Hāfu (ハーフdall'inglese
half,
"metà") è un termine giapponese usato per
riferirsi ai figli di unioni tra giapponesi e stranieri. Guadagnò
notevole popolarità negli anni settanta del XX secolo, divenendo il
termine predominante per indicare i giapponesi di origine
multietnica. Nonostante questi ultimi siano stati spesso oggetto di
discriminazione, soprattutto nel periodo successivo la fine della
seconda guerra mondiale, il termine in sé non possiede connotazioni
negative, a differenza di altri vocaboli utilizzati in passato, come
per esempio ainoko.
Terminologia
Hāfu (ハーフdall'inglese
half,
"metà") è il termine predominante per indicare una
persona nata dall'unione di un genitore giapponese e di uno non
giapponese. Gli hāfu sono di solito originari del Giappone,
cioè nati nel territorio giapponese e cresciuti ed educati secondo
la cultura del luogo, e, a dispetto del loro aspetto fisico, sono a
tutti gli effetti giapponesi. Il termine viene utilizzato soprattutto
dai media e di per sé non possiede connotazioni negative, benché
alcuni giapponesi appartenenti a questa categoria non si vi
identifichino a causa delle sue implicazioni di inadeguatezza,
mancanza e incompletezza. Altri ancora ritengono invece che il
termine sia equanime, poiché utilizzato senza allusioni al
significato inglese originario.
Prima della diffusione del termine hāfu
vi erano altre parole utilizzate per descrivere i figli nati da
unioni miste, per esempio ainoko (合の子
"figlio di miscuglio"),
che divenne comune dopo la seconda guerra mondiale e che finì
successivamente in disuso a causa delle sue connotazioni razziste. Il
termine era usato sia per le persone che per gli animali, ed era
strettamente legato alle accezioni negative di povertà,
illegittimità e impurità. Dopo la fine dell'Occupazione venne
rimpiazzato gradualmente dal più neutrale konketsuji (混血児
"bambino di sangue
misto"), ma anche a questa parola venne attribuito un
taglio negativo, in quanto associata al militarismo statunitense.
Altri termini più moderni sono kokusaiji (国際児
"bambino
internazionale") e daburu (ダブル
dall'inglese double,
"doppio"). Quest'ultimo non ha ricevuto il totale
consenso sul suo utilizzo, ed è, anzi, rifiutato da numerosi
giapponesi di origine multietnica, poiché andrebbe a contraddire la
peculiare modestia propria della lingua giapponese.
Diffusione
È difficile stabilire quante persone
di origine multietnica risiedano in Giappone, poiché il governo non
identifica gli abitanti in base all'etnia ma in base alla
nazionalità. Una stima riferita al 2010, comunque, indicava che un
bambino su trenta era nato in un famiglia nella quale almeno uno dei
due genitori non era giapponese, mentre un'altra statistica rivelava
che un matrimonio su diciotto era misto; uno su dieci nella sola
Tokyo.
Storia
La percezione nei confronti delle
persone di origine multietnica da parte dei giapponesi ha subito dei
cambiamenti nel corso della storia, che vide susseguirsi periodi di
indifferenza ad altri caratterizzati da insofferenza e
discriminazioni. Nel periodo Edo, il tradizionale preconcetto
inculcato nelle menti dei giapponesi prevedeva la suddivisione tra
"noi giapponesi" e "tutti gli altri", a
differenza di quanto accadeva in altre culture, per esempio in
Europa, in cui le maggiore differenze sociali si riscontravano tra
"bianchi" e "neri". Queste idee, tuttavia, ebbero
poche conseguenze fino ad almeno tutta la durata dei periodi Meiji e
Taishō e parte del periodo Shōwa.
Nel periodo successivo la fine della
seconda guerra mondiale, di conseguenza all'occupazione alleata, i
casi di discriminazione nei confronti degli hāfu divennero
piuttosto comuni. I motivi principali che spinsero la società
giapponese a riconsiderare la posizione dei giapponesi di discendenza
mista furono la crescita esponenziale del numero di questi ultimi, la
percezione dell'opinione pubblica che questo numero fosse ancora più
grande di quanto effettivamente fosse in realtà e il fatto che molti
di essi fossero figli di famiglie di ceto sociale basso. Per la
maggior parte si trattava di bambini nati dalle relazioni tra
giapponesi e statunitensi, i quali erano arrivati in massa nel Paese
nipponico durante il periodo occupazionista. In un primo momento tali
relazioni erano scoraggiate dal governo statunitense, il quale
raccomandava ai propri uomini di evitare qualsiasi assunzione di
responsabilità nella crescita e nel mantenimento di eventuali figli
nati da relazioni con le donne del luogo. Ciò comportò un massiccio
aumento dei casi di abbandono almeno fino al 1952, anno in cui le
restrizioni in tal senso vennero abolite. Ciò nonostante, la
maggioranza dei nippo-statunitensi che risiedeva in Giappone nel
periodo post-bellico consisteva proprio nei bambini abbandonati o
rimasti orfani, i quali divennero bersaglio di pregiudizi e
discriminazioni. I casi più diffusi interessavano soprattutto coloro
che possedevano come caratteristica distintiva un colore di pelle
diverso da quello dei giapponesi comuni, per esempio pelle nera o
bianca. L'accesso a servizi pubblici, in particolare le scuole, era
fortemente limitato e, nel caso vi fosse la possibilità di
accedervi, essi finivano per essere bersagli di violenza verbale,
venendo apostrofati per esempio con termini dai connotati spregiativi
quali gaijin (外人
"straniero"),
kuronbo (黒んぼ
"negro")
o hitokui jinshu (人食い人種
"cannibale").
Vi erano casi di disparità anche in ambito lavorativo, con gli hāfu
spesso relegati a lavori umili e poco retribuiti.
La situazione migliorò solo a partire
dagli anni settanta, grazie soprattutto al cosiddetto konketsu
būmu (混血ブーム
"boom della razza
mista"), un periodo durante il quale l'industria
dell'intrattenimento giapponese scritturò numerosi artisti di
origine mista, tra i quali le più conosciute erano il gruppo
musicale pop Golden Half, composto da cinque ragazze di origine
euroasiatica. Da quel momento musicisti, modelli, star dello sport e
attori di origine mista divennero personalità sempre più richieste
e presenti nel mondo dello spettacolo, contribuendo alla crescita
della familiarità dei giapponesi verso gli hāfu senza
tuttavia eliminare, ma addirittura accrescendo, i diversi stereotipi
nei confronti degli stessi.
Nel Giappone degli anni settanta i
giapponesi di discendenza mista potevano trovare difficoltà in
ambito sociale e sentimentale, e sovente erano vittime di stereotipi
riguardanti la sfera sessuale, venendo additati come promiscui e
molto più attivi rispetto alla media giapponese. Le donne hāfu,
anche per questo motivo, trovavano facilmente lavoro come modelle,
accompagnatrici e hostess nei night club o ragazze-copertina per
riviste di moda o a carattere pornografico. L'immagine erotica
associata loro malgrado, inoltre, impediva agli hāfu di
trovare marito o moglie: la maggior parte di essi, cresciuti come
comuni giapponesi, avevano interesse nel trovare un partner che
condividesse lo stesso background culturale, ma essendo dei
giapponesi solo per metà, venivano spesso rifiutati. Molti di essi
perciò erano costretti a limitare le proprie relazioni a quelle con
altri hāfu. Tale problematica risulterebbe essere diffusa
anche nel Giappone contemporaneo, dove i rapporti sociali degli hāfu
con i giapponesi "puri" sembrerebbero essere più difficili
da stabilire rispetto a quelli con altri hāfu.
All'inizio degli anni duemila
l'immagine degli hāfu era fortemente associata ai figli di
famiglie di ceto sociale medio-alto, poiché essi venivano sovente
iscritti a scuole private internazionali o scuole militari dove,
oltre a limitare gli imprevisti legati alla discriminazione e al
bullismo, avrebbero potuto ricevere un'educazione adatta sia alla
cultura giapponese, sia alla cultura di Paesi differenti. Ciò
nonostante, vi sono altresì numerosi hāfu appartenenti a un
ceto sociale più basso, e soltanto alcuni di loro hanno la
possibilità di accedere a tali scuole.
Contesto sociale
La questione va inquadrata nel contesto
particolare della cultura giapponese, prendendo in considerazione la
mentalità del popolo giapponese, noto per essere orgoglioso della
propria omogeneità etnico-culturale e razziale. Benché il Giappone
si autoconsideri una "società multinazionale" (多国籍社会
takokuseki
shakai), permane
ancora il concetto di "nazione monoetnica" (単一民族国家
tan'itsu minzoku
kokka),
esemplificato dal controverso discorso del 2005 dell'allora primo
ministro giapponese Tarō Asō, il quale descrisse il Giappone come
una nazione di «una razza, una civiltà, una lingua e una cultura».
A causa di ciò numerosi hāfu, benché siano nati e cresciuti
in Giappone, siano madrelingua giapponesi o posseggano il passaporto
giapponese, vengono trattati alla stregua di cittadini stranieri, o
classificati come kokuseki fumei (国籍不明
letteralmente "di
nazionalità sconosciuta"). Inoltre, in una società
all'interno della quale essere "diversi" viene visto come
un'anomalia o quantomeno un qualcosa da evitare, le appariscenti
caratteristiche fisiche degli hāfu, in molti casi piuttosto
differenti dai giapponesi comuni, possono portare a casi di bullismo
o ostracismo. Il "non sembrare un giapponese", ma anche le
difficoltà nel padroneggiare correttamente la lingua giapponese,
sono tra le cause più comuni di esclusione sociale tra i bambini
hāfu in Giappone. Gli hāfu che sono fondamentalmente
indistinguibili dai giapponesi comuni, sia fisicamente che nel
comportamento, sono quindi esenti da questo tipo di trattamento. A
questo proposito non sono rare le storie di bambini di discendenza
mista che, per evitare di essere maltrattati a scuola, evitano di
ostentare la propria conoscenza dell'inglese (o di qualsiasi altra
lingua straniera); altri chiedono al genitore di madrelingua
straniera di non farne uso in pubblico, evitando così potenziali
situazioni spiacevoli.
Il film documentario Hafu del 2013 racconta le esperienze
di alcuni hāfu e le difficoltà che debbono affrontare
vivendo in Giappone.
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