sabato 18 aprile 2015

Ti ricordi Karate Kid?

il kobra kai e la difesa personale


Adesso ti dirò una cosa che ti sconvolgerà.

Ti ricordi Karate Kid?
Non sto parlando della versione con il figlio di Will Smith, ma di quella vecchia, dove un ragazzino mediocre e senza particolari capacità diventa un karateka, capace di affrontare un avversario più forte di lui e riacquistare fiducia in se stesso.
Bene, a livello marziale il film faceva pietà.
Per tanti versi non aveva né capo né coda, eppure al suo interno sono presenti alcuni insegnamenti che possiamo applicare alla difesa personale e alle arti marziali in genere.
Alla fine Karate Kid racconta la crescita di un ragazzino che si fa uomo, capace di difendersi e di credere nelle proprie capacità.
E ci arriva con la pratica e la perseveranza. Ci insegna che la costanza e l’allenamento pagano, e che la motivazione è fondamentale.
Può far ridere, ma il concetto del “Dai la cera, togli la cera” è alla base dell’insegnamento marziale: si tratta di far acquisire al proprio corpo la memoria motoria di un gesto che al momento giusto verrà innescato in una situazione di pericolo.
Quel piccolo gesto, molto più di quell’assurdità della tecnica della gru, è la base di una marea di movimentazioni che aprono un mondo di possibilità.
Fin qua ti ho raccontato qualcosa che sanno bene o male tutti.



Ma c’è qualche altro insegnamento nascosto in Karate Kid.

Il maestro Myagi se lo ricordano tutti, è il nonno un po’ figo e un po’ burbero che tutti avremmo voluto.
Ma ti ricordi il maestro del Kobra Kai? Il biondo con il kimono nero, il cattivo maestro per eccellenza? Si chiamava John Kreese, ed era un borioso figlio di puttana.

Ti rivelo un segreto: John Kreese aveva ragione.

No, non sono impazzito, né mi sogno di dire che fosse un modello positivo.
John Kreese è davvero un pessimo maestro.
Eppure ad un certo punto dice una grande verità.
Nella sua scuola insegna la via del pugno:
Colpire per primo, colpire più forte, senza pietà!
Nella difesa personale la via del pugno dev’essere una specie di comandamento, e non vuole assolutamente dire che dobbiamo aggredire per primi o diventare degli attaccabrighe.
Dobbiamo pensare però che, purtroppo, quando si tratta di mettersi in salvo, di difendere la propria incolumità o quella dei propri cari, non esiste alcun ruolo educativo.
  • Colpire per primo vuol dire contrattaccare, e farlo con tutta la decisione e la forza di cui siamo capaci.
Pensare di colpire per far cambiare idea all’aggressore è una pessima idea, e il più delle volte serve solo a renderlo ancora più aggressivo.
Quando ci si difende bisogna mettere fuori uso l’avversario con decisione, quantomeno per trovare la via di fuga o mettersi al sicuro, perché non possiamo conoscere le reali intenzioni di chi ci sta attaccando.
Se avesse un coltello? Se i suoi compari fossero dietro l’angolo?
Ecco perché occorre “colpire per primo”, nel senso non di iniziare il combattimento ma di andare a segno per primi possibilmente con un contrattacco.
Infatti anche un solo colpo dell’aggressore potrebbe per noi rivelarsi fatale, specialmente se armato.
Bisogna “colpire più forte” nel senso di colpire con il massimo del nostro potenziale, dato che un colpo inconsistente è totalmente inutile.
Colpire “senza pietà” significa che non ci si può difendere cercando di portare tecniche a mezza via con l’intento di far cambiare idea all’aggressore.
Questo non significa necessariamente colpire per uccidere, bensì portare una tecnica proporzionata alla violenza di chi ci ha attaccato, con determinazione e senza esitare.
Se non puoi scappare questo è l’unico modo per metterlo fuori uso e avere così il tempo di cercare strade alternative al combattimento.
Questo vuol dire per esempio che, se vengo aggredito nelle vicinanze di un bar, mi può bastare far cadere l’avversario o colpirlo con abbastanza efficacia da darmi il tempo di fare una breve corsa e cercare riparo all’interno del bar e chiedere l’aiuto di altre persone.



Chiaramente ogni situazione va valutata in base alla sua gravità.

Esistono aggressioni più blande e altre potenzialmente letali.
  • La proporzionalità è fondamentale nell’autodifesa.
Non potete cavare gli occhi a uno solo perché vi afferrato per un braccio in un locale pubblico.
In generale l’uso dell’intelligenza per evitare lo scontro è sempre la scelta migliore.
Sun Tzu, autore de “L’Arte della guerra” e raffinatissimo tattico, diceva:
“Ottenere cento vittorie su cento battaglie non è il massimo dell’abilità: vincere il nemico senza bisogno di combattere, quello è il trionfo massimo.”
Se però non esiste nessuna via alternativa e siete aggrediti è meglio seguire la legge del pugno, perché la nostra incolumità (e quella delle persone a noi care) è l’obiettivo finale: per questo un mio amico istruttore diceva ai suoi allievi “meglio un brutto processo che un bel funerale”.
Questa frase racchiude molto di quanto ho detto, soprattutto riguardo alla proporzionalità: Se qualcuno vi attacca per uccidervi, la vostra reazione per difendervi dovrà essere adeguata ed efficace.
Forse non eviterete un processo, ma almeno sarete vivi. Allo stesso modo però, se il pericolo non è così grande, è sempre meglio evitare il brutto processo.
  • Proporzionalità e intelligenza sono elementi fondamentali di un corretto uso della forza.



Come ho già ripetuto altrove, la realtà del combattimento da strada è spesso brutale: per questo è necessario pensare alla propria capacità di difendersi in maniera seria e strutturata, attraverso un percorso formativo continuativo.
Perché, come diceva il maestro Myagi, sono la costanza e la volontà la chiave del successo.
E adesso, tutti a lucidare la macchina!





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