Le fukimibari è una arma
utilizzata dai ninja del Giappone medievale. Erano piccoli aghi
metallici che si nascondevano nella bocca del ninja, che venivano
sputati in faccia all'avversario nella mischia.
domenica 23 ottobre 2016
sabato 22 ottobre 2016
Kamae
Kamae (構え)
è una parola di origine giapponese che in italiano significa
"posizione".
Nel kumite, cioè nel combattimento
libero, la posizione di guardia si ottiene posizionando la mano
avanzata a protezione del volto e quella arretrata sul plesso solare.
Nel kata spesso la posizione di guardia
si assume posizionando le mani chiuse su un fianco una sopra l'altra.
La vediamo utilizzata in diverse arti
marziali, tra cui il ninjutsu.
Kamae nel ninjutsu
- Ichimonji no kamae
- Doko no kamae
- Tonso no kamae
- Happo cakuie no kamae
- Achimonji no kamae
- Jumonji no kamae
- Icho no kamae
- Hoko no camae
venerdì 21 ottobre 2016
Yabusame
Yabusame
Yabusame (流鏑馬)
tiro con l'arco eseguito da un cavaliere. È un'arte marziale
giapponese derivante dal kyudo (il tiro con l'arco tradizionale).
La particolarità è che le frecce utilizzate non hanno punta ma terminano con rigonfiamento ovoidale che evita gli eventuali danni di un tiro errato.
La particolarità è che le frecce utilizzate non hanno punta ma terminano con rigonfiamento ovoidale che evita gli eventuali danni di un tiro errato.
La disciplina richiede una notevole
abilità sia nel cavalcare che nel tirare poiché, per maneggiare
l'arco, il cavaliere ha entrambe le mani occupate e non può tenere
le briglie, quindi deve tenersi in sella con la sola forza delle
gambe. Si consideri che il tiro viene eseguito con il cavallo
lanciato al galoppo in una corsia lunga circa 250 metri.
Inoltre i bersagli da colpire sono due, posti a circa 50 metri uno dall'altro. Eseguito il primo tiro, l'arciere deve incoccare una seconda freccia e, nel giro di pochi secondi, ripetere il tiro al secondo bersaglio. Sul percorso stazionano giudici che segnalano l'esito del tiro.
Inoltre i bersagli da colpire sono due, posti a circa 50 metri uno dall'altro. Eseguito il primo tiro, l'arciere deve incoccare una seconda freccia e, nel giro di pochi secondi, ripetere il tiro al secondo bersaglio. Sul percorso stazionano giudici che segnalano l'esito del tiro.
Questa disciplina ha origine nel
periodo Kamakura (1192–1334), e nasce come una sorta di
intrattenimento offerto agli dei. Come il kyudo è profondamente
intrisa dei concetti della filosofia zen e come tutte le arti
marziali è non solo un esercizio di bravura ma anche un cammino
iniziatico di elevazione spirituale.
Possono praticare lo Yabusame anche le
donne che indossano, al pari degli uomini, sontuosi costumi di foggia
duecentesca. Anche i finimenti dei cavalli e tutto l'equipaggiamento
riproducono con estrema minuzia quello dei tempi originari,
raffigurato in innumerevoli opere pittoriche.
giovedì 20 ottobre 2016
Heike monogatari
Heike monogatari (平家物語
lett. "Il racconto
della famiglia Taira") è un romanzo epico giapponese del
XIV secolo di autore anonimo, tratto da storie trasmesse oralmente e
cantate con accompagnamento del liuto biwa. Questo genere di canto
epico è detto heikyoku.
La parola Heike (平家)
indica la famiglia Taira ed è composta dal primo kanji di Taira (平氏)
più il suffisso relazionale -ke (家
lett. "legami
famigliari").
Descrizione dell'opera
È uno dei più importanti gunki
monogatari, racconti di guerra, insieme allo Heiji monogatari
e lo Hōgen monogatari. Lo Heike monogatari è basato
sugli scontri avvenuti durante il periodo Kamakura fra i potenti clan
Taira e Minamoto. In particolare fa riferimento alla Guerra Genpei
(1180-1185), che vide la definitiva rovina dei Taira. È incentrato
sulla figura di Taira no Kiyomori, generale dei Taira, ma è narrato
dal punto di vista dei Minamoto. Kiyomori è descritto infatti come
un condottiero crudele e sanguinario.
L'autore
L'epica storica è probabilmente il
frutto di diversi canti, nati ad opera di monaci itineranti, che
narravano presso le varie corti dei signori daimyō le avventure dei
tempi tumultuosi di fine epoca Heian. Questi artisti erano conosciuti
come biwa hoshi, poiché secondo la tradizione erano ciechi.
Un'interessante riflessione sulla paternità dell'opera è offerta da
Kenko Hoshi ([Yoshida Kenkō]), autore dello Tsurezuregusa,
che al riguardo afferma: "Yukinaga scrisse lo Heike Monogatari e
in seguito l'affidò ad un uomo chiamato Shobutsu affinché lo
cantasse". L'identificazione dell'autore rimane controversa,
anche in virtù dello stile eterogeneo dell'opera, frutto
probabilmente della mano di diversi autori.
Stile
Lo Heike monogatari, concepito
per un'aristocrazia guerriera, fa mostra di un linguaggio che non
possiede la raffinatezza dei precedenti capolavori di epoca Heian,
poiché rappresenta con crudo realismo le difficoltà della guerra e
della vita, ma non è interamente dimentico della romantica eleganza
e dello stretto rapporto con la natura riscontrato nel Genji
monogatari. Con l'avvento del medioevo si affievoliscono i
sentimenti provocati dal termine estetico aware (あわれ),
e la sensibilità letteraria si evolve sfociando nel cosiddetto yugen
(幽玄),
termine chiave dell'estetica medioevale, tradotto spesso con
"profondità" e "mistero"). È una sorta di
risonanza mistica e di incanto sottile che nella sua oscura ambiguità
ha tutto il fascino e la suggestione della grazia di un effimero
fiore di ciliegio, lievemente coperto da leggeri lembi di nebbia alla
fatua luce della luna d'inverno) già presente nello Heike
monogatari.
L'influenza buddhista
La storia degli Heike è incentrata su
sentimenti più prettamente buddisti, che nella letteratura
medioevale prendono vita soprattutto nelle opere a carattere zen di
coloro che si erano ritirati dal mondo e dalle guerre continue, quali
Kamo no Chōmei e Yoshida Kenkō: il mujō (無常),
impermanenza di tutte le cose. Degno di citazione a questo proposito
è il celebre inizio dello Heike:
(JA)
« 祇園精舎の鐘の声、諸行無常の響きあり。娑羅双樹の花の色、盛者必衰の理をあらわす。
おごれる人も久しからず、唯春の夜の夢のごとし。たけき者も遂にはほろびぬ、偏に風の前の塵に同じ。 » |
(IT)
« Il rintocco della
campana di Gion risuona l'eco dell'impermanenza di tutte le cose.
Il colore dei fiori dei due alberi di Sala esprime l'ammonimento
secondo cui le persone influenti ineluttabilmente cadono.
Anche gli arroganti, prima che passi molto tempo, somiglieranno a sogni in una notte di primavera. Anche i coraggiosi spariranno in tutto uguali a polvere di fronte al vento. » |
(Heike
monogatari)
|
Fortuna dell'opera
Numerosi episodi dello Heike
monogatari sono stati ripresi in drammi nō, come ad esempio
Sanemori di Zeami.
mercoledì 19 ottobre 2016
Vaiśravaṇa
Vaiśravaṇa — dal sanscrito
"colui che ode distintamente", pāli Vessavaṇa,
cinese Weishamen-tian (畏沙門天,
Wèishāmén Tiān) o Duowen-tian (多聞天,
多闻天,
Duō Wén Tiān), giapponese Tamon-ten (多聞天)
o Bishamon-ten (畏沙門天),
coreano Damun Cheonwang (다문천왕),
tibetano rnam.thos.sras — è il più importante dei Quattro
Re Celesti del Buddhismo, equivalente del dio induista Kubera.
Attributi
La figura di Vaiśravaṇa è basata
sulla divinità indù Kubera, ma ha assunto nella tradizione
buddhista caratteristiche ed epiteti autonomi, con propri significati
e propri miti; inoltre, in molti paesi anche non a maggioranza
buddhista, la sua figura è stata assimilata dalla religione
popolare, generando culti e miti locali.
Buddhismo Mahāyāna
Nel buddhismo Mahāyāna, Vaiśravaṇa
è il guardiano del Nord, ed ha dimora nel quadrante nord dello
strato più alto della parte inferiore del Monte Sumeru, da dove
regna sugli yakṣa che abitano le pendici del Monte Sumeru.
È spesso ritratto con la faccia
giallastra, con un ombrello o parasole (chatra, simbolo di
regalità), talvolta al fianco di una mangusta (che si ciba di
serpenti, simbolo di avidità e odio), e spesso con gioielli che
fuoriescono dalla sua bocca (simbolo di generosità).
Buddhismo Theravāda
Nel Canone Pali della tradizione
Theravāda, Vaiśravaṇa è indicato col nome "Vessavaṇa",
e regna, come membro dei Quattro Re Celesti (Cātummahārājāno), il
quadrante Nord; secondo alcuni sutta, il suo nome deriva dal regno di
Visāṇa. Vessavaṇa governa inoltre sul popolo degli yakkha. La
sua famiglia è composta dalla moglie Bhuñjatī, e da cinque figlie,
Latā, Sajjā, Pavarā, Acchimatī, e Sutā; ha anche un nipote
yakkha, Puṇṇaka, sposo della nāga Irandatī. Il suo carro è
chiamato Nārīvāhana, e la sua arma era il gadāvudha (in
sanscrito gadāyudha), ma vi ha rinunciato aderendo alla fede
buddhista.
Secondo alcune versioni, "Kuvera"
(sanscrito Kubera) era il suo nome nella sua vita mortale, in
cui era un ricco brahmino che diede in beneficenza tutta la
produzione di uno dei suoi sette mulini, garantendo il sostentamento
dei bisognosi per i successivi ventimila anni; come ricompensa per il
buon kamma (sanscrito karma) si reincarnò nel paradiso
Cātummahārājikā.
Secondo un'altra tradizione, Vessavaṇa
non è un nome di persona ma un titolo vitalizio, concesso di volta
in volta a un mortale, ma essendo questi un abitante del
Cātummahārājika la sua aspettativa di vita è di circa 90.000 anni
(secondo altre fonti fino a nove milioni di anni); il Vessavaṇa di
turno è incaricato di assegnare agli yakkha i luoghi da proteggere
sulla terra (ad esempio laghi o foreste). Secondo alcuni, il posto di
Vessavaṇa è occupato dallo yakkha Janavasabha, reincarnazione del
re di Magadha Bimbisāra.
Alla nascita di Gautama Buddha,
Vessavaṇa divenne suo seguace, giungendo allo stadio di sotāpanna
(sanscrito srotaāpanna), cioè a sole sette reincarnazioni
dall'illuminazione. Spesso agiva come intermediario portando al
Buddha messaggi da parte delle divinità, ma anche da protettore; ad
esempio insegnò al Buddha e ai suoi seguaci i versi Āṭānāṭā,
che i buddhisti in meditazione nelle foreste possono usare per
proteggersi dagli attacchi degli yakkha e delle altre creature
soprannaturali.
Agli inizi del buddhismo, a Vessavaṇa
erano dedicati come altari degli alberi, ed era venerato da coloro
che desideravano concepire figli.
Buddhismo tibetano
In Tibet, Vaiśravaṇa è considerato
un dharmapāla, cioè protettore della fede (dharma), oltre al suo
ruolo classico di Re del Nord, ed è anche una divinità della
ricchezza.
Le sue rappresentazioni si trovano
spesso sugli ingressi dei templi; in esse regge un cedro, frutto del
jambhara, il cui nome rimanda ad un altro suo nome, Jambhala
(pronunciato come Zambala in tibetano) e che aiuta a
distinguere le sue raffigurazioni da quelle di Kubera. Inoltre spesso
è rappresentato come corpulento e ricoperto di gioielli, e quando è
raffigurato seduto il suo piede destro è a terra poggiato su un
fiore di loto insieme a una conchiglia.
Secondo i buddhisti di scuola tibetana
l'associazione di Jambhala con la ricchezza è un mezzo per portare
alla liberazione, fornendo prosperità in modo da consentire di
concentrarsi sul cammino della spiritualità invece che sulle
problematiche materiali.
Giappone
In Giappone, Bishamonten (anche solo
"Bishamon") è un dio della guerra e dei guerrieri,
punitore dei malvagi, tradizionale custode dei templi shinto,
generalmente rappresentato in armatura, con una lancia in una mano ed
intento a sorreggere con l'altra mano una pagoda dorata
rappresentante il forziere divino, il cui contenuto egli al contempo
protegge e distribuisce.
È anche noto come Tamonten (anche solo
"Tamon"), che significa "colui che ascolta molti
insegnamenti", poiché è considerato protettore dei luoghi in
cui il Buddha ha predicato. La sua dimora è a metà delle pendici
del Monte Sumeru.
Nello Shintō, egli è una delle Sette
Divinità della Fortuna.
martedì 18 ottobre 2016
Genji monogatari
Il Genji monogatari (源氏物語
lett. "Il racconto di
Genji"), scritto nell'XI secolo dalla dama di corte
Murasaki Shikibu vissuta nel periodo Heian, è considerato uno dei
capolavori della letteratura giapponese così come della letteratura
di tutti i tempi. I critici letterari si riferiscono ad esso come al
"primo romanzo", il "primo romanzo moderno" o il
"primo romanzo psicologico".
Trama
Il romanzo narra la vita di Genji, un
figlio dell'Imperatore del Giappone, conosciuto anche come Hikaru
Genji, Genji lo splendente. Nessuno dei due epiteti tuttavia è
il suo vero nome. Genji è semplicemente un modo di leggere il
kanji che indica il clan Minamoto, realmente esistito, dal quale
Genji era stato adottato per ordine imperiale; per ragioni politiche
infatti, Genji non poteva appartenere ufficialmente al ramo
principale della famiglia imperiale e dovette iniziare la sua
carriera politica da semplice funzionario di corte.
Il romanzo ruota intorno alla sua vita
amorosa e tratteggia la vita ed i costumi della società di corte del
tempo. Pur incarnando il modello tipico del libertino (certamente
influenzato dalla figura di Ariwara no Narihira), Genji mostra una
particolare lealtà verso tutte le donne della sua vita, non
abbandonando mai nessuna delle sue mogli (vigeva la poligamia) o
concubine - in un'epoca in cui la perdita di un protettore per molte
dame di corte significava l'abbandono ed una vita ai margini della
società (fu questa la sorte anche della principale rivale di
Murasaki Shikibu, Sei Shōnagon).
Genji era il secondogenito di un
Imperatore del Giappone e di una concubina, di basso rango ma dotata
di grande avvenenza e leggiadria. La morte della madre, avvenuta
quand'era ancora bambino, lascerà in lui la figura materna vacante,
e per tutta la vita cercherà una donna ideale spesso vagheggiata.
Crederà di trovarla in Dama Fujitsubo, una nuova concubina
dell'Imperatore suo padre, giovane e leggiadra, molto somigliante
alla madre scomparsa, ma in quanto sua matrigna una donna
assolutamente proibita. Nella prima parte del romanzo i due, che si
scoprono innamorati, cercheranno di reprimere i loro sentimenti,
Fujitsubo chiudendosi nel riserbo e Genji, da poco sposato con la
principessa Aoi, sorella del suo miglior amico Tō no Chūjō,
lanciandosi in continue avventure che però non riescono mai a
soddisfarlo spegnendo il desiderio per la dama.
Per curarsi da una malattia, Genji
visita Kitayama, la regione delle colline che cingono a nord Kyoto. È
qui che incontra una bambina, Murasaki, che lo incuriosisce e che
scopre essere nipote di Fujitsubo. La porta a vivere con sé,
curandone l'educazione per trasformarla nella sua dama ideale. Nel
frattempo riesce ad incontrare Dama Fujitsubo ed i due finiscono per
avere un figlio, che però viene riconosciuto dall'Imperatore e
diviene Principe ereditario, rendendo Fujitsubo imperatrice. I due
amanti giurano di non rivelare mai il loro segreto.
Genji e la principessa Aoi si
riconciliano ed ella dà alla luce un figlio, ma muore poco dopo il
parto posseduta dallo spirito di Dama Rokujō, un'antica amante del
principe ossessionata dalla gelosia. Genji trova consolazione in Dama
Murasaki, ormai cresciuta, che sposa a Kitayama. Alla morte
dell'Imperatore, ha sopravvento a corte un fazione ostile a Genji,
che approfitta della prima occasione - lo scandalo che coinvolge lui
e la concubina del fratello, l'Imperatore Suzaku - per esiliarlo
nella provincia rurale di Harima, lontano dalla capitale. Qui un
ricco possidente, Akashi no Nyūdō, ospita Genji e lo incoraggia ad
intrecciare una relazione con la figlia, Dama Akashi, che gli darà
una figlia - destinata a divenire Imperatrice.
Il perdono del fratello riporta Genji a
Kyōto, dove conduce anche Dama Akashi. Il figlio suo e di Fujitsubo
(ormai scomparsa) ascende al trono e conoscendo i reali legami di
sangue che lo legano a Genji, lo eleva ai più alti onori.
Tuttavia, giunto alla quarantina, la vita di Genji giunge ad uno
stallo. La sua posizione a corte è ormai consolidata, ma è la sua
vita affettiva a risentire di qualche difficoltà. Seppur un po'
controvoglia, Genji sposa una giovane dama dell'alta nobiltà, che
però lo tradisce costringendolo a riconoscere un figlio non suo,
Kaoru, come era già avvenuto all'Imperatore suo padre. Genji vede in
ciò una punizione per i suoi peccati, ma non rescinde quella che
rimarrà sempre un'unione non felice.
Dopo non molto tempo Dama Murasaki
muore, lasciando a Genji una profonda melanconia ed un senso di
solitudine. Nel capitolo seguente, Maboroshi (Illusione),
Genji riflette sulla transitorietà della vita, sulla coscienza di
vivere in un mondo galleggiante, esprimendo il senso di mono no
aware, caducità e perciò stesso bellezza fugace di tutte le cose.
Il resto dell'opera, conosciuto come
Capitoli di Uji per via dell'ambientazione, è successivo alla
morte di Genji ed ha per protagonisti Kaoru ed il suo miglior amico
Niou, principe imperiale figlio della figlia di Genji e di Dama
Akashi. Segue le loro avventure e la loro rivalità nel tentativo di
sedurre alcune delle figlie di un principe imperiale che risiede ad
Uji. La narrazione ha una fine improvvisa, con Kaoru che si chiede se
la dama di cui è innamorato sia invece insieme a Niou. Kaoru è
stato talvolta definito il primo antieroe della letteratura
giapponese.
Contesto letterario
Poiché fu scritto per venire incontro
al gusto delle dame di corte del Giappone dell'XI secolo, l'opera
presenta delle asperità per il lettore moderno. Per prima cosa, la
lingua di Murasaki, il giapponese parlato a corte nel periodo Heian
aveva una grammatica estremamente complessa. Un altro problema è che
chiamare qualcuno per nome era considerato volgare nella società del
tempo, perciò nessuno dei personaggi viene chiamato col proprio nome
nel romanzo; ci si rivolge agli uomini facendo riferimento al loro
rango od alla loro posizione a corte, ed alle donne facendo
riferimento al colore dei loro abiti, alla loro residenza, alle
parole usate in un incontro od al rango o posizione ricoperta da un
loro parente uomo. Di conseguenza, a seconda del capitolo si possono
trovare per i medesimi personaggi appellativi diversi.
Un altro aspetto del linguaggio è
l'importanza che riveste l'uso della poesia nella conversazione.
Modificare o rielaborare un classico a seconda della situazione del
momento era un comportamento codificato nella vita di corte del
tempo, e spesso serviva a comunicare attraverso sottili allusioni. Le
poesie nel Genji sono spesso dei waka. La gran parte di essi era ben
conosciuta dal lettore di riferimento, perciò ne vengono citati
solamente i primi versi, ed il lettore è invitato a completarli da
solo, proprio come oggi potremmo dire "tanto va la gatta al
lardo..." e lasciare sottinteso il resto del proverbio ("...che
ci lascia lo zampino").
Come la stragrande maggioranza delle
opere letterarie Heian, il Genji era stato redatto in buona
parte (se non interamente) in kana (caratteri fonetici giapponesi) e
non in kanji (sinogrammi o caratteri cinesi), poiché era rivolto ad
un pubblico prevalentemente femminile. La scrittura in sinogrammi era
allora considerata prerogativa maschile e le donne potevano servirsi
del cinese solo marginalmente e con discrezione, per non passare per
saccenti.
Proprio per questo al di là del
lessico relativo alla politica ed al buddhismo, il Genji contiene
poche parole prese in prestito dal cinese. Ciò conferisce alla
lettura un ritmo più scorrevole ed uniforme, tuttavia crea anche dei
problemi di interpretazione, poiché in giapponese sono numerosissime
le parole omofone il cui significato è generalmente chiarito dai
sinogrammi, perciò per il lettore moderno spesso il contesto è
insufficiente per scegliere il significato giusto.
Murasaki Shikibu non fu né la prima né
l'ultima autrice del periodo Heian, né il Genji è il primo o
l'unico esempio di monogatari. Piuttosto si può affermare che
ricopra un'importanza ed un ruolo paradigmatico per tutte le opere
del suo tempo, un po' come le commedie di Shakespeare al confronto
con il resto della produzione teatrale Elisabettiana.
Struttura dell'opera
Iniziato nel 1001, è diviso in 54
libri. I primi 41 capitoli, ambientati nella capitale del Giappone
Heian Kyō, narrano la vita del principe Genji, il principe
splendente, chiamato così per la sua intelligenza, cultura, e
bellezza fisica; la trama si fonda sulla fortuna mondana, la caduta,
la risalita al potere e infine la morte del principe galante, a cui
fanno cornice stupende figure femminili dell'aristocrazia di corte.
All'inizio del quarantaduesimo capitolo il lettore viene informato,
senza enfasi, della morte di Genji e assiste a un profondo cambio di
atmosfera: l'azione si sposta nel villaggio di Uji e i nuovi
protagonisti del libro diventano Kaoru, figlio illegittimo della
consorte di Genji, e Niou, nipote di Genji.
Fortuna letteraria
Grandi scrittori giapponesi di ogni
epoca si rivolsero al Genji Monogatari come fonte
d'ispirazione letteraria prettamente nazionale; anche alcune tra le
opere più conosciute del Teatro Nō traggono il loro tema dal
romanzo (come ad esempio Aoi no Ue, La principessa Aoi), e
divenne presto oggetto di commenti filologici e critici da parte dei
maggiori autori e studiosi giapponesi.
In epoca moderna sono stati numerosi
gli scrittori di primo piano che hanno rivalutato l'opera
apprezzandone modernità e complessità e si sono dedicati alla sua
traduzione in giapponese moderno; tra di essi Akiko Yosano, Enchi
Fumiko, Jun'ichirō Tanizaki e Yukio Mishima.
Il Genji inoltre ha ispirato
almeno tre celebri versioni manga: Asaki yumemishi di Waki Yamato
(1979), i più moderni Gekka no kimi di Ako Shimaki (2002-2004) e la
versione parodica Patalliro Genji Monogatari di Mineo Maya (2004),
tutti e tre inediti in Italia. Nel 2009 ne è stata inoltre tratta
una serie anime di 11 episodi trasmessa su Fuji TV all'interno di
noitaminA, intitolata Genji monogatari sennenki.
lunedì 17 ottobre 2016
Date Terumune
Date Terumune (伊達輝宗;
1543 – 1585) Fu un samurai e daimyō del periodo Sengoku.
Succedette al padre Harumune e divenne
il 16° capo della famiglia Date della provincia di Mutsu all'età di
16 anni espandendo il clan negli anni seguenti fino a controllare
trenta distretti.
Quando Oda Nobunaga fu assassinato nel
1582, Terumune supportò Toyotomi Hideyoshi nella disputa per il
potere che ne seguì.
Terumune era padre di Date Masamune, il
quale gli succedette alla guida del clan nel 1584. Masamune continuò
la perenne guerra contro i loro rivali locali, il clan
Nihonmatsu-Hatakeyama fino a quando Hatakeyama Yoshitsugu chiese a
Terumune di intercedere. Nell'incontro che ne seguì Yoshitsugu rapì
Terumune che morì durante un tentativo di salvataggio del figlio
Masamune.
Terumune era molto disponibile ed amato
dai propri servitori e molti di essi commisero junshi (殉死;
suicidio dopo la morte del proprio signore) dopo la sua morte. Era
sposato con una figlia di Mogami Yoshimori della provincia di Dewa.
Terumune è ricordato anche per la
corrispondenza con Oda Nobunaga il quale gli mandò una serie di
lettere dopo il 1574 per assicurarsi la sua alleanza nel lontano
nord.
domenica 16 ottobre 2016
Spade coreane
La storia della fabbricazione della
spada ha in Corea una tradizione antichissima, ad oggi poco
approfondita. L'evoluzione dell'arma bianca manesca nella Penisola
coreana fu strettamente legata allo sviluppo delle spade cinesi, di
cui condivise le particolari tappe: spade cerimoniali in pietra,
spade lunghe in bronzo sino alla predilezione per la scimitarra. La
spada coreana restò però per moltissimo tempo un manufatto
appositamente sviluppato per un utente di alto ceto sociale, non
realizzata su vasta scala per armare un esercito.
La più famosa spada coreana fu lo
Hwandudaedo (환두대도), una
scimitarra con pomolo ad anello, negli esemplari più pregiati ornato
da figure di dragoni e fenici, già diffuso al tempo dei Tre Regni di
Corea (I secolo a.C.-VII secolo).
sabato 15 ottobre 2016
Scimitarra
La scimitarra (persiano: شمشیر,
shamshir) è un'arma bianca manesca del tipo spada originaria
dei paesi dell'Asia occidentale. Ha lama monofilare dalla curvatura
molto pronunciata, con taglio convesso e dorso concavo, capace di
provocare danni molto gravi se usata di taglio, ed impugnatura ad una
mano.
Dalla scimitarra orientale venne
derivata la moderna sciabola occidentale, dalla quale la prima si
differenzia sempre per l'avere lama molto più ricurva.
Etimologia
Il vocabolo "scimitarra"
compare nel lessico della Lingua italiana e della Lingua francese (in
questo caso "cimeterre") a partire dal Tardo
Medioevo e si afferma poi in tutte le lingue europee. La quasi certa
origine del vocabolo europeo è da ricercarsi nei termini in persiano
shim- o shamshir, indicanti appunto, sin dall'XI secolo la
scimitarra persiana, la shamshir. Il vocabolo "shamshir", a
sua volta, è di possibile derivazione da shafshēr, in lingua
pahlavi "artiglio del leone" (sham = artiglio, shir
= leone), in riferimento alla forma ricurva della lama dell'arma.
Tuttavia è molto probabile che si tratti di un'erronea
interpretazione recente, radicatasi anche in ambiente accademico, in
quanto la parola shafshēr era già presente in pahlavi con il
significato generico di spada (v. spada sasanide).
Una serie di armi tradizionali sono
comunemente chiamate scimitarre:
- Dao (scimitarra archetipica dei turco-mongoli)
- Kilij (turco)
- Saif (arabo)
- Shamshir (persiano)
- Talwar (hindi)
- Nimcha (di origine marocchina)
- Pulwar (di origine afghana)
Storia
I turchi dell'Asia Centrale iniziarono
ad utilizzare spade a lama ricurva dalla fine dell'era degli Xiongnu
(III secolo), con un'affermazione definitiva del modello al tempo
degli imperi dei turchi Kok.
Si trattava di armi dalla lama
marcatamente ricurva, monofilare, con un contro-taglio (yelman)
lungo quanto un terzo della lama, in acciaio con alte percentuali di
carbonio. Per via del suo peso contenuto e della lunghezza, nonché
per la peculiare sagoma che risultava particolarmente adatta ai colpi
di taglio preferiti dal guerriero in sella, ebbe larghissima
diffusione tra i cavalieri. Le normali spade erano più versatili,
grazie alla loro capacità di colpire di taglio e soprattutto di
punta ma questa capacità non risultava così necessaria per i
soldati a cavallo che avevano necessità di colpire rapidamente senza
rischiare di impigliare la lama.
La diffusione dell'Islam tra i turchi
contribuì alla diffusione della loro spada ricurva, il kilij, tra i
grandi regni dell'Asia occidentale, a discapito delle spade a lama
diritta precedentemente in uso presso gli arabi (v. kaskara), in uso
sino al IX secolo. I primi kilij ad entrare nel bacino
culturale arabo appartenevano ai Ghulam, gli schiavi-soldati di etnia
turca che combatterono per i califfi Omayyadi ed Abbasidi. La
creazione dell'Impero selgiuchide in Persia e del Sultanato di Iconio
in Anatolia (XI secolo) fece dei turchi la potenza dominante
dell'Asia centrale e del Medio Oriente, garantendo ulteriore
diffusione e successo alla loro spada ricurva. Proprio in questo
periodo, in Iran, iniziarono a diffondersi le shamshir a lama ricurva
derivate dal kilij. Il parallelo avvio delle crociate ed il
conseguente intensificarsi dei contatti e degli scontri tra europei,
bizantini e potentati musulmani, diffuse in Europa l'idea della
scimitarra quale arma "standard" di "mori" e
"saraceni".
Nel XV secolo, la costituzione
dell'Impero Moghul introdusse l'uso della scimitarra in India, ove
sviluppò la locale variante, il talwar, a discapito della spada
monofilare a lama diritta (khanda) in uso alla casta guerriera
locale. Parallelamente, la definitiva affermazione dell'Impero
ottomano quale potenza dominante in Europa orientale e Medio Oriente
garantì al kilij un'enorme diffusione. Al volgere del XVI
secolo, i continui contatti e scontri tra la cavalleria pesante
occidentale e l'esercito ottomano nei Carpazi ed in Ucraina favorì
lo sviluppo di una spada da cavallo ibrida, la szabla, in forza alla
cavalleria della Confederazione Polacco-Lituana, che funse da
archetipo per lo sviluppo della sciabola occidentale.
Il sistematico affermarsi
dell'artiglieria pesante tra XVIII e XIX secolo, unitamente alla
diffusione del moschetto e della baionetta, relegò la scimitarra,
così come quasi tutti gli altri tipi di lama, ad un ruolo puramente
di prestigio e ornamentale. La vittoria di Napoleone sui Mamelucchi
egiziani (1798-1801), grazie ad un uso disciplinato e impeccabile
delle tecniche di combattimento moderno, costituì certamente una
significativo segnale del sempre più ristretto campo d'azione della
cavalleria leggera armata di scimitarra (seppur poi una brigata di
mamelucchi armati di scimitarra venne incorporata nelle file della
Grande Armata). Anche quale arma di rappresentanza, sul territorio
europeo, la scimitarra andò quasi scomparendo, in favore dell'ormai
ben sviluppata sciabola, prediletta dagli eserciti occidentali. Nel
1826, il sultano Mahmud II operò una radicale ristrutturazione
dell'esercito ottomano, abolendo l'uso del vecchio kilij
proprio in favore della sciabola occidentale, segnando la fine di
un'epoca.
Simbologia
L'importanza dell'arma nella cultura
islamica è tale da far sì che essa venga usata simbolicamente in
numerose bandiere di stati della zona araba, come quella dell'Arabia
Saudita o come quella della divisione Handzar, la forza composta da
bosniaci islamici organizzata dalle SS.
Costruzione
La caratteristica peculiare della
scimitarra è la sua lama ricurva, volta ad amplificare il momento
angolare del colpo per garantire, a parità di larghezza, maggior
efficacia al colpo di taglio rispetto ad una spada a lama diritta.
Detta dinamica era già stata approfonditamente studiata da Sir
Richard Francis Burton (1821-1890) nel suo The Book of the Sword
(1884), basando le sue considerazioni fisico-scientifiche su quanto
osservato da lui e da altri ufficiali dell'esercito britannico
durante le campagne nel subcontinente indiano nel corso del XVIII-XIX
secolo.
« The superiority of the curved blade for cutting
purposes is easily proved. In every cut the edge meets its object
at some angle, and the penetrating portion becomes a wedge. But
this wedge is not disposed at right angles with the Sword: the
angle is more or less oblique according to the curvature, and
consequently it cuts with an acuter edge. […] The Talwar, or
half-curved sabre of Hindustan, cuts as though it were four times
as broad and only one-fourth the thickness of the straight blade
[i.e. a Claymore]. But the drawing-cut has the additional
advantage of deeping the wound and of cutting into the bone. Hence
men of inferior strength and stature used their blades in a manner
that not a little astonished and disgusted our soldiers in the
Sing and Sikh campaigns. » |
(Burton, Richard (1884), The
Book of the Sword, Londra, Chatto &
Windus, pp. 130-132.) |
Onde garantire ulteriore efficacia al
colpo di taglio, la scimitarra, nella sua forma archetipica (dao
mongolo) e nella sua forma classica (kilij turco), presenta
inoltre un allargamento in prossimità della punta della lama, il
contro-taglio (yelman in lingua turca). Si tratta però, in
questo caso, non di una invenzione orientale ma di un accorgimento
già noto ai popoli del Mediterraneo antico.
Già il tattico e storico della Grecia
Antica, Senofonte (morto 355 a.C.), parlando della spada più consona
per le forze di cavalleria aveva raccomandato il ricorso al
coltellaccio tipo Makhaira, con lama leggermente ricurva ed
ingrossantesi in prossimità della punta:
(EL)
« ὡς δὲ τοὺς
ἐναντίους βλάπτειν, μάχαιραν μὲν
μᾶλλον ἢ ξίφος ἐπαινοῦμεν: ἐφ' ὑψηλοῦ
γὰρ ὄντι τῷ ἱππεῖ κοπίδος μᾶλλον
ἡ πληγὴ ἢ ξίφους ἀρκέσει. »
|
(IT)
« Ma per ferire i
nemici, a mio parere, è molto meglio il la sciabola che la
spada, perché venendo il colpo dall'alto più profonda sarà
la ferita inferta dalla sciabola, arma che ferisce di taglio,
che dalla spada. »
|
(Senofonte, Sull'equitazione -
XII, 11-12) |
venerdì 14 ottobre 2016
Shao gun
Lo shao gun era un'arma usata
anticamente dalla fanteria cinese, formata da un bastone molto lungo
(gun) con incatenato all'estremità un bastone più corto. Il suo uso
principale era quello di disarcionare i cavalieri.
Per effettuare questo attacco il fante
colpiva il cavaliere usando la parte terminale del bastone lungo,
mirando all'arma o al corpo dello stesso. La catena e il bastone
corto, a causa del contraccolpo giravano vorticosamente annodandosi
intorno all'arma, alle braccia o colpendo il cavaliere.
La lunghezza della catena poteva
variare a seconda di quanto si voleva enfatizzare l'uso descritto.
Con una catena più lunga era più facile disarcionare un cavaliere,
ma ogni altro uso era reso più difficoltoso. Invece con una catena
più corta (fino a pochi cm) era possibile usare lo shao gun come un
gun, attribuendogli in più la facoltà di colpire ulteriormente con
la parte mobile.
giovedì 13 ottobre 2016
Crochetage
Il crochetage è un termine
francese che concerne differenti tecniche di combattimento:
1 - Azione di controllo della parte del
corpo dell'avversario e in particolare di un membro. Basa
sull'accerchiare la parte del corpo dell'avversario da un gancio
formato per la flessione dell'articulation come ginocchio e gomito.
Il controllo può effettuarsi essendo sulle sue gambe o sul suolo.
Per esteso, trovano altri freni differenti.
2 - Azione di squilibrare (o di
proiezione) consistente:
. o ad accerchiare la parte del corpo
dell'avversario per proibire l'utilizzazione di questa parte o per
effettuare un punto di appiglio per favorire uno squilibrare (di tipo
"dondolo")
. o a rimuovere l'appiglio sul suolo
con aiuto di un movimento di proiezione (cosiddetto falciatore) o di
un calcio.
Solitamente, un falciare si realizza al
livello della coscia dell'avversario, ma può essere realizzato più
basso sulla gamba o più alto sull'anca. Questo movimento è a
differenziarsi di un scopaggio che realizzano più basso (sul piede o
il basso del polpaccio).
mercoledì 12 ottobre 2016
Mitsuo Fuchida
Mitsuo Fuchida (淵田
美津雄 Fuchida Mitsuo; Katsuragi, 3 dicembre
1902 – Kashiwara, 30 maggio 1976) è stato un militare giapponese,
capitano della Servizio aereo della Marina Imperiale giapponese e un
asso della Marina imperiale giapponese prima e durante la seconda
guerra mondiale.
Egli è meglio conosciuto per aver
guidato il primo attacco aereo nell'attacco di Pearl Harbor il 7
dicembre 1941. Fuchida era responsabile della coordinazione di tutti
gli attacchi aerei sotto il viceammiraglio Chūichi Nagumo. Alla fine
della seconda guerra mondiale, terminata con la disfatta del
Giappone, a settembre del 1949 si convertì al Cristianesimo e fu
battezzato nel 1951 autoconsiderandosi un missionario fino alla morte
che lo colse, a 74 anni di età, nel 1976.
Primi anni
Mitsuo Fuchida nacque nella Prefettura
di Nara, in Giappone. Entrò all'accademia navale di Eta-Jima nel
1921 dove incontrò e divenne amico di Minoru Genda e scopri il suo
interesse per il volo. Specializzatosi nel bombardamento, Fuchida
fece rapidamente carriera fino a diventare istruttore. Considerato
uno dei piloti più abili del Giappone, fece esperienza di
combattimento durante le operazioni sulla Cina nei tardi anni' 30.
Venne promosso capitano di corvetta e fu accettato presso un
prestigioso college navale. Fuchida faceva parte dell'equipaggio
della portaerei Akagi nel 1939 quale comandante di volo. A
quell'epoca aveva un'esperienza di circa 3.000 ore di volo.
Servizio nella seconda guerra mondiale
Il 7 dicembre 1941 una forza di attacco
giapponese al comando del viceammiraglio Chūichi Nagumo e
consistente in sei portaerei, con 423 aerei imbarcati, era pronta per
attaccare la base navale statunitense di Pearl Harbor. Alle ore 06:00
la prima ondata d'attacco, composta da 183 fra bombardieri e caccia,
decollò dalle portaerei situate a 230 miglia a nord di Oahu e si
diresse verso la flotta americana del Pacifico ancorata a Pearl
Harbor.
Alle 07:20 Fuchida, comandando il suo
gruppo, prese la via sotto l'isola più a est, quindi virò verso
ovest e volò lungo la costa sud, oltre la città di Honolulu. Egli
credette che il suo avvicinamento non fosse stato segnalato dalla
stazione radar di Oahu. Tuttavia due soldati americani segnalarono ad
un superiore l'arrivo di una grande formazione aerea, ma l'ufficiale
competente decise di ignorarla, credendo che si trattasse di una
formazione di bombardieri B-17 in arrivo dalla California.
Nel frattempo Fuchida ordinò Tenkai
("portarsi in formazione d'attacco"). Alle 07:40, ora
Hawaiiana, vedendo che a Pearl Harbor tutto appariva normale, apri il
vetro del suo aerosilurante Nakajima B5N2 Type 97 Model 3 e sparò un
razzo verde, il segnale dell'attacco.
Alle 07:49 Fuchida istruì il suo
operatore radio, il sottufficiale di prima classe Norinobu Mizuki, di
mandare un segnale in codice: To, To, To (Totsugeskiseyo,
o "carica!") dal suo aereo. Il pilota Mitsuo Matsuzaki
guidò il suo B5N per una ricognizione attorno a Barber's Point.
Alle 07:53 Fuchida ordinò a Mizuki di
mandare alla portaerei Akagi, la nave ammiraglia della 1ª Flotta
Aerea, il codice Tora! Tora! Tora! (虎
tora in giapponese sta per "tigre" ma in
questo caso "To" è l'iniziale sillabica della parola
giapponese 突撃 totsugeki
che significa "carica" o "attacco" e "ra"
l'iniziale sillabica di 雷撃 raigeki
che significa "attacco con i siluri").
La prima ondata d'assalto giapponese,
con 51 bombardieri in picchiata D3A, 40 aerosiluranti B5N, 50 B5N
trasportanti bombe perforanti e 43 caccia A6M di scorta, cominciarono
l'attacco.
Dopo che la prima ondata d'attacco ebbe
successo, Fuchida rimase sull'obiettivo, mentre il resto egli aerei
tornava alle portaerei, per valutare i danni e osservare la seconda
ondata d'attacco. Tornò alla portaerei dopo il successo della
seconda ondata d'attacco.
Il successo dell'attacco contro gli
Stati Uniti fece di Fuchida un eroe nazionale e gli garantì
un'udienza presso l'Imperatore Hirohito in persona.
Il 19 febbraio 1942 Fuchida comandò il
primo dei due attacchi di 188 aerei nel devastante attacco aereo su
Darwin in Australia.
In aprile comandò un'alta serie di
attacchi aerei da aerei imbarcati su portaerei contro l'isola di
Ceylon (ora Sri Lanka), che era anche il quartier generale della
Flotta Orientale britannica, in quella che Winston Churchill descrive
come "il momento più pericoloso" della seconda guerra
mondiale.In giugno Fuchida venne ferito nella battaglia delle Midway,
mentre era a bordo della Akagi. Incapace di volare, venne ricoverato
per una appendicectomia pochi giorni prima della battaglia tuttavia
era presente sulla nave durante un attacco diurno. Dopo che l'Akagi
venne colpita da bombardieri U.S., Fuchida, mentre fuggiva
dall'incendio, si ruppe entrambe le caviglie per essere caduto da una
scala.
Dopo il recupero della salute, egli
trascorse il resto della guerra come ufficiale di stato maggiore.
Fuchida scrisse che era a Hiroshima il giorno prima che la bomba
atomica venisse sganciata: era in città per partecipare ad una
conferenza di una settimana sull'esercito, ma ricevette una chiamata
dal Quartier Generale della Marina che gli chiedeva di tornare a
Tokyo.
Iscriviti a:
Post (Atom)