L'arteterapia è un percorso di
appoggio e/o cura di indirizzo psichico. Questo tipo di tecnica con
risvolti terapeutici è nata attorno agli anni quaranta, e discende
da esperienze di psicoterapia dinamica e da pratiche dedotte
dall'applicazione della Psicoanalisi.
«L'esperienza estetica
affonda dunque le sue radici nel vissuto primario, quando è la
madre che dà forma e trasforma - seguendo Bollas - l'esperienza
interna ed esterna del neonato, prendendosi cura di lui in modi
specifici (lo sfama, lo lava, ecc.). Con la crescita questo
potenziale trasformativo viene poi riposto in altri oggetti
(oggetti-soggettivati) concreti o concettuali, investiti della
capacità di promuovere un profondo cambiamento del Sé;
l'esperienza artistica occupa in questo contesto un posto di primo
piano.»
|
L'arteterapia ieri e oggi
Per la musicoterapia e la teatroterapia
vi sono origini che risalgono all'antichità. All'epoca, le suddette
arti o le loro espressioni più coinvolgenti trovavano applicazione
nella cosiddetta "normalità". Un esempio fra i tanti è la
struttura del teatro greco che con i suoi rituali, ritmi e coro
costituiva un "appoggio arteterapeutico" di massa senza
esser stato studiato a tavolino per questo scopo, così come certi
canti militari strutturati in determinato modo servivano a togliere,
o meglio lenire, la paura dei combattenti allorquando si lanciavano
contro l'avversario. Fra i metodi utilizzati, quelli seguiti tramite
il travisamento dei partecipanti, presso la nazione delle 5
tribù, erano correlati ad una "situazione teatralizzata".
Di questi parla diffusamente Sigmund Freud nella prefazione delle
prime edizioni del libro Totem e tabù. Il saggio infatti
risente dell'influenza dei lavori dell'antropologo James George
Frazer, il cui studio è una delle basi su cui si basa la ricerca
riportata nel libro stesso. La tecnica citata di tipo "teatrale",
considerata come anticipazione della metodica psicoanalitica,
permetteva, anzi, invitava il combattente a convocare un "consiglio
degli uomini", nel caso fosse turbato da ansie anche
"incomprensibili". Tale consiglio ascoltava timori,
fantasie e quant'altro il "guerriero" potesse pensare
fossero per lui causa di turbamento e di stati angosciosi che
avrebbero, oltretutto, messo a rischio, a causa della sua scarsa o
nulla efficienza in determinate circostanze, la vita sociale. Tutti i
membri del Consiglio erano tenuti al silenzio, in caso contrario
sarebbero incorsi in un perpetuo ostracismo cioè all'allontanamento
dalla comunità di colui che avesse infranto tale norma. Si tramanda
che il guerriero dopo avere aperto il proprio animo al consesso, ne
provasse gran giovamento.
Nei manicomi arabi sembra fossero
applicate sedute di musicoterapia, mentre nel XIX secolo il dottor
Philippe Pinel (1745-1826) e discepoli introdussero tale tecnica
negli Istituti di cura europei per malattie psichiche. Ma è solo dal
1950 che l'arteterapia iniziò ad avere un suo peso
nell'appoggio/cura di stati psichici disturbati divenendo terapia
individuale per poi espandersi, laddove possibile, al gruppo, e
orientandosi con maggior vigore verso metodi di espressione non
verbale.
È utile ricordare che fino ad oggi
l'arteterapia, in Italia, è stata utilizzata come tecnica
riabilitativa e/o di sostegno con il fine di ridurre gli handicap
psicofisici di miglioramento delle capacità relazionali e di
inserimento di gruppo per personalità affette da patologia che va al
di là della nevrosi: è stata applicata da professionisti esperti
nei più diversi campi, che vanno dalla musica alla letteratura, non
arrivando mai alla psicoterapia in senso stretto, per mancanza di
istituzioni che selezionassero e formassero un arteterapeuta
professionalmente, con specifiche ed istituzionalizzate nozioni di
psicoterapia correlate alla loro applicazione col metodo dell'Arte.
Attualmente cominciano a sorgere scuole di questo tipo.
È necessario sottolineare la mancanza
di una figura che sappia riunire in modo coerente una solida
formazione psichiatrica-psicoanalitica con spiccate ed affermate,
anche se relative, si intende, qualità artistiche. In Gran Bretagna
tali interventi sono impostati da uno psicoanalista e/o psichiatra,
che oltre a possedere rilevanti attitudini artistiche, corredate con
bagaglio teorico necessario alla sua cosiddetta "spersonalizzazione
artistica", ha la capacità di elaborare in forma terapeutica
quanto può assorbire dalla seduta di arteterapia di gruppo e/o di
singolo. In tal modo si viene a riunire in un unico soggetto sia lo
psicoanalista che il "maestro" artista. Va anche detto che
la figura dell'arteterapeuta in Inghilterra si configura come
specializzazione autonoma dopo gli studi in psichiatria e
psicoanalisi. In Italia la situazione è profondamente differente.
Il luogo preposto all'applicazione
della metodica arteterapeutica è generalmente un laboratorio avente
in dotazione materiali a basso costo e possibilmente di vario tipo e
provenienza. In casi particolari però l'applicazione nella scultura
richiede un particolare settore del laboratorio con attrezzi e
materiale ben specifici e talvolta costosi nonché misure di
protezione e sicurezza. Per le espressioni corporee come gli esercizi
ginnici e la danza, lo spazio a disposizione deve esser sicuro ed
adeguato alla libertà di movimenti.
In ambito
localistico genovese, l'azione iniziata da Claudio Costa con lo
psichiatra Antonio Slavich, ex-collaboratore[5] di Franco Basaglia,
coinvolse, con gli anni, un sempre maggior numero di artisti e
professionisti, Miriam Cristaldi, critico d'arte, Gianfranco
Vendemiati, attuale presidente dell'associazione IMFI e l'artista,
psichiatra, Margherita Levo Rosenberg, che, a partire dal 1990,
conduce i laboratori di arte terapia, coadiuvata da altri artisti che
si sono succeduti nel tempo. Tra questi Cea Boggiano, Serena Olivari
e Alfonso Gialdini. La terapia col mezzo pittorico ha dunque una
lunga storia a Quarto mentre, col mezzo scultoreo, prese avvio solo
successivamente. Dopo la morte di Costa, che a Quarto aveva
soprattutto portato avanti un'azione di rottura culturale con
l'istituzione stessa dell'Ospedale psichiatrico - non aveva infatti
competenze specifiche per occuparsi di arteterapia in senso stretto -
Margherita Levo Rosenberg, cui competeva già da anni la
responsabilità operativa degli atelier di arte terapia, ha assunto
anche il ruolo di riferimento culturale nell'ambito dell'IMFI.
Il gruppo di lavoro
L'artista
Figura centrale, anche se non
indispensabile, dell'arteterapia. Può infatti bastare un buon
terapeuta con competenze artistiche indirette a curare con il medium
artistico. La premessa affinché l'artista possa garantire un solido
contributo in interventi di tale genere è "l'annullamento"
di parte della "personalità artistica" del "maestro",
o per meglio dire di quei dati caratteriali spesso legati alla
cosiddetta capacità artistica che non solo possono essere di
peso, ma deleteri ed invalidanti (e in primis la tendenza
egocentrica dell'artista).
Gli interventi, in tal caso potrebbero
essere inutili o addirittura peggiorare la situazione psichica dei
discenti (malati), quindi deve esser ben chiaro al "maestro"
sia il perché vuole interagire con gruppi di persone che spesso la
gente "normale" tende ad evitare, sia il modo con cui
intenderà impostare tale interazione.
A questo scopo sono indispensabili una
serie di colloqui propedeutici prima dell'inizio del corso con uno o
più professionisti, ovvero psichiatri e psicoanalisti, anche a
livello personale, se possibile.
Il maestro deve fare in modo che
l'allievo possa autocorreggersi limitando al massimo gli interventi
diretti su di lui e lasciandogli piena libertà di affrancarsi dai
propri tormenti. Lo stesso discente, con l'aiuto discreto, non
invadente, del maestro, dovrà col tempo trovare un suo equilibrio
applicando a sé stesso una forma di autodisciplina, indotta
discretamente, non imposta, dal maestro.
«..... ma nel contempo non
investe il fruitore della sua opera con un fluire caotico di
manifestazioni (quasi) dirette del proprio inconscio - il processo
primario allo stato puro non è dato di percepirlo.....»
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(– dice Luca Trabucco, psichiatra psicoanalista) |
Importante è anche il momento del
consenso, da parte del fruitore, dell'opera svolta e prodotta da
questo particolare tipo di rapporto fra discente e maestro. Il
momento della comprensione del lavoro svolto e la gratificazione che
ne deriva per il discente generano in tal modo o potenziano la sua
autostima.
Trabucco prosegue:
«Tendere al contenimento
del sentimento rappresenta propriamente a mio avviso il nucleo
dell'esperienza del "bello", dell'esperienza estetica.
Il sentimento contenuto apre alla creazione in quanto non si ha a
che fare solo con l'esperienza rimossa, cioè già in qualche modo
vissuta, ma con la rivelazione di aree della mente che devono
essere ancora simbolizzate (v. anche Magherini, 1992, 1997), che
hanno a che fare con esperienze mentali che devono trovare ancora
la loro pensabilità (Tagliacozzo, 1982).»
|
Quindi è necessario, sotto la guida
dello psichiatra-artista, che il "maestro" organizzi (o
collabori quantomeno con la sua assidua presenza), incontri e/o
mostre dei lavori svolti. Compito specifico dello psichiatra-artista
è fare in modo che l'autostima non sfoci nella megalomania da parte
dei "discenti". Dovrà altresì prendere, nel contempo,
visione per l'utilizzo terapeutico, del caos fuoriuscito dal lavoro
del "discente". Compito comune fra "maestro" e
psichiatra-artista è dimostrare al gruppo la sussistenza, fra di
loro, di rapporti di amicizia e collaborazione nella fase
organizzativa degli incontri col pubblico. È questa una
dimostrazione ovvia ed indispensabile che deve aver luogo durante lo
svolgimento del corso scultoreo.
Uno o due incontri col futuro gruppo di
discenti, presente lo psichiatra-artista, che deve osservare e aver
funzione di moderatore-mediatore, sono consigliabili prima
dell'articolazione della struttura operativa del corso stesso onde
poter raggiungere un grado di familiarizzazione soddisfacente
all'interno del gruppo. Il "maestro" deve cimentarsi senza
preparazione di soggetto, anche a richiesta dei futuri possibili
discenti, su un blocco di gesso o cemento che ha preparato prima,
tentando di attrarre l'attenzione sul futuro lavoro scultoreo in
persone che la lunga degenza nell'ospedale psichiatrico può aver
reso "spente" agli stimoli. Tale situazione con i relativi
"rischi" di non riuscita (qui interverrà lo
psichiatra-artista nella sua funzione di mediatore-moderatore), è
molto importante per la formazione del futuro gruppo e per diffondere
la credenza sulle possibilità terapeutiche di tali metodi di
intervento poggiandosi sull'ambiente della comunità. È inoltre di
grande utilità che il "maestro" in prima persona si occupi
della preparazione, rinvenimento, aggiustamento, recupero, revisione
degli attrezzi necessari per i quali è fondamentale la messa a punto
e posizione idonea per poter interagire col gruppo di discenti. È
necessaria anche la presenza di pesanti e robusti "cavaletti"
ovvero di banconi da lavoro. In tale azione è coinvolta la comunità
presente, non solo i futuri discenti, con l'aiuto fattivo e
relazionale della comunità degli ausiliari più adeguati e pazienti
verso un tipo di lavoro inusuale.
- Ovvero il "maestro" deve mettere a disposizione la sua capacità tecnica empatica e di immaginazione, ponendosi sempre in secondo piano rispetto allo scopo preposto, che è l'appoggio terapeutico, ed alle indicazioni dello psichiatra-artista conduttore del gruppo, non escludendo il fatto che all'interno di esso vi possano essere dei veri artisti "in nuce". A questo proposito il cui caso più significativo fu quello di Davide Mansueto Raggio seguito personalmente da Claudio Costa, per riferirci solo all'ambito genovese. Certo non può esser fatta l'equivalenza "disturbato" = artista in nuce. Il "maestro" non opportunamente preparato rischia infatti un'oscillazione estremizzante fra i due aspetti suddetti a tutto discapito della riuscita degli obbiettivi del corso.
La figura dello psichiatra-artista
Pianta del Museattivo Claudio Costa, le
parti colorate sono i giardini che circondano l'edificio. I
cerchietti piccoli son numerati e son serviti indicativa di dove i
lavori. I due tondi blu indicano il tavolo delle riunioni (quello più
grande) nella "sala Musica", l'altro più in basso il
portone interno di passaggio per il corridoio che portava al bar
gestito dai pazienti, e, andando avanti, alla sala mostre utilizzata
sia per i degenti sia per gli artisti professionisti) posizionata
sulla sinistra, dalle quale sempre sulla sinistra si usciva nel
"Giardino delle Sculture". Il secondo giardino più piccolo
in basso è quello nel quale si tenevano i corsi di scultura mentre
il "Giardino delle Sculture" con le opere permanentemente
in mostra è rappresentato dalla fascia colorata al di sopra della
mappa di interno uscendo dalla sala mostre. Adesso tutto il museo è
spostato in uno degli edifici prospicienti al complesso terapeutico
casa Michelini mentre il Giardino delle Sculture è stato
riposizionato nei diversi giardini di tale complesso; nell'ampio
spazio dentro l'edificio fra i primi due corridoi, visualizzati in
basso nella mappa, era sistemato il laboratorio arterapeutico della
psichiatra-artista Margherita Levo Rosenberg
Il coconduttore del gruppo assieme al
"maestro" scultore deve essere inevitabilmente uno
psichiatra, ovvero un esperto dei rapporti che dovranno instaurarsi
con i vari discenti e che ne conosca la singolare storia. Lo
psichiatra si occuperà della scelta del gruppo assieme al "maestro"
dopo aver vagliato le capacità del "maestro scultore" che
a sua volta vaglia il rapporto empatico che ha con lo psichiatra. Non
vi possono essere disaccordi di fondo sulla gestione del gruppo, e la
priorità di decisione l'ha lo psichiatra, ovviamente.
Molto spesso si occupa di questo settore uno psichiatra con forti
tendenze artistiche, se non artista lui stesso, e non è escluso uno
specialista assolutamente al di fuori sia delle problematiche che
degli aspetti estetici. In tal caso potrebbe però essere meno
agevole il già complesso rapporto empatico fra psichiatra e
"maestro" scultore perché verrebbe a mancare una linea di
interesse comune al di là del lavoro sul gruppo. Anche se gli stili
prediletti da psichiatra e "maestro" possono essere
diversi, la loro sensibilità ed esperienza devono comunque guidarli
nella scelta ritenuta migliore per i discenti.
«Lo spazio, il luogo in cui viviamo
o fantastichiamo di vivere, le strade, gli alberi, i giardini coi
quali conserviamo una relazione, assumono nei nostri pensieri una
tonalità affettiva, legata alle esperienze ed ai ricordi che in
qualche modo vi sono legati.
Così come altri luoghi,
anche i giardini dell'ex ospedale psichiatrico di Quarto, legati
com'erano, nell'immaginario collettivo, alla realtà storica di
emarginazione, circondati da un alone di mistificazione rispetto
alla realtà del disagio psichico, vissuti come topoi [Τόποι]
della follia e del degrado, abitati da gatti e scarafaggi,
contaminati da malattie e malati, non hanno goduto di buona
reputazione fino a pochi mesi or sono.»
|
«Ora, da qualche giorno, il
"manicomio" è chiuso. Chiuso per sempre con le sue
torri che sembravano inespugnabili, chiuse anche le ultime
roccaforti della resistenza strenua di chi ha creduto, fino alla
fine, nella cura della malattia come nella custodia di un
segreto.»
|
È altresì indispensabile, durante il
ciclo di incontri, tenere più o meno brevi riunioni con lo
psichiatra-artista, che conduce il corso assieme al "maestro",
subito prima e subito dopo ogni incontro. Subito prima, sia affinché
lo/la psichiatra renda edotto il maestro delle sue deduzioni
sull'incontro precedente sia per la tattica da seguire nell'imminente
incontro che può variare a seconda dell'umore anche momentaneo dei
"discenti" e della dinamica del gruppo. È anche utile, se
non indispensabile, un corso comune fra maestro e psichiatra-artista
supervisionato da un terzo psicologo, "direttore" del
corso, ma non partecipante al corso. Quest'ultimo può al massimo
effettuare rapide visite senza alcun intervento sul gruppo. Ovvero il
tipico osservatore esterno, parafrasando il gergo usato nelle scienze
fisico-matematiche. Il colloquio personale fra psichiatra-artista e
maestro è necessario non solo per analizzare quanto fatto per
progettare un successivo incontro ma anche per il "maestro"
che se fortemente empatico (cosa utilissima per lo svolgimento del
corso a condizione che non faccia trasparire in modo disturbante le
emozioni), ha bisogno del supporto della Psichiatra-artista per
elaborare il dolore "assorbito" dal gruppo dei malati e
dall'ambiente. Più il corso va avanti, più questa fase diventa meno
pesante per motivi di adeguamento da parte del "maestro"
sia al gruppo che all'ambiente.
Gli ausiliari
Nelle prime fasi la presenza di
ausiliari è dovuta a motivi di sicurezza e di intervento immediato
vista la pericolosità degli attrezzi utilizzati nello specifico
della scultura. L'esperienza dimostra comunque che pur con tensioni
non ci son stati mai episodi che richiedessero un intervento diretto
degli ausiliari, la cui presenza può essere sempre meno
indispensabile e anche sparire del tutto se il corso ottiene buoni
risultati. Da questo si deduce che anche il personale ausiliario
dovrà avere un ottimo rapporto con i malati in questi tipi di
interventi. Gli ausiliari possono "sparire" del tutto, ma
la loro presenza è generalmente gradita e utile per aumentare il
peso del rapporto empatico positivo di gruppo.
Le prime azioni che misero in contatto
diretto i malati con strumenti utilizzabili come armi sotto il
controllo di ausiliari specializzati in tale tipo di terapie di
gruppo furono poste in atto dagli operatori psichiatrici di
Pratozanino (ospedale psichiatrico di Cogoleto) che diedero vita con
i malati a una comunità agricola. Tale intervento, pur non essendo
"arteterapico" ha avuto un'importanza storica proprio
perché, come si è già accennato, si avvaleva di tecniche
scultoree, ponendo i malati a contatto diretto con attrezzi usabili
come armi: l'intervento ebbe pieno successo e permise alla comunità
stessa di prosperare per lungo tempo.
Bisogna mettere in evidenza che tale
intervento, fra i più efficaci del settore, non è stato
sottolineato mediaticamente in maniera proporzionale al suo peso,
forse perché (ricordando Sigmund Freud col suo detto sulla Saggezza
della Balia, che dopo tanti anni di studio si rese conto quanto
capisse una buona balia per istinto ed intuizione) partì in maniera
pratica, di intuito, da "subalterni", anche se
successivamente fu poi supportato anche da una parte dei medici
dell'ospedale psichiatrico di Cogoleto.
Il gruppo dei discenti
Il gruppo formato dai discenti non può andare oltre le cinque unità, visto che il "maestro" dovrà tendere a seguirli in modo equo (in considerazione anche della complessità e della particolarità dell'intervento nel senso tecnico della parola), ovviamente con le dovute eccezioni per le quali è instradato dallo psichiatra-artista.Il problema del vandalismo nel suo risvolto originale dell'aggressività
Una chiarezza su questa problematica è
indispensabile sia per la scelta e la strutturazione del gruppo sia
per il buon rendimento del gruppo stesso. Ciò è diretta conseguenza
della metodica usata, in quanto gli attrezzi vengono impiegati per
colpire ovvero "offendere" il materiale duro, che pur
sicuri che non è niente di vivo, per alcuni degenti rappresenta un
atto collegato ad aspetti del loro carattere che ha bisogno di esser
tenuto sotto controllo in modo ferreo. Accade infatti che, per coloro
che possiedono un'aggessività superiore alla media nel gruppo
discente, ci siano difficoltà a colpire il sasso in quanto hanno
paura loro stessi della propria potenziale aggressività e di usare
gli attrezzi non solamente per lavorare il sasso.
Ricapitolando, nel corso preparatorio
per un intervento di tipo scultoreo, e durante il suo sviluppo,
assume fondamentale importanza, il problema dell'aggressivisità. Non
tanto per il banale motivo che si utilizzano attrezzi che potrebbero
anche essere mezzi di offesa, ma piuttosto per il correlato psichico
che invece permette di sfruttare, opportunamente guidato e
controllato, il moto aggressivo. La relazione fra vandalo ed artista
ha radici molto antiche nel vissuto personale, ed il vandalismo è
strettamente legato all'aggressività, per cui è indispensabile aver
nozioni sull'argomento inerenti aspetti psichici della scultura e
nello specifico in riferimento al correlato aggressivo prima di poter
intervenire mediante una tecnica scultorea come mezzo di appoggio
terapeutico.
Si sono occupati di questi aspetti
numerosi studiosi della mente e un buon numero di scultori. Dal
relativo saggio di Simona Argentieri, studiato nella sua estensione,
si traggono utilissime indicazioni, visto anche che come soggetto di
studio è considerato fondamentalmente Michelangelo:
«Creatività artistica e creatività del sé. La scultura - secondo il detto leonardesco che tanto piaceva a Sigmund Freud - è un'arte "per via di togliere", nella quale è più evidente il contrappunto tra il "creare" ed il necessario parallelo "distruggere" la forma precedente della pietra: a colpi violenti di scalpello il marmo si infrange e si frantuma per lasciare emergere la nuova immagine [...] Ogni creazione (lo dice anche Giulio Carlo Argan) è un atto distruttivo.» |
(Simona Argentieri, membro dell'International Psychoanalytical Association; analista didatta dell'Associazione Italiana di Psicoanalisi SPI) |
Ovvero l'opera attaccata dal vandalo o
creata dall'artista, oltre ad aver basi comuni a livello di azione
fisica può essere anche una sintesi fra azione di distruttività e
creatività nel caso dell'artista. Simona Argentieri spiega tali
concetti focalizzando l'attenzione sulla Pietà Rondanini.
Secondo la studiosa vi sono
collegamenti simbolici a ricordi molto più antichi della mente,
difficilmente recuperabili in modo cosciente, sia in senso
distruttivo, che riparatorio, che in entrambi i sensi. Tali
collegamenti, essendo indissolubilmente legati fra di loro, sono
talvolta difficilmente recuperabili verbalmente anche con tecniche
psicoanalitiche del profondo.
L'impulso "vandalico",
quindi, è utilizzabile se guidato ed instradato verso la creatività,
in senso lato non strettamente artistico, ovvero la costruzione di un
oggetto che soddisfi l'autore e permetta di esser mostrato e quindi
entrare in relazione col fruitore: tale elaborazione dell'impulso
vandalico, ovvero aggressivo, per tornare alla sua radice, ricorda il
verso:
«Dai diamanti non nasce
niente, dal letame nascono i fiori»
|
(Fabrizio De André - Via del campo) |
La definizione di atto distruttivo data
da Giulio Carlo Argan, per indicare sinteticamente il processo
creativo, è da prendere nel contesto del discorso di Argan e non nel
senso letterale del termine, ovviamente, e viene espresso con forza
per sottolinearlo; Simona Argentieri analizza poi nel dettaglio le
evoluzioni della pietà di Michelangelo fino alla Rondanini.
D'altro canto Sir Herbert Read,
poliedrico scrittore, critico e poeta, parla della possibilità di
trasformare un impulso aggressivo in maniera creativa e la sua
intuizione è stata rielaborata e sviluppata in modo da poter essere
utilizzata come parte del sostrato teorico per gli interventi con la
tecnica scultorea su materiale duro. Secondo Herbert Read l'impulso
aggressivo-distruttivo può essere trasformato in qualcosa di
creativo. Un'evoluzione della sua intuizione prende atto che
l'impulso di per sé stesso non si può, in generale, trasformare ma
si può utilizzare in modo diverso, così come un'ascia può servire
per spaccar teste come facevano i Frisoni o si può usare per far
legna da ardere per cuocere i cibi.
Quando il malato psichico con tendenze
aggressive spezza un blocco di materiale duro, certo che c'è il
piacere distruttivo, così come c'è nel "maestro"
scultore, ma vedendo che quel gesto se instradato può fare "cose
belle", nel senso anche soggettivo del termine, (ovvero sculture
nello specifico in questione), il piacere distruttivo viene
soppiantato, in parte, ma mai azzerato, dal piacere della riuscita
dell'opera e quindi vi è come logica conseguenza una forma di
controllo e finalizzazione creativa della distruttività stessa, ed
in prima istanza dell'aggressività generatrice della distruttività:
il piacere di spezzare il sasso, in quanto gesto distruttivo, rimane,
ma è subordinato alla costruzione del lavoro scultoreo.
La comprensione, ovvero il prender atto
della realtà, cioè che l'impulso aggressivo non è trasformabile
interamente e/o tout court è fondamentale per il buon fine
dell'intervento di appoggio terapeutico. Questa conclusione può
infastidire il "maestro" stesso, perché può essere vista
sminuente della "purezza" e "l'importanza",
soprattutto, del "risultato" dell'intervento "artistico"
sui particolari discenti. Torniamo quindi alla necessità della
preparazione sul retroterra psichico, nel campo specifico della
scultura, ma non solo, che deve possedere il "maestro",
d'altro canto in generale è sempre meglio prendere atto dei limiti
che la realtà impone e l'intervento di appoggio terapeutico, proprio
per i suoi fini, deve esser ben radicato nella realtà.
A prescindere dal problema
dell'aggressività, ma comunque correlato, in quanto riguarda
problemi di vissuto personale del discente specifico o dell'artista
in genere, hanno altresì importanza fondamentale gli scritti di
Henry Moore sulla figura guida, che, a suo dire, confermato da Sir
Herbert Read, è la figura di donna, il breve scritto di
Émile-Antoine Bourdelle sul problema del rapporto fra lo scultore ed
il "Dio" (o "Dei", volendo), la "confessione"
di Arturo Martini inerente alla fonte fondamentale della plastica
della sua opera, il lavoro (sulla Sindrome di Stendhal) di Graziella
Magherini Psicoanalisi e arte tra emozione e ricerca Michelangelo
e il linguaggio degli affetti, il lavoro di Luca Trabucco Edvard
Munch. Arte e trasformazione della sofferenza mentale.
Riflessioni psicoanalitiche su un percorso artistico, per citarne
solo alcuni.
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