giovedì 21 dicembre 2017

Bonsai



I bonsai sono alberi in miniatura, che vengono mantenuti intenzionalmente nani, anche per molti anni, tramite potatura e riduzione delle radici. Con questa particolare tecnica di coltivazione si indirizza la pianta, durante il processo di crescita, ad assumere le forme e dimensioni volute, anche con l'utilizzo di fili metallici guida, pur rispettandone completamente l'equilibrio vegetativo e funzionale.

Storia

"Bonsai" è la lettura giapponese dei due kanji 盆栽: il primo (bon) significa "bacinella", "ciotola", mentre il secondo (sai) significa "piantare".
L'arte giapponese dei bonsai si è originata da quella cinese del penzai (o penjing). A partire dal secolo VI, l'organico dell'ambasciata e gli studenti buddisti giapponesi ritornarono dalla Cina con dei vasi. Almeno 17 missioni diplomatiche sono state mandate dal Giappone alla corte Tang dal 603 all'839.
La tecnica bonsai, nata in Cina e modificata in Giappone applicando alle piante coltivate i canoni della propria estetica influenzata dallo Zen, è legata a quello che gli Orientali chiamano seishi: l'arte di dare una forma, di coltivare, il praticare le tecniche più svariate sempre nel rispetto della pianta. I bonsai sono dunque natura viva, piccoli alberi che malgrado le dimensioni contenute esprimono tutta l'energia che è racchiusa in una pianta grande.

Arte Bonsai

Si parla di arte bonsai, in quanto fare bonsai è un'arte che comporta svariate conoscenze, sia nel campo generale della botanica, che in quello più particolare delle tecniche bonsaistiche. Tutte queste conoscenze vengono applicate per coltivare una pianta che rispetti determinati canoni estetici. Questi alberi in vaso possono essere paragonati a normali piante che sono state "semplicemente" coltivate in maniera migliore ovvero con cure e attenzioni delle quali generalmente altre piante non necessitano. Per rendere la pianta nel suo complesso più forte e adatta a sopravvivere in spazi ristretti, si procede alla potatura delle radici fittonanti (quelle che penetrano in profondità nel terreno), al rinvaso periodico e ad adeguate potature dei rami.
I bonsai, sia come senso estetico naturale sia come la filosofia orientale suggerisce, devono seguire degli stili ben precisi accomunati dalla conicità del tronco, dalla dimensione ridotta delle foglie e soprattutto dalla naturalezza della pianta stessa, che nel suo insieme (vaso compreso) ha lo scopo di riprodurre la natura in piccole dimensioni.
È importante che un bonsai evochi in chi lo guarda una sensazione di forza, maturità e, soprattutto, di profonda pace e serenità. Un altro aspetto interessante è che si tratta di un'opera d'arte mai finita: la pianta continua a crescere e modificarsi, bisogna quindi accudirla sempre.
È sbagliato pensare che i bonsai soffrano nei vasi: è solo un'impressione che si ha, a causa delle forme spesso contorte o delle parti di legno secco create appositamente per dare un effetto di vetustà alla pianta. Se un bonsai soffrisse non arriverebbe a fiorire o addirittura a fruttificare.
Gli orientali definiscono il bonsai come l'unione della natura con l'arte, così come il teatro Nō e la danza classica sono per i giapponesi la sintesi di musica e storia. A differenza dell'Ikebana, l'arte di comporre i fiori, il bonsai non si può insegnare con formule esatte o regole matematiche, ma con i comuni principi di botanica, senso estetico e una buona dose di pazienza.
Per esigenze didattiche i maestri giapponesi hanno stabilito regole e principi di bellezza che hanno permesso ai neofiti di seguire un percorso preciso e facilitato per creare un bonsai.
Come in ogni arte esistono veri e propri capolavori, anche plurisecolari e dal valore inestimabile; a differenza di altre attività artistiche, nell'arte Bonsai il soggetto è in continua (e lenta) evoluzione. Oltretutto nel caso di Bonsai famosi, sulla stessa pianta, nel corso del tempo, intervengono diversi maestri e collezionisti, rendendo l'opera indipendente dall'artista che l'ha creata (o raccolta).



Caratteristiche di un bonsai

Per valutare un bonsai si devono prendere in considerazione i cinque punti fondamentali attraverso i quali si esprime tutta la sua bellezza e la sua armonia.

Apparato radicale

Le radici devono disporsi possibilmente a raggiera, deve essere visibile la parte di radici che penetra nel terreno, in modo da dare il più possibile la sensazione di forza e stabilità della pianta.

Tronco

Il tronco deve avere, a seconda degli stili, andamento eretto o sinuoso. La base (piede) deve essere di buon diametro per poi assottigliarsi gradualmente nella zona apicale. Molto importante è la presenza di una corteccia "vecchia" che conferisce al bonsai un aspetto vetusto. In genere il tronco, in un bonsai apprezzabile, resta visibile per circa due terzi della sua lunghezza totale.
Fondamentale, in alcune piante come le conifere, è la presenza di shari, sabamiki e jin, cioè ferite della corteccia e dei rami che mettono a nudo il legno, dando alla pianta un aspetto ancora più vissuto.

Rami

Per la formazione della chioma la miglior disposizione da dare ai rami è quella in cui i più grossi, ramificazione primaria, si espandono verso i lati e il retro per dare profondità e tridimensionalità e i più piccoli, ramificazione secondaria e terziaria verso la parte frontale, posteriore e superiore per creare i "palchi".
Fatti salvi casi particolari non sono ammessi rami che partono frontalmente verso l'osservatore. La forma della chioma e dei singoli palchi deve essere riconducibile a un triangolo.

Foglie

Le foglie vengono mantenute piccole somministrando correttamente l'acqua e i fertilizzanti e praticando al momento giusto, solo su piante sane e vigorose, sia la pinzatura degli apici che la defogliazione, che consiste nell'eliminazione parziale o totale delle foglie, in modo da permettere alla pianta di emetterne di nuove più piccole.

Apice

L'apice, ovvero la porzione terminale del bonsai, deve mostrare vitalità, in quanto simbolo di vita.
I bonsai che presentano l'apice spezzato o inesistente, non hanno pregio. Diversamente, se nella zona apicale sono presenti jin (legna secca) segni di lunga vita, il bonsai è apprezzato in quanto è ritenuto un triste tocco di natura austera.

Creazione di un bonsai

I bonsai si possono ottenere con i seguenti metodi:
  • da seme
  • da talea
  • da margotta
  • da piante da vivaio
  • da piante raccolte in natura
  • da "pre bonsai"

Da seme

È il metodo forse più naturale. La semina può avvenire in primavera o in tarda estate-autunno, a seconda delle specie. Per alcuni semi è necessaria la stratificazione: si devono tenere in inverno in mezzo a della sabbia al freddo, poi si piantano a primavera. È utile durante la stratificazione spruzzare del fungicida per evitare che i semi marciscano durante questo periodo. La stratificazione si può fare naturalmente (lasciando i semi all'aperto) o artificialmente in frigorifero. Il terreno ideale per la germinazione è composto da un 50% di sabbia e da un 50% di terra o torba. I semi vanno piantati in un vaso o una bacinella forati sul fondo per favorire il drenaggio. Il vaso va coperto con del vetro o plexiglas trasparente fino alla germogliazione. Questa tecnica "raffinata" dovrebbe conseguire ottimi risultati. In alternativa si può evitare di coprire il vaso e lasciare fare tutto alla natura. Partire da seme è un metodo che richiede molta pazienza: ci vogliono dai 5 ai 7 anni prima di poter avere un bonsai discreto; l'altra faccia della medaglia è che consente di avere piante molto belle, perché si possono impostare fin da giovani seguendo il gusto del bonsaista.

Da talea

È un metodo più veloce rispetto alla semina. Le talee possono essere semi-legnose o legnose.
Nel primo caso, il periodo migliore per la radicazione è a metà estate (giugno-luglio) perché le talee, per radicare necessitano di calore al piede e costante umidità sulle foglie. Si prende un ramo giovane (da un altro bonsai) tagliandolo nettamente, con un coltellino ben affilato, all'altezza di un internodo fogliare, o lasciando un talloncino di corteccia del ramo da cui viene prelevata la talea. Lo si priva di tutte le foglie tranne le due più in cima, poi si taglia la base del ramo a 45 gradi o si lascia il talloncino di corteccia, lo si immerge in una soluzione di ormoni radicanti e lo si pianta nel terreno leggermente inclinato. Il terreno deve essere ben drenante e soffice per agevolare lo sviluppo delle radici: un misto di terriccio e sabbia. La talea va posta al riparo dai raggi diretti del sole e dal vento. Per agevolare la radicazione si coprono i vasetti contenenti le talee con carta trasparente o sacchetti di plastica sorretti da sostegni metallici; questo per mantenere l'umidità nell'ambiente di radicazione. Si innaffia per aspersione quando il terreno è quasi asciutto. Se tutto va bene nel giro di qualche settimana dovrebbero spuntare delle nuove foglie: a questo punto è bene far prendere un po' di sole alla talea, ma non troppo. Se il vaso è troppo piccolo è utile trapiantare in un vaso più grande nel giro di un paio di mesi, altrimenti lasciate la piantina nello stesso vaso fino alla primavera successiva.
Per le talee legnose si procede in autunno con i rami ormai già ingrossati e lignificati: il procedimento è identico al precedente: bisognerà solo far attenzione a proteggere le radici dal gelo invernale. Il metodo della talea è più veloce rispetto a quello da seme, ma non ha sempre un'alta percentuale di successo; inoltre non tutte le specie si propagano bene per talea, ad esempio la maggior parte di conifere e resinose, ad esclusione dei ginepri che ben si prestano per il tipo di riproduzione.

Da margotta

La margotta è un metodo molto rapido per ottenere un bonsai quasi fatto, ma richiede una certa tecnica. Bisogna innanzitutto scegliere un ramo che abbia già una forma interessante, bonsaisticamente parlando, al quale applicare la tecnica che permette di far crescere le radici al ramo. Una volta che saranno apparse le radici, si taglierà il ramo dalla pianta e si rinvaserà, ottenendo così un nuovo alberello. La margotta può essere effettuata in vari modi. Il primo consiste nell'incidere il ramo fino al cambio con un filo di rame o di ferro e spalmarvi sopra degli ormoni radicanti. Questa incisione va poi coperta con una "caramella" composta da sfagno bagnato avvolto in un telo di plastica. È bene stringere saldamente le estremità della caramella per non far passare aria. Fatto questo non rimarrà che aspettare, mantenendo umido lo sfagno con iniezioni d'acqua, che spuntino le radici. Il tempo di radicazione varia da specie a specie, ma di solito si aggira sui 2 o 3 mesi. A questo punto si separerà il ramo dalla pianta tagliando sotto le radici e si metterà il ramo in un vaso, sempre con terreno soffice e drenante. Se si ritiene che il ramo abbia troppe foglie è bene tagliarne un po' per non affaticare le giovani radici. È bene tenere la nuova pianta al riparo dal sole e dal vento per almeno un mese.
Un altro metodo consiste nello scortecciare completamente una parte di ramo alta circa una volta e mezzo il diametro del ramo, spargere con ormoni e coprire con la caramella di sfagno e aspettare. Un ulteriore metodo, denominato propaggine non richiede la caramella, dato che il ramo viene posto nel terreno dopo essere stato scortecciato, spalmato di ormoni e ricoperto con la terra. Una volta che ha radicato, lo si separa dalla pianta madre.
La tecnica della margotta si applica ad aprile-maggio, preferibilmente maggio, quando la pianta è nel pieno della spinta vegetativa. Questa tecnica è molto usata perché permette di ottenere buoni risultati e se il ramo non emette radici, cicatrizza e non viene perso, ma si può riprovare l'anno successivo. La margotta è utilizzata, inoltre, non solo per ottenere nuove piante, ma anche per eliminare inestetismi dai bonsai: si può applicarla al tronco per abbassare una pianta troppo alta o per migliorare la forma delle radici (nebari).
Non tutte le specie possono essere margottate: il pino per esempio richiede fino a 2 anni per emettere radici, la margotta risulta così praticamente impossibile.

Da piante da vivaio

I vivai permettono di reperire del materiale a prezzi accessibili, anche se non è sempre possibile trovare materiale adatto, perché le piante da vivaio molto spesso non hanno le caratteristiche dei bonsai: sono troppo alte, con tronchi sottili o rami troppo disordinati. È necessario soprattutto guardare l'apparato radicale, il tronco e l'impianto generale dei rami.

Da raccolta in natura

La raccolta in natura è molto problematica: innanzitutto è vietata in Italia sui terreni demaniali, mentre è permessa sui terreni privati, previo consenso del proprietario. Un altro grosso problema è costituito dalla scarsa probabilità di attecchimento delle piante una volta estratte dal terreno. La raccolta si effettua in autunno o primavera, togliendo una zolla di terra contenente le radici la cui grandezza sarà pari alla proiezione della chioma sul terreno, si toglie successivamente il fittone e si rinvasa nel terreno più adatto alla specie, preferibilmente lo stesso substrato del luogo in cui è stata trovata la pianta. Lo Yamadori raccolto in natura non va lavorato a bonsai per almeno due anni, proprio per dare tempo alla pianta di attecchire nel nuovo vaso. In Giappone ci sono dei veri e propri "cercatori" di piante che, in accordo con i coltivatori, raccolgono piante in natura adatte ad essere successivamente lavorate.

Da pre-bonsai

Il pre-bonsai è un concetto tutto occidentale e con esso si intende una pianta coltivata in vivaio, ma pensata fin dall'inizio per diventare bonsai: si cura l'ingrossamento del tronco e il formare le radici a raggiera. Un pre-bonsai può essere lavorato praticamente quasi subito, sempre che non abbia subito un rinvaso. Il rovescio della medaglia è costituito dal costo, naturalmente più alto rispetto alle piante da vivaio.
In realtà in Giappone non esiste il prebonsai ma si usa il termine materiale, che può essere ad un dato stato di maturazione.

Gli stili

Nella coltivazione bonsaistica i giapponesi hanno dato grande importanza alle regole che riguardano le varie forme che la pianta deve assumere; per questo motivo sono stati creati gli stili che mirano al raggiungimento della perfezione estetica. Gli stili nascono dall'osservazione e dall'imitazione della natura e dei capolavori creati da grandi maestri.
Ogni pianta ha una sua personalità e delle caratteristiche proprie che il bonsaista deve cercare di accentuare il più possibile senza però far perdere la naturalezza propria dell'essere vivente. È importante che l'intervento dell'uomo si noti il meno possibile e lasci immaginare all'osservatore solo l'azione del tempo e delle stagioni.
Qui di seguito una descrizione sommaria dei vari stili. Si noti che se ciascuno degli stili ha delle caratteristiche di base fisse, le regole d'impostazione più precise possono variare.

Eretto formale (Chokkan)

È tipico nelle piante che in natura crescono verso l'alto come le conifere le quali riescono a mantenere vigoria nonostante le condizioni avverse. È uno stile molto vincolante che obbliga a regole fisse, definendo perfettamente la disposizione dei rami e del tronco. Quest'ultimo sarà rigido e diritto, con il ramo principale, a destra o a sinistra, a circa 1/3 dell'altezza totale, il secondo ramo a 1/3 della distanza tra il primo ramo e l'apice in direzione opposta al primo, il terzo ramo rivolto posteriormente a una distanza pari a 1/3 della distanza fra il secondo ramo e l'apice e così via, con minor attenzione per ciò che riguarda gli ultimi rametti.

Eretto casuale (Moyogi)

In questo caso il bonsai è formato da un tronco più o meno sinuoso. Comune per la maggior parte delle piante, è probabilmente il più semplice da realizzare.

Inclinato (Shakan)

Stile Bonsai caratterizzato da: tronco e vegetazione molto inclinati verso destra o sinistra, radici robuste ed evidenti sulle superficie del terriccio e disposte nella direzione di inclinazione della pianta

Tronchi gemelli/Madre e figlio (Sokan)

Stile così chiamato perché composto da due soggetti con le stesse sinuosità e andamento di crescita, uno più grande e uno più piccolo che danno l'idea di una madre che tiene vicino a sé il figlio. La base dei due tronchi è molto ravvicinata e certe volte può essere la stessa. Per una buona riuscita, il punto di separazione dei due tronchi deve essere il più in basso possibile, così da suggerire l'immagine di due alberi completamente autonomi, ma cresciuti vicini per un capriccio del caso.

Scopa rovesciata (Hokidachi)

È la classica forma di una latifoglia, molto simile ad una scopa rovesciata, con i rami si dipartono pressappoco dallo stesso punto e sono più o meno della stessa lunghezza. Il tronco deve essere visibilmente conico e senza alcuna curva.

Spostato dal vento (Fukinagashi)

Questo stile ricorda gli alberi che crescono in presenza di vento forte, il quale li porta ad avere rami allungati da una sola parte e un tronco spesso ricco di legna secca o numerose curve.

Cascata / semi-cascata (Kengai / Han-Kengai)

Questo stile simula una pianta che vive aggrappata ad un dirupo dove, piegata dalle intemperie, tende a crescere verso il basso, il tronco si piega subito dopo il nebari (termine che indica le radici in vista e la base del tronco) e spesso l'apice giunge più in basso della base del vaso. Se l'apice si ferma al di sopra del bordo inferiore del vaso si parla di semi-cascata o prostrato. Quest'ultimo si ispira di più agli alberi inclinati sulle sponde dei fiumi o dei laghi.

Radici su roccia e radici nella roccia (Ishitsuki)

Nello stile a radici sulla roccia, un frammento di roccia sporge dal terriccio del vaso. L'albero cresce abbarbicato sulla roccia. Le radici sono visibili sulla pietra fino al punto in cui penetrano nel terriccio. Il meno frequente è lo stile con radici nella roccia: presenta una o più piante che crescono con le radici completamente inserite negli anfratti della roccia riempiti di terriccio. Le radici in questo caso non si avvinghiano all'esterno della roccia e non scendono fino nel vaso.

Letterati (Bunjin)

Lo stile dei letterati è quello ritenuto più elegante e artistico fra tutti e simula un albero nato in un luogo scomodo come ad esempio coperto da altri alberi oppure in una zona spesso colpita da fulmini o da eventi atmosferici. La chioma si sviluppa solo nella parte più alta ed è spesso molto ridotta come anche la dimensione del tronco. L'albero ha infatti speso la maggior parte delle sue energie per crescere in altezza alla ricerca della luce in concorrenza con gli alberi vicini.

A boschetto (Yose-Ue)

Si tratta di uno stile molto suggestivo che comprende più piante messe in un vaso basso e largo oppure su lastra. È molto importante la posizione di ogni singola pianta che devono dare una sensazione di profondità sviluppo del boschetto in più anni e soprattutto naturalezza.

A Zattera (Ikaa)

Stile simile al Boschetto con la variante che tutti i fusti sono uniti da una stessa radice. Rappresenta un tronco caduto sul fianco che ha dato vita a una nuova vegetazione. Anche in questo caso valgono le regole viste precedentemente in fatto di proporzioni degli alberi e aspetto scenografico. Questa foresta si può realizzare con un albero coricato, dove il tronco fungerà da radice principale che collega tra loro i vari fusti (gli ex rami).

Principali tecniche d'impostazione e di mantenimento

Il bonsaista impiega svariate tecniche per dar forma a una comune pianta secondo uno degli stili sopra citati per trasformarla in un bonsai. Questo lavoro si articola su un lasso di tempo che dipende dal ritmo di crescita naturale dell'essenza e possono passare parecchi anni affinché la pianta raggiunga la forma che il bonsaista ha voluto darle. Quando la pianta è finalmente diventata un bonsai, il lavoro del bonsaista non è finito, perché una cura continua è necessaria al mantenimento della forma ottenuta. Inoltre, il bonsaista può decidere di reimpostare un bonsai, ossia di modificarne più o meno drasticamente la forma o lo stile. Qui di seguito alcune delle principali tecniche impiegate dal bonsaista.

Potatura

È la tecnica più importante dell'arte bonsai e ne esistono vari tipi. Quando il bonsaista inizia a impostare una pianta, è sempre indispensabile procedere a una potatura di formazione. Si tratta di un intervento piuttosto drastico nel quale il bonsaista decide quali rami asportare completamente e quali rami accorciare al fine di raggiungere l'armonia necessaria all'ottenimento di un bonsai secondo le regole dello stile prescelto. Lo si esegue prevalentemente a inizio primavera o comunque in momenti in cui la pianta può reagire col necessario vigore.
Questa potatura dei rami principali può essere ripetuta se il bonsaista sceglie di impostare il suo Bonsai secondo un metodo di "taglia e lascia crescere": dopo una drastica potatura, si permette durante uno o più anni alla pianta di far crescere liberamente i suoi rami o di farne spuntare di nuovi a partire da gemme dormienti, poi si procede a una nuova potatura e così via, finché il bonsai prende la forma desiderata. Questo metodo è importantissimo per dare conicità (una caratteristica estetica essenziale) ai rami e al tronco della pianta.
Esistono, strumenti specifici per il bonsai, quali pinze a taglio concavo e forbici a manico grosso, per ottenere una potatura che non lasci antiestetici segni nel luogo del taglio.
Esiste, poi una potatura più leggera, attraverso la quale i rami di un bonsai formato vengono regolarmente accorciati affinché la forma armonica della pianta non sia modificata. Questo intervento è necessario anche più volte l'anno per essenze a ritmo vegetativo rapido (soprattutto certe latifoglie), mentre si limita a qualche ritocco a intervalli pluriennali per piante a crescita lenta (soprattutto le conifere e piante vecchie).
La defogliazione è una potatura delle foglie che si esegue durante la bella stagione per ragioni estetiche, affinché la pianta produca, dopo alcuni giorni, foglie nuove più piccole e quindi meglio proporzionate al bonsai. Si tratta di produrre una sorta di nuova primavera, un processo dispendioso in energia, ed è quindi un intervento possibile soltanto se la pianta si trova in ottime condizioni di salute. Lo si esegue di solito soltanto se è veramente necessario che il Bonsai abbia foglie più proporzionate alla sua taglia, per esempio quando si desidera esporlo a una mostra. Solo certe latifoglie sono adatte alla defogliazione.

Il filo

Per dare un aspetto di albero maturo con dei rami orizzontali o addirittura leggermente volti verso il basso a piante giovani e vigorose, che tendono invece a produrre rami che crescono verso l'alto, è spesso necessario correggere la direzione dei rami grazie alla tecnica del filo. Anche le curve del tronco e dei rami devono spesso essere indotte dal bonsaista per ottenere un bonsai di forma accettabile.
La tecnica prevede che si avvolgano tronco e rami in spire di filo di metallo (in genere di alluminio o, per rami grossi, anche di rame) e di piegarli, modificandone l'andamento. Può essere utile utilizzare della rafia, avvolgendola a spirale attorno al ramo da trattare col filo, allo scopo di non intaccare il delicato strato esterno del ramo stesso, sede dei condotti linfatici. Dopo un certo tempo, che dipende dall'essenza, il filo metallico è rimosso e il ramo o il tronco si sono fissati nella posizione voluta. Più il ramo è grosso, maggiore sarà il diametro necessario per il filo. Non tutte le essenze sopportano il filo e in ogni caso un'applicazione errata può produrre la perdita della pianta.

Altre tecniche

Altri metodi, quali pesi e tiranti, permettono di modificare la forma del tronco o di un ramo. Esistono poi tecniche particolari per creare effetti di vetustà nelle piante, trattando tronco, rami e radici. Trattando opportunamente tronchi o rami morti col tempo, sbiancadoli e scortecciandoli, si ottiene un effetto di "pianta colpita dal fulmine", chiamato jin.

mercoledì 20 dicembre 2017

Muyedobotongji

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Nel 1790, Re Jeongjo di Corea commissionò un libro chiamato:Muyedobotongji che era un manuale illustrato sulle arti marziali coreane. Questo libro, scritto da Yi Deokmu (이덕무, 1741-1793) e Pak Jega (박제가, 1750-1805), descriveva in dettaglio le arti marziali coreane, illustrando ampiamente uno stile di combattimento a mani nude con l'uso di calci e pugni. Fu pubblicato inizialmente in quattro volumi e quindi ne venne aggiunto un quinto dove i caratteri cinesi Hanja furono convertiti nei caratteri tradizionali coreani Hangul.

Motivatione

La motivazione per questa pubblicazione importante, soprattutto in un regno in cui le ideologie neo-Confuciane e le élite accademiche disapprovavano le arti marziali, vennero dalle invasioni straniere della Corea durante la Dinastia Joseon. Queste invasioni disturbarono la pace dei successivi 200 anni della Dinastia Joseon, portando alla consapevolezza della necessità di rilanciare l'addestramento militare della Corea.


martedì 19 dicembre 2017

Kabukimono

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I kabukimono (カブキ者) o hatamoto yakko (旗本奴) erano in Giappone, tra la fine del periodo Muromachi e la prima parte del periodo Edo, dei samurai senza padrone (rōnin) che si dichiaravano servitori dello shōgun, sebbene agissero di fatto da fuorilegge. Erano soliti frequentare il "quartiere del piacere" (la zona della città in cui si trovavano le dimore delle geishe) di Edo, ed erano soliti vestire in maniera appariscente ed eccentrica, parlare in maniera volgare e agire in modo provocatorio e arrogante, soprattutto nei confronti della gente comune; la legge permetteva infatti ai samurai di uccidere chiunque offendesse il proprio onore.
Si pensa che la yakuza moderna abbia avuto origine da gruppi di kabukimono, sebbene alcuni fanno risalire la stessa ai machi yakko (町奴), una sorta di polizia privata.

lunedì 18 dicembre 2017

Frank Dux

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Frank William Dux (Toronto, 13 luglio 1956) è un artista marziale statunitense. Ha fondato la sua scuola di Ninjutsu nel 1975, chiamandola "Dux Ryu Ninjutsu". Un articolo sulle sue presunte imprese, che è apparso in Black Belt Magazine nel 1980, fu l'eventuale ispirazione per il film del 1988 Senza esclusione di colpi con Jean-Claude Van Damme.

Carriera nelle arti marziali

Dux afferma di essere stato iniziato e addestrato al Koga Yamabushi Ninjitsu da Senzo Tanaka. Lo stile marziale di Dux, Ryu Ninjutsu, non è una Koryu (modulo feudale XV secolo di Ninjutsu), ma egli stesso affermò di averlo costruito "sulla base dei suoi principi radice Koga Ninja di adattabilità e di cambiamento costante". Frank Dux ha formulato la tecnologia proprietaria di aumento che chiama DUX FASST (Attenzione-azione-abilità-strategia-tattiche).
La veridicità di molte delle affermazioni personali di Dux sono stati contestate, tra cui il suo background di arti marziali, combattimenti nel "Kumite" e il servizio militare. Secondo il Los Angeles Times, l'organizzazione che avrebbe organizzato il Kumite ha avuto lo stesso indirizzo di casa di Dux, e il trofeo che afferma di aver vinto è stato acquistato da lui in un negozio trofei locale. Questo è stato contestato da Dux, che ha sostenuto che la ricevuta comprovante la frode è stata appositamente fabbricata per screditarlo. Egli sostiene inoltre che coloro che lo hanno criticato fanno parte di una cospirazione per screditarlo, guidato dal maestro ninjutsu Stephen K. Hayes, il quale Dux afferma lo vede come una minaccia.
Nel 2012 Sheldon Lettich, co-sceneggiatore del film Senza esclusione di colpi (Bloodsport), basato sulle vicende di Dux al "Kumite", ha dichiarato che Dux era un imbroglione.

Pubblicazioni

Dux ha scritto un'autobiografia 1996 dal titolo The Secret Man: Story Uncensored di An American Warrior. La storia di Dux è stata fonte di ispirazione per il film Senza esclusione di colpi del 1988, che ha coreografato. Jean-Claude Van Damme ha recitato in questo film. Dux è anche accreditato come co-autore storia per il film La prova (The Quest).

domenica 17 dicembre 2017

Assedio di Inabayama

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L'Assedio del castello di Inabayama (稲葉山城の戦い Inabayama-jō no Tatakai) del 1567 fu la battaglia finale di Oda Nobunaga nella sua campagna per sottomettere il clan Saitō della provincia di Mino. L'assedio durò circa due settimane tra il 13 e il 27 settembre 1567. Si concluse con la vittoria delle forze di Nobunaga e la sottomissione del clan Saitō, dei suoi vassalli e dei suoi alleati. Questa vittoria fu il culmine della campagna di Nobunaga per la conquista della provincia di Mino, svolta in modo intermittente nei sei anni precedenti, e portò alla fine della rivalità tra i due clan che era iniziata vent'anni prima tra il padre di Nobunaga, Oda Nobuhide, e Saitō Dōsan.
A causa della debole leadership del clan Saitō molti leader samurai si unirono a Nobunaga prima della battaglia, mentre altri se ne unirono in seguito. Con questa vittoria, Nobunaga assunse il controllo della vasta e fertile provincia di Mino e ottenne numerosi servitori e risorse. Nobunaga ricostruì il castello di Inabayama e lo chiamò castello di Gifu, creando una solida base da cui espandersi verso nord nella regione di Hokuriku. Il castello di Gifu divenne residenza principale e sede militare del clan Oda fino a quando si trasferì nel quasi completato castello di Azuchi nel 1575.
Il giovane servitore di Nobunaga, Kinoshita Tōkichirō (conosciuto in seguito come Toyotomi Hideyoshi) svolse un ruolo importante nella vittoria a Inabayama. Negli anni che precedettero la battaglia egli negoziò per avere il sostegno dei signori della guerra locali che assicurarono numerosi uomini al momento dell'attacco e costruì un castello ai margini del territorio nemico che serviva da base per le operazioni nella provincia da conquistare. Oltre a questi preparativi Tōkichirō ideò ed eseguì un coraggioso piano che permise tramite un raid improvviso l'apertura delle porte del castello e la conseguente vittoria. Come premio dei suoi sforzi per la vittoria il suo rango venne aumentato da Nobunaga di cui divenne uno dei più importanti e famosi comandanti.

Antefatti

Nel 1549 il giovane Oda Nobunaga (1534–1582), che divenne si seguito il maggiore daimyō della provincia di Owari, si sposò con Nōhime, figlia di Saitō Dōsan, capo del rivale clan Saitō della vicina provincia di Mino. Nobunaga era il secondo figlio di Oda Nobuhide, capo del clan Oda, che a quel tempo stava affrontando oppositori interni nei confini settentrionali e orientali della provincia di Owari. Saitō Dōsan, daimyō di Mino, era un leader forte e spietato, ma le lotte interne avevano iniziato a dividere il clan Saitō in fazioni.
Entrambi i clan avevano bisogno di una tregua per affrontare problemi più urgenti e quindi il matrimonio politico di Nobunaga e Nōhime portò alla fine della rivalità dei clan e alle loro lotte nelle frontiere.
Nel 1555 Saitō Yoshitatsu, figlio maggiore di Dōsan, sospettò che la sua eredità fosse messa in discussione e uccise i suoi due fratelli minori. L'anno successivo riunì le truppe a lui fedeli e si ribellò apertamente contro il padre. Dōsan chiamò in aiuto suo genero, Oda Nobunaga, suo erede legale. Poco dopo Dōsan fu ucciso da uno dei servitori di Yoshitatsu nella battaglia di Nagaragawa. All'epoca Nobunaga non era in grado di aiutare il suocero e la guerra civile dei Saitō finì prima che fosse possibile un intervento degli Oda. Nel 1561 Yoshitatsu morì di lebbra e suo figlio, Saitō Tatsuoki, divenne capo del clan. Tatsuoki era giovane ma veniva considerato incapace di una guida efficace da parte dei suoi servitori, ed era visto con disprezzo dai suoi subordinati e persino dai contadini locali. Dopo che gli Oda e il clan Matsudaira si allearono e sconfissero il clan Imagawa nel 1560 nella battaglia di Okehazama, Nobunaga si trovava in una posizione più sicura e iniziò a concentrarsi sui loro vicini a nord, il clan Saitō. I piani di Nobunaga per un'invasione di Mino furono apparentemente motivati dalla vendetta per la morte del suocero, Saitō Dōsan, ma Yoshitatsu era morto prima che Nobunaga potesse attaccare. Tuttavia Nobunaga considerava comunque anche Tsuneoki un traditore e iniziò il suo piano d'invasione.

Campagna di Mino

Oda Nobunaga portò le proprie forze nel territorio di Mino nel 1561 e nel 1563 e avvennero brevi battaglie. In ogni spedizione Nobunaga e i suoi 700 uomini venivano soverchiate da forze rapidamente assemblate sotto il daimyo locale, che guidava fino a 3.000 uomini. Accerchiati all'aperto e incapaci di organizzare una difesa, venivano ogni volta respinti. Nel 1564 Nobunaga attaccò il castello di Inabayama, la roccaforte del clan Saitō. Il castello era situato in cima al monte Inaba che aveve delle forti difese naturali Although it was considered nearly impregnable,. Sebbene fosse considerato quasi impenetrabile, Tatsuoki fuggì e si nascose all'interno del castello, mentre i suoi servitori Takenaka Hanbei e Andō Morinari guidavano la difesa. Tuttavia Nobunaga fu nuovamente sconfitto e cacciato dalla provincia.
A partire dal 1564, Oda Nobunaga mandò un suo fedele servitore, Kinoshita Tōkichirō per convincere, tramite corruzione, molti dei signori della guerra della provincia di Mino a unirsi al clan Oda. Kinoshita si avvicinò a Takenaka Hanbei, considerato un brillante stratega ma sempre vissuto ai margini del clan Saitō, per convincerlo a tradire. Sebbene Takenaka fosse frustrato dal comportamento di Tatsuoki, non voleva apparire traditore della sua lealtà e rifiutò le offerte di Kinoshita. Impressionato dall'integrità del servitore Kinoshita lo invitò come ospite a un soggiorno prolungato nella sua casa. Hanbei ammise che il clan Saitō non poteva sopravvivere per molto tempo sotto la guida di Tatsuoki e accettò l'invito di Kinoshita in cambio di una promessa di clemenza nel caso in cui il clan Saitō fosse stato sconfitto.
Nel 1566, in previsione della prossima campagna, Kinoshita propose la costruzione di un castello da qualche parte vicino al castello di Inabayama per servire come punto di partenza per le forze Oda. Nobunaga acconsentì e Kinoshita costruì castello di Sunomata sulla riva del fiume Sai di fronte ai territori del clan Saitō. Secondo una leggenda Kinoshita costruì il castello in una sola notte; ma è più probabile che fosse lo scheletro della torre con una facciata che veniva vista dalla fazione opposta. Tuttavia il risultato della rapida costruzione impressionò il nemico. Con l'aiuto della cautela del nemico che esitò ad attaccare, gli uomini di Kinoshita riuscirono a trasformare rapidamente la costruzione prima in una fortificazione e poi in un castello completo. Nobunaga ordinò a Kinoshita di rimanere nel castello come amministratore e gli diede il nome Hideyoshi.

Assedio

Nel 1567, Oda Nobunaga guidò un nuovo attacco contro il clan Saitō della provincia di Mino. La roccaforte del clan era il castello di Inabayama, una fortezza di montagna costruita nella cima del monte Inaba (oggi Gifu). Saitō Tatsuoki, il daimyo del clan, si era già dimostrato codardo e incompetente al comando, assegnò a Takenaka Hanbei il comando del castello e della guarnigione. Nonostante a Tatsuoki fosse il capo del clan non contribuì alla battaglia. Quando le forze Oda entrarono nuovamente nella provincia di Mino, Hanbei preparò la guarnigione alla difesa del castello.
Come riportato dallo Shinchō kōki (o The Nobunaga Chronicles), i preparativi per la battaglia iniziarono il 13 settembre 1567. Nobunaga entrò nella zona, prese contatto con gli alleati e il corpo principale dell'armata, circa 5.000 uomini, attraversò il fiume Kiso. Mentre le truppe si riunirono sulla riva lontana del fiume, Nobunaga inviò due messaggeri, Murai Sadakatsu e Shimada Hidemitsu, a tre dei vassalli anziani del clan Saitō, denominati Triumvirato di Mino, chiedendo loro cooperazione nella prossima battaglia. Questi signori della guerra di Mino che Kinoshita Hideyoshi aveva persuaso qualche anno prima si unirono alle truppe di Nobunaga.
Mentre gli uomini fedeli a Nobunaga si spostavano nella pianura furono combattute numerose schermaglie in un inutile sforzo per fermare le forze d'invasione. Le forze di Nobunaga entrarono poi nel paese di Inoguchi il quale si trovava al di sotto del castello di Inabayama. Per non rivelare le proprie mosse e offuscare il campo dando spazio di movimento all'esercito assediante, l'avanguardia di Kinoshita Hideyoshi diede fuoco alla città. Mentre alcuni soldati presero posizione sul Monte Inoguchi e su una vicina scogliera, l'esercito principale si posizionò davanti al monte Inaba per iniziare l'assedio. L'esercito assediante, notevolmente aumentato, mostrava le bandiere degli ex vassalli del clan Saitō e questo disorientò i difensori del castello. Nei giorni che seguirono Kinoshita mandò gli uomini a raccogliere informazioni specialmente dai contadini locali disposti ad aiutare. Kinoshita incontrò un residente locale, Horio Yoshiharu, che gli mostrò un percorso poco conosciuto che portava al pendio nord della montagna sul retro del castello. Le pendici nord sotto il castello erano così ripide che l'assalto da parte di una grande forza era stato considerato impossibile e per questo veniva scarsamente presidiato dai difensori.

Assalto finale

Non è esattamente noto quel che successe nel campo di battaglia tra il 14 e il 25 settembre. Dato lo stile aggressivo di combattimento di Nobunaga si può dedurre che le forze del clan Oda attaccarono ferocemente frontalemente e probabilmente violarono le difese esterne del castello di Inabayama. Fu Kuroda Kanbei, considerato un stratega di talento, incaricato di guidare e coordinare l'attacco principale. È certo che Kinoshita Hideyoshi ideò un piano attraverso il quale una piccola forza avrebbe scalato la parete a nord per entrare nel castello e avrebbe dovuto aprire in fretta le porte per l'esercito assediante. Nobunaga approvò e incaricò Kinoshita per guidare l'incursione. Per il suo gruppo d'assalto Kinoshita scelse Horio Yoshiharu, Hachisuka Koroku e altri cinque o sei uomini. Il 26 settembre Nobunaga era così fiducioso del piano di Kinoshita e dell'esito della battaglia che dispose una Jinmaku sul campo di battaglia dove tenne un incontro con i suoi ufficiali superiori assegnando compiti per la ricostruzione del castello dopo la battaglia. Salutò anche gli ex vassalli dei Saitō che si erano uniti a lui offrendo loro del sakè.
La notte del 26 settembre Kinoshita riunì il suo gruppo e, preoccupato per il caldo tardivo dell'estate e gli sforzi fatti fino a quel punto, fornì loro acqua dolce fresca all'interno di alcune zucche. Horio Yoshiharu guidò poi Kinoshita Hideyoshi e la piccola forza di assalto attorno alla parte posteriore della montagna, dove risalirono le ripide pendici sotto la luce di luna piena. All'alba, mentre la missione di Kinoshita era in corso, la forza principale sotto Kuroda Kanbei continuò con il suo attacco al castello.
Poco dopo l'alba la squadra di Kinoshita entrò nel castello sparò a un magazzino pieno di polvere da sparo, poi si precipitò per aprire le porte anteriori, uccidendo chiunque si fosse messo sulla loro strada. Tra le forti esplosioni dalla polvere e la vista della costruzione che bruciava con forza, la difesa del castello entrò rapidamente nel caos, ed i sconvolti ed esausti difensori pensarono di essere stati attaccati massicciamente dal retro del castello. La confusione era completa ed i soldati scesero in massa dal parapetto frontale per affrontare un inesistente assalto da dietro. Quando la squadra di Kinoshita raggiunse il cancello, legarono le loro zucche alle lance e le agitarono verso i loro alleati per segnalare che erano in posizione, dopo di che la fanteria di Kuroda caricò le porte aperte e sovrastò quello che era rimasto della guarnigione del castello.
Alla fine del 27 settembre 1567 il castello di Inabayama era caduto e i restanti signori della provincia di Mino si unirono a Nobunaga.

Conseguenze

In circa due settimane Nobunaga entrò e conquistò definitivamente la provincia di Mino, assicurandosi la lealtà del Triumvirato di Mino. Nobunaga ricostruì il 'castello di Inabayama' e lo chiamò 'castello di Gifu'. Trasferì la sua residenza dal castello di Komaki e quella di Gifu da dove partì per la sua storica marcia su Kyoto l'anno seguente.
Saitō Tatsuoki sopravvisse alla battaglia, anche se ci sono due storie diverse sulle modalità. Nella prima si racconta che Tatsuoki abbandonò il castello la sera prima della sua capitolazione, prese una barca e fuggì. In un'altra si racconta che Hideyoshi portò un messaggio alla torre principale, dove Tsuneoki era asserragliato, con l'assicurazione che se si fosse arreso sarebbe stato risparmiato. Tatsuoki accettò e gli fu permesso di abbandonare il castello. In entrambi i casi Tatsuoki fuggì a Nagashima nella provincia di Ise. Visse in esilio per un po' di tempo, e fu successivamente accolto da Asakura Yoshikage.
Fu ucciso nella battaglia di Tonezaka all'età di ventisei anni, nel 1573.
Gli sforzi di Kinoshita Hideyoshi per la vittoria furono riconosciuti da Nobunaga e il suo rango aumentò notevolmente. Dopo la battaglia a Kinoshita furono assegnati tre distretti nella parte settentrionale delle nuove conquiste della provincia di Mino, e non molto tempo più tardi prese il cognome Hashiba.
Quando Nobunaga lo promosse comandante Hideyoshi usò un'immagine di zucca dorata come suo standard di battaglia, in commemorazione del suo successo al castello di Inabayama. Successivamente cambiò ancora il cognome in Toyotomi.
Kuroda Kanbei, che guidò l'attacco frontale, e Takenaka Hanbei, che difese il castello, divennero importanti servitori di Toyotomi Hideyoshi.

Esercito

  • Divisione principale
    • 3,000 guidati da Oda Nobunaga
  • Prima Division
    • 2,000 guidati da Shibata Katsuie
    • 2,000 guidati da Ikeda Tsuneoki
  • Seconda Division
    • 1,000 guidati da Mori Yoshinari
    • 1,000 guidati da Maeda Toshiie
    • 1,000 guidati da Sassa Narimasa
    • altri
  • Divisione di riserva
    • 2,000 guidati da Sakuma Nobumori
  • Avanguardia
    • 1,000 guidati da Kinoshita Hideyoshi
  • Triumvirato di Mino, forze non conosciute
    • Ujiie Naotomo
    • Andō Morinari
    • Inaba Yoshimichi
    • Altri

sabato 16 dicembre 2017

Inaba Yoshimichi

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Inaba Yoshimichi (稲葉 良通; 1515 – 5 gennaio 1589) conosciuto anche come Inaba Ittetsu (稲葉 一鉄), fu un samurai del periodo Sengoku e un capo importanti del clan Inaba.
Yoshimichi faceva parte del "Triumvirato di Mino" (西美濃三人衆 Nishi Mino Sanninshū) assieme a Andō Michitari e Ujiie Bokuzen.
Servitore di Saitō Dōsan si schierò con Saitō Yoshitatsu durante la battaglia di Nagara-gawa. Partecipò alla battaglia di Moribe ma nel 1567 il Trimvirato decise di unirsi alle forze di Oda Nobunaga partecipando all'assedio di Inabayama dalla parte degli Oda. Divenne successivamente servitore di Nobunaga col quale prese parte alle sue maggiori battaglie.
Dopo la morte di Nobunaga divenne servitore di Toyotomi Hideyoshi. Morì nel 1589.
I suoi figli Sadamichi e Shigemichi continuarono a servire il clan Toyotomi.

venerdì 15 dicembre 2017

Yuen Biao

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Yuen Biao (元彪, che vuol dire "primo giovane alto e robusto"), pseudonimo di Hsia Ling-Jun (Hong Kong, 26 luglio 1957) è un attore, regista e artista marziale di Hong Kong.

Biografia

All'età di 5 anni i genitori, Ha Kwong-Tai ed Ha Sau-Ying, lo iscrivono alla Scuola dell'Opera di Pechino, dove stringe amicizia con quelli che saranno i suoi futuri colleghi: Jackie Chan, Sammo Hung e Yuen Wah.
All'età di 16 anni lascia la scuola e con il maestro Jin-Yuen si trasferisce in America per cercare fortuna, per poi ritornare poco tempo dopo: nella cinematografia americana non c'è spazio per un divo asiatico, come aveva scoperto anche Bruce Lee.
Ad Hong Kong interpreta piccoli ruoli in vari film. Inoltre partecipa ai film di Bruce Lee in veste di controfigura, comparsa o addirittura lo sostituisce nelle scene acrobatiche, come per esempio nel combattimento iniziale de I 3 dell'Operazione Drago (Enter the Dragon, 1973) o nel film che lasciò incompiuto, poi ripreso da Robert Clouse, L'ultimo combattimento di Chen (The Game of Death, 1978). Yuen Biao è anche riconoscibile come uno dei due monaci armati di bastone che combattono nel tempio in L'ultima sfida di Bruce Lee (Tower of Death/Game of Death 2, 1980), sequel apocrifo del summenzionato Game of Death.
L'occasione di farsi conoscere viene dall'amico ed ex compagno di scuola Sammo Hung, il quale lo chiama a lavorare con lui. Yuen Biao interpreta i combattimenti durante la sigla iniziale di Enter the Fat Dragon (肥龍過江 o Fay Lung kwo gong, 1978), mentre ha un ruolo proprio in Knockabout (雜家小子 o Za jia xiao zi, 1979). Ma il vero successo arriva nel 1983 con The Prodigal Son (敗家仔 o Bai ga jai), sempre con Sammo Hung, con il quale si impone come star di prima categoria.
Anche Jackie Chan lo chiama a partecipare ai suoi film, prima nel 1980 con Il ventaglio bianco (Shi di chu ma), poi nel 1983 con Project A - Operazione pirati ('A' gai waak), che diviene un classico del genere. Dopo altri film diretti dai suoi amici, Yuen Biao decide di seguire la propria strada e di farsi un nome al di fuori della fama dei suoi ex compagni.
Nel 1984 sposa l'attrice DiDi Ping, conosciuta durante le riprese del film Carry On Pickpocket (Tai fong siu sau, 1982), in cui Yuen Biao è il coordinatore degli stuntman. Nel 1986 nasce la loro figlia Yi-Bui, e nel 1988 il loro figlio Ming-Tsak.
Dopo vari successi, nel 1991 Yuen Biao consolida la sua fama partecipando a Once Upon a Time in China (黄飛鴻) di Tsui Hark, a fianco di Jet Li.
Nel 1988 dirige il suo primo film, Kujaku ô. Ne dirigerà solamente un altro, A Kid From Tibet (西藏小子 o Xi Zang xiao zi), nel 1992.
Nel 1994 torna, dopo tanto tempo, a recitare insieme all'amico Sammo Hung nel film Don't Give a Damn (金城武の死角都市・香港 o Mou mian bi).
In Canada Yuen Biao ha trovato una seconda casa, dove si dedica al suo hobby preferito: il golf.
Tra i suoi film mai usciti in italia, troviamo diversi successi.
The Magnificent Butcher (1979) e Dreadnaught (1982) diretti dal maestro Yuen Wo - Ping.
Knockabout (1979) e Prodigal Son (1981) diretti da Sammo Hung.
Zu: The Warriors From The Magic Mountain (1983) di Tsui Hark,un Wuxia - Fantasy campione d'incassi.
The Champions (1983) tra i primi espirimenti di fusione calcio - Kung Fu.
Nella seconda metà anni '80 molti sono i titoli di nota: Rosa (1986), Righting Wrongs (1986) di Corey Yuen, Millioneires Express (1986), Estern Condors (1987) e Dragons Forever (1988) di Sammo Hung, The Iceman Cometh (1989), The Peacock King (1989).

mercoledì 13 dicembre 2017

Forma Chen di 18 posizioni

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Una forma (Taolu) del Taijiquan è una sequenza di movimenti tra loro collegati a costituire un esercizio continuo.
Le forme tradizionali sono estremamente lunghe; per questa ragione in epoca moderna ne sono state definite più brevi ed adatte ad uno studio "amatoriale".
La forma delle 18 posizioni è una di queste, codificata dal maestro Chen Zhenglei con movimenti ripresi dalle forme tradizionali dello stile Chen.

Posizione
Nome in cinese
Nome in italiano
Movimenti
prima sezione
1
Qi Shi
inizio della forma
5
2
jin gang dao shui
Il guerriero di Budda (Jin Gang) pesta il mortaio
4
3
lan zha yi
allacciarsi la veste pigramente
4
4
liu feng si bi
Sei sigilli e quattro chiusure (spingere con entrambe le mani)
4
5
Dan bian
frusta semplice

6
Bai he liang chi
l'anatra bianca distende le sue ali

7
xie xing
avanzare in diagonale

8
lou xi
abbracciare il ginocchio

9
Ao bu
girarsi con le ginocchia piegate

10
Yan shou hong quan
nascondere la mano e colpire con un pugno

11
Gao tan ma
osservare dall'alto del cavallo

12
Zuo deng yi gen
calcio laterale con il tallone sinistro

13
Yu nu chuan suo
la ragazza di giada lavora alla spola
7
14
yun shou
muovere le mani nelle nuvole
7
15
Zhuan shen shuang bai lian
girarsi e colpire con il piede

16
Dang tou pao
colpire con il pugno di cannone

17
jin gang dao shui
Il guerriero di Budda (Jin Gang) pesta il mortaio
4
18
shou shi
conclusione
5

martedì 12 dicembre 2017

Cosmologia taoista

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La cosmologia taoista è uno dei punti focali su cui si basa il Taoismo, che si interessa dell'origine del mondo, ovvero nella spiegazione dell'origine dell'universo. Utilizzare però la parola creazione è assolutamente fuori luogo in quanto nell'ottica taoista, infatti, il tutto non è stato creato da un'entità suprema, un dio.

Ciclo del Tao

Il Taoismo introduce il concetto di ciclo. Come quasi tutte le religioni orientali, ha una concezione ciclica dell'esistenza: non c'è un punto che ne segna l'origine come non c'è un punto che ne segna la fine, perché tutte le cose dell'universo sono soggette ad un eterno ciclo, la loro esistenza non procede in linea retta. Questo non può essere concepito spontaneamente dalla mente umana, in quanto apparentemente, all'uomo sembra che le cose procedano in linea retta. Questo perché la logica umana percepisce l'esistenza come un infinitesimo di quanto essa sia in realtà; e un cerchio, visto da un infinitesimo di quello che è, appare come una linea retta. La logica umana non ci permette di vedere l'esistenza nella sua interezza: è come osservare l'universo con un telescopio, il più potente e sofisticato esistente al mondo, esso non ci permetterebbe mai di vedere tutto l'universo, quello che è in realtà nella sua interezza, perché ne vedremmo solo un'infinitesima parte.
Ipotizzando di poter concepire il ciclo, di fissare un punto di origine su questo ciclo, e di percorrerlo tutto o in una direzione o nell'altra si giungerebbe in entrambi i casi ad un quesito di fondo: il punto dove il cerchio finisce, ma al contempo inizia. Si arriverebbe al punto da cui si era partiti. Qui, dunque, ci si chiederebbe cosa c'era prima che il ciclo iniziasse e cosa ci sarà dopo che il ciclo sarà terminato. Esplorando la questione a fondo ci si renderebbe conto di come la mente lavori in cerchio tentando di trovare una risposta, confermando il fatto che l'esistenza, l'universo, sia ciclica.
Appurato che l'universo funziona in modo ciclico e non lineare, e che quindi non può essere stato creato da qualcosa che esisteva prima, altrimenti anche questo qualcosa dovrebbe essere stato creato da qualcos'altro, e questo qualcos'altro da qualcos'altro ancora (avanti all'infinito in linea retta), viene spontaneo chiedersi cosa ha dato l'inizio all'eterno ciclo dell'esistenza, o meglio, come l'esistenza abbia iniziato a girare in cerchio.
Il Taoismo risponde che ad originare il ciclo può essere stata solo quella cosa che esiste da sempre e per sempre, che esiste in sé e di sé, senza alcuna forma, ovvero il ciclo stesso, la Via, il Tao. Il tao è il ciclo, l'oscillazione, il moto armonico. Dal suo movimento dipendono tutte le cose, il suo movimento dà origine a tutte le cose.

Processo di manifestazione

«C'era qualcosa senza forma e perfetto prima che si originasse l'universo. Esso è sereno. Vuoto. Solitario. Immutabile. Infinito. Eternamente presente. Esso è la Madre dell'universo. Per mancanza di un nome migliore io lo chiamo Tao. Esso fluisce attraverso tutte le cose, dentro e fuori, e ritorna all'origine di tutte le cose. Il Tao è grande, l'universo è grande, la Terra è grande, l'uomo è grande. Questi sono i quattro grandi poteri. L'uomo segue la terra, la Terra segue l'universo, l'universo segue il Tao. Il Tao segue solamente sé stesso.»
(Tao Te Ching)



Gli antichi cinesi si chiesero come fosse il Tao prima di iniziare a manifestarsi. Il Taoismo spiega che il Tao si manifesta attraverso un processo di dualizzazione e poi pluralizzazione della sua energia. Il Taoismo non dogmatizza che in origine il Tao fosse fermo, spiega semplicemente il processo che porta l'energia del Tao a costituire l'esistenza. Il Tao potrebbe essere difatti in funzione da sempre e per sempre.

Wuji

L'energia allo stato puro, cioè non ancora manifestata è senza spazio e senza tempo, in uno stato che gli antichi chiamarono Wuji (o Wu Chi in Wade-Giles). Wu significa assenza, negazione. Ji, significa polo, polarità. Wu Chi significa dunque assenza di polarità, assenza di differenziazione.

Taiji

Quando l'energia allo stato Wuji inizia a muoversi, dà origine a una polarizzazione primordiale, negatività e positività, Yin e Yang. Gli stessi principi che in alcune religioni neopagane prendono il nome di Dio e Dea. L'interazione tra le due forze primordiali opposte è l'espressione essenziale del Wuji, i taoisti chiamarono questo processo di interazione Taiji (太極, 太极, Tài jí, T'ai-chi), suprema polarità. Tutta la molteplicità dei fenomeni, tutto l'universo, visibile o invisibile, è il risultato dell'interazione tra Yin e Yang.

Qi

Il Qi (o Chi, o Ki), letteralmente forza della vita, o semplicemente energia, è essenzialmente la manifestazione del Tao attraverso il ciclo di Yin e Yang. È l'energia che pervade e vitalizza tutte le cose dell'universo. Essa è il Tao, in circolo nell'universo.
Il Qi può essere nell'aria che si respira, ma non è come l'ossigeno o qualsiasi altro elemento gassoso che compone l'atmosfera, è qualcosa di più profondo, di più trascendente. Il Qi è presente anche nel cibo che ingeriamo, ma non è assolutamente una vitamina, un carboidrato o qualsiasi altro elemento che si possa chimicamente definire. Quando respiriamo o mangiamo noi inglobiamo del Qi, poiché esso è l'essenza di ciò che mangiamo e che respiriamo. Si può dire che il Qi è un'energia spiritica, uno shen animico che dà vita, che nutre. Senza Qi non ci sarebbe vita.
Il Qi come ogni altra cosa esistente nell'universo è un frutto, una manifestazione, dovuta al continuo movimento ciclico del Tao. Il movimento di ogni elettrone, di ogni protone è espressione del ciclo perpetuo della natura, e tutto l'universo funziona in modo ciclico perché segue la legge cosmica del Tao, perché l'universo stesso e tutto ciò che comprende è la legge cosmica stessa, la Via, il Tao. Tutto ciò che esiste è espressione del suo movimento: la sua staticità corrisponde al Wu Chi; il suo movimento al fluire del Qi. L'esistenza è dunque un'illusione, è la proiezione olografica data dal movimento del Tao.

I cinque elementi

L'interazione di Yin e Yang è espressa attraverso cinque manifestazioni base dell'energia, i cinque elementi. Il termine non si riferisce ai cinque elementi base che si possono trovare ovunque in natura, ma è una metafora, si riferisce ai cinque modi attraverso cui il Qi si esprime nell'universo. I cinque elementi sono semplicemente gli emblemi di rappresentazione delle cinque fasi di movimento del Qi.

Le cinque fasi di manifestazione del Qi

La prima fase corrisponde all'energia a riposo, in un estremo stato di quiete e concentrazione. Questa fase è identificata con l'acqua, in quanto l'acqua è un elemento che, se indisturbato, diviene spontaneamente calmo e statico. La seconda fase è lo sviluppo della prima: se l'energia è completamente in quiete, ha un enorme potenziale, che prima o poi si manifesta. Proprio come il Wuji che da statico si attiva. Questa seconda fase corrisponde dunque all'esplosione dell'energia, ed è rappresentata dal legno, in quanto gli alberi tornano in attività in primavera, dopo il riposo invernale. L'esplosione di attività nella fase Legno non dura per sempre, prima o poi l'energia si stabilizza ed inizia una fase di equilibrio in cui l'energia fluisce con uniformità mantenendosi costante. Questa terza fase corrisponde al fuoco, in quanto il fuoco è un elemento in grado di sostenere un alto livello energetico per lunghi periodi. Mentre il Fuoco rilascia tutto il suo potenziale energetico inizia a degenerare nella quarta fase, in cui l'energia si condensa. È la fase del metallo. È rappresentata dal metallo in quanto esso è uno stato di energia altamente condensato. La quinta fase energetica corrisponde al momento in cui sopraggiunge equilibrio, armonia e interconnessione tra tutti gli altri quattro stati energetici. Questa fase finale è rappresentata dalla Terra, ovvero il frutto della combinazione degli altri elementi.
L'equilibrio Yin-Yang è la radice e il fusto di tutto ciò che esiste; i cinque elementi sono i rami che sostengono le foglie, i fiori e i frutti dell'universo. Il risultato di queste cinque fasi energetiche è la manifestazione ed attività di tutto: della vita sulla Terra, del Sole, della Luna, delle stelle, dei pianeti, delle galassie, di tutto l'universo.
Il Taoismo, quindi, concepisce l'universo come un immenso oceano di interazioni energetiche derivate dall'interazione fondamentale di Yin e Yang. L'universo, in quanto manifestazione dell'energia dei cinque elementi, si auto-sostiene. Tutte le creature viventi e non, sono in continua interazione con i cinque elementi dell'esistenza. L'uomo può accentuare questo contatto interattivo mangiando, respirando, sentendo, udendo e pensando.

Parallelismi con la scienza moderna

Questa visione della cosmologia taoista potrebbe apparire astratta e semplicistica, ma la scienza moderna ha essenzialmente la medesima opinione del cosmo. Tutta la materia presente nell'universo è infatti costituita da particelle subatomiche. Gli atomi, che un tempo si credeva fossero l'elemento base, invisibile, del tutto, sono invece - come è stato provato - costituiti da ulteriori particelle subatomiche e onde energetiche, e ognuna di queste particelle subatomiche si muove grazie al flusso dato da due polarità, quella positiva e quella negativa, proprio come Yin e Yang. La scienza è inoltre arrivata ad ipotizzare che all'origine di tutto ci fu un'immensa esplosione energetica, il Big Bang, proprio come sostenuto dalla cosmologia taoista: il Big Bang può essere infatti considerato un processo paragonabile alle cinque fasi che hanno portato l'energia Qi a dare origine al cosmo. La fisica moderna ha inoltre dimostrato come ad ogni particella corrisponda un'antiparticella di uguali caratteristiche. Mettendo in contatto queste due, esse annichiliscono (si annullano a vicenda rilasciando energia). La stessa teoria del Big Bang prevede, secondo i calcoli matematici, che nei primi istanti di vita dell'universo ci fossero presenti materia ed antimateria in uguale misura. Non è ancora chiaro perché sia prevalsa la materia di cui l'universo osservabile pare composto. Le ipotesi più accreditate sono due:
1. Che una leggera asimmetria tra materia ed antimateria abbia portato la prima a prevalere.
2. Che esista un universo uguale al nostro ma fatto di antimateria.

Le otto forze

Come le cinque fasi dell'energia, le otto forze della natura sono anch'esse risultato dell'interazione cosmica di Yin e Yang. Insieme esse formano gli otto trigrammi del bagua (o pakua) e combinate danno origine ai sessantaquattro esagrammi dell'I Ching. È interessante notare come i sessantaquattro esagrammi siano binari, e quindi il codice della creazione sia binario, proprio come il codice di programmazione di un mondo virtuale. Solo che l'universo è molto più complesso.
Le otto forze sono le manifestazioni basilari dell'energia e anch'esse possono interagire e dare origine ad una serie di otto combinazioni:
  • Il legame tra Terra e Fuoco dà origine all'elemento mistico del Fuoco, conosciuto anche come Energia.
  • La combinazione di Terra e Acqua origina l'elemento mistico Acqua, corrispondente al Tempo.
  • La combinazione di Terra e Legno dà origine all'elemento mistico Aria, ovvero lo Spazio.
  • Terra e Metallo danno origine all'elemento mistico della Terra, corrispondente alla Materia.
  • La reazione Energia-Fuoco crea poi gli elementi naturali del Fuoco e della Luce.
  • Il Tempo-Acqua crea l'elemento naturale dell'Acqua.
  • Lo Spazio-Aria crea il Vento.
  • La Materia-Terra dà origine all'elemento naturale della Terra.
Questi sono gli otto trigrammi (bagua), che se ulteriormente combinati danno origine ai sessantaquattro esagrammi che denotano il codice binario della creazione. Da questi sessantaquattro esagrammi hanno origine quelle che i cinesi chiamavano cento milioni di cose, ovvero tutto ciò che esiste.

La forza della vita

La fonte base dell'energia umana, in accordo alla concezione taoista, proviene dai genitori. L'energia in forma Yin proviene dall'ovulo della madre, mentre l'energia in forma Yang dallo spermatozoo del padre. La combinazione di essi dà origine al fuoco della vita. L'energia che l'uomo ha al proprio interno dalla nascita è chiamata Qi originale.
Una seconda fonte di energia Qi è l'aria che si respira e il cibo che mangiamo. Anche in questi elementi, come in tutto l'universo, è contenuto Qi. Quindi respirando o mangiando l'uomo assorbe Qi postnatale.
Il Qi è inoltre emanato dalle stelle, poiché costituisce ogni raggio luminoso, onda elettromagnetica, vibrazione subsonica. La stella più influente per l'uomo è il Sole, in quanto è la stella più vicina alla Terra. L'uomo dipende dal Qi irradiato attraverso lo spazio. L'aria che si respira è carica di energia cosmica, polvere cosmica sottilissima, residuo dell'esplosione di stelle, pianeti e asteroidi dell'universo. Questa polvere cosmica, ricca di Qi, piove perennemente sulla Terra.
Le piante sono esseri viventi che riescono, attraverso la fotosintesi, a trasformare la luce in nutrimento. Gli esseri umani assorbono l'energia Qi della luce indirettamente, mangiando qualsiasi tipo di vegetale o qualsiasi altro animale, poiché gli animali erbivori assorbono Qi mangiando vegetali, mentre i carnivori assorbono Qi mangiando gli erbivori.
Il Qi è vita e un'energia abbondante è vita abbondante. Quando il Qi diminuisce, a causa di malattie o emozioni troppo intense, si sperimenta bassa vitalità e mancanza di attività. Ci si sente disconnessi dal mondo, dalla società, da noi stessi. I taoisti danno estrema importanza alla coltivazione e al mantenimento di un alto livello energetico, per mantenere stretta la connessione con l'universo e con sé stessi.
L'obiettivo finale del Taoismo è portare il discepolo, il praticante e lo studente, ad un completo stato di unificazione con l'universo, con il Tao quindi. Tutta la vita emerge dal Wuji, inconsapevolmente. Attraverso le pratiche taoiste è possibile raggiungere l'immortalità e ritornare allo stato di Wuji, energia pura, dissolvendosi nell'Uno, nel Tao.

lunedì 11 dicembre 2017

Taira Shinken





Taira Shinken (平 信賢 Taira Shinken; 1897 – 1970) è stato un artista marziale giapponese.
Nacque come Shinken Maezato (前里 信賢 Maezato Shinken) nel 1897, nell'isola di Kume, arcipelago delle Ryūkyū.

Gioventù

Fu il secondo figlio in famiglia di tre ragazzi e una ragazza. Da bambino fu dato in adozione (una pratica non comune nel vecchio Giappone). Fu a questo punto che assunse il nome da ragazza di sua madre che era "Taira". Quando era un ragazzo, Taira lavorò nelle miniere di zolfo in Minamijima. Soffrì per un incidente che gli provocò la rottura di una gamba quando rimase intrappolato nel crollo di una mine shaft, che gli causò una lesione permanente alla gamba.

Karate

Nel 1922, dopo aver effettuato un viaggio a Tokyo in cerca di lavoro, fu presentato a Funakoshi Gichin. Taira divenne un "deshi" ("studente") di Funakoshi Gichin, sforzandosi di imparare il Karatedo. Nel 1929, Taira iniziò i suoi studi del Ryūkyū Kobudo con il maestro Yabiku Moden.
Nel 1932, dopo aver studiato Kobudo per 3 anni e Karatedo per 10 anni, ricevette l'autorizzazione dai suoi maestri per aprire un dojo. Taira iniziò ad insegnare Karatedo e Kobudo, nella calda e caratteristica località di villeggiatura di Ikaho, nella Prefettura di Gunma.
Taira ebbe un'insaziabile fame di sapere verso il Budo. Da quel giorno fu alla continua ricerca e assimilò le sue scoperte nel sistema del Kobudo. Fu a seguito della sua continua ricerca del sapere che, nel 1933, Taira fu presentato dal maestro Funakoshi a Kenwa Mabuni. Nel 1934, Taira divenne deshi di Mabuni.
Nel 1940 il maestro Taira Shinken aprì il suo Dojo Kobudo a Naha (Okinawa). Aprì altri Dojo a Kantō e Kansai, due dei maggiori distretti centrali giapponesi.

domenica 10 dicembre 2017

Sai

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Sai () è il nome Ryukyu per un'arma tradizionale di Okinawa anche usata in India, Cina, Indonesia, Malesia e Thailandia. La sua forma è essenzialmente composta da una sorta di bastone arrotondato e appuntito, con due lunghe proiezioni non affilate (tsuba) attaccate al manico. La parte finale del manico viene denominata tirapugni. I sai vengono costruiti in varie forme: quelli tradizionali sono arrotondati, mentre alcune riproduzioni hanno adottato un ottagono nel rostro centrale. Gli tsuba sono tradizionalmente simmetrici, tuttavia, il sai chiamato manji, sviluppato da Taira Shinken, impiega due tsuba uno opposto all'altro.
Si crede che il sai sia sempre stato un'arma, benché alcuni ipotizzano si sia originato come uno strumento dell'agricoltura usato per misurare i gambi, campi arati, piantare il riso, o come fermi per le ruote dei carri, anche se le prove di questi usi sono limitate. Il sai è conosciuto per essere stato usato in altre parti dell'Asia prima del suo arrivo a Okinawa. Le prove più recenti lo porterebbero ad una origine indonesiana. In malese il sai è conosciuto come chabang (anche scritto cabang/tjabang, col significato di "ramo") e si pensa derivi dal tridente indiano. Attraverso il commercio, il chabang si diffuse attraverso il resto dell'Indocina e potrebbe aver raggiunto Okinawa da uno o più di questi luoghi simultaneamente. Nelle arti marziali cinesi quest'arma è nota col nome di Tiechi (铁尺) ed è particolarmente utilizzata dall'etnia Zhuang del Guangxi.

Uso

L'utilità del sai come arma è conferita dalla sua forma particolare. Con la giusta abilità, può essere usato contro una spada lunga intrappolandone la lama con gli tsuba. Ci sono molti diversi modi per brandire quest'arma con le mani, il che gli conferisce la versatilità di poter essere usata sia in modo letale che non-letale. Il sai è usato primariamente come arma da impatto o per veloci colpi di punta al plesso solare. Il sai ha anche molti usi difensivi per bloccare altre armi.
Uno dei modi per tenerlo in mano è stringerne l'impugnatura con tutte le dita e ancorare i pollici nell'area tra gli tsuba e lo stelo principale. Questo permette di cambiare rapidamente e senza sforzo tra la parte anteriore lunga e la parte posteriore smussato. Il cambio si fa mettendo pressione nei pollici e ruotando il sai finché non si è girato completamente e il dito indice è allineato con l'impugnatura. Il sai è generalmente più facile da maneggiare in questa posizione. Il tirapugni serve a concentrare la forza di un pugno, mentre con la parte lunga si può mettere verso il nemico, come protezione per i colpi all'avambraccio o per colpire come con una normale daga.
È possibile tenere il dito indice disteso e allineato con l'impugnatura centrale sia che il tirapugni sia in alto, sia che il rostro centrale lo sia. Il dito può stare dritto o leggermente piegato. Le altre dita vengono tenute sullo stelo principale e il pollice sostiene lo tsuba.
Le prese descritte sopra evidenziano la versatilità di questo arnese sia come arma da offesa che come arma da difesa. Entrambe le prese ne facilitano lo scambio tra la punta e il tirapugni mentre il sai viene tenuto con una presa sicura.
Il sai di solito si insegna usandone una coppia - tenendone uno in ogni mano. Negli Stati Uniti uno stile diffuso è lo Yamanni Ryu. Ci sono 5 Kata comuni usate nell'istruzione, inclusi due kihon. Lo stile include una varietà di parate, schivate, colpi e prese contro gli attaccanti da tutte le direzioni e livelli di altezza. L'uso della punta, del tirapugni e della barra centrale viene enfatizzato, assieme a rapidi cambi nell'impugnatura per attacchi/parate multipli.
Il Jitte è l'equivalente giapponese con una sola punta del sai di Okinawa e fu usato primariamente dalla polizia giapponese durante il Periodo Edo. È un'arma caratteristica in diverse scuole giapponesi di jūjutsu e koryū.

Nella cultura di massa

Una coppia di pugnali Sai sono le armi di Raffaello, la Tartaruga Ninja con la maschera rossa.

sabato 9 dicembre 2017

Bakeneko


Il bakeneko (化け猫 "gatto mostruoso") è uno yokai, una creatura soprannaturale della mitologia giapponese, evolutasi da un gatto ed in possesso di abilità metamorfiche simili a quelle di kitsune e tanuki. Spesso viene confuso con il "cugino" nekomata in cui il tradizionale legame tra gatto e defunti risulta più forte, in generale però la distinzione tra i due è molto sfumata.
Tradizionalmente un gatto può diventare un bakeneko se raggiunge un'età molto avanzata o un peso particolarmente elevato (si parla di esemplari che, una volta uccisi, raggiungevano il metro e mezzo di lunghezza), tuttavia vi sono racconti su gatti trasformatisi dopo essere stati nutriti in una casa per diversi anni o per l'attaccamento al proprio padrone.
Solitamente un bakeneko ha l'aspetto di un comune gatto ma di dimensioni molto maggiori, ha la capacità di camminare sulle zampe posteriori, di creare spettrali sfere di fuoco e di assumere sembianze umane (spesso mantenendo tratti felini); nel caso si trasformi in una donna viene solitamente chiamato nekomusume (猫娘 "donna gatto"). A volte, può persino arrivare a divorare una persona per sostituirsi ad essa.
Come molti yōkai poi, il bakeneko ha la tendenza a rubare l'olio dalle lampade delle case: questa caratteristica potrebbe fondare le sue radici nel fatto che gli Andon (tradizionali lampade giapponesi di carta) erano spesso alimentati con olio di sarde.

Il mito

In un famoso racconto il vecchio gatto di un uomo di nome Takasu Genbei scomparve improvvisamente. Nello stesso periodo la madre dell'uomo cambiò completamente carattere, diventando schiva e scontrosa al punto da consumare i suoi pasti sempre da sola rinchiusa nella propria stanza. Quando i familiari, preoccupati, decisero di spiarla, non videro un essere umano ma un mostro dalle sembianze feline che mangiava su una carcassa animale. Ripugnato, Takasu decise allora di uccidere la creatura dalle sembianze di sua madre, che, trascorso un giorno, riprese l'aspetto del vecchio gatto di cui non aveva più notizie. Successivamente, sotto al tatami della stanza furono ritrovate le ossa sbiancate dell'anziana donna.
Un altro racconto dell'era Anei parla di un certo Hirase di Sakai (città dell'odierna prefettura di Osaka). Di notte, mentre era intento a leggere un libro nella sua stanza, sentì aprirsi all'improvviso la porta alle sue spalle e, prima che potesse fare qualsiasi cosa, da essa entrò un braccio mostruoso che lo afferrò per i capelli. Spaventato, Hirase riuscì a colpire il braccio con la propria katana, facendo fuggire il proprietario. Il mattino dopo, in giardino, Hirase ritrovò l'arto che l'aveva attaccato, constatando che aveva l'aspetto di un enorme zampa felina.
Da altri racconti, invece, emerge il rapporto che i bakeneko hanno con il mondo dei morti ed il forte legame coi propri padroni, conservato anche dopo la trasformazione. Secondo uno di questi, durante un corteo funebre apparve un mostro d'aspetto felino che, scendendo dal cielo, trafugò il cadavere per poi sparire con esso. In seguito si scoprì che era il gatto appartenuto al defunto che si era trasformato in bakeneko. Potrebbe basarsi su questo fatto l'abitudine popolare di non far uscire di casa o, come accade a Tsushima, di rinchiudere in apposite gabbie i gatti il cui padrone sia morto da poco tempo.

Influenza culturale

Nella maggior parte delle opere moderne, siano esse romanzi, film, manga, anime o videogiochi, il ruolo mitologico del bakeneko è stato assorbito nella figura della più popolare kitsune. Tuttavia la nekomusume gode di una popolarità particolare nella cultura giapponese moderna, dove il costume con attributi felini, detto nekomimi (猫耳 "orecchie da gatto"), è una delle forme di cosplay più popolari, fino ad essere ormai considerato tra gli otaku un'autentica fantasia erotica.