giovedì 11 gennaio 2018

LE ARTI MARZIALI NELLA TRADIZIONE GIAPPONESE

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Una Nazione che veniva nominata come “il Paese delle Alabarde” rappresenta il contributo e l’esperienza del Giappone, nella teoria come nella pratica, al combattimento con o senza armi; certamente il contributo giapponese è tra i più antichi, raffinati e durevoli che mai siano stati documentati. Al riguardo è sufficiente considerare la popolare attualità a livello mondiale che investe, fuori dal Giappone, il Karate, il Judo, il Kendo, lo Iaido, l’Aikido, il JuJutsu, il Kyudo. La lunga notte feudale del Giappone è tutta collegata alla sua esperienza ed attraversa un arco di tempo lungo oltre 700 anni, nel quale prende forma e vita il mitico BUJUTSU:
Bu: militare/marziale
Jutsu: tecnica, arte, metodo.
Il termine BUJUTSU, nella dottrina giapponese dell’Arte Marziale, rappresenta tutte quelle specializzazioni dell’arte del combattimento usate dal guerriero professionista e dai vari membri di altre classi sociali che praticavano un’arte del combattimento individuale. BUJUTSU è pertanto il termine collegato agli aspetti pratici, tecnici e strategici della arti, in quanto l’ideogramma di JUTSU è propriamente significato di “tecnica”. Nel primo Giappone feudale il predominio nelle Arti Marziali o della guerra è ad appannaggio del Bujutsu con le armi e che possiamo distinguere in maggiori, minori, collaterali; tutte si svilupperanno e si contrarranno nel corsi dei vari secoli ed in seguito alle alterne vicende dello Shogunato giapponese.

IL BUJUTSU SENZA ARMI
In progressione al consolidamento della classe guerriera come punto focale del potere politico in Giappone, molti metodi di combattimento senza armi vennero ideati ed applicati dai giapponesi divenendo aspetti importanti dell’addestramento del guerriero. Il metodo di combattimento senza armi rappresenta un modo sistematico ed ingegnoso di impiegare il corpo umano per raggiungere gli stessi fini strategici ottenibili con le armi. Fin dall’inizio della storia documentata questi metodi sembrano esistere. I maestri di BUJUTSU, i cui metodi di combattimento senz’armi cominciarono a comparire nelle dottrine delle Arti Marziali del XVI° secolo in poi, avevano ereditato un patrimonio di azioni e di tecniche (WAZA) dal passato; ad esso aggiunsero le loro variazioni ed innovazioni.

IL KARATE DO NELLA TRADIZIONE MARZIALE GIAPPONESE
La disciplina del KARATE è conosciuta universalmente come una disciplina tipicamente giapponese, ma ad onor del vero fu l’ultima, in termine assoluto di tempo a divenirlo e per altro non completamente. Il KARATE, come oggi viene da noi praticato, è il risultato di un processo tecnico iniziato ad OKINAWA ed indubbiamente proveniente dalla Cina. L’Arcipelago delle Ryu Kyu, di cui OKINAWA è l’isola maggiore, venne occupato dal clan giapponese dei Satsuma, della famiglia Shimazu, nel 1609 in inizio di era giapponese TOKUGAWA, ma mantenne di fatto una propria autonomia dovuta sicuramente alla troppa distanza dalla sede della famiglia Shimazu ed ancora di più da Edo, nuovo centro del potere dello shogunato Tokugawa. Va da sé che i commerci con la Cina continuarono ed anche l’amministrazione delle isole, a cura dei sovrani locali, continuò fino al 1879, quando il Re Sho Tai venne trasferito, in esilio, a Tokyo e le Ryu Kyu inglobate nella costituita Prefettura di Okinawa. Il combattimento senz’armi è una prerogativa di Okinawa, non solo dovuta agli scambi commerciali con la Cina, ma in considerazione che sull’isola vi era stabilita una folta comunità cinese, in particolare nel villaggio marinaro di Kume. Comunque le famiglie indigene di rango superiore già praticavano un metodo chiamato TI usato anche per elevarsi spiritualmente, il quale non venne mai reso pubblico e secondo alcuni vecchi maestri venne assorbito nel TODE o TUTI che significa "mano cinese". Naturalmente come nella maggior parte del’oriente asiatico, le trasmissioni sono state fatte oralmente e a questa regola non si è sottratto neppure il TODE, divenuto poi Ryu Kyu Kenpo Karate (Karate pugilato di Ryu Kyu) e Karate Jutsu (Kara = ideogramma che indica la dinastia cinese Tang, Te = mani, Jutsu = tecnica). I primi libri in materia di Karate, ricchi di empiriche notizie, appaiono agli inizi del 1900. Tutti i maestri di cui abbiamo notizie tengono contatti ed effettuano viaggi di studio in Cina, iniziando da Kanga SAKUGAWA (1728-1837) soprannominato Todei no Sakugawa: Sakugawa l’esperto dell’arte cinese del combattimento. Seppur già separato in metodi, che sono poi peculiarità del Karate, il Karate Jutsu inizia un suo percorso in coincidenza della certa evoluzione con i maestri Sokon Matsumura dello Shuri-Te e Kanryo Higahonna del Naha-Te. Da questi due studiosi prenderanno forma le tecniche e gli stili, che ovviamente modificati, giungeranno fino a noi. Tra il 1850 e il 1900 a OKINAWA sono tre i metodi praticati: lo Shuri-Te dal quale deriva probabilmente con alcune modifiche il Tomari-Te e il Naha-Te. I nomi sono rappresentativi dei villaggi o delle zone presso i quali si praticano queste arti di combattimento senz’armi. Da Matsumura e Higahonna deriveranno i maestri modificatori del Karate moderno. Del primo sarà erede Anku Itosu che con Chomo Hanashiro e Kentsu Yabu renderanno il Karate accessibile alle scuole di Okinawa, dando origine alla realizzazione di un Karate moderno, successivamente propagandato in Giappone da Gichin Funakoshi; del secondo sarà erede Chojun Miyagi, il fondatore del Goju Ryu. Gli elementi uniti della scuola di Itosu e Higahonna, ambedue a lungo studiati da Kenwa Mabuni, daranno origine ad opera dello stesso alla scuola Shito Ryu, così nominata dagli ideogrammi dei nomi dei due maestri. Saranno proprio Gichin Funakoshi, Chojun Miyagi, Kenwa Mabuni i traghettatori del Karate nel Dai Nippon ButokuKai e dell'avventura di questa “tecnica delle Ryu Kyu” nel Bushido moderno del Giappone.

LA NIPPONIZAZZIONE DEL KARATE
Il KarateJutsu arriva sul suolo giapponese, nella primavera del 1922, ad opera di Gichin Funakoshi in seguito alla organizzazione da parte del Ministero dell’Istruzione della prima Esibizione Nazionale Sportiva a Tokyo. Successivi tentativi dimostrativi si susseguirono anche ad opera di Chojun Miyagi e Kenwa Mabuni, dalla metà degli anni ’20, nell’infruttuoso tentativo di far ammettere il Karate nel Dai Nippon ButokuKai. Diversamente dal Kendo e dal Judo, il movimento del KarateJutsu mancava di una struttura, sia per la pratica formale come per quella competitiva, non era dotato di una uniforme e i suoi programmi di studio variavano enormemente da un maestro all’altro, non esistendo standard organizzativi per una valutazione dei diversi gradi di maturità. Questo KarateJutsu se paragonato al Kendo e al Judo restava, per i livelli giapponesi, una umile, rozza disciplina, priva per altro di una “identità”. Di fatto era esterno all’onnipresente concetto di Wa che nella società giapponese rappresenta il pilastro centrale su cui la società stessa si fonda. Negli anni venti e trenta del secolo scorso, il KarateJutsu fu oggetto di forti critiche da parte delle discipline del Budo giapponese, eredi del BUJUTSU feudale e anche di critiche xenofobe durante il primo, incerto periodo di transizione.

IL DAI NIPPON BUTOKUKAI
Venne fondato nell’Aprile del 1985 per disposizione del Governo giapponese, ma le sue radici affondano “nella lunga notte feudale”, in quanto fu l’Imperatore Kammu (781-805) che fece costruire il primo Butokuden – sala dei virtuosi della guerra –. Il compito del ButokuKai fu quello di uniformare i vari Ryu (stili), fino allora liberi da ogni regola, indirizzandoli all’interno dello Yamato-Kokoro(anima giapponese) per fortificare lo spirito nazionale. Per dare un indirizzo certo, tra il 1902 e il 1905, fu costituito un comitato per il rilascio dei:
BUDOMENJO – certificato di grado di Arte Marziale
SHIHAN-MENJO – licenza di insegnamento

I Ryu dovettero sottomettersi alle regole del Dai Nippon ButokuKai, il quale era sostenuto da notevoli risorse governative. Nel 1899 il nuovo Butokuden, nelle immediate vicinanze del Tempio Heian di Kyoto, vicino al Palazzo Imperiale, fu concesso al Dai Nippon ButokuKai con funzione di quartier generale. Nel 1906 grazie al contributo dell’imperatore fu inaugurato il Budo Semmon Gakko, una scuola militare che iniziò a dare importanza anche al valore dell’addestramento nel Budo per l’istruzione dei giovani. Nel 1911 venne aperta la Scuola Superiore Tecnica per le Arti Marziali, presso la quale vi insegnavano alcuni dei più famosi esperti di Arti Marziali giapponesi del XX° secolo. Viene fissato, per dare importanza allo scenario delle Arti Marziali giapponesi, di conferire gli antichi titoli di Hanshi, Kyoshi, Renshi, agli esperti autorizzati. Nel 1941 viene stilata una statistica del successo nelle singole discipline del Budo e l’anno successivo venne sottoposta alle autorità governative.

IL KARATE DO
La preoccupazione principale dal Dai Nippon ButokuKai non era focalizzata soltanto all’accertarsi che i maestri di Karate fossero pienamente qualificati a insegnare, ma anche sul fatto che essi stessi comprendessero realmente ciò che insegnavano. Un sistema Dan-Kyu (gradi inferiori e gradi superiori) sul tipo del Judo del Prof. Jigoro Kano, consentirono una apertura all’Istituzione marziale giapponese verso il KarateJutsu che con il concorso delle potenti forze nazionalistiche, abbinata al sentimento anticinese, portarono alla modifica dell’ideogramma cinese di KARA, sostituito dall’attuale “vuoto”, abbinandogli il suffisso DO. Nel dicembre 1933 il Dai Nippon ButokuKai ratificava il riconoscimento del Karate-Do (la via delle mani vuote) come moderno Budo giapponese. I nuovi ideogrammi proclamavano che la “tecnica” del Karate di Okinawa aveva attraversato i limiti fisici del corpo e poteva essere un vicolo attraverso cui trasfondere il principio nipponico di Wa (l’armonia). Il nuovo ideogramma di Karate-Do venne riconosciuto a Okinawa solo nel 1936. Nel 1935 Miyagi del Goju Ryu si presenta all’esame del Dai Nippon ButokuKai e viene diplomato Kyoshi, nel 1938 Otsuka e nel 1939 Funakoshi e Mabuni ottengo il titolo di Renshi. L’essere stata l’ultima tecnica ammessa al Budo giapponese, in pieno clima prebellico al termine del quale sarebbe stata la fine dell’egemonia del Dai Nippon ButokuKai, ha contribuito all’abbandono del progetto di un Karate-Do unificato nelle scelte della sua pratica, per consegnare alla storia odierna una disciplina ricca di interpretazioni eclettiche, a volte scriteriate, spesso facsimili fra loro e nel solo indirizzo del ricavo economico.

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