giovedì 1 febbraio 2018

Buddhismo Mahāyāna




Con il termine sanscrito composto Mahāyāna (devanāgarī: महायान, cinese: 大乘, dàchéng, giapponese: daijō, tibetano: ཐེག་པ་ཆེན་པོ།, theg-pa chen-po, vietnamita: Đại Thừa; coreano: 대승, taesŭng o dae-seung; Grande veicolo) si intende un insieme di insegnamenti e di scuole buddhiste che rifacendosi, tra gli altri, ai Prajñāpāramitā sūtra e al Sutra del Loto, proclamano la superiorità spirituale della via del bodhisattva rispetto a quella dell'arhat, quest'ultima proclamata nel Buddhismo dei Nikāya.
Il termine mahāyāna si compone dei termini sanscriti maha con il significato di "grande" e yāna con il significato di "veicolo", quindi "Grande veicolo" da intendersi come ciò che "conduce" gli esseri senzienti verso la liberazione spirituale.
Attualmente tutte le scuole buddhiste esistenti sono di derivazione Mahāyāna, fatta salva la scuola Theravāda, la quale non ha mai accolto la canonicità degli insegnamenti riportati nei sūtra mahāyāna.

Origine del termine

Il termine "Mahāyāna" (Grande Veicolo) è comunque piuttosto tardo, probabilmente successivo alla stesura dei Prajñāpāramitā sūtra e alle prime stesure del Sutra del Loto. Forse persino successivo alla nascita della scuola Madhyamaka fondata da Nāgārjuna nel II secolo d.C. Le sue origini non sono certe.
La prima menzione di questo termine sembrerebbe apparire in una edizione del Sutra del Loto, ma il filologo Seishi Karashima ritiene che il termine mahāyāna lì utilizzato sia una errata resa in sanscrito del termine gāndhārī mahājāna a sua volta resa del sanscrito mahājñāna ("grande conoscenza"). Quando il termine in lingua gāndhārī fu reso in sanscrito, per errore e forse perché condizionati dalla dottrina degli yāna (veicoli) riportata nella "parabola della casa in fiamme" inserita nel III capitolo del Sutra del Loto, fu reso come mahāyāna.
Tuttavia l'origine di questo termine resta controversa ed esso non compare nelle iscrizioni indiane prima del V-VI secolo d.C..
È probabile invece che gruppi di monaci buddhisti che avevano accolto la canonicità degli insegnamenti dei Prajñāpāramitā sūtra e che convivevano nei monasteri insieme ad altri monaci che ne rifiutavano invece la canonicità, abbiano incominciato, dopo il II secolo d.C., a denominarsi come seguaci del Mahāyāna (Grande Veicolo) indicando gli altri come seguaci dello Śrāvakayāna (Veicolo degli ascoltatori della voce, ovvero di coloro che fondavano la propria dottrina sulla comprensione delle Quattro nobili verità) e, successivamente, Hinayāna (Veicolo inferiore).

Il dibattito storiografico sulle origini del Mahāyāna

Gli storici del Buddhismo hanno elaborato diverse ipotesi sulla nascita degli insegnamenti mahāyāna. Richard H. Robinson e Williard L. Johnsons ritengono che i loro primi testi di riferimento, segnatamente l'Aṣṭa-sāhasrikāprajñā-pāramitā (Sutra della perfezione della saggezza in ottomila stanze; risale al I secolo a.C.), siano frutto di una reazione di alcuni monaci esegeti che rifiutavano l'impostazione degli Abhidharma delle scuole del Buddhismo dei Nikāya prodotti nello stesso periodo. Questo rifiuto era motivato dal fatto che, a detta di questi primi monaci mahāyāna, gli Abhidharma tradivano l'insegnamento del Buddha dimenticandone gli aspetti essenziali.
Come rileva Paul Williams, i primi Prajñāpāramitā sūtra consistono essenzialmente in esortazioni agli altri monaci a non dimenticare alcune dottrine buddhiste, come la vacuità, già evidenziate negli Āgama-Nikāya e ritenute, in questi sūtra, a fondamento dello stesso Dharma buddhista.
È opinione di Paul Williams, che in questo richiama anche Heinz Bechert che nonostante le differenze dottrinali con gli esponenti buddhisti non-Mahāyāna la nascita del Mahāyāna non sia comunque in alcun modo attribuibile ad uno "scisma" (saṅghabeda) all'interno delle scuole buddhiste indiane: "uno scisma non ha niente a che vedere con divergenze dottrinali, ma è il risultato di divergenze riguardanti la disciplina monastica".
Quindi per questi autori:
«Il buddhismo è un'ortoprassi, più che un'ortodossia. Ciò che importa è l'armonia del comportamento, non l'armonia delle dottrine»
(Paul Williams. Op.cit. pag.97)
A controprova di queste tesi Williams ricorda anche l'evidenza che non esiste un codice disciplinare (vinaya) Mahāyāna oltre al fatto che i pellegrini buddhisti cinesi recatisi in India raccontassero nelle loro cronache di viaggio giunte fino a noi di come monaci mahāyāna condividessero con monaci non-mahāyāna, e in tutta tranquillità, gli stessi monasteri.
Condividendo gli stessi monasteri, lo stesso codice monastico e lo stesso comportamento monastico i monaci mahāyāna si differenziavano dai monaci non-mahāyāna unicamente per una diversa visione del fine ultimo del Buddhismo.
Sempre Williams in tal senso richiama l'opera di Atiśa, un dotto missionario indiano in Tibet dell'XI secolo, il Bodhipathapradīpa. In questa opera Atiśa suddivide i praticanti buddhisti in tre classi in base alle loro motivazioni religiose: nella prima sono collocati coloro che cercano di acquisire meriti per migliorare le loro esistenze presenti o future; nella seconda coloro che cercano di uscire dalla prigione del Saṃsāra guadagnando il Nirvāṇa conseguendo lo stato di arhat; nella terza si collocherebbero invece solo coloro che hanno come obiettivo religioso la liberazione della sofferenza per tutti gli esseri senzienti e che quindi mirano ad un Nirvāṇa superiore rispetto a quello degli arhat considerato 'inferiore' come la loro via spirituale (hinayāna). Il Nirvāṇa di questi, detti i bodhisattva, è indicato come "non dimorante" (apratiṣṭhitanirvāṇa) ovvero oltre la dualità tra Saṃsāra e Nirvāṇa e che non abbandona gli altri esseri senzienti nella sofferenza.
«Il punto determinante che rende seguaci del Mahāyāna non è quindi l'abito, le regole monastiche o una filosofia: è la motivazione, l'intenzione»
(Paul Williams. Op.cit. pag.99)
In questo senso
«il termine Mahāyāna è usato semplicemente a scopi pratici. È un 'termine gruppo' che raccoglie una gamma di pratiche e di insegnamenti non necessariamente identici fra loro, e forse neppure compatibili. Il Mahāyāna non costituisce una scuola di buddhismo. Gli manca l'unità necessaria»
(Paul Williams. Op.cit. pag.101)
Atteso che inizialmente il Mahāyāna sembra condividere gli stessi luoghi di pratica del Buddhismo non-Mahāyāna occorre chiarire quando queste due correnti buddhiste si separarono. Dopo un'accurata analisi dei reperti archeologici disponibilie Gregory Schopen conclude:
«Siamo in grado di ritenere che ciò che oggi chiamiamo Mahāyāna non iniziò a emergere come gruppo separato e indipendente sino al IV secolo»
(Gregory Schopen. Op.cit. pag.15)
Quindi, fatto salvo una iscrizione epigrafica scoperta nel 1977 che fa riferimento al Buddha mahāyāna Amithāba nonché di una iscrizione che menziona l'esistenza di "tre veicoli" (yāna) rinvenuta a Charsadda e risalente al 55 d.C., non ci sono prove di una "istituzione" mahāyāna separata dalla restante comunità prima del IV secolo, nonostante sia evidente per gli studiosi che la letteratura scritta che va sotto l'alveo dottrinale mahāyāna fosse già presente in India da diversi secoli. Paul Williams ritiene improbabile una presenza della letteratura Mahāyāna prima della stesura per iscritto della letteratura buddhista riguardante gli Āgama-Nikāya ovvero prima del I secolo a.C., contro questa ipotesi si pone Tilmann Vetter per il quale vi sarebbero prove evidenti di una trasmissione orale del più antico materiale Mahāyāna.
Se quindi c'è generale consenso tra gli studiosi nel ritenere che le prime opere scritte contenenti dottrine mahāyāniste compaiano nei secoli a cavallo della nostra Era e che, fatto salvo casi sporadici, non siano presenti rilevanze archeologiche che testimonino una presenza istituzionalizzata del Mahāyāna se non a partire dal IV secolo, resta da comprendere l'origine del movimento mahāyānista che si diffuse lentamente nei monasteri buddhisti.
Akira Hirakawa ritiene che tale movimento sia di origine prevalentemente laicale e legato al culto degli stūpa. Schopen è di tutt'altro avviso notando che le iscrizioni archeologiche sono quasi tutte monastiche, concludendo che:
«Il Mahāyāna era un movimento dominato dai monaci»
(Gregory Schopen. Two problems in the history of Indian Buddhism: the layman/monk distinction and the doctrines of the transference of merit. In Studien zur Indologie und Iranistik. 1985, X, pag.26)
Anche Paul Harrison e Sasaki Shizuka ritengono che il movimento mahāyānista sia di stretta origine monastica.
Paul Williams ricorda come i recenti lavori di Paul Harrison sui frammenti della letteratura mahāyāna nonché i suoi antichi sūtra conservati nel Canone cinese, e solo recentemente studiati, nonché le conclusioni degli studi archeologici effettuati da Gregory Schopen, possano far concludere che il nucleo centrale del Mahāyāna sia certamente monastico e che il punto centrale del Mahāyāna primitivo corrisponda all'aspirazione della perfetta buddhità ovvero al voto del bodhisattva da contrapporre a coloro che seguivano un sentiero 'inferiore' mirando alla liberazione della sola propria sofferenza invece di mirare a quella di tutti gli esseri senzienti.
Questi monaci mahāyāna corrisponderebbero a degli asceti della foresta tesi a tornare allo spirito buddhista primitivo:
«Una certa spinta ai primi sviluppi del Mahāyāna venne dai monaci dimoranti nella foresta. Lungi dall'essere il prodotto di un movimento urbano, laico e devozionale, molti sūtra mahāyāna rivelano un radicale tentativo ascetico di ritornare all'ispirazione originaria del buddhismo: la ricerca della buddhità o della conoscenza risvegliata»
(Paul Harrison.Searching for the origins of the Mahāyāna : what are we looking for? In Eastern Buddhist. 1995, XXVIII, 1, 65)
Il fatto che i primi mahāyānisti fossero dei monaci asceti delle foreste spiegherebbe, secondo Harrison, la scarsità di testimonianze archeologiche nei loro confronti.
La tesi di un Mahāyāna fondato da monaci conservatori e asceti delle foreste sarebbe dimostrata, secondo Gregory Schopen, anche dall'analisi di un sūtra mahāyāna molto antico, il Maitreyamahāsiṃhanāda (Ruggito del Leone di Maitreya), risalente al I secolo d.C. dove viene raccomandata l'ascesi monastica nelle foreste, la svalutazione della vita laicale e la denigrazione dell'adorazione degli stūpa.
Anche l'origine geografica del "movimento" mahāyānista è stata a lungo dibattuta tra gli studiosi.
Così Luis O. Gòmez:
«Discordanti sono le opinioni degli studiosi occidentali riguardo all'epoca e alla collocazione geografica delle origini del Mahāyāna. Alcuni propendono per una origine antica, intorno agli inizi dell'era volgare, tra le comunità dei Mahāsāṃghikā della regione sud-orientale dell'Andhra. Altri propongono un'origine nordoccidentale, tra i sarvāstivādin, tra il II e il III secolo d.C. Ma forse è più verosimile, per la formazione del Mahāyāna, pensare a un processo graduale e complesso, sviluppatosi in varie regioni dell'India»
Mario Piantelli evidenzia come
«Vi sono due distinti focolai di cui abbiamo notizia: le scuole degli andhaka fiorite attorno ad Amarāvati, presso una delle quali (i pūrvaśaila) sembra fosse conservato un testo dei Prajñāpāramitāsūtra ancora in pracrito, e l'ambiente ricco di fermenti dei sarvāstivādin dell'India di Nord-Ovest; importanti carovanieri congiungevano queste regioni e una continua migrazione di "bhikṣu" e di idee può aver avuto luogo nei due sensi: non è un caso che la presenza di una comunità del Mahāyāna sia segnalata un po' dappertutto lungo tali itinera: Kapiśa (l'attuale Kabul), Takṣaśila, Jalaṃdara (l'attuale Lahore), Kankyākubja, Mathurā...»

L'emergenza simultanea della rivoluzione cristiana e del Grande veicolo buddista nel primo secolo dopo Cristo: gli studi di François-Marie Périer

Nel novembre 2017, lo scrittore François-Marie Périer, di sensibilità cristiana e buddista, pubblicò il saggio storico "La Porte Étroite et le Grand Véhicule, des Premiers Chrétiens aux Bodhisattvas, Révélations sur les Origines du Mahâyâna" - La Porta Stretta e il Grande Veicolo, dai Primi Cristiani ai Bodhisattva, Rivelazioni sulle Origini del Mahāyāna - (éditions le Mercure Dauphinois, Grenoble, non tradotto). Di padre francese e di madre italiana, l'ex-reporter (per la rivista Bouddhisme Actualités) e fotografo François-Marie Périer mette in evidenza la simultaneità dell'apparizione del Cristianesimo e del Mahāyāna ai due poli della Via della Seta, lungo la quale il greco e l'aramaico erano le lingue internazionalmente parlate e scritte, nei primi decenni dell'era cristiana. Attraverso l'uso congiunto della cronologia, dell'iconografia, dell'archeologia, dell'etimologia, delle vie commerciali, dei testi ebraici, cristiani, gnostici, zoroastriani e buddisti Mahāyāna dei primi secoli dopo Cristo, il ricercatore francese afferma l'incontro e la sintesi del messaggio cristiano e del buddismo presente nell'ambito dell'Impero Kushana, fortemente ellenizzato tre secoli dopo le conquiste di Alessandro, alle sorgenti del Grande Veicolo. Per François-Marie Périer, che precisa che il suo obiettivo è di portare un messaggio di conoscenza reciproca ai Buddisti e ai Cristiani, la vita e l'insegnamento del profeta e buddha di Occidente Gesù, portati dai missionari cristiani, impressionarono fortemente la Sangha e vennero integrati con i nuovi insegnamenti cristiani, nella sintesi mahayanista, ponendo la Compassione e la rinuncia al Nirvana del Bodhisattva con il saluto universalmente portato a tutti gli uomini, al di sopra della dissoluzione nel Nirvana cercata dall'Arhat nel Buddismo delle Origini.
Ecco alcuni elementi delle ricerche di François-Marie Périer:
L'apparizione dei tre buddha o bodhisattva dell'Occidente, chiamati poi in Cina I Tre santi dell'Ovest e spesso rappresentati insieme: Amitâbha, Avalokiteshvara et Mahâsthamaprâpta.
- Amitâbha, (Luce Infinita), un rè chiamato Dharmakara (Colui che porta la legge) che aveva rinunciato al proprio regno per compassione per l'umanità e diventò monaco, portando il Dharma dappertutto e manifestando colla propria luce Avalokiteshvara, anche in tal caso per compassione per l'umanità.
- Avalokiteshvara, (Colui che guarda verso il mondo di quaggiù o Colui che ascolata le suppliche del mondo), emanato da Amitâbha,viene descritto come un buddha dalla pelle bianco, di cui il campo d'influenza si estende verso l'Occidente. Attraversò gli Inferni e ne liberò le anime. Sù una montagna, un giorno, ebbe un dubbio sulla sua capacità a liberare tutte le anime del Samsara come aveva emesso il voto di farlo, e il suo corpo scoppiò in mille pezzi, poi riconstituito da Amitâbha e riprese la sua missione aiutata da Târâ. Avalokiteshvara ha in carica di vegliare sull' Ùmanità nel periodo attuale che va dal buddha storico Shakyamuni fino alla discesa di Maitreya.
- Mahâshtamaprâpta, (Arrivo di una grande potenza), è un buddha più astratto e meno rappresentato. Associato alla Saggezza, se ne ritroveranno caratteristiche in Vajrapani e Manjushri


L'apparizione del Paradiso della Terra Pura d'Occidente
Questi tre buddha aspettano il fedele al centro del Sukhavati, o Paradiso della Terra Pura d'Occidente, dove ci sono tutte le delizie, tranne quelle delle donne, che devono prendere un corpo d'uomo per potere accedere al Sukhavati. Un punto comune con il Regno dei Cieli del Vangelo secondo Tommaso, testo gnostico del primo secolo, in cui Gesù afferma a Pietro che le donne che si faranno uomini entreranno nel Regno dei Cieli.


L'apparizione della Saggezza Suprema femminile e la congiunzione alla Compassione maschile
La Prajñā-pāramitā o Saggezza Suprema femminile non esisteva nel Buddismo delle Origini. Ma era presente nella Bibbia, chiamata Shekhina attraverso i Proverbi, il Libro della Sapienza (Sapienza di Salomone o Sapienza) e più recentemente con il Siracide. Târâ, la Sagezza, era stata manifestata nello stesso momento di Avalokiteshvara, dagli occhi di Amitâbha. La congiunzione amorosa della Sagezza femminile e della Compassione maschile al centro dei mandala tantrici è molto simile alle descrizioni che danno i testi gnostici come la Sapienza di Gesù Cristo, o Sofia di Gesù Cristo (II-III secolo dopo Cristo) ritrovata a Nag Hammadi nel 1947. In questo testo apocrifo, la Sapienza e il Salvatore vennero manifestati insieme dalla Luce infinita e si congiungono misticamente nella Camera nuziale. In Cina, Avalokiteshvara e Târâ diverranno Guan-yin, bodhisattva femminile della Compassione, dalla pelle bianca, vestita di bianco, con un bambino sulle ginocchia, chiamata Colei che porta i bambini. In Giappone, Guan-yin diverrà Kannon.


L'apparizione di Maitreya
Anche il buddha Maitreya, (Colui che ama, anche chiamato buddha del Futuro), apparve al primo secolo dopo Cristo, sintesi del dio persiano Mitra, adorato dai confini dell'Impero Romanoo fino all'India sotto diverse forme, e di Cristo. Maitreya, buddha salvatore, scenderà per ristabilire il Dharma nel mondo e rinnovarlo in un modo molto vicino all'escatologia zoroastriana e cristiana.


La Salvezza portata a l'Umanità intera
Come accennato sopra, la nuova salvezza del Mahâyâna è destinata all'insieme dell'Umanità e non limitata ai monaci. Si tratta di un altro punto comune importante con il Cristianesimo che esce dall'ambito strettamente ebraico per essere portato verso i Gentili al di fuori della comunità ebraica.

Destini del Manicheismo e del Mahâyâna
Appena più di un secolo dopo l'emergenza del Mahâyâna nell'Impero Kushana, Mani, il profeta persiano, realizzò con il Manicheismo, che predicò in aramaico, una sintesi tra lo Zoroastrismo, il Buddismo e il Cristianesimo. Prima accolta favorevolmente, venne in seguito perseguitato e martirizzato e il Manicheismo rimase sempre una fede marginale perpetuata però con grande successo dai Catarri nel Medioevo. Invece, protetto in particolare dall'imperatore Kushana Kanishka il Grande che visse tra il primo e il secondo secolo dell'era cristiana e mandò missionari a predicare il Dharma e costruire monasteri per tutto l'Impero seguendo le Vie della Seta, il Grande Veicolo conobbe un enorme successo in India, in Cina, nel Medio-Oriente e più tardi nel Tibet e in Giappone.


La questione delle precedenza storica dell'influenza tra Cristianesimo e Buddismo nel primo secolo dopo Cristo
Anticipando alcune controversie, François-Marie Périer fa prendere in considerazione il fatto che gli elementi elencati sopra, che apparvero nel Grande Veicolo buddista, non erano presenti nel Buddismo delle Origini o nell'area indiana in precedenza, ma erano invece ben presenti, da secoli in alcuni casi, nell'Antico Testamento, nello Zoroastrismo o nell'Ellenismo. Per altro, anche se la parola Mahāyāna esistette nei primi decenni avanti Cristo, il buddhismo Mahāyāna che emerse dall'improvviso nel primo secolo dopo Cristo e si diffuse con grande velocità, è del tutto diverso di quello che si annunciò in modo molto ipotetico nel secolo precedente: né i sûtra, né i buddha, né gli elementi di cosmologia e di escatologia, né i nuovi valori apparsi nell'Impero Kushana erano presenti né riperibili avanti Cristo. E l'arte greco-buddista o arte del Gandhâra, apparsa in quello stesso periodo, è qui per ricordare con grande bellezza l'incontro tra Occidente ed Oriente nell'Impero Kushana, e l'infondere dei valori filosofici e artistici dell'Ellenismo nel nuovo Dharma.

I sūtra Mahāyāna

Il corpus dottrinale Mahāyāna è oggi raccolto nel Canone cinese (大藏經 Dàzàng jīng) e nel Canone tibetano (nel Kanjur e nel Tanjur), così denominati in base alle lingue con cui questa letteratura viene riportata. Conserviamo comunque diverse opere Mahāyāna, integrali, anche in sanscrito ibrido e in khotanese nonché numerosi frammenti in altre lingue spesso rinvenuti lungo le oasi della Via della Seta.
Secondo la tradizione Mahāyāna molti di questi sūtra furono predicati dallo stesso Buddha Śākyamuni, Luis O Gòmez evidenzia tuttavia come siano le stesse tradizioni mahāyāna a smentire questo dato storico quando sostengono che questi sūtra furono trasmessi dal Buddha solo a dei bodhisattva e a degli "esseri celesti" che li nascosero per alcuni secoli nelle profondità della terra o degli oceani per farli riemerge nei primi secoli della nostra Era.
La tradizione Mahāyāna sarebbe comunque originata dalla messa per iscritto della sua prima letteratura (I secolo a.C.), e quindi dalla sua diffusione lungo i monasteri buddhisti indiani; secondo Tilmann Vetter vi sarebbero tuttavia prove evidenti di una precedente trasmissione orale del più antico materiale Mahāyāna.
La più antica letteratura Mahāyāna ad oggi conservata appartiene al ciclo dei Prajñāpāramitāsūtra. Successivamente tale letteratura si espande e si diffonde, raggiungengo oltre le mille opere che si propagano lungo l'Asia centrale e l'Estremo Oriente, giungendo, a partire dallo scorso secolo, in Occidente.


Il "ciclo" dei Prajñāpāramitāsūtra

Mario Piantelli riporta l'opinione di numerosi studiosi per cui l'Āryaprajñāpāramitāratnaguṇasañcayagāthā (Strofe del cumulo di pregi [che sono] le gemme della Nobile Perfezione della Conoscenza) giunta a noi in sanscrito ibrido, raccolta nel Canone tibetano e risalente al I secolo a.C., sarebbe il testo più antico di questa letteratura ad oggi disponibile.
Da questo primo testo originerebbe il successivo Aṣṭasāhasrikāprajñāpāramitā (Sutra della Perfezione della Conoscenza in ottomila versi) giunto fino a noi in alcune versioni sanscrite e cinesi. In cinese la prima traduzione di questo sūtra è in dieci fascicoli e risale al 172 d.C. per opera di Lokakṣema con il titolo 道行般若經 (Dàoxíngbōrějīng conservato nel Canone cinese al T.D. 179). Di poco successivo il Pañcaviṃśatisāhasrikāprajñāpāramitāsūtra (Sutra perfezione della saggezza in venticinquemila versi) tradotto nella lingua cinese nel 286 da Dharmarakṣa con il titolo 光讚般若波羅蜜經 (Guāngzànbōrěbōluómìjīng e conservato al T.D. 222).
A seguire gli altri Prajñāpāramitāsūtra, tra i quali ricordiamo:
  • Il Śatasāhasrikāprajñā-pāramitāsūtra (Sutra della perfezione della saggezza in centomila stanze).
  • L'Aṣṭādaśa-sāhasrikā-prajñā-pāramitāsūtra (Sutra della perfezione della saggezza in diciottomila stanze).
  • Il Daśa-sāhasrikā-prajñā-pāramitāsūtra (Sutra della perfezione della saggezza in diecimila stanze).
  • Il Prajñāpāramitā ratnaguṇasaṃcayagāthā (Sutra condensato della perfezione della saggezza).
  • Il Saptaśatika- prajñā-pāramitāsūtra (Sutra della perfezione di saggezza in settecento righe).
  • Il Pañcaśatika- prajñā-pāramitāsūtra (Sutra della perfezione di saggezza in cinquecento righe).
  • Il Prajnaparamita- arasadhika- sutra (Sutra della perfezione di saggezza in cinquanta righe).
  • Il Prajñāpāramitā-naya-śatapañcaśatikā (Sutra della perfezione di saggezza in centocinquanta metodi).
  • Il Pañcaviṃśatika- prajñāpāramitā-mukha (Venticinque porte della perfezione della saggezza).
  • Lo Svalpākṣara-prajñāparamitā (La perfezione della saggezza in poche parole).
  • L'Eka ksarimatanama sarva-tathāgata prajñāpāramitā (La perfezione della saggezza in una lettera madre dei Tathagata).
  • Il Kauśika prajñāpāramitā (La perfezione della saggezza per Kausika).
  • Il Suvikrāntavikrāmi-paripṛcchā-prajñāpāramitā-sūtra (Le domande di Suvrikantavikramin).
  • Il Vajracchedika prajñāpāramitā sūtra (Il Sutra del Diamante che recide).
  • Il Prajñāpāramitā Hṛdaya sūtra (Il Sutra del Cuore della perfezione di saggezza).
L'autore o gli autori dei primi Prajñāpāramitā sūtra sono, a detta di Paul Williams, dei dharmabhāṇaka (predicatori del Dharma) piuttosto che degli esegeti. Essi ripetono costantemente, in questa letteratura religiosa, tre precisi messaggi:
  • La perfezione (Pāramitā) più elevata è la prajña (saggezza o conoscenza non mondana);
  • Il contenuto della prajña è la vacuità (Śūnyatā);
  • Il contesto realizzativo di tutto ciò è il sentiero del Bodhisattva (Bodhisattvayāna) ovvero quello intrapreso dal praticante buddhista che non mira alla salvezza personale raggiungendo lo stato di arhat, bensì alla salvezza di tutti gli esseri senzienti e quindi alla stessa buddhità.

Il Sutra del Loto (Saddharmapuṇḍarīkasūtra)

Composto nella sua forma definitiva tra il I secolo e il II d.C., il Sutra del Loto contiene alcune parti che si possono forse far risalire a poco prima dell'inizio della nostra Era. Tradotto in più lingue questo sutra è stato diffuso lungo l'Asia centrale e l'Estremo Oriente divenendo in molti luoghi il sutra buddhista di riferimento per quelle comunità religiose. Esso si compone di un insieme di racconti fantastici o sovrannaturali aventi lo scopo di 'rivelare' al suo lettore una diversa interpretazione del mondo. In questo sutra il Buddha Śākyamuni presenta il Buddhaekayāna (il veicolo unico del Buddha) in cui verrebbero riassunti tutte le altre 'vie' buddhiste compresa quella dello Śrāvakayāna (o Hinayāna). Il Dharma profondo è espresso dal Buddha non con l'esposizione della dottrina delle Quattro nobili verità (catvāri-ārya-satyāni) ma con quella della Tathātā ovvero della Realtà per come essa è. In questo sutra tutti i buddha dei diversi mondi e universi vengono ad omaggiare con i loro bodhisattva il Buddha Śākyamuni, il buddha della terra di sahā, la nostra terra, come ad indicare la centralità della vita quotidiana per il praticante buddhista che non dovrebbe rivolgersi ad altri buddha cosmici. Infine il Buddha Śākyamuni afferma di essere il Buddha eterno, ovvero di non essere mai entrato nel parinirvāṇa (estinzione definitiva) e di aver conseguito la bodhi da tempo immemorabile. In questo il sutra vuole indicare che il buddha stesso è "incarnato" nel Dharma (così come il Dharma si "incarna" nel Buddha) e nelle pratiche bodhisattviche.

L'Avataṃsakasūtra (Il Sutra della Ghirlanda fiorita)

L'Avataṃsakasūtra (il suo titolo completo è Buddhâvataṃsakamahāvaipulyasūtra) è una collezione di sutra che sono stati raccolti e collegati tra loro sotto questo titolo intorno al IV-V secolo d.C. La dottrina qui esposta, soprattutto nel Gaṇḍavyūhasūtra che ne rappresenta l'ultimo capitolo, è la descrizione del mondo visto dai buddha e dai bodhisattva avanzati (āryabodhisattva). Un mondo quindi fondato sulla visione della Realtà percepita da un profondo stato meditativo. Il mondo dei buddha viene indicato con il termine dharmadhātu (Regno della Realtà assoluta) esso si sovrappone a quello umano indicato come lokadhātu (Regno mondano). Nel dharmadhātu la Realtà esprime la sua vacuità (śūnyatā) e la totale compenetrazione tra tutti i fenomeni che lo compongono. I buddha agiscono nel lokadhātu affinché gli essere lì relegati possano percepire il dharmadhātu e quindi raggiungere la bodhi.
Un altro capitolo importante dell'Avataṃsakasūtra è il Daśabhūmikasūtra (Sutra delle dieci terre), il principale sūtra mahāyāna che enuncia la dottrina delle bhūmi mediante le quali il bodhisattva può procedere per realizzare il pieno risveglio, indicando nella bodhicitta (Mente del Risveglio, ovvero l'aspirazione ad ottenere il Risveglio) il primo passo per entrarvi.


Il Mahāyāna Mahāparinirvāṇasūtra

Il Mahāyāna Mahāparinirvāṇasūtra è la rivisitazione mahāyāna degli ultimi giorni di vita del Buddha Śākyamuni con i relativi ultimi insegnamenti. Se gli eventi riportati coincidono in parte con il Mahāparinirvāṇasūtra contenuto nello Āhánbù o con il Mahāparinibbānasutta del Canone pāli, questi di origine hīnayāna, gli insegnamenti riportati sono totalmente differenti, insistendo il testo mahāyāna su dottrine quali, ad esempio, il Tathāgatagarbha.
La dottrina contenuta nella prima parte del sūtra consiste nel considerare il parinirvāṇa del Buddha Śākyamuni come una morte "apparente" e in realtà mai avvenuta. Il corpo del Buddha, qui indicato come Dharmakāya o abhedavajrakāya, sarebbe in realtà adamantino e indistruttibile e la sua vita sarebbe incalcolabile. Quello del Buddha è quindi un mahānirvāṇa, differente dal nirvāṇa degli arhat, i quali non hanno la consapevolezza del buddhadhātu ma solo l'assenza delle afflizioni (kleśa).
La seconda parte contiene un insieme di dottrine che vanno da una lettura, sempre docetista, della vita terrena del Buddha e delle sue precedenti attività bodhisattviche, a delle interpretazioni delle regole monastiche (vinaya) alla dottrina del mòfǎ, a quella esoterica del tathāgatagarbha.
Inoltre in questo sūtra buddhista il Buddha, il Tathāgata, è visto possedere le guṇapāramitā (la "perfezione delle qualità": "beatitudine", "permanenza", "purezza" e "Sé") ovvero le quattro qualità opposte che affliggono gli esseri senzienti.
Non solo, le guṇapāramitā sono potenzialmente in tutti gli esseri senzienti, in quanto la loro autentica natura è il tathāgatagarbha. Dal che, a differenza di altre dottrine buddhiste, la dottrina dello anātman viene indicata come saṃvṛtisatya (假諦) ovvero come "verità convenzionale" in quanto lo Śākyamuni avrebbe inteso rigettare solo il "sé" condizionato per liberare il vero "Sé" (mahātman; cinese: 大我, dàwǒ; giapponese: daigo)), nel nirvāṇa, per manifestare il buddhadhātu.


Le dottrine Mahāyāna

Dal punto di vista dottrinale, il Buddhismo Mahāyāna venne delineato nelle scuole Madhyamaka e Cittamātra che fiorirono nell'India settentrionale soprattutto presso l'Università buddhista di Nālandā. Questi insegnamenti contengo tra loro importanti differenziazioni, conservando tuttavia in comune l'importanza della figura del bodhisattva, ovvero del praticante buddhista, laico o monaco, che potendo raggiungere la meta del nirvāṇa vi rinuncia per aiutare tutti gli esseri senzienti ad entrarvi prima di lui, e la centralità dell'insegnamento della vacuità (sanscrito: śunyātā) peraltro già presente negli antichi Āgama-Nikāya.
Va precisato che alcuni di questi insegnamenti, che solo successivamente acquisirono il nome Mahāyāna, almeno dal punto di vista scritturale sono databili nello stesso periodo di quelli riferiti al Buddhismo dei Nikāya, ovvero intorno l'inizio della nostra era. Questo fatto daterebbe l'avvio dottrinale del Mahāyāna, e quindi del Mahāyāna medesimo, intorno a quel periodo.
Gli insegnamenti Mahāyāna si sono diffusi durante l'Impero Kushan e lì hanno progressivamente integrato e quindi sostituito le antiche scuole dette del Buddhismo dei Nikāya giungendo fino in Cina e in Tibet, per poi diffondersi in tutta l'Asia centrale e orientale.
Secondo Icilio Vecchiotti il progressivo sviluppo dottrinale del Mahāyāna è causa di una graduale migrazione del Buddhismo stesso verso dottrine idealistiche:
«La pluralità delle dottrine e la pluralità dei Buddha si ambientano proprio in questa dinamica, costituendo l'espressione di una pluralità di forme, che si avviano ad essere in modo sempre più esplicito forme della coscienza, cosa che le viene a togliere da qualsiasi problema di tipo sostanzialistico, da questo atteggiamento esplicito-implicito nasce la drammatica problematicità dei sūtrāṇi del Grande Veicolo. Non c'è alcun dubbio che nel progresso dei tempi si venisse a determinare tutta una serie di discrepanze dottrinali, nel senso che le nuove dottrine, in uno sviluppo che non sempre fu lineare, venivano a contenere apoftegmi che non sarebbero potuti appartenere al Buddhismo primitivo: se si guarda agli estremi della linea derivata il Buddhismo delle origini non è idealistico, o almeno tale non si può definire, mentre tale senza dubbio è il punto d'arrivo del Buddhismo stesso.»



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