venerdì 28 aprile 2017

Muay thai

La danza rituale che precede un combattimento di Boxe Thailandese fra giovani a Bangkok



Il Muay thai (in lingua thailandese มวยไทย), noto anche come thai boxe, boxe thailandese o pugilato thailandese, è un'arte marziale e sport da combattimento a contatto pieno che ha le sue origini nella Mae Mai Muay Thai (Muay Boran), antica tecnica di lotta thailandese. Esso utilizza una vasta gamma di percussioni in piedi e di tecniche di clinch.
La disciplina è nota come "l'arte delle otto armi" o "la scienza degli otto arti" perché consente ai due contendenti che si sfidano di utilizzare combinazioni di pugni, calci, gomitate e ginocchiate, quindi otto parti del corpo utilizzate come punti di contatto rispetto ai due del Pugilato, oppure ai quattro della Kick boxing, con un'intensa preparazione atletica e mentale che fa la differenza negli scontri a contatto pieno.
Il muay thai originale divenne popolare nel XVI secolo in patria, ma si diffuse internazionalmente solo nel XX secolo, dopo alcune modifiche regolamentari e quando diversi pugili thailandesi si confrontarono con successo con i rappresentanti di varie arti marziali.
L'unica Federazione Internazionale di Muay Thai riconosciuta dal CIO è la I.F.M.A. (International Federation of Muay Thai Amateurs).

Etimologia

Incontro di M-1 Grand Muay Thai Championship fra Joe Schilling e Kaoklai Kaennorsing

La parola Muay, che significa "combattimento", "pugilato" o anche "lotta", deriva dal sanscrito Mavya che significa "unire insieme"; la parola Thai è invece un aggettivo di origine nazionale, il cui significato originale è "[popolo] libero" (in maniera analoga al significato del nome dei franchi).
Il termine Muay Thai è quindi traducibile con "combattimento/pugilato/lotta/scontro thailandese" o "combattimento dei thailandesi". In inglese il nome viene spesso tradotto con "thai boxing". A volte questo genera confusione perché si pensa che esista una differenza fra il muay thai e la thai boxe, con quest'ultima che sarebbe una variante regolamentare occidentale. In realtà i due termini sono sinonimi ed indicano la stessa disciplina.
Un praticante di muay thai è conosciuto come Nak Muay. I praticanti occidentali sono a volte chiamati Nak Muay Farang, che significa "pugile straniero".

Storia e diffusione del muay thai

Il Muay thai ha origine nell'antico Regno del Siam (attuale Thailandia) e, come per il resto delle altre arti marziali, le sue origini si perdono nel più remoto e misterioso passato fatto di guerre e razzie. L'invasione con cui i birmani posero fine al Regno di Ayutthaya, radendo al suolo la capitale omonima, provocò la distruzione di gran parte degli archivi storici e culturali. Le notizie sull'antico Siam si basano sui pochi scritti salvati dalla distruzione e sulle cronache dei regni confinanti, e non si possono quindi considerare pienamente attendibili. Sulla controversa storia del popolo thai e la misteriosa nascita del muay thai esistono due teorie: la prima sostiene che il popolo degli Ao-Lai fu costretto a difendersi dai continui attacchi dei predoni e dei popoli nei territori che attraversarono durante il periodo migratorio (tibetani, cinesi, khmer, birmani e altri); la seconda afferma che il popolo degli Ao-Lai era già presente in quei territori e che doveva difendersi dalle invasioni dei popoli confinanti.
Prendendo in considerazione la prima teoria, si narra che tutto abbia avuto origine attorno al I secolo dalla tribù degli Ao-Lai, che intorno all'anno 200 a.C. migrarono dal nord dell'India fino alla valle del Mekong per poi raggiungere quello che sarebbe diventato il Regno del Siam, passando attraverso il Tibet orientale, a sud delle ricche vallate dell'odierno Yunnan, nella Cina di sud-ovest, da dove si spostarono in tutte le direzioni arrivando fino ai confini dell'impero per poi puntare di nuovo verso sud; a questo punto il popolo degli Ao-Lai si divise in tre gruppi:
  • Gli shan, che si stanziarono nel nord-est dell'odierna Birmania
  • Gli Ahom, che si diressero ad est fino al Vietnam
  • Gli Ao-Lai che mantennero il nome e si diressero verso la terra che sarebbe diventata la loro patria, il "Regno del Siam”
A scopi difensivi gli Ao-Lai crearono uno stile di lotta che prevedeva l'uso delle armi e il combattimento corpo a corpo chiamato Krabi Krabong. Intorno al 1700 i due differenti stili di combattimento si scissero e divennero;
  • Krabi Krabong, lo stile che prevedeva l'uso delle armi (spada, lancia, giavellotto, pugnale, bastone).
  • Muay thai, lo stile di combattimento corpo a corpo che prevedeva l'uso delle braccia (gomiti, avambracci), delle mani (dita e nocche), delle gambe (tibia e ginocchia), della testa e dei piedi (pianta dorso e talloni).
La storia di quest'antica arte marziale va di pari passo con la storia della nazione e di conseguenza anche il muay thai nel corso degli anni ha subito notevoli cambiamenti, fino a raggiungere la forma odierna. Seguendo questo percorso storico si può constatare che come tutte le arti marziali anche il muay thai ha avuto origine nel tempio cinese Shaolin, e le sue prime tracce si possono collocare nel periodo storico che ha preceduto il Regno di Sukhothai (200 a.C. – 1238) e attribuire ai monaci buddhisti indiani, che furono mandati nella regione chiamata Dvaravati (che si estendeva nelle odierne Bassa Birmania, Thailandia Centrale e Cambogia orientale).
Contemporaneamente iniziò la migrazione del popolo degli Ao–Lai con un inesorabile incontro con le popolazioni locali dove vi fu un'integrazione e scambio culturale e iniziò la diffusione del muay thai. Dopo tale periodo vii fu l'era Sukhothai (1238 – 1377), la città divenne la capitale del popolo siamese e assunse anche una grande importanza religiosa. In questo periodo il muay thai era conosciuta come Mai Si Sok, divenne fondamentale per i soldati in tempo di guerra, mentre era usata come sistema di difesa e come allenamento per tenersi in costante forma in tempo di pace. Sempre in questi anni il re Ramkhamhaeng scrisse il Tamrab – Pichei – Songkram, il libro per imparare l'arte della guerra.
In seguito la Mai Si Sok prese il nome di Pahuyuth nell'era Ayutthaya (1377 – 1767). La capitale del regno diventò la città d'Ayutthaya e la Pahuyuth divenne fondamentale nelle innumerevoli guerre contro i popoli dei regni vicini, diventando anche un elemento fondamentale per elevare la propria posizione sociale in quanto era praticata oltre che nei villaggi anche e soprattutto alla corte reale. Gli stessi re, affascinati e rapiti dalla bellezza della Pahuyuth, la praticarono la soprannominarono “l'arte dei re”. I più leggendari di questi sovrani furono Naresuan (1590 – 1605, durante il cui regno il popolo siamese fu soprannominato “il popolo delle otto braccia”) e Sanpeth VIII, conosciuto in seguito come Phra Buddha Chao Sua (in italiano il Re Tigre) per la ferocia in combattimento (1703 – 1709). In questo periodo particolare possiamo assistere ad una prima fase importante della trasformazione della Pahayuth verso il muay thai sportiva contemporanea.
Prima di allora era utilizzata solo in guerra, e divenne poi anche come un efficace sistema di difesa, per poi passare ad una forma sportiva che prese il nome di Dhee Muay o Dhoi Muay. I contendenti si affrontavano davanti ad un pubblico in occasione di celebrazioni religiose o di festività ed i duelli si svolgevano all'interno delle corti o delle piazze. Questi incontri non avevano limiti di tempo, non avevano categorie di peso e i contendenti si affrontavano senza protezioni. Gli incontri finivano per KO, per morte dell'avversario o per abbandono e molto spesso i lottatori erano costretti ad affrontare più incontri nella stessa giornata. I sovrani rimasero talmente ammaliati dalla Pahuyuth che crearono un particolare plotone che sviluppò il muay Luang, una forma di Pahuyuth molto tecnica e sofisticata che serviva alla protezione della famiglia reale e alla difesa della patria. Gli ufficiali di questo plotone prendevano il nome di Dhamruot Luang, Gong Tanai Luak o Grom Nak Muay.
Solo in seguito, quando ormai gli incontri erano all'ordine del giorno, fu introdotto per esigenza l'uso dei Kaad Chiek, protezioni per avambracci e mani fatte di corda di canapa non raffinata che oltre a proteggere l'atleta servivano ad aumentare l'incidenza dei colpi con i Gon Hoi (aggiunte di corda di canapa sulle nocche che formavano delle protuberanze). L'efficacia dei colpi fu aumentata ulteriormente bagnando prima degli incontri i Kaad Chiek, che asciugandosi s'indurivano maggiormente. Si narra che solo in alcune circostanze e con il consenso dei combattenti, i Kaad Chiek venivano immersi nella resina, o in un qualsiasi altro tipo di sostanza collosa, per poi cospargerle di materiale abrasivo come frammenti di vetro o di pietra, rendendo così le mani armi micidiali. Solo in seguito furono introdotte, al posto dei Kaad Chiek, i bendaggi in corda con dei nodi sulle nocche per poi passare ai guantoni. In questi anni grazie alla pratica della Pahuyuth l'esercito siamese fu molto temuto dai popoli vicini, ma questo non fermò la Birmania, che nel 1767 riuscì a conquistare la città d'Ayutthaya dando origine alla "leggenda di Nai Khanom Thom".
Nelle tre successive fasi storiche, quella di Thomburi (1767 – 1782), nel 1° periodo Rattanakosin (1782 – 1868) e 2° periodo Rattanakosin (1868 – 1925), la capitale del Siam fu trasferita lungo le rive del fiume Chao Phraya. Dopo i 15 anni di Thonburi, venne spostata sulla sponda opposta del fiume, nell'odierna Bangkok, in un piccolo villaggio che fu ingrandito e ribattezzato prima Krung Rattanakosin e più tardi un lungo nome cerimoniale la cui prima parte, Krung Thep Maha Nakorn, è tuttora il nome ufficiale di Bangkok. Nell'era Rattanakosin la Pahayuth prese il nome di Mae Mai Muay Thai o Mai Muay Thai e durante questo periodo ebbe la sua consacrazione. Fu introdotta nelle scuole come materia di studio e vi rimase fino al 1921. In questi anni tutti volevano praticare la Mae Mai Muay Thai, ogni paese organizzava celebrazioni e feste durante le quali vi erano esibizioni di Mai Muay Thai. Questo comportò un inevitabile confronto fra combattenti di diverse regioni, ognuna delle quali aveva un proprio stile di combattimento. Secondo una ricostruzione storica, tre furono le correnti di stili regionali più importanti che influenzarono il muay thai moderna, quelle di Korat, Lopburi e Chaya.
  • Lo stile di Korat prevedeva una guardia bassa e molto stabile con pugni e calci molto potenti, eseguiti in combinazione di due o tre colpi. Erano usati dei Kaad Chiek che coprivano l'atleta per l'intera lunghezza dell'avambraccio, così facendo si aumentava l'efficacia dei colpi in attacco e migliorava notevolmente la difesa.
  • Il Lopburi era basato sulla velocità e sulla precisione d'esecuzione di una sequenza di quattro, cinque colpi. La guardia, a differenza dello stile Korat, è molto alta e meno stabile e ciò permette una maggiore agilità, (caratteristiche principali dello stile Hanuman). I Kaad Chiek ricoprivano solo le mani con dei rinforzi sulle nocche (gon hoi).
  • Il Chaya era uno stile che prevedeva colpi di gomito, ginocchio, pugni e calci particolari, colpi d'incontro con continui spostamenti laterali, arretramenti e avanzamenti. I Kaad Chiek coprivano interamente gli avambracci e sulle mani e sulle nocche erano presenti dei rinforzi (gon hoi).
Oltre a questi tre stili, vi era quello detto Muay Pra Na Korn. Questo stile deriva dalla fusione dei tre precedenti, avvenuta all'inizio dell'era Rattanakosin. L'esecuzione dei colpi poteva essere molto veloce o molto potente, anche la guardia poteva cambiare in base all'evolversi del combattimento. I Kaad Chiek coprivano interamente le mani e gli avambracci. In questo periodo furono costruite le prime arene permanenti per i combattimenti, solo dopo il 1925 si sviluppò la necessità di avere delle regole ben precise. Solo dopo il 1945 furono introdotte le categorie di peso, i round, i guantoni per proteggere le mani e la conchiglia per i genitali (all'inizio fatta di corteccia, in seguito una conchiglia di mare avvolta in un panno per poi diventare quella che si usa oggigiorno), gli incontri si spostarono sui ring e si abbandonarono le strade e le piazze.
Dopo le arene furono costruiti gli stadi, fra i più importanti ci sono il Rajadamnern Stadium (costruito fra 1941 e il 1945 ed inaugurato il 23 agosto dello stesso anno) e il Lumpinee Boxing Stadium (costruito nel dopo guerra e inaugurato l'8 dicembre del 1956). La Mae Mai Muay Thai prese definitivamente il nome muay thai nel periodo in cui il regno divenne una monarchia costituzionale con la cosiddetta rivoluzione siamese del 1932, che il 24 giugno 1939 fu ribattezzato Regno della Thailandia ("terra degli uomini liberi"). Durante la Seconda guerra mondiale tornò di nuovo a chiamarsi Siam per poi diventare di nuovo e permanentemente Thailandia l'11 maggio 1949. Solo dopo gli anni settanta il muay thai fu praticata e iniziò a diffondersi nel mondo occidentale.

Amuleti

Pra Krueng
Piccola immagine sacra del Buddha che veniva inserita all'interno del Mongkon e del Kruang Ruang dell'atleta, e serviva come portafortuna e per scacciare gli spiriti maligni

Kruang Ruang
Bracciale di stoffa, di corda intrecciata o di qualsiasi altro tessuto, fatto dal proprio maestro, si può portare singolarmente o su entrambe le braccia del combattente. Al suo interno può incorporare simboli e/o piccoli oggetti venerati dall'atleta, il suo significato e il suo contenuto lo conoscono solo il maestro e l'atleta. Il materiale per creare il Kruang Ruang viene fornito dall'allievo, questo processo di preparazione serve per dare protezione al combattente e creare un legame indissolubile fra allievo e maestro.

Pirod
Bracciale di stoffa, di corda intrecciata o di qualsiasi altro tessuto, fatto dal maestro, si può portare singolarmente o su entrambe le braccia. Si prepara come il Kruang Ruang e si indossa in alternativa su un braccio all'altezza del bicipite. Si narra che in passato il Pirod poteva essere fatto anche con un intreccio di stoffa e di legno rattan.

Dhagrut
Piccoli amuleti fatti in bronzo o alcune volte in argento raffiguranti simboli sacri, che avevano lo scopo di proteggere il guerriero che li indossava. Si poteva portarne anche più di uno e talvolta si potevano inserire nei Kruang Ruang o nei Pirod, se le loro dimensioni lo permettevano e se non erano di intralcio ai movimenti del combattente.

Pitsamorn
Amuleti fatti con foglia di palma inserita in un rivestimento di fibra naturale raffiguranti simboli sacri simili ai Dhagrut. Si possono inserire all'interno del Kruang Ruang o del Pirod sempre se le dimensioni lo consentono e sempre se non sono d'intralcio nei movimenti del combattente.

Waahn
Erba che, se associata ad un rituale magico, forniva all'atleta che la custodiva all'interno del Mongkon, Kruang Ruang o del Pirod forza e virilità maggiore durante l'incontro. Alcuni atleti bevono un infuso di quest'erba (simile alla nostra cipolla) prima dell'incontro per aumentare la propria forza.

Prajied
Bracciale che identifica il grado di abilità dell'atleta nella pratica del muay thai e che prende il nome di khan. Spesso viene confuso con il Kruang Ruang, la differenza è che il Kruang Ruang viene fatto dal proprio maestro e assume un significato molto importante nella vita del combattente, mentre il Prajied non ha nessun significato mistico-religioso e può essere fatto dall'allievo stesso, inoltre il Prajied cambia la propria colorazione in base al khan di appartenenza.

Mongkon
Amuleto protettivo di forma circolare che si indossa sul capo prima del combattimento. Il Mongkon viene applicato all'atleta dal suo maestro e solo da lui rimosso con rito propiziatorio prima dell'inizio del match, questo rituale prende il nome di Pitee Tod Mongkon. Il significato di questo amuleto è molto particolare e molto importante, perché rappresenta il maestro, il campo di appartenenza, gli insegnamenti ricevuti e tutti i confratelli del campo. Ad ogni vittoria del combattente, il maestro prende un pezzo del Kruang Ruang dell'allievo e lo unisce al proprio Mongkon con una cerimonia propiziatoria, così facendo si trasferisce il vigore del guerriero vincente nel Mongkon che proteggerà e infonderà maggiore vigore al nuovo combattente che lo porterà in seguito. Secondo una leggenda, in tempi antichi per creare questa corona magica venivano utilizzati serpenti velenosi che donavano al combattente prosperità e vigore atletico.

Suea – yan e Paa -yan
Tessuti di varia forma (Suea-yan maglietta tradizionale di colore rosso, Paa-yan fazzoletto tradizionale) con raffigurazioni e simboli mistici di energia chakra benedetti dai monaci, che venivano indossati o inseriti all'interno di altri amuleti come Mongkon o Kruang Ruang. Spesso gli atleti portano la simbologia magica permanentemente tatuata sul corpo. Pratica molto diffusa in Thailandia specialmente presso famosi templi come il Wat Bang Phra, questi tatuaggi praticati dai monaci buddisti prendono il nome di Sak-yant o Yantra. Le raffigurazioni sacre non possono essere tatuate sotto la vita perché i simboli sacri non possono essere fatti in parti del corpo impure. Secondo l'educazione, la testa è la parte più pura del corpo perché è la più in alto, mentre i piedi sono la parte più impura.

Chakra
Molte discipline orientali basano il proprio fondamentale teorico sull'esistenza dei meridiani, che nella medicina thailandese sono denominati Sen. Secondo questa teoria, attraverso la respirazione penetra nel corpo l'energia che lo mantiene in vita. L'energia si diffonde in tutto il corpo, attraverso dei canali, detti appunto “meridiani”, che confluiscono nei centri di energia detti chakra. Secondo antiche credenze, ancora oggi vengono tatuati nei punti meridiani dei simboli chakra o, in alternativa, preghiere buddiste.

Phuang Malai
Sono ghirlande di fiori (quali orchidee, garofani, gelsomino e margherite) che vengono portate dal combattente prima dell'incontro sul petto nudo. Queste ghirlande sono di buon auspicio, allontanano gli spiriti maligni e favoriscono la protezione degli spiriti benigni. Vengono utilizzate anche e soprattutto nella vita quotidiana come segno di felicità e di benevolenza. Queste ghirlande hanno lunghezze, colorazioni e disegni differenti in base alle regioni di provenienza; nonostante siano tutte differenti, hanno tutte le stesse forme (assomigliano a delle collane).

Whan Nan Chan Kok
La Whan Nan Chan Kok è una radice tossica che cresce agli argini dei fiumi. Questa radice veniva usata nel passato prima di un incontro all'ultimo sangue. Il guerriero thai veniva cosparso di un unguento ricavato dalla lavorazione di questa radice che provocava un'immediata reazione al contatto con la pelle del guerriero, provocando una formazione di bolle sulla cute. Queste bolle servivano per salvare il combattente dalle ferite profonde create dalle tecniche atte al taglio della pelle negli scontri all'ultimo sangue. Questa radice velenosa veniva usata per difesa e non per offesa dei combattenti.

Classificazione dei praticanti

Il Muay thai nacque dall'esigenza del popolo siamese di proteggersi dalle aggressioni nemiche: per questo motivo si può supporre che gli allenamenti in passato fossero molto duri e le tecniche trasmesse erano quelle che potevano migliorare le doti naturali di combattimento dell'atleta e renderlo invincibile, forse trascurando le tecniche dall'esecuzione più complessa. Fu probabilmente questo il motivo per cui non vi erano in Thailandia gradi o cinture che identificavano la conoscenza delle tecniche di combattimento come nelle altre arti marziali. Questa filosofia d'insegnamento ha prodotto formidabili e micidiali combattenti e le relative leggende, ma ha portato alla scomparsa di molte tecniche che sono andate perdute.
Con la diffusione in occidente del Muay thai è maturata l'esigenza di regolamentare questa arte per offrire agli atleti occidentali una conoscenza più ampia e per assicurare che le tecniche rimaste non vadano a loro volta perdute: a tale scopo negli anni Novanta le tecniche del Muay thai furono divise in dodici gradi, che prendono il nome di Kan.
Una volta stabiliti, i Kan furono sottoposti all'esame dei migliori maestri dell'epoca i quali, dopo una scrupolosa analisi, fecero in modo che i Kan diventassero quindici. Furono quindi scelti i cinque migliori maestri e insigniti del Mongkon dorato (XV Kan), i quali scelsero a loro volta venti maestri che furono insigniti con il Mongkon d'argento (XIV Kan); per tutti gli altri Kan basta sostenere un esame, mentre per gli ultimi due non esistono esami ma si ottengono per anzianità. Il XIII Kan viene assegnato dal maestro al proprio allievo quando lo ritiene pronto per divulgare i suoi insegnamenti e gli dona il Mongkon.
Per distinguere i vari Kan fra loro, sono stati introdotti i prajied e i mongkon di diverse colorazioni: possiamo quindi sostenere la tesi secondo cui in realtà i Kan siano dodici e non quindici, perché non esistono esami per ottenere gli ultimi due Kan.
Secondo la regolamentazione di alcune associazioni e federazioni italiane e internazionali, i Kan sono struttati come segue:
I KAN prajied bianco
II KAN prajied giallo
III KAN prajied giallo e bianco
IV KAN prajied verde
V KAN prajied verde e bianco
VI KAN prajied blu
VII KAN prajied blu e bianco
VIII KAN prajied marrone
IX KAN prajied marrone e bianco
X KAN mongkon rosso
XI KAN 1º livello mongkon rosso e bianco (tirocinante istruttore base)
XI KAN 2º livello mongkon rosso e bianco (tirocinante istruttore avanzato)
XII KAN 1º livello mongkon rosso e giallo (istruttore base)
XII KAN 2º livello mongkon rosso e giallo (istruttore avanzato)
XIII KAN 1º livello mongkon rosso e argento (alto istruttore base)
XIII KAN 2º livello mongkon rosso e argento (alto istruttore avanzato)
XIV KAN mongkon argento (maestro)
XV KAN mongkon dorato (gran maestro)

Mitologia tradizionale

Nai Khanomthom
Si narra che durante la guerra fra il regno del Siam e la Birmania del 1767, la capitale Ayutthaya venne distrutta dagli invasori birmani. Coloro che non riuscirono a scappare furono fatti prigionieri e deportati come schiavi. Il re birmano Hsinbyushin organizzò dei tornei per celebrare la vittoria, dove fece combattere i suoi migliori guerrieri contro i guerrieri siamesi che aveva fatto prigionieri, utilizzati come gladiatori. Durante questi incontri, il re rimase affascinato dai combattimenti di uno dei prigionieri, il cui stile assomigliava in parte a quello dei migliori guerrieri birmani che praticavano il Parma (arte che prediligeva colpi di braccia in quanto l'abito che indossavano impediva movimenti molto vistosi delle gambe).
Ammaliato dalla Pahuyuth e dallo stile di questo guerriero misterioso, il sovrano diede ordine che affrontasse i dieci migliori guerrieri birmani. Il lottatore siamese riuscì a vincere tutti i dieci avversari (che fu costretto ad affrontare) con colpi potenti, veloci e precisi ed il re, stupito dall'impresa, concesse la libertà a lui e ad altri prigionieri catturati ad Ayutthaya. Nacque in tal modo una delle più famose leggende del popolo thailandese: quella di Nai Khanom Thom. Da allora, la figura di questo eroe viene vista come anima ed essenza del muay thai, pronto al sacrificio anteponendo ai propri interessi l'onore, l'amore per la patria, la propria religione, il proprio maestro e la propria scuola. Il 17 marzo è il giorno in cui viene celebrata la festa di Nai Khanom Thom.

Phraya Phichai Dab Hak
Nato povero con il nome Choi, figlio di un coltivatore di riso, iniziò a studiare da monaco, ma poi fu allontanato per aver osato affrontare e battere un ricco nobile del paese. Incominciò un percorso di studio e formazione della Pahuyuth. Percorso che lo portò a vincere molte competizioni fino a diventare la guardia personale di Phraya Tak, che sarebbe diventato l'unico sovrano del Regno di Thonburi con il nome di Taksin il Grande. Choi fu il braccio destro di Phraya Tak e si distinse in molte azioni di guerra. Fu ricompensato da re Taksin che gli affidò il governatorato di Phichai, città natale di Choi, con il titolo di Phraya Phichai. Famosa è la battaglia in cui Phraya Phichai respinse un attacco alla città portato dai birmani, durante il quale continuò a combattere con entrambe le proprie spade anche quando una si ruppe. Tale impresa gli è valsa l'appellativo di Phraya Phichai Dab Hak, letteralmente "marchese di Phichai dalla spada rotta".

Muen Plan
Nel 1788, durante il regno di Rama I, due fratelli francesi arrivarono nel Regno del Siam. Si erano fatti una reputazione sconfiggendo diversi pugili in Indocina e vennero per battersi con i siamesi, che accettarono la sfida. Fu incaricato un principe siamese di cercare un difensore dell'onore nazionale, e scelse un membro della protezione reale del palazzo – Muen Plan. L'incontro si svolse sul terreno davanti al Grande Palazzo Reale, Muen Plan indossava un abito reale da battaglia e sul braccio aveva a protezione il proprio Kruang Rang. Questo abilissimo combattente sconfisse i due fortissimi francesi in breve tempo e fu dopo l'incontro che il re Rama I gli assegnò il nome Muen Plan, letteralmente “regno della distruzione”, a celebrare la sua supremazia devastante.

Phra Chao Sanphet VIII
Khun Luang Serasak era il figlio del re di Ayutthaya Petracha, fondatore della dinastia Ban Plu Luang, e salì al trono con il nome regale Phra Chao Sri Sanphet VIII. In seguito fu chiamato Phra Chao Sua (“il Re Tigre”) a causa della sua ferocia che esprimeva anche come combattente di muay thai. Durante il suo regno il muay thai conobbe un periodo d'oro (dovuto anche al fatto che lo stesso re la praticava), si narra che il sovrano dovesse partecipare in incognito ai combattimenti perché se avesse rivelato la sua vera identità nessuno avrebbe accettato di battersi con lui. Il re intendeva misurare la propria bravura nella pratica della Pahuyuth e verificare se le sue vittorie erano dovute al fatto che era re o perché era un bravo guerriero.
In un tempio di Ban Pajanta nel distretto di Viset Chaichan, vi fu una celebrazione durante la quale si svolsero degli incontri di muay thai. Il re raggiunse il tempio con il proprio seguito e finse di essere un pugile di passaggio in città accompagnato dagli aiutanti, uno dei quali fu mandato ad organizzare il combattimento. Il promotore dell'evento volle valutare l'abilità del nuovo arrivato, che chiese di affrontare il campione locale. Le cronache di quel tempo definirono la lotta emozionante, nella quale i due lottatori esibirono grande talento. Il sovrano sferrò presto il colpo che decretò la sconfitta del campione locale. In seguito, il Re Tigre continuò a combattere in incognito e a sconfiggere i migliori atleti del regno.

Hanuman (Il dio scimmia)
Si racconta nel Ramakien che il dio Phra Narai si reincarnò in Phra Ram (Rama - re della città d'Ayutthaya) per ricongiungersi con la sua amata Naang Sida e sconfiggerne il rapitore, il demone Nonthok reincarnatosi in Tosakan (re dell'isola Lanka). Per riuscire nell'intento, accettò l'aiuto del dio delle scimmie Hanuman. La leggenda racconta che Hanuman, “la scimmia bianca” figlio di Phra Phai e di Naang Sawaha, era un guerriero formidabile in grado di volare e di mutare il suo aspetto a piacere. Il suo stile di combattimento era basato sulla velocità, sulle inusuali schivate dei colpi avversari, su speciali colpi portati contemporaneamente con gomiti e ginocchia, su salti abbinati a prese o proiezioni portate anche dietro la schiena dell'avversario, su colpi del palmo della mano e/o con gli avambracci, evitando così di ferirsi le mani su bersagli molto resistenti. Queste tecniche erano realizzate senza mai offrire un bersaglio fisso ed evitando il confronto frontale con l'avversario, che veniva colto di sorpresa e costretto a scoprire i propri punti deboli rendendoli vulnerabili.
Per molti secoli i maestri siamesi hanno cercato di creare delle forme di lotta ispirate alle tecniche del dio scimmia Hanuman narrate nel Ramakian. Tale insieme di tecniche non sono mai state racchiuse in un sistema tale da poter essere definito come scuola o stile, ma hanno avuto una notevole importanza nel bagaglio tecnico di molti maestri.

Terminologia

  • Kai muay: palestra-camp
  • Nak muay: studente di muay thai
  • Nak Su: guerriero muay thai
  • Khru: maestro
  • Ajarn: gran maestro
  • Ian Tao: muoversi in modo generico
  • Kum Chum: basculamento (ritmo basculante)
  • Phasom Muay: spostamenti sull'asse frontale
  • Kom Muay Kee: combinazioni d'attacco/ di difesa
  • Chap-Ko: lotta (clinch) tecniche base
  • Ram Muay: danza rituale
  • Bang: blocco
  • Bang Nok: blocco ad incrocio
  • Lom: schivata da calcio alto
  • Seub: spostamenti nello spazio
  • Ghau Cha: perno con rotazione di 90° o 180°
  • Ian Sam Kum: passo del gigante
  • Den Muay: spostamenti sull'asse laterale
  • Wiang: proiezioni
  • Ti Lob: schivata con rotazione del busto a destra o sinistra
  • Lop Chark: schivata con passo d'uscita a 45°
  • Sam Kum: spostamenti (passi) a croce
  • Seua Yang: spostamenti in rotazione con cambio di guardia
  • Tae Arm Tap: passo del guerriero
  • Mah Yong: passo del cavallo
  • Narai Kwang Chak: pugni in rotazione
  • Kwang Chak Narai: pugno frustato laterale
  • Sawasdee Krap: saluto prima dell'allenamento o incontro (Questo è per gli uomini)
  • Sawasdee Kaa: saluto prima dell'allenamento o incontro (Questo è per le donne)
Pugni
  • Yeb: pugno diretto con braccio avanzato
  • Mahd Trong: pugno diretto con passo
  • Mahd Kohk: pugno gancio
  • Mahd Soi: pugno montante
  • Mahd Wiang: pugno gancio largo
  • Mahd Tawad: pugno con traiettoria discendente
  • Gradod Cho: pugno saltato
Ginocchiate
  • Kao Trong Neb: ginocchiata in linea frontale diretta corpo
  • Kao Trong Kor: ginocchiata in linea frontale diretta alla testa
  • Kao Kee: ginocchiata laterale
  • Kao Kratai: ginocchiata frontale diretta alla coscia (linea bassa)
  • Kao Chi-ang: ginocchiata ascendente diagonale
  • Kao Kone: ginocchiata laterale con caricamento
  • Kao Laa: ginocchiata circolare (tecnica di ginocchio)
  • Kao Thad: ginocchiata circolare (tecnica di tibia)
  • Kao Loy: ginocchiata volante
  • Kao Lod: ginocchiata in spinta“stop kick” in lotta
  • Kao Ku: ginocchiata doppia
Gomitate
  • Sok Dtad: gomitata circolare orizzontale
  • Sok Chi-ang: gomitata ascendente diagonale
  • Sok Ngad: gomitata ascendente verticale
  • Sok Dti: gomitata orizzontale discendente
  • Sok Sab: gomitata discendente verticale
  • Sok Pung: gomitata in percussione frontale
  • Sok Gratung: gomitata verticale ascendente
  • Sok Ku: gomitata doppia
  • Sok Glab: gomitata girata
  • Sok Glab Fan Lang: gomitata girata discendente
  • Sok Glab Quan Lang: gomitata girata orizzontale
  • Sok Glab Iak Lang: gomitata girata ascendente
  • Sok Kwang: gomitata a spirale
  • Ramasun Kwang Kwarn: gomitata saltata discendente con presa
  • Rusei Bodi Hac: gomitata saltata discendente senza presa
  • Monto Nung Tak: gomitata girata saltata discendente
  • Pak Tai Toi: gomitata discendente di rientro dal sok cheng
Calci
  • Tae Kaa: calcio circolare basso
  • Tae Laa: calcio circolare basso parallelo al terreno
  • Tae Lam Tua: calcio circolare medio
  • Tae Ken Kor: calcio circolare alla testa
  • Tae Chi-ang Kaa (Tae Pa Mak): calcio diagonale ascendente basso
  • Tae Chi-ang Lam Tua: calcio diagonale ascendente medio
  • Tae Chi-ang Kor: calcio diagonale ascendente alla testa
  • Tae Tawad Kaa: calcio circolare discendente basso
  • Tae Tawad Lam Tua: calcio circolare discendente al corpo (medio)
  • Tae Tawad Kor: calcio circolare discendente alla testa (alto)
  • Tae Tien Pai Laa: calcio ascendente basso
  • Tae Tien Pai Lam Tua: calcio ascendente medio (al corpo)
  • Tae Tien Pai Kor: calcio ascendente alto (al volto)
  • Tae Quad Torani: calcio circolare basso sul polpaccio
  • Tae Tawad Quad Torani: calcio circolare basso sul polpaccio discendente
  • Tae Trong: calcio circolare diretto
  • Tae Thad: calcio circolare basso in incidenza
  • Tip: calcio frontale
  • Tip Kaang: calcio laterale con la gamba avanzata
  • Tip Viroon: calcio frontale alla coscia
  • Tip Glab Lang: calcio all'indietro diretto (Kwang Lieu Lang)
  • Tae Glab Lang: calcio circolare girato all'indietro (Jarakee Fad Hang)
  • Gradob Tae Lam Tua: calcio circolare saltato
  • Gradob Tae Songkram: calcio circolare del drago
  • Batha Loob Pak: calcio ad ascia (diretto con movimento frustato)
  • Lom Khun Thuan: calcio girato verticale

Rituali pre-combattimento

La fase che precede il combattimento è la parte che si può definire come la più importante per l'atleta. In questi attimi, il combattente deve trovare la concentrazione, la tranquillità e il favore degli spiriti benigni per far sì che il combattimento abbia un buon esito. Tutto questo si verifica con lo svolgimento di tre rituali pre-combattimento che sono:
  • Kuen Suu Weitee
  • Ram Muay
  • Pitee Tod Mongkon
Kuen Suu Weitee
L'entrata nel ring è un momento molto importante, essendo un punto focale nella preparazione dell'atleta all'incontro dal punto di vista psicologico. È una fase di meditazione, preghiera e incantesimi nonché un susseguirsi di gesti scaramantici e magici come per esempio il modo di salire le scale del ring e passare le corde. Tutto questo serve per infondere fiducia all'atleta e per sgomberare la mente da pensieri inutili che possono condizionare il modo di affrontare l'incontro.

Ram Muay
La Ram Muay è una danza rituale che viene eseguita con movimenti lenti e simbolici accompagnati da una musica che prende il nome di Dontree Muay (musica che accompagna tutto lo svolgimento dell'incontro, l'intensità della Dontree Muay cresce man mano che l'incontro si fa più cruento). Questa danza serve per ottenere il favore degli spiriti benigni e per scacciare gli spiriti maligni dal terreno dello scontro. Questo rituale ha una valenza non solo religiosa ma anche pratica, infatti, viene usata come forma di stretching per riscaldare i muscoli e prepararli allo scontro.
L'esecuzione di questa danza viene accompagnata dalla recitazione in modo silenzioso di preghiere e formule magiche propiziatorie, che servono per ottenere un buon esito dello scontro. I movimenti che caratterizzano la Ram Muay possono variare o essere completamente diversi a seconda della scuola di appartenenza o dello stile di combattimento utilizzato dall'atleta. La Ram Muay oltre ad avere un significato mistico-religioso mira fondamentalmente a dimostrare devozione religiosa, umiltà e gratitudine da parte dell'allievo, nei tempi antichi il rituale era rivolto a dimostrare devozione al Re e al proprio mentore, oggi invece è rivolto all'organizzatore dell'incontro e al proprio allenatore. La Ram Muay si sviluppa in tre fasi fondamentali:
  • Whai Khru o Whai Khru Ram Muay
  • Taa Phrom Naang
  • Phrom Si Na

Wai Khru
Il Wai Khru è una delle parti più importanti della Ram Muay, è un rito di puro rispetto che prende varie forme in diversi contesti. Per capire il significato di Wai Khru in modo corretto nel contesto del muay thai bisogna sapere che Khru in lingua thai vuol dire ”maestro“, termine che nella cultura thai viene dato ai genitori nell'ambito famigliare, ai monaci nel contesto religioso e più in generale al re. Il termine Wai indica il tradizionale modo thai di riverire e salutare. Chiunque fruisce degli insegnamenti rispetta in maniera assoluta il proprio maestro e tratta i suoi pari come se fossero i propri fratelli e sorelle. Esistono tre diverse forme di Wai Khru che gli allievi imparano durante il loro tragitto di apprendimento:
  • Kuen Khru, Yor Krhu: Questa è la forma che viene eseguita dall'allievo quando viene accettato come studente dal maestro, che si impegna a insegnarli tutto il suo sapere.
  • Wai Khru Prajam Pee: Questa è una forma particolare del Wai Khru che viene eseguita in occasioni particolari, (ad esempio in occasione di celebrazioni religiose), come omaggio al proprio maestro e come forma di rispetto per i maestri passati
  • Wai Khru Ram Muay: Questa è la forma che gli atleti eseguono prima di un combattimento e assume questo nome perché il Wai Khru viene inserito in una danza rituale detta Ram Muay.
Molti sostengono che ci sia una quarta forma della Wai Khru detta Krob Khru, forma che viene riservata a coloro che dopo un lungo percorso d'apprendimento vengono iniziati al ruolo di insegnanti, e ritenuti pronti per diffondere le proprie conoscenze. Questa danza è senza dubbio un aspetto affascinante e spettacolare del muay thai e non essendo strettamente legata alla religione può essere eseguita anche da atleti occidentali.
Oltre ad essere un segno di omaggio e rispetto verso il proprio maestro, questa danza è ricca di significati che assumono un valore differente a seconda dell'atleta che la esegue, ma tutti gli atleti, in segno di rispetto, si volgono verso il proprio maestro e devono effettuare tre inchini “Saam Krab” alternandoli alla classica posizione delle mani congiunte in preghiera che prende il nome di “Thep Panom”. Con questi passaggi si intende ringraziare e omaggiare la propria nazione, la propria religione, e il proprio maestro e tutti i guerrieri Thai presenti e passati. Il termine Wai Khru tradotto letteralmente vuol dire omaggio al maestro, ovvero a colui che ti ha donato il suo sapere.

Taa Phrom Naang
Questa parte della Ram Muay viene svolta a terra; l'atleta effettua movimenti lenti e precisi che simulano i vecchi bendaggi utilizzati nei tempi antichi, il volo del cigno simbolo di libertà (considerato un animale sacro). I movimenti vengono ripetuti tre volte per omaggiare il proprio maestro, i guerrieri passati, la propria patria e la propria religione. In più questa fase permette all'atleta di fare stretching alle gambe preparandole per l'incontro.

Phrom Si Na
Questa fase della Ram Muay è la parte in piedi della danza, in cui l'atleta ripete per tre volte gli stessi movimenti fatti nel Taa Phron Naang con lo stesso significato, in questa fase si stimolano le anche per prepararle allo sforzo che subiranno durante l'incontro. Questa è una parte importante per il pugile, in quanto egli mette in mostra la propria indole guerriera all'avversario compiendo ripetute volte il passo del guerriero.

Pitee Tod Mongkon
Una volta finite tutte le fasi della Ram Muay l'atleta va verso il proprio maestro, che con le mani congiunte sul volto inizia la recitazione silenziosa di preghiere e formule magiche propiziatorie per il buon esito del combattimento. Finite le preghiere, i riti propiziatori e pronunciata la formula "da uomo diventi guerriero" toglie dalla testa dell'allievo il Mongkon e lo pone sul proprio angolo con la funzione di proteggere l'allievo dagli spiriti maligni per tutta la durata dell'incontro.



giovedì 27 aprile 2017

Lotta greco-romana

Due membri dell'aeronautica militare americana durante un incontro di lotta greco-romana. La tecnica eseguita è una proiezione con piegamento all'indietro, o german suplex, o più comunemente rovesciata.



La lotta greco-romana è una disciplina olimpica. A differenza della lotta libera nella lotta greco-romana non si possono eseguire tecniche di atterramento o ribaltamento che prevedano azioni sulle gambe.
La federazione internazionale che rappresenta questo sport è la United World Wrestling (U.W.W.) mentre a livello italiano è attiva la Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali (F.I.J.L.K.A.M.).

Alle Olimpiadi

La lotta olimpica è gestita da una sola federazione, la U.W.W. (United World Wrestling). La lingua ufficiale è il francese, in omaggio a Pierre de Coubertin che ha voluto la lotta tra gli sport olimpici. La lotta greco-romana è uno dei due stili di lotta praticata alle Olimpiadi, l'altro stile è la lotta stile libero.
Il contesto per la pratica dei due stili (materassina, vestiario, arbitri, ecc.) è identico. La differenza tra lo stile della lotta greco-romana e quello della lotta libera è rappresentata dal fatto che nella prima non si possono eseguire tecniche di atterramento o ribaltamento che prevedano azioni sulle gambe, come l'uso di prese alle gambe, tecniche di spazzata o intrecci, tecniche permesse invece nella lotta stile libero.
Il divieto delle tecniche sopracitate trova la sua spiegazione nella cultura estetica classica. Ponendo, infatti, al centro dell'azione fisica determinati gruppi muscolari, in modo particolare enfatizzando l'intensità del gesto atletico a cui veniva sottoposto il lottatore, si mirava a uno sviluppo fisico e mentale strettamente legato ai valori estetici del tempo concernenti la resistenza e la potenza fisica. Un altro sport codificato nello stesso periodo allo stesso modo è stato il pugilato. Inoltre, la lotta greco-romana assumeva anche una connotazione fortemente ritualistica, enfatizzando l'ego maschile alla ricerca del dominio e del possesso sull'avversario. A oggi, infatti, la lotta greco-romana è l'unico sport praticato ufficialmente da soli uomini, dimostrandosi così dal carattere fortemente maschile. La lotta greco-romana non può essere definita arte marziale; la tecnica della disciplina, infatti, non ha un reale fine distruttivo rispetto all'oggetto su cui viene esercitata, ovvero sull'avversario, inoltre il lottatore olimpico attua comportamenti non propri delle arti marziali; Il lottatore non indietreggia mai, esso attacca il suo avversario li dov'è più forte imponendo a se stesso la massima fatica per il massimo atletismo...La lotta olimpica è una sofisticatissima "cultura psicofisica", uno sport di altissima classe ed eleganza.
Le origini della lotta greco-romana "moderna" risalgono al diciannovesimo secolo. Questo stile di combattimento fu creato in Italia in epoca risorgimentale, diffuso in tutta Europa ed incluso nelle Olimpiadi del 1896. Il termine "greco-romana" fu introdotto dal lottatore italiano Basilio Bartoletti per sottolineare il valore storico di questa disciplina olimpica.

La tecnica e le regole

L'obiettivo principale nella lotta greco-romana consiste, nella lotta in piedi, nel riuscire a portare l'avversario al tappeto, attraverso proiezioni anche di grande ampiezza, con piegamento in avanti, con piegamento all'indietro, con rotazione del tronco; attraverso gli atterramenti con passaggio dietro o schiacciamento, per finire l'azione, se possibile, facendo poggiare entrambe le spalle a terra all'avversario previa immobilizzazione (schienamento). Nella lotta a terra l'obiettivo è uguale, ribaltare e se possibile schienare l'avversario attraverso l'azione di rotolamento, di stacco e proiezione o mediante l'azione sulle braccia e sul collo (mezza nelson ecc...). In caso di schienamento l'incontro viene interrotto e viene assegnata la vittoria. Se invece l'incontro si protrae per tutta la sua durata, che è di circa 5 o 6 minuti intervallato, vince chi ha conquistato più punti.
La lotta greco-romana (ma anche quella a stile Libero) prevede due fasi: lotta in piedi e lotta a terra.
Nella lotta in piedi (clinch) si prevede l'utilizzo di una vasta gamma di tecniche di proiezione ed atterramento, applicate sfruttando lo squilibrio dell'avversario che viene creato durante l'azione di schermaglia. Durante la schermaglia si costruiscono i presupposti per l'applicazione delle tecniche di proiezione o atterramento. Questi vengono determinati dalla ricerca di una buona presa sull'avversario e, contemporaneamente, dall'applicazione di finte (inquadrate in una strategia...) che hanno il fine di squilibrarlo.
Viene definita combinazione una o più finte eseguite prima della tecnica reale di proiezione o atterramento.
La lotta a terra invece, o è la prosecuzione di una azione iniziata in piedi, o viene determinata dall'arbitro come penalità verso uno dei due lottatori che si è sottratto alla lotta, rendendosi passivo.
Anche la lotta a terra prevede una vasta gamma di tecniche finalizzate al ribaltamento, al controllo (molto importante la "presa della schiena" per avere il massimo dominio del rivale) ed al possibile "schienamento" dell'avversario.
Occorre precisare che la reattività del lottatore è fortemente condizionata dalla sua condizione psicofisica, e tende a decrescere durante l'incontro, rendendolo più vulnerabile agli attacchi di un avversario più prestante. Per questo motivo, la preparazione atletica è portata ai massimi livelli sotto il punto della forza (allenamenti di pesi: pesistica, powerlifting, body building), della potenza (power training, pliometria, circuiti specifici) e della resistenza, potenza Aerobica ed Anaerobica (corsa/lotta a frequenze aerobiche-anaerobiche, circuit training, intervall training). I lottatori olimpici sono considerati quindi atleti tra i più completi.

Il ruolo della lotta greco-romana nelle arti marziali miste (MMA)

Grazie alla loro abilità in questo stile, numerosi atleti sono riusciti ad acquistare fama e gloria nelle arti marziali miste.
Lottatori come Randy Couture (record di titoli vinti in UFC, anche in due categorie di peso differenti), Dan Henderson (unico uomo al mondo ad imporsi in due categorie di peso diverse nel Pride FC) e Matt Lindland, hanno dimostrato a forza di risultati l'importanza della lotta nel combattimento totale e sono stati i fondatori di ben due delle più note scuole a livello internazionale, che ogni anno attirano numerosi atleti da tutto il mondo: la XtremeCouture ed il Team Quest; entrambe propongono un concetto di MMA basato sulla lotta. Nel 2009 debuttò nelle MMA anche Joe Warren, campione mondiale 2006 di lotta greco-romana e con soli tre mesi di allenamento batté il giapponese Yamamoto, considerato il migliore al mondo della categoria. Dalle statistiche del sito Sherdog.com emerge che la lotta olimpica rappresenta la disciplina di provenienza con il maggior numero di vittorie nelle MMA.
La lotta greco-romana è una disciplina olimpica. A differenza della lotta libera nella lotta greco-romana non si possono eseguire tecniche di atterramento o ribaltamento che prevedano prese sulle gambe.
La federazione internazionale che rappresenta questo sport è la United World Wrestling (U.W.W.) mentre a livello italiano è attiva la Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali (F.I.J.L.K.A.M.).

mercoledì 26 aprile 2017

Kumite

Kumite di Motobu Choki, 1926






Il kumite è una delle tre componenti fondamentali dell'allenamento nel karate, assieme a kata e kihon, e consiste nell'allenamento con un avversario.
Il termine giapponese kumite viene tradotto con la parola combattimento, però tale termine è incompleto, cioè privo degli elementi compresi nel concetto di kumite. Kumite si compone della parola kumi, che significa "mettere insieme", e della sillaba te, che significa "mano". Per kumite si intende quindi l'incontrarsi con le mani: nel confronto reale come in quello di palestra è necessario un avversario. Lo scopo del vero combattimento è quello di abbattere l'avversario, quello del kumite è la crescita reciproca dei praticanti.
Il kumite presuppone due fasi ben distinte: l'apprendimento delle tecniche dal punto di vista formale e la loro applicazione. L'importanza che riveste la forma (kata) in funzione del combattimento è quindi fondamentale, perché racchiude le basi del karate. La filosofia del karate-do impone di migliorarsi continuamente per ricercare la massima padronanza tecnica e mentale, così da raggiungere equilibrio interiore, stabilità, consapevolezza. Per allenare il combattimento, nel senso del karate-do, vengono studiati alcuni tipi di kumite fondamentale: combattimento a cinque passi, a tre passi, a un passo, semilibero e libero.

Gohon kumite e Sanbon kumite

Il combattimento a cinque passi, Gohon kumite, e il combattimento a tre passi, Sanbon kumite, sono le prime forme di combattimento cui viene avvicinato l'atleta. Esse hanno lo scopo di fare assimilare l'aspetto pratico e formale delle tecniche, di perfezionare calci, pugni e parate che vanno poi collegati agli spostamenti propri e a quelli dell'avversario. Distanza (maai) e precisione sono gli aspetti che maggiormente vanno evidenziati ed appresi in tale fase. Maai nelle arti marziali giapponesi è la distanza da mantenere nei confronti dell'avversario, esprime non solo la distanza e l'intervallo nello spazio, ma anche nel tempo. Esprime un ritmo, ad esempio l'intervallo tra le colonne di un tempio, un movimento di avvicinamento ed allontanamento; è la corretta distanza, ma variabile, ai fini dell'attacco o della difesa. Non va misurata, ma sentita con l'intuizione e l'atteggiamento mentale, con la percezione istintiva della spazialità delle tecniche, un errore di maai nel combattimento causa l'immediato attacco da parte dell'avversario e quindi la perdita dell'incontro.

Kihon ippon kumite

Il combattimento a un solo passo Kihon ippon kumite è la forma più essenziale di combattimento. I due atleti, posti ad una distanza corrispondente all'estensione del loro braccio, prestabiliscono l'area verso la quale indirizzeranno l'attacco: viso, tronco o bacino. Quindi alternativamente e senza finte, attaccano e parano. La relativa facilità strategica e coordinativa del combattimento a un solo passo ha lo scopo di fare emergere la massima intenzione durante l'attacco e di annullare il tempo intercorrente tra la parata ed il contrattacco.



Jiyu ippon kumite

Il combattimento semilibero, Jiyu ippon kumite, è lo stadio preliminare al combattimento libero. I contendenti si pongono in guardia a distanza libera (normalmente però viene stabilita a tre metri), l'attaccante dichiara l'area su cui porterà la tecnica, il difensore esegue una parate libera e contrattacca. Questo tipo di allenamento è finalizzato allo studio dell'applicazione reale delle tecniche. Chi attacca deve sapere sfruttare qualsiasi apertura gli si offra, utilizzando finte e spostamenti liberi, ed entrambi i praticanti devono acquisire abilità nella respirazione e nella distanza.



Jiyu kumite

Il combattimento libero, Jiyu kumite, è il combattimento in cui sfociano i precedenti. In esso nulla è prestabilito, i due atleti si affrontano, esprimendo le proprie capacità tecniche e psicologiche. Nella maggior pare degli stili rimane però come elemento fondamentale il controllo, cioè la capacità di portare la tecnica con potenza e precisione ma senza recare danno all'avversario. Nel Kyokushinkai e negli altri stili di karate a contatto oggi esistenti, invece, i colpi si possono affondare per ricercare il KO. Per poter praticare il combattimento libero questi elementi dovranno essere già stati interiorizzati perché su di essi si imperniano le scelte strategiche: parata e contrattacco (go no sen), attacco al momento della partenza dell'avversario (tai no sen), attacco sul primo movimento dell'avversario (sen no sen) e, infine, il "prima del prima" (sen sen no sen), cioè la tecnica di anticipo con intuizione.
Ad Okinawa, anticamente, il karate veniva allenato attraverso esercizi individuali. Lo studio del combattimento fondamentale si sviluppò dopo l'introduzione del karate in Giappone negli anni venti. Il combattimento libero apparve ufficialmente nel 1936, durante una manifestazione organizzata per la fondazione della Federazione Studentesca Giapponese di Karate-do.
Il regolamento delle gare, e i punti assegnati per la qualità delle tecniche - wazaari, tecnica buona, e ippon, tecnica eccezionale - prevede l'irrogazione di diverse penalità a seconda della gravità delle scorrettezze commesse. Recentemente il sistema di punteggio è variato, il nuovo regolamento assegna ora punti in base alla parte del corpo colpita e la tecnica. Sanbon, 3 punti: tecniche di calci al viso o spazzate; nihon, 2 punti: calci al tronco, pugni alla schiena o combinati e tecniche eseguite dopo un'azione di squilibrio; ippon, 1 punto: pugni o percussioni. Nel kumite la perfetta conoscenza delle proprie qualità tecniche è essenziale, ed altrettanto lo sono la padronanza mentale e la convinzione di combattere usando tutte le proprie risorse, come si trattasse di un combattimento per la vita o per la morte. Non è importante il numero di colpi ma la loro efficacia e la dimostrazione di dominio di sé e dell'avversario. Il senso della distanza e la capacità di comprendere come e quando entrare o uscire dallo spazio dell'avversario introducono nel combattimento un aspetto non puramente razionale: il presentimento dell'attacco, chiamato anche "Cadenza del niente".

martedì 25 aprile 2017

Kunoichi

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Kunoichi (くの一 Kunoichi) è un termine che indica un ninja di sesso femminile o una praticante del ninpō. Erano spie, ladre, assassine e sabotatrici e agivano in segreto. Una donna ninja non solo destava meno sospetti di un uomo, ma aveva anche la possibilità di tentare di sedurre personaggi influenti per ottenere informazioni oppure al fine di assassinarli in tranquillità nel sonno.

Etimologia

Si pensa che il termine derivi dal nome dei kana che ricordano i tre tratti che compongono il kanji (onna, «donna»); nell'ordine in cui si scrivono, sono: (ku), (no), (ichi), che formano appunto il carattere . La scrittura "くノ一" include un carattere di ciascuno dei tre sistemi di scrittura giapponesi: prima hiragana, poi katakana e infine kanji. Mentre hiragana e kanji possono essere utilizzati nella stessa parola, in genere il katakana non può apparire insieme agli altri; ci sono alcune eccezioni, per esempio ゴミ箱 (gomibako, «bidone della spazzatura») e 消しゴム (keshigomu, «gomma da cancellare»). Ku No Ichi significa letteralmente "uno dei nove", a sottolineare che nel Clan Ninja l'elemento femminile aveva pari dignità a tutti gli altri, mentre non era così nella cultura dominante nel Giappone feudale.

Addestramento Kunoichi

Al contrario di molte rappresentazioni, le vere kunoichi non venivano addestrate con i ninja. Il loro addestramento si specializzava nel travestimento, sull'uso dei veleni e, soprattutto, sulla seduzione, sfruttando la loro femminilità a proprio vantaggio. Veniva loro insegnato il combattimento ravvicinato, piuttosto che l'uso di armi a distanza, ed attaccavano corpo a corpo solamente quando venivano scoperte.
Il loro travestimento ruotava solitamente intorno alle figure della geisha, prostituta, animatrice, chiromante e indovina, e cercavano di essere più vicine possibile alla vittima, che dopo aver sedotto, avvelenavano. Le kunoichi nascondevano le loro armi all'interno dei loro travestimenti, come gli aghi avvelenati nelle acconciature. Erano anche addestrate nell'usare oggetti comuni come armi, per esempio usare le loro scarpe di legno per fratturare ossa, nascondere una lama nel loro ventaglio o usare un ombrello come uno scudo.
L'arma da loro più usata era il neko-te, delle unghie metalliche che venivano poste sulle dita e legate tramite dei nastri di pelle. Venivano spesso bagnate con del veleno, per poi lacerare gli occhi del malcapitato.



lunedì 24 aprile 2017

Ninja

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Il ninja (忍者) era una spia o un mercenario del Giappone feudale.
Le funzioni del ninja includevano: lo spionaggio, il sabotaggio, l'infiltrazione, l'assassinio e la guerriglia. I loro metodi di condurre segrete guerre irregolari vennero ritenuti "disonorevoli" e "inferiori" dalla casta dei samurai, che osservava regole severe circa l'onore e il combattimento. Lo shinobi corretto, un gruppo specializzato di spie e mercenari, apparve nel periodo Sengoku o "degli Stati combattenti" nel XV secolo, ma potevano essere presenti nel XIV secolo e forse anche nel XII secolo (periodo Heian o inizio del periodo Kamakura).
Nei disordini del periodo Sengoku (XV e XVII secolo) i mercenari e le spie a noleggio divennero attivi nella provincia di Iga e nell'area adiacente al villaggio di Kōka, con i clan della zona che vennero in gran parte a conoscenza dei ninja. Dopo l'unificazione del Giappone sotto lo shogunato Tokugawa (XVII secolo) i ninja caddero nell'oscurità. Un certo numero di manuali shinobi, spesso sulla base della filosofia militare cinese, vennero scritti fra il XVII e il XVIII secolo come il Bansenshukai (nel 1676).
Durante il rinnovamento Meiji (1868) la tradizione degli shinobi divenne un tema della fantasia popolare e di mistero in Giappone. I ninja assunsero un considerevole ruolo di rilievo nel folklore e nella leggenda, ed è spesso difficile separare i fatti dal mito. Alcune abilità leggendarie vennero ritenute essere dei ninja fra cui l'invisibilità, camminare sull'acqua e il controllo degli elementi naturali. Di conseguenza la loro percezione nella cultura occidentale nel XXI secolo è spesso basata più sulla leggenda e il folklore che sulle spie del periodo Sengoku.

Etimologia

Ninja è un on'yomi (un kanji derivato dal cinese medio precoce), la lettura dei due kanji 忍者. Nella nativa lettura dei kanji kun'yomi viene pronunciato shinobi, una forma abbreviata della trascrizione shinobi-no-mono. Questi due sistemi di pronuncia dei kanji creano parole con significati simili.
La parola shinobi comparve nel documento scritto fin dal tardo VIII secolo nel poema del Man'yoshu. La connotazione di shinobi significa "rubare" e per estensione "astenere", da qui l'associazione con lo stealth e l'invisibilità. Mono significa "una persona" e si riferisce anche al termine shinobu che significa "nascondere".
Storicamente la parola ninja non era di uso comune e una varietà di regionali colloquiali si evolsero per descrivere quello che in seguito sarebbe diventato noto come ninja. Insieme a shinobi, alcuni esempi sono monomi ("colui che vede"), nokizaru ("macaco sul tetto"), rappa ("ruffiano"), kusa ("erba") e Iga-mono ("uno da iga"). Nei documenti storici viene quasi sempre usato shinobi.
Kunoichi, che indica una ninja femminile, presumibilmente deriva da un personaggio (pronunciato ku, no e ichi), che costituiscono le tre parole che formano il kanji per "donna". In Occidente dopo la seconda guerra mondiale la parola ninja divenne più diffusa di shinobi, forse perché era più comoda per gli altoparlanti occidentali. In inglese il plurale di ninja può essere o immutato come "ninja" (il che riflette la mancanza nella lingua giapponese di numeri grammaticali) o il regolare plurale inglese "ninjas".

Storia

Nonostante i molti racconti popolari, racconti storici sui ninja sono scarsi. Lo storico Stephen Turnbull asserisce che i ninja erano per lo più reclutati dalla classe più bassa e quindi c'era poco interesse letterario su di loro. Al contrario, le epopee di guerra come Il racconto di Hogen (Hogen Monogatari) e Heike Monogatari (Heike Monogatari) si concentrano soprattutto sui samurai aristocratici, le cui gesta erano apparentemente più attraenti per il pubblico. Lo storico Kiyoshi Watarani afferma che i ninja erano stati addestrati a essere particolarmente reticenti sulle loro azioni e sulla loro esistenza: "Le cosiddette tecniche ninjutsu, insomma sono le competenze degli shinobi-no-jutsu e shinobijutsu, che hanno gli obiettivi di garantire che l'avversario non sappia nulla della loro esistenza e per i quali non vi era un addestramento speciale".

Predecessori

Il titolo ninja venne talvolta attribuito retroattivamente al principe semi-leggendario del IV secolo Yamato Takeru. Nel kojiki il giovane Yamato Takeru si traveste in una fanciulla affascinante e assassina due capi Kumaso. Tuttavia questi fatti avvennero in un periodo molto precoce della storia giapponese ed è improbabile che possano essere collegati agli shinobi dei racconti successivi. Il primo uso documentato di spionaggio era sotto l'impiego del principe Shotoku nel VI secolo. Queste tattiche vennero considerate sgradevoli anche in tempi precoci, quando nel X secolo Shomonki il ragazzo spia di Koharumaru venne ucciso per spionaggio contro l'insorto Taira no Masakado. In seguito la cronaca di guerra Taiheiki del XIV secolo conteneva molti riferimenti agli shinobi e accreditò la distruzione di un castello in un incendio da un anonimo, ma "altamente qualificato" shinobi.

Storia antica

Non fu fino al XV secolo che le spie venivano appositamente formate per il loro scopo. Fu in questo periodo che la parola shinobi apparve a definire e identificare chiaramente i ninja come un gruppo segreto di agenti. La prova di questo può essere vista in documenti storici, che cominciarono a riferirsi ai soldati furtivi come shinobi durante il periodo Sengoku. I manuali successivi in materia di spionaggio furono spesso fondati su strategie militari cinesi, citando come opere L'arte della guerra (Sunzi Bingfa) di Sun Tzu.
I ninja emersero come mercenari nel XV secolo, dove vennero reclutati come spie, predoni, incendiari e persino terroristi. Tra il samurai un senso del rituale e il decoro veniva osservato, in cui uno si aspettava di combattere o duellare apertamente. In combinazione con l'agitazione del periodo Sengoku questi fattori crearono domande di uomini disposti a commettere atti ritenuti poco raccomandabili per i guerrieri tradizionali. Per il periodo Sengoku gli shinobi ebbero diversi ruoli, fra cui la spia (kancho), esploratore (teitatsu), attaccante a sorpresa (kishu) e agitatore (konran). Le famiglie ninja erano organizzate in grandi corporazioni, ognuna con i propri territori. Esisteva anche un sistema di rango: un jonin ("uomo superiore") era il rango più alto, che rappresenta il gruppo e le locazioni di mercenari. Questo era seguito dal chunin ("uomo di mezzo"), assistente del jonin. In fondo c'era il genin ("uomo più basso"), gli agenti di campo tratti dalle classi più basse e assegnati a svolgere missioni attuali.

Clan Iga e Koga

I clan Iga e Koga vennero a descrivere le famiglie che vivevano nella provincia di Iga (moderna prefettura di Mie) e la regione adiacente di Koka (poi descritta come Koga) col nome di un villaggio che oggi si trova nella prefettura di Shiga. Da queste regioni erano presenti villaggi dedicati alla formazione di ninja alle prime armi. La lontananza e l'inaccessibilità delle montagne circostanti possono aver avuto un ruolo nello sviluppo segreto dei ninja. I documenti storici riguardanti le origini dei ninja in queste regioni di montagna sono considerati generalmente corretti. La cronaca Go Kagami Fukoku descrive l'origine dei due clan: "C'era un fermo della famiglia di Kawai Aki-no-kami di Iga, di abilità preminente negli shinobi e di conseguenza per le generazioni si affermò il nome delle genti provenienti da Iga. Un'altra tradizione crebbe a Koga".
Allo stesso modo, un supplemento del Nochi Kagami, un record dello Shogunato Ashikaga confermò la stessa origine di Iga: "all'interno del campo di Magari dello shogun [Ashikaga Yoshihisha] c'erano shinobi i cuoi nomi erano famosi in tutto il paese. Quando Yoshihisa attaccò Rokkaku Takayori, la famiglia di Kawai Aki-no-kami di Iga, che lo servi a Magari, guadagnò un notevole merito come shinobi di fronte al grande esercito dello Shogun. Da allora le successive generazioni di uomini di Iga venivano ammirate. Questa è l'origine della fama degli uomini di Iga".
Una distinzione deve essere fatta fra i ninja di queste aree e la gente comune o i samurai assunti come spie e mercenari. A differenza dei loro omologhi, i clan Iga e Koga produssero ninja professionali, appositamente addestrati per il loro ruolo. Questi ninja professionali vennero attivamente assunti dal daimyo tra il 1485 e il 1581, fino a quando Oda Nobunaga invase la provincia di Iga e spazzò via i clan organizzati. I sopravvissuti furono costretti a fuggire, alcuni per le montagne di Kii, mentre altri arrivarono prima da Tokugawa Ieyasu dove vennero trattati bene. Alcuni vecchi membri del clan Iga, fra cui Hattori Hanzo, avrebbero poi servito come guardie del corpo di Tokugawa.
Dopo la battaglia di Okehazama nel 1560 Tokugawa impiegò un gruppo di ottanta ninja di Koga guidati da Tomo Sukesada. Essi avevano il compito di razziare un avamposto del clan Imagawa. Il racconto di questo assalto venne scritto nel Mikawa Go Fudoki, dove c'era scritto che i ninja si infiltrarono nel castello, incendiarono le sue torri e uccisero il castellano con i duecento soldati della guarnigione. I ninja di Koga si dice che abbiano giocato un ruolo nella successiva battaglia di Sekigahara (1600), dove diverse centinaia di ninja di Koga assistettero i soldati di Torii Mototada nella difesa del castello di Fushimi. Dopo la vittoria di Tokugawa a Sekigahara gli Iga agirono come guardie per gli avamposti interni del castello di Edo, mentre i Koga agirono come una forza di polizia e assistettero le guardie del cancello esterno. Nel 1614, la "campagna d'inverno" iniziata dall'assedio di Osaka vide ancora una volta in uso i ninja. Miura Yoemon, un ninja al servizio di Tokugawa, reclutò shinobi dalla regione di Iga e inviò dieci ninja nel castello di Osaka nel tentativo di favorire l'antagonismo fra i comandanti nemici. Durante la successiva "campagna estiva" questi ninja assoldati combatterono a fianco delle truppe regolari nella battaglia di Tennoji.

Ribellione di Shimabara




Un record finale e dettagliato di ninja impiegati in guerra aperta si verificò nella ribellione di Shimabara (1637-1638). I ninja di Koga vennero reclutati dallo shogun Tokugawa Iemitsu contro i cristiani ribelli guidati da Amakusa Shirō, che fece un attacco finale al castello di Hara nella provincia di Hizen. Un diario tenuto da un membro del clan Matsudaira, l'Amakusa Gunki, racconta: "Gli uomini di Koga da Omi nascondevano il loro aspetto fino al castello ogni notte e entravano a loro piacimento".
Il diario Ukai, scritto da un discendente di Ukai Kanemon, ha diverse voci che descrivono le azioni di ricognizione intraprese dai ninja di Koga: "Essi [i Koga] gli venne ordinato di perlustrare il piano di costruzione del castello di Hara e gli venne chiesta la distanza dal fossato difensivo al ni-no-maru (seconda motta castrale), la profondità del fossato, le condizioni delle strade, l'altezza della parete e la forma delle feritoie". (Entrata: 6º giorno del primo mese).
Sospettando che le forniture del castello potessero finire in basso, il comandante d'assedio Matsudaira Nobutsuna ordinò un raid sulle disposizioni del castello e i Koga catturarono sacchi di disposizioni nemiche e infiltratosi nel castello di notte ottennero le password segrete. Alcuni giorni dopo Nobutsuna ordinò una missione per far esaurire le forniture del castello e diversi ninja di Koga (alcuni a quanto pare discendenti di coloro che vennero coinvolti nel 1562 nel assalto a un castello del clan Matsudaira) si offrirono pur essendo stati avvertiti che le probabilità di sopravvivenza erano scarse. Una raffica di colpi vennero sparati nel cielo causando ai difensori di spegnere le luci del castello in preparazione. Sotto il mantello di tenebre i ninja si travestirono da difensori infiltrati al castello, catturando una bandiera della croce cristiana. Il diario Ukai scrive: "Siamo spie disperse preparate a morire dentro il castello di Hara. [...] quelli che andarono in ricognizione in forza catturarono una bandiera nemica; sia Arakawa Shichirobei sia Mochizuki Yo'emon incontrarono estrema resistenza e soffrirono gravi ferite per quaranta giorni". (Entrata: 27º giorno del primo mese).
Mentre l'assedio continuava, l'estrema carenza di cibo ridusse i difensori a mangiare muschio e erba. Questa disperazione avrebbe montato futili accuse da parte dei ribelli, che vennero poi sconfitti dall'esercito dello shogunato. I Koga avrebbero poi preso parte alla conquista del castello: sempre raid più generali vennero avviati, il gruppo di ninja di Koga sotto il controllo diretti di Matsudaira Nobutsuna catturarono il ni-no-maru e il san-no-maru (motta castrale esterna). (Entrata: 24º giorno del secondo mese).
Con la caduta del castello di Hara la rivolta di Shimabara si concluse e il cristianesimo in Giappone venne costretto a nascondersi. Questi resoconti scritti erano l'ultima menzione dei ninja in guerra.

Oniwaban

Nei primi anni del XVIII secolo lo shogun Tokugawa Yoshimune fondò gli Oniwaban, un'agenzia di intelligence e servizi segreti. I membri di questo ufficio, gli Oniwaban ("custodi del giardino"), erano agenti coinvolti nella raccolta di informazioni sui Daimyo e i funzionari di governo. La natura segreta degli Oniwaban (insieme alla tradizione precedente di usare i membri dei clan Iga e Koga come guardie di palazzo) portarono alcune fonti a riferirsi agli Oniwabanshu come ninja. Questa rappresentazione è comune anche nei romanzi successivi e nei jidai-geki. Tuttavia non vi è alcun collegamento con i precedenti shinobi e i successivi oniwabanshu.

Ruoli

Nel suo Buke Myomokusho lo storico militare Hanawa Hokinoichi scrisse dei ninja: "Viaggiarono in incognito in altri territori per giudicare la situazione del nemico, avrebbero attraversato la loro strada in mezzo al nemico per scoprire le sue lacune e infiltrarsi nei castelli nemici per incendiarli e effettuarono omicidi arrivando in segreto".
I ninja erano soldati invisibili e mercenari assoldati per lo più dai daimyo. I loro ruoli primari erano quelli di spionaggio e sabotaggio anche se pure gli omicidi venivano attribuiti ai ninja. In battaglia i ninja venivano utilizzati anche per creare confusione tra i nemici. Un certo grado di guerra psicologica nella cattura delle bandiere nemiche può essere visto e illustrato nel Ou Eikei Gunki, composto tra il XVI e il XVII secolo: "All'interno del castello di Hataya c'era un glorioso shinobi, le cui abilità erano molto famose, e una notte entrò nel campo nemico di nascosto. Prese la bandiera da guardia di Naoe Kanetsugu... e tornò e si fermò in un luogo in alto sul cancello di fronte al castello".

Spionaggio

Lo spionaggio era il ruolo principale dei ninja. Con l'aiuto di travestimenti i ninja raccolsero informazioni sui terreni nemici e le specifiche di costruzione, così come ottennero le password e i comunicati. Il supplemento del Nochi Kagami descrive brevemente il ruolo dei ninja nello spionaggio: "Per quanto riguarda i ninja, sono stati detti essere di Iga e Koga e andarono liberamente nei castelli nemici segreti. Essi osservarono cose nascoste e vennero presi come amici". Più tardi nella storia i ninja di Koga sarebbero stati considerati agenti del bakufu del clan Tokugawa, in un momento in cui il bakufu utilizzò i ninja in una rete di intelligence per monitorare i daimyo regionali, così come la corte imperiale di Kyoto.

Sabotaggio

L'incendio doloso era la prima forma di sabotaggio applicata dai ninja, che miravano i castelli e gli accampamenti.
Il diario del XVI secolo dell'abate Eishun (Tamon-in-Nikki) al monastero di Tamon-in descrisse un attacco incendiario su un castello dagli uomini del clan Iga: "Questa mattina il sesto giorno dell'undicesimo mese del decimo anno di Tembun, gli iga-shu entrarono nel castello di Kasagi a fuoco segreto e impostarono alcuni dei quartieri dei sacerdoti. Hanno anche dato fuoco a vari luoghi annessi all'interno del san-no-maru. Catturarono la ichi-no-maru (motta castrale interna) e il ni-no-maru". (Entrata: 26º giorno dell'11º mese del 10º anno di Tenbun (1541)).
Nel 1558 Rokkaku Yoshitaka impiegò una squadra di ninja per dare fuoco al castello di Sawayama. Un capitano chunin guidò una forza di quarantotto ninja nel castello con l'inganno. Con una tecnica soprannominata bakemono-jutsu ("tecnica fantasma") i suoi uomini rubarono una lanterna che portava lo stemma della famiglia del nemico (mon) e procedettero a replicare con lo stesso mon. Brandendo queste lanterne vennero autorizzati a entrare nel castello senza combattere. Uno volta dentro i ninja appiccarono il fuoco al castello e l'esercito di Yoshitaka ne sarebbe poi uscito vittorioso. La natura mercenaria degli shinobi venne dimostrata in un altro attacco incendiario subito dopo l'incendio del castello di Sawayama. Nel 1561 i comandanti che agirono sotto Kizawa Nagamasa assunsero tre ninja di Koga con rango chunin per assistere alla conquista di una fortezza in Maibara. Rokkaku Yoshitaka, lo stesso uomo che assunse i ninja di Koga anni prima, era il difensore della fortezza e divenne bersaglio di un attacco. L'Asai Sandaiki scrisse dei loro piani: "Abbiamo impiegato shinobi-no-mono di Koga... Essi vennero contrattati per appiccare il fuoco al castello". Tuttavia i mercenari shinobi non erano disposti a prendere il comando. Quando l'attacco di fuoco non iniziò come da programma gli uomini di Iga dissero ai comandanti, che non erano della regione, che non potevano capire le tattiche degli shinobi. Minacciarono poi di abbandonare l'operazione se non venivano autorizzati ad agire per la propria strategia. L'incendio venne infine appiccato, permettendo all'esercito di Nagamasa di catturare la fortezza in una corsa caotica.

Assassinio

I casi più noti di attentati coinvolsero personaggi storici famosi. Molti dei personaggi famosi vennero ritenuti talvolta assassinati dai ninja, ma la natura segreta di questi scenari lo rese difficile da provare. Gli assassini erano spesso indicati come ninja, ma non ci sono prove per dimostrare se alcuni erano appositamente formati per l'attività o semplicemente erano delinquenti assunti.
La famigerata reputazione del signore della guerra Oda Nobunaga portò a diversi attentati alla sua vita. Nel 1571 un ninja di Koga e un marksman di nome Sugitani Zenjubo venne assunto per assassinare Nobunaga. Utilizzando due archibugi spararono due colpi consecutivi a Nobunaga, ma non furono in grado di infliggere lesioni mortali per via dell'armatura di Nobunaga. Sugitani riuscì a fuggire, ma venne catturato quattro anni più tardi e messo a morte sotto tortura. Nel 1573 Manabe Rokuro, vassallo del daimyo Hatano Hideharu, tentò di infiltrarsi nel castello di Azuchi e assassinare Nobunaga mentre dormiva. Tuttavia anche questo finì in un fallimento e Manabe fu costretto a suicidarsi, dopodiché il suo corpo venne apertamente mostrato in pubblico. Secondo un documento, l'Iranki, quando Nobunaga ispezionava la provincia di Iga (che il suo esercito aveva devastato) un gruppo di tre ninja spararono contro di lui con armi da fuoco di grosso calibro. Gli spari tuttavia evitarono Nobunaga e uccisero invece sette dei suoi compagni circostanti.
Il ninja Hachisuka Tenzo venne inviato da Nobunaga per assassinare il potente daimyo Takeda Shingen, ma alla fine non riuscì nel suo tentativo. Nascondendosi all'ombra di un albero, evitò di essere visto sotto il chiaro di luna e poi si nascose in un buco che aveva preparato in anticipo, sfuggendo così alla cattura.
Un tentativo di assassinio di Toyotomi Hideyoshi venne anche ostacolato. Un ninja di nome Kirigakure Saizo (forse Kirigakure Shikaemon) spinse una lancia attraverso le assi del pavimento per uccidere Hideyoshi, ma senza successo. Venne "fumato fuori" dal suo nascondiglio da un altro ninja che lavorava per Hideyoshi, che a quanto pare aveva utilizzato una sorta di primitivo "lanciafiamme". Purtroppo la veridicità di questo racconto venne offuscato dai successivi racconti che ritraggono Saizo come uno dei leggendari Sanada Ten Braves. Uesugi Kenshin, il famoso Daimyo di Echigo, si diceva che fosse stato ucciso da un ninja. La leggenda attribuisce la sua morte a un assassino che si dice abbia nascosto nel gabinetto di Kenshin una lama o lancia nel suo ano che lo ferì a morte. Mentre i documenti storici mostrarono che Kenshin soffriva di problemi addominali, gli storici moderni solitamente attribuiscono la sua morte per tumore dello stomaco, carcinoma dell'esofago o malattie cerebrovascolari.

Contromisure

Una varietà di contromisure vennero prese per evitare le attività dei ninja. Precauzioni vennero spesso prese contro gli assassini, come le armi nascoste nel gabinetto o sotto una pedana rimovibile. Gli edifici venivano costruiti con trappole e fili collegati a un campanello d'allarme.
I castelli giapponesi vennero progettati per essere difficili da attraversare, con percorsi tortuosi che conducevano al percorso interiore. Punti ciechi e buchi nei muri venivano posti a sorveglianza di questi percorsi labirintici, come mostra il castello di Himeji. Il castello Nijo a Kyoto venne costruito con lunghi piani "a usignolo" che poggiavano su cerniere in metallo (uguisu-bari) specificatamente progettato per stridere rumorosamente quando vi si camminava sopra. Motivi coperti di ghiaia fornivano anche un avviso precoce per gli intrusi indesiderati e gli edifici segregati permisero di contenere meglio gli incendi.

Formazione

Le competenze richieste dai ninja furono conosciute in tempi moderni come ninjutsu, ma è improbabile che fossero precedentemente nominate sotto un'unica disciplina, ma erano piuttosto distribuite fra una varietà comprese fra lo spionaggio e di tecniche di sopravvivenza.
La prima formazione specialistica iniziò a metà del XV secolo, quando alcune famiglie samurai iniziarono a concentrarsi sulla guerra segreta, tra cui lo spionaggio e l'assassinio. Come il samurai, anche il ninja erano nati nella professione, in cui vennero tenuti nelle tradizioni e superarono attraverso la famiglia. Secondo Turnbull il ninja venne addestrato fin dall'infanzia, come era anche comune nelle famiglie dei samurai. Fuori dalle discipline di arti marziali che ci si attendeva, un giovane studiava tecniche di sopravvivenza e di scouting, così come le informazioni riguardanti veleni e esplosivi. Era anche importante l'educazione fisica, che riguardava corse a lunghe distanze, l'arrampicata, i metodi di azione furtiva di camminare e il nuoto. Un certo grado di conoscenza per quanto riguardava le professioni comuni era necessario anche se uno si aspettava di prendere il suo modulo sotto mentite spoglie. Alcuni titoli di formazione medica potevano derivare da un salvataggio, quando un ninja di Iga fornì pronto soccorso a Ii Naomasa, che era stato ferito con armi da fuoco nella battaglia di Sekigahara. Qui il ninja, come riferì Naomasa, gli diede una "medicina nera" per fermare l'emorragia.
Con la caduta dei clan Iga e Koga i daimyo non potevano più reclutare ninja professionisti e vennero costretti a formare loro gli shinobi. Lo shinobi era considerato una vera e propria professione, come dimostrò la legge del bakufu del 1649 sul servizio militare, che dichiarò che solo i daimyo con un reddito di oltre 10.000 koku erano autorizzati a mantenere shinobi. Nei due secoli successivi un numero di manuali ninjutsu vennero scritti dai discendenti di Hattori Hanzo così come i membri del clan Fujibayashi, un ramo degli Hattori. Grandi esempi includono il Ninpiden (1655), il Bansenshukai (1675) e il Shoninki (1681). Scuole moderne che pretendono di formare il ninjutsu sorsero dal 1970, tra cui quello di Masaaki Hatsumi (Bujinkan), Stephen K. Hayes (To-Shin Do) e Jinichi Kawakami (Banke Shinobinoden). Il lignaggio e l'autenticità di queste scuole sono una questione di polemica.

Tattica

Il ninja non agì sempre da solo. Esistevano tecniche di squadra: per esempio, per scalare un muro, un gruppo di ninja potevano mettersi reciprocamente sulle spalle o formare una piattaforma umana per aiutare un individuo a raggiungere altezze maggiori. Il Mikawa Go Fudoki diede conto di una squadra coordinata da aggressori che usavano le password per comunicare. L'account dava anche un senso di inganno, in quanto gli aggressori vestivano con gli stessi abiti dei difensori, provocando molta confusione. Quando la ritirata fu necessaria durante l'assedio di Osaka, ai ninja gli venne ordinato di sparare sulle truppe amiche da dietro, causando alle truppe di caricare all'indietro per attaccare un nemico percepito. Questa tattica venne utilizzata in un secondo momento come metodo per disperdere la folla.
La maggior parte delle tecniche ninjutsu registrate nei manuali ruotano intorno metodi per evitare la rivelazione e le modalità di fuga. Queste tecniche vennero vagamente raggruppate sotto il corrispondente di elementi naturali. Alcuni esempi sono:
  • Hitsuke - la pratica dei ninja di distrarre le guardie appiccando un incendio a distanza dal punto previsto dai ninja per entrare. Rientra nelle "tecniche di fuoco" (Katon-no-jutsu).
  • Tanuki-Gakure - la pratica di arrampicarsi su un albero e camuffare se stessi all'interno del fogliame. Rientra nelle "tecniche di legno" (Mokuton-no-jutsu).
  • Ukigusa-Gakure - la pratica di gettare lenticchie d'acqua sopra l'acqua al fine di nascondere il movimento sott'acqua. Rientra nelle "tecniche d'acqua" (Suiton-no-jutsu).
  • Uzura-gakure - la pratica di rincorrere una palla e rimanere immobili per sembrare una pietra. Rientra nelle "tecniche di terra" (Doton-no-jutsu).
Le tattiche di arti marziali ninja di sabotaggio e assassinio erano adattate per attacchi a sorpresa (di notte, un'imboscata, da dietro) e per piccoli spazi (un folto cespuglio nel bosco, corridoi bassi e le piccole serrature da stanza giapponesi, che richiedevano brevi e piccole armi). I ninja nello spionaggio cercavano di evitare la battaglia aperta con forze avversarie numericamente superiori, quindi le loro tecniche vennero adattate per stordire il nemico e fuggire in caso di fallimento.

Travestimenti

L'uso di travestimenti è comune e ben documentato. I travestimenti erano sotto forma di sacerdoti, animatori, cartomanti, commercianti, rōnin e monaci. Il Buke Myomokusho descrisse: "Gli shinobi-monomi erano persone utilizzate in modo segreto e se le loro funzioni erano andare in montagna si travestivano da raccoglitori di legna da ardere per scoprire e acquisire notizie sul territorio nemico... erano particolarmente esperti di viaggiare in incognito". Un abbigliamento per una montagna ascetica (yamabushi) facilitava il viaggio, in quanto erano comuni e potevano viaggiare liberamente tra i confini politici. Le vesti sciolte dei monaci buddisti permettevano di tenere armi nascoste, come ad esempio il tanto. Gli abiti con il menestrello o il sarugaku avrebbero potuto permettere al ninja di spiare le costruzioni nemiche senza sospetti travolgenti. Travestirsi da komosu, un monaco mendicante, conosciuti per suonare il shakuhachi era efficace, in quanto il grande cappello "paniere" tradizionalmente indossati da loro nascondeva completamente la testa.

Equipaggiamento

I ninja utilizzarono una grande varietà di armi e strumenti, alcuni dei quali erano comunemente noti, ma altri erano più specializzati. La maggior parte erano strumenti utilizzati per l'infiltrazione nei castelli. Una vasta gamma di attrezzature specializzate vennero descritte e illustrate nel XVII secolo dal Bansenshūkai, tra cui l'arrampicata con attrezzature, lance estese, razzi automatrici e piccole imbarcazioni pieghevoli.

Abbigliamento

Mentre l'immagine di un ninja vestito in abito nero (shinobi shozoku) è prevalente nei media occidentali, non ci sono prove scritte per tale costume. Invece era molto più comune per il ninja travestirsi da civile. La nozione popolare di abbigliamento nero è probabilmente radicata nella convenzione artistica; i primi disegni di ninja mostravano loro vestiti di nero, al fine di rappresentare il senso di invisibilità. Questa convenzione era un'idea presa in prestito dai gestori del teatro Bunraku, che si vestivano di nero totale, nel tentativo di simulare materiali di scena in movimento indipendentemente dai loro controlli. Nonostante la mancanza di prove concrete, venne rappresentato da alcune autorità che gli abiti neri, forse un po' contaminati con il rosso per nascondere le macchie di sangue, erano davvero il capo ragionevole di scelta per l'infiltrazione.
L'abbigliamento usato era simile a quello dei samurai, ma gli indumenti larghi (come i leggings) venivano nascosti nei pantaloni o fissati con le cinture. Il tenugui, un pezzo di stoffa usato anche nelle arti marziali, aveva molte funzioni. Poteva essere usato per coprire il viso, formare una cintura o aiutare nella scalata.
La storicità di armature specificatamente realizzate per i ninja non può essere stabilita. Mentre pezzi di armatura chiara presumibilmente indossati dai ninja esistevano e venivano utilizzati al momento giusto, non ci sono prove concrete del loro uso nelle operazioni dei ninja. Raffigurazioni di personaggi famosi in seguito considerati ninja spesso li mostrano con un'armatura giapponese da samurai. C'erano leggeri tipi occultabili di armature fatte con kusari (cotta di maglia) e piccole corazze, come i karuta che potevano essere indossati dai ninja, includendo le katabira (giacche) realizzate con armature nascoste tra gli strati di stoffa. Shin e bracci da guardie, insieme a calotte in metallo rinforzato sono stati ipotizzati di difendere l'armatura dei ninja.


Strumenti

Gli attrezzi utilizzati per l'infiltrazione e lo spionaggio sono alcuni dei reperti più abbondanti legati ai ninja. Corde e rampini erano comuni e venivano legati alla cintura. Una scaletta pieghevole era illustrata nel Bansenshukai, con picchi a entrambe le estremità per ancorare la scala. Gli spilli o gli attrezzi da arrampicata erano agganciati sulle mani e sui piedi e venivano usati come armi. Altri attrezzi includevano gli scalpelli, i martelli, i trapani, i picconi e così via.
Il kunai era un pesante attrezzo appuntito, forse derivato dalle murature e cazzuole giapponesi ai quali è molto simile. Anche se è spesso ritratto nella cultura popolare come arma, il kunai era principalmente utilizzato anche per creare buchi nei muri. Coltelli e piccole seghe (hamagari) erano anche utilizzati per creare buchi negli edifici, dove servivano come un punto d'appoggio o di passaggio per un ingresso. Un dispositivo di ascolto portatile (saoto hikigane) veniva utilizzato per intercettare le conversazioni e rilevare i suoni.
I mizugumo erano una serie di scarpe di legno presumibilmente per permettere ai ninja di camminare sull'acqua, dove avrebbero dovuto lavorare indossando pesi sopra un'ampia superficie inferiore delle scarpe. La parola mizugumo deriva dal nome nativo per l'acquaragno giapponese (argyroneta aquatica japonica). Il mizugumo appare anche nello spettacolo MythBusters, dove viene mostrato inadatto per camminare sull'acqua. L'ukidari, una calzatura simile per camminare sull'acqua, esisteva anche nella forma di un secchio, ma probabilmente era piuttosto instabile. Pelli e tubi di respirazione gonfiabile permettevano ai ninja di rimanere sott'acqua per lunghi periodi di tempo. Nonostante la vasta gamma di strumenti disponibili per i ninja, il Bansenshukai ammoniva di non essere sovraccarichi di attrezzature, affermando che "un ninja di successo è uno che usa uno strumento per più attività".

Armi

Anche se utilizzavano spade più corte e i pugnali, la katana era probabilmente l'arma di fiducia dei ninja e a volte veniva portata sul dorso. La katana aveva diversi usi al di là del combattimento normale. In condizioni di oscurità il fodero poteva essere esteso fuori dalla spada e utilizzato come dispositivo a lungo sondaggio. La spada poteva anche essere fissata contro il muro, dove il ninja poteva usare la guardia della spada (tsuba) per ottenere un più alto appiglio. La katana poteva anche essere usata come dispositivo per stordire i nemici prima di attaccare, mettendo una combinazione di pepe rosso, sporco o polvere, e limatura di ferro nella zona vicina alla parte superiore del fodero, in modo che la spada disegnasse un intruglio che sarebbe volato negli occhi del nemico, stordendolo fino a quando non si sarebbe eseguito un colpo mortale. Mentre le spade dritte venivano utilizzate prima dell'invenzione della katana, la ninjatô (un'altra spada dei ninja) non ha precedenti storici ed è probabilmente un'invenzione moderna.
Una serie di freccette, punte, coltelli e dischi a forma di stelle taglienti erano conosciuti collettivamente come shuriken. Anche se non erano esclusivi dei ninja, erano una parte importante dell'arsenale, in quanto potevano essere lanciati in tutte le direzioni. Gli archi venivano utilizzati con un'ottima mira e alcuni fiocchi ninja venivano intenzionalmente resi più piccoli rispetto al tradizionale yumi (lungo arco). Anche "la catena e la falce" kusarigama veniva utilizzata dai ninja. Quest'arma consisteva in un peso posto sull'estremità di una catena e in una falce kama sull'altro. Il peso oscillava e poteva anche ferire o abbattere un avversario, mentre la falce veniva usata per uccidere a distanza ravvicinata. I semplici utensili da giardinaggio come i kunai e le falci vennero usati come armi in modo che, se scoperto, un ninja poteva dire che erano suoi strumenti di lavoro e non armi, nonostante la loro capacità di essere usate in battaglia.
Gli esplosivi vennero introdotti dalla Cina ed erano conosciuti in Giappone al tempo delle invasioni mongole del XIII secolo. Più tardi gli esplosivi e le granate a mano vennero adottati dai ninja. Bombe soft-carter vennero progettate per rilasciare fumo o gas velenosi, insieme agli esplosivi a frammentazione pieni di ferro o ceramica granata.
Insieme alle armi comuni, un vasto assortimento di varie armi vennero associate ai ninja. Alcuni esempi includono il veleno, le makibishi, le spade di canna (shikomizue), mine terrestri, fukiya (cerbottane), freccette avvelenate, acidi e armi da fuoco. L'happo, un piccolo guscio d'uovo pieno di polvere accecante (metsubushi) venne utilizzato anche per facilitare la fuga. Altre armi dei ninja erano: il (un bastone molto lungo), la wakizashi (spada corta a un solo filo), gli shuriken (letteralmente lame volanti sia di forma circolare sia oblunghe, note come "le stelle dei Ninja"), gli bo-shuriken (chiodi lunghi 20-30 cm da posizionare negli spazi interdigitali per poter esser lanciati), la kaginawa (ancorette unite a una corda, sia da lancio sia per arrampicarsi), la kamayari (una picca con arpione), i manriki kusari (coppia di piccoli pesi posti all'estremità di una catena), i mizugumo (delle scarpe galleggianti per attraversare pozze d'acqua), il tantō (tipico coltello da uso quotidiano giapponese), le ashiko (calzature chiodate), il tekagi e le sue varianti, gli shuko (bracciali puntuti e pugni di ferro anch'essi puntuti), il (una spranga di legno), i fukumibari (degli aghi), la naginata (una alabarda), il kyoketsu Shogei (un corto pugnale con paramano curvo che dà la forma di un arpione, dotato di una lunga corda con al termine un anello metallico), il nunchaku (un'arma composta da due bastoni lunghi circa 25 cm l'uno e uniti tra loro da una catena o una corda lunga circa 10 cm, di cui esiste anche una variante a tre bastoni: il sān jié gùn), gli ōzutsu e le granate metsubushi (目潰し, "chiudi occhi", ovvero piccole bombe dirompenti a carica metallica).



Abilità leggendarie

I poteri sovrumani o soprannaturali vennero spesso associati ai ninja. Alcune leggende includono volo, invisibilità, mutaforma, la capacità di dividere il corpo, l'evocazione di animali e il controllo dei cinque elementi. Queste nozioni favolose derivano dalla fantasia popolare per quanto riguarda lo stato misterioso dei ninja, così come le idee romantiche che si trovano nell'arte giapponese del periodo Edo. I poteri magici erano a volte radicati negli sforzi dei ninja per diffondere informazioni di fantasia. Ad esempio, Nakagawa Shoshujin, il fondatore del XVII secolo del Nakagawa-ryu sostenne nei suoi scritti (Okufuji Monogatari) che avevano la capacità di trasformarsi in uccelli e animali.
Il controllo percepito nel corso degli elementi può essere messo in campo nelle tattiche reali, che vennero classificate per associazione con le forze della natura. Ad esempio, la pratica di accendere il fuoco al fine di coprire le tracce di un ninja rientrano nelle katon-no-jutsu ("tecniche di fuoco").
Per i ninja l'impiego di aquiloni nello spionaggio e in guerra è un altro argomento di leggende. Esistono racconti di ninja sollevati in aria da aquiloni, che volavano su un terreno ostile e discesi sganciando bombe sul territorio nemico. Gli aquiloni vennero effettivamente utilizzati nelle guerre giapponesi, ma soprattutto per inviare messaggi e segnali. Turnbull suggerisce che gli aquiloni che alzavano un uomo a mezz'aria erano tecnicamente possibili, ma afferma che l'uso di aquiloni per formare un deltaplano "umano" ricade nel regno della fantasia.

Kuji-kiri

Il kuji-kiri era una pratica esoterica che se effettuata con una serie di sigilli a mano (kuji-in) aveva lo scopo di permettere ai ninja di emanare gesta sovrumane.
Il kuji ("nove caratteri") è un concetto proveniente dal taoismo, dove era una serie di nove parole usate negli incantesimi. In Cina questa tradizione mescolata con le credenze buddiste, assegnando ciascuna delle nove parole con una divinità buddista. I kuji possono essere arrivati in Giappone mediante l'esempio buddista dove fiorì nel Shugendo. Anche qui ogni parola del kuji veniva associata con divinità buddiste, animali della mitologia taoista e più tardi i kami del shintoismo. Il mudrā, una serie di simboli a mano che rappresentavano diversi Buddha, vennero applicati al kugi dei buddisti, forse attraverso gli insegnamenti esoterici mikkyo. Gli asceti yamabushi del Shugendo adottarono questa pratica, utilizzando i gesti delle mani in spirituale, la guarigione, e i rituali di esorcismo. In seguito l'uso di kuji passò sul budō (arti marziali) e scuole ninjutsu, dove avevano vari scopi. L'applicazione di kuji per produrre l'effetto desiderato venne chiamato "taglio" (kiri). Effetti desiderati vanno dalla concentrazione fisica e mentale, a più incredibili affermazioni circa un avversario immobile o anche la fusione di incantesimi. Queste leggende vennero assorbite nella cultura popolare, che interpretò il kuji-kiri come un precursore delle arti magiche.

Ninja famosi

Molti personaggi famosi nella storia del Giappone vennero associati o identificati come ninja, ma il loro status di ninja era difficile da dimostrare e poteva essere il prodotto della fantasia. Molte voci circondarono guerrieri famosi, come Kusonoki Masashige o Minamoto no Yoshitsune, che li descrissero come ninja, ma ci sono poche prove per queste affermazioni. Alcuni esempi ben noti includono:
  • Kumawakamaru (XIII-XIV secolo) - un giovane il cui padre in esilio venne condannato a morte dal monaco Homma Saburo. Kumakawa prese la sua vendetta entrando furtivamente nella camera di Homma mentre dormiva e assassinandolo con la sua stessa spada.
  • Yagyu Muneyoshi (1529-1606) - un famoso spadaccino della scuola Shinkage-ryu. Il nipote di Muneyoshi, Jubei Muneyoshi, raccontava storie dello status di suo nonno come ninja.
  • Hattori Hanzo (1542-1596) - un samurai al servizio di Tokugawa Ieyasu. La sua ascendenza nella provincia di Iga, insieme a alcuni manuali ninjutsu pubblicati dai suoi discendenti portarono alcune fonti a definirlo come ninja. Questa raffigurazione è comune anche nella cultura popolare.
  • Ishikawa Goemon (1558-1594) - Goemon venne ritenuto a provare a far gocciolare del veleno da un filo sulla bocca di Oda Nobunaga attraverso un nascondiglio nel soffitto. Tuttavia esistono molte storie fantasiose su Goemon e quindi questa storia non può essere confermata.
  • Fumma Kotaro (1603) - un ninja che si dice abbia ucciso Hattori Hanzo, con il quale era presumibilmente rivale. L'immaginaria arma fumma shuriken porta il suo nome.
  • Mochizuki Chiyome (XVI secolo) - la moglie di Mochizuki Moritoki. Chiyome creò una scuola per ragazze, che insegnava competenze richieste dalla geisha, così come le abilità di spionaggio.
  • Momochi Sandayu (XVI secolo) - un leader dei clan ninja di Iga, che presumibilmente morì durante l'attacco di Oda Nobunaga nella provincia di Iga. Vi è una certa convinzione che sia sfuggito alla morte e che visse come agricoltore nella provincia di Kii. Momochi è anche un ramo del clan Hattori.
  • Fujibayashi Nagato (XVI secolo) - considerato uno dei "tre più grandi" jonin di Iga; gli altri due erano Hattori Hanzo e Momochi Sandayu. I discendenti di Fujibayashi scrissero e pubblicarono il Bansenshukai.



domenica 23 aprile 2017

Ninjatō

Una ninjatō realizzata al computer



Il ninjatō (忍刀) era un'ipotetica arma principale di un ninja.
Essa veniva legata alla cintura (sul fianco sinistro, oppure destro se mancini). Nel caso lo shinobi avesse dovuto scalare una parete o compiere azioni, che sarebbero risultate impedite portando il ninjatō al fianco, lo legava alla schiena. La sua lunghezza non doveva superare i 60cm e non doveva essere più corta di 40cm. Differiva dalla katana in quanto non aveva la classica curvatura ma era diritta; l'impugnatura era più lunga per un'estrazione più veloce e i materiali con i quali il ninjatō era costruito erano diversi.
Mentre la katana era forgiata più volte per darle la classica curvatura e l'affilatura, il ninjatō era fatto in acciaio meno elaborato, e l'estrazione veniva eseguita in maniera diversa: in primo luogo un ninja non impugnava il ninjatō con il dorso della mano rivolto verso l'alto ma verso il basso, una volta estratta l'arma era tenuta con una sola mano con la punta rivolta verso il basso. Questa impugnatura inconsueta con la quale lo shinobi impugnava il ninjatō era dettata dal fatto che il ninja eseguiva dei gìri (tagli) totalmente diversi da un normale colpo di spada inoltre prima di ogni gìri vi era un kasumi (annebbiamento) atto a distrarre l'avversario per qualche attimo durante il quale lo shinobi sfruttando quest'apertura nella guardia dell'avversario eseguiva il gìri (mai uno soltanto ma sempre una serie di gìri atti ad uccidere l'avversario).

sabato 22 aprile 2017

Kodachi

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Kodachi (小太刀, こだち lett. "tachi (spada) piccola") è una spada giapponese che è troppo corta per essere considerata come una spada lunga, ma troppo lunga per essere un pugnale. Grazie alle sue dimensioni, può essere estratto e utilizzato molto rapidamente, così potrebbe essere utilizzato come una sorta di scudo in un combattimento corpo a corpo. Siccome questa spada è più corta di due shaku (circa due piedi), essa non supera i limiti nella lunghezza delle lame che potevano possedere i non-samurai durante il Periodo Edo e poteva essere portata dai mercanti.
La lunghezza del kodachi è simile a quella del wakizashi e, anche se le lame differiscono notevolmente in costruzione, il kodachi e il wakizashi sono abbastanza simili per dimensioni e la tecnica a tal punto che i due termini vengono talvolta utilizzati (erroneamente) in modo intercambiabile. Mentre la kodachi può avere varia lunghezza, il wakizashi viene forgiato per completare l'altezza di chi lo maneggia o la lunghezza della katana a cui viene associato, inoltre il kodachi è caratterizzato da una maggiore curvatura rispetto al wakizashi e di solito ha una lunga impugnatura.
Il prefisso "ko-" significa "piccolo" e può essere aggiunto a qualsiasi nome di tipo di spada per indicare che la sua lunghezza è inferiore al "normale". Alla stessa maniera, il prefisso "ō-" può significare "grande", ne consegue che la spada di tipo tachi opposta al kodachi in base alla lunghezza è l'ōdachi.

venerdì 21 aprile 2017

Sasaki Kojirō

Sasaki Kojirō
Sasaki Kojirō (佐々木 小次郎), noto come Sasaki Ganryū, (prefettura di Fukui, 1583 circa – Ganryū-jima, 13 aprile 1612) è stato un importante spadaccino giapponese.
Vissuto a cavallo dell'epoca Sengoku e l'inizio del periodo Edo, è principalmente ricordato per le circostanze della sua morte, avvenuta nel 1612 nel corso di un duello con Miyamoto Musashi.

Biografia

Nato in un villaggio appartenente alla provincia Echizen, da giovane Kojirō incontra Toda Seigen, istruttore di arti marziali del clan Asakura, che lo prende come suo allievo, riconoscendo le sue abilità come spadaccino. Durante l'addestramento si discosta dallo stile di Seigen, che predilige il kodachi, e sviluppa una tecnica che fa uso di ōdachi denominata Ganryū (letteralmente "Stile della Roccia"). La sua lunga katana prende il nome di Monohoshi Zao. Grazie ad essa sviluppa una tecnica, denominata Tsubame-Gaeshi (letteralmente "Contrattacco della Rondine"), ispirata al volo dell'uccello. Si distingue inoltre per indossare un haori di colore rosso.
Nel 1610 giunge a Kokura dove ottiene il permesso di Hosokawa Tadatoshi, futuro signore della città, di aprire un dojo. Divenuto popolare, la sua fama inizia ad attrarre l'interesse di numerosi studenti di arti marziali, incluso Miyamoto Musashi, uno spadaccino ventinovenne che nell'aprile del 1612 lo sfida formalmente a duello.

In questa rappresentazione del duello Miyamoto Musashi utilizza due bokken



Il duello tra Musashi e Kojirō è oggetto di numerose leggende. Nonostante le diverse descrizioni differiscano nel dettaglio, l'esito dei racconti si conclude con la vittoria di Musashi. Lo scontro fu fissato il 13 aprile 1612 su una piccola isola a pochi chilometri da Kokura, chiamata in modo differente dai nativi del luogo, e doveva tenersi tra le 7 e le 9 ante meridiem. Prima di recarsi nel luogo del duello, Musashi costruì un bokken utilizzando un remo e si presentò con oltre tre ore di ritardo (tra le 9 e le 11) davanti il suo avversario. Vedendolo arrivare in ritardo, Kojirō imprecò furiosamente contro di lui, estrasse la sua spada, lanciando rabbiosamente il fodero in acqua. Con la sua spada di legno Musashi uccise Kojirō con un colpo ben assestato alla testa, prima che lo sfidante potesse usare la sua tecnica.
Varie ipotesi sono state proposte per spiegare la vittoria di Miyamoto Musashi: si sostiene infatti che si sia presentato in ritardo di proposito al fine di fiaccare psicologicamente l'avversario, facendolo innervosire. Mentre il suo avversario attendeva sotto il sole il suo arrivo, arrabbiandosi e perdendo la concentrazione, Musashi si riposava in barca in attesa dell'incontro. Questa tattica era stata già utilizzata in precedenza, come ad esempio durante la sua serie di duelli con i fratelli Yoshioka. Anche un abbigliamento poco curato e la sua spada di legno hanno contribuito ad aumentare il risentimento in Kojirō.
Alcune teorie sostengono che Musashi abbia protratto in avanti l'ora dell'incontro per sfruttare l'effetto della luce solare (per accecare l'avversario) o delle maree (per agevolare la sua eventuale fuga sfruttando la bassa marea). Sebbene Sasaki Kojirō viene spesso descritto come sordo da un orecchio, è molto probabile che vinse sfruttando la maggior lunghezza del suo bokken rispetto alla spada di Kojirō.
Nonostante la sconfitta, l'isola dove si tenne il duello venne ribattezzata Ganryū-jima in onore di Sasaki Kojirō.