (Gran Maestro). A sua volta è stato insegnante, in particolare in Occidente.

Biografia

Già dall'età di 7 anni, comincia a studiare karate, kendō e judo. A 15 anni, diventa un pilota kamikaze su una portaerei. Al momento del suo dislocamento, un difetto tecnico impedì al suo aereo di partecipare alla battaglia. I restanti membri dell'equipaggio persero la vita e, poco prima di poter fare un ultimo tentativo, la portaerei venne abbattuta da un sottomarino ed affondò. Kobayashi fu uno dei pochi sopravvissuti. Fu soccorso dopo essere rimasto in acqua per circa 4 giorni e gravemente ferito.

Aikido

Nel 1946, il suo insegnante di karate lo raccomandò ad Osensei Morihei Ueshiba, il fondatore della disciplina dell'Aikido. Perciò Hirokazu si recò a Tokyo. Incontrato e conosciuto Ueshiba, partecipa alla vita del dojo, conoscendo anche un altro uke, Morihiro Saitō, con cui Kobayashi dividerà il suo ruolo di sparring partner con Ueshiba. In questo periodo, Kobayashi preferì utilizzare il bokken piuttosto che servire come uke, avvicinandosi perciò all'aikiken, la lotta con la spada. Kobayashi descrive il lungo periodo al dojo di Ueshiba non solo dal punto di vista professionale di uke, ma anche come compagno e amico di Ueshiba al di fuori del dojo. Nel 1954, Kobayashi lasciò Tokyo e si diresse ad Osaka. 3 anni dopo, ottenne la qualifica come insegnante di Aikido. Nel 1964, ottenne il 7° dan. Nello stesso anno, avvenne per lui un cambiamento fondamentale: infatti, gli fu chiesto da Osensei in persona di insegnare, per la prima volta in assoluto, l'aikido in Europa. Kobayashi, dunque, si recò in Occidente e qui organizzò numerosi corsi in altrettanti Paesi, in particolare Francia, Germania, Belgio, Italia, Svizzera e Olanda.

Tecniche

Le sue tecniche vengono descritte come brevi, ma potenti e precise per mezzo di piccoli movimenti. Il tutto basato sul "Meguri", ovvero sfruttare i movimenti dei polsi attraverso la rotazione minima del corpo per ottenere il massimo risultato. In questo periodo, avrà numerosi allievi, da ogni parte del mondo e in particolare in Europa, che hanno continuato e continuano tuttora a divulgare il suo stile di aikido. Per esempio, possono essere citati: i francesi Andrè Cognard, Jean-François Riondet, Etienne Leman, Lucienne Berenger e Adrien Halm; gli italiani Giampietro Savegnago, Vincenzo Sicali, Giovanni Polimeno,Pietro Suriano, Nuccio Iuculano, Ezio Antonucci, Paolo Salvadego, Aldo Gonzato, Italo Taddeo, Giovanni Desiderio, Andrea Gelai, Simone Rolandi, Roberto Rossato ; i polacchi Jacek Wysocki e Robert Gembal; il panamense Gabriel Vega; lo spagnolo Felipe Garcia; il belga Yves Flon; i tedeschi Walter Oelschlaeger e Jürgen Rohrmann, Reinhard Czempik; lo statunitense Michael Jacyna; il portoghese leopoldo Ferreira; lo svizzero Jean-Marc Voegeli; gli indiani Avijit Mitra e Debabrata Saha e il colombiano Michèle Lasserre.
Come membro dell'Aikikai, la principale organizzazione per lo sviluppo dell'Aikido nel mondo riconosciuta dal governo giapponese nel 1940, non volle mai creare una propria scuola poiché voleva che l'aikido potesse essere per tutti e di tutti, senza distinzione di federazioni e scuole.
Kobayashi morì nell'agosto del 1998, dopo una lunga malattia. Prima di morire, diede il permesso ai suoi allievi di costituire scuole autonome, creando così il cosiddetto "Aikido Kobayashi".