venerdì 30 dicembre 2011

Il Martello d’Arme


Articolo tratto da; http://zweilawyer.com/

Il Martello d’Arme è stata senza dubbio l’arma più umiliata dalla finzione letteraria e cinematografica. L’immagine del guerriero nordico con in mano un martello da venticinque chili è una delle più ricorrenti in libri, giochi ed illustrazioni fantasy, ma si tratta di qualcosa che dorvrebbe rimanere confinata all’interno di Oblivion o D&D.
Dal punto di vista cronologico, il Martello d’Arme (di seguito “MdA”) nacque per contrastare le protezioni a piastre, che rendevano inutili le semplici armi da taglio. La cosa interessante è che la sua evoluzione corre in parallelo con quella delle armature complete. Quando queste ultime svilupperanno convessità e creste per limitare i danni da botta, il MdA accentuerà le sue caratteristiche di arma da perforazione.
Ma andiamo con ordine. Per riuscire a penetrare una piastra d’acciaio occorreva uno strumento che concentrasse tutta l’energia cinetica del colpo su una superficie ridotta. RIDOTTA, avete capito? Quindi scordatevi delle teste con superficie da un metro quadrato, abomini del genere per intenderci:
Molto bello, 25 kg di piombo che un uomo di 150kg riuscirebbe a malapena a maneggiare.

Che i martelli fossero particolarmente adatti per fronteggiare avversari corazzati era un dato già noto. Non a caso, i romani avevano utilizzato martelli e picconi (gli avi dei Martelli d’Arme e Picchi d’Arme) per fare a pezzi i crupellari galli.
Tacito, ANNALES, III – 46
paulum morae attulere ferrati, restantibus lamminis adversum pila et gladios; set miles correptis securibus et dolabris, ut si murum perrumperet, caedere tegmina et corpora; quidam trudibus aut furcis inertem molem prosternere, iacentesque nullo ad resurgendum nisu quasi exanimes linquebantur.
una moderata resistenza opposero i ferrati (ovvero i crupellari), poiché le corazze reggevano ai colpi di lancia e spada; ma i soldati, impugnati scuri e picconi, come per sfondare una muraglia, facevano a pezzi armature e corpi; alcuni con pertiche e forche abbattevano quelle masse inerti che, prostrate a terra, incapaci d’un minimo sforzo per rialzarsi, erano abbandonate lì come morte.
Non diversamente da quanto accaduto per Mazze e Mazzafrusti, anche il martello da guerra è nato dal suo genitore “civile” ed è stato utilizzato come arma povera per qualche tempo. Nelle battaglie medievali non ebbe grande diffusione, d’altronde, quando ci sono in campo pochi nemici pesantemente corazzati e una grande massa di fanteria leggera, è sempre meglio affettare e infilzare piuttosto che spaccare.

Uno schema che riassume le parti più importanti del Martello d'Arme

Il martello arrivò dunque dopo la mazza ferrata e raggiunse l’apice della diffusione in concomitanza con le ultime evoluzioni delle armature complete. Parlando in modo generico, possiamo considerarlo un’arma più rinascimentale che prettamente medievale.
Dalle ricerche di Oakeshott risulta che la prima immagine di un martello da guerra risale al 1250 circa, ed è conservata presso la Malvern Prior Church di Worcestershire. Oltre che dagli esemplari sopravvissuti, è proprio attraverso l’iconografia dei secoli XIV-XVII che possiamo ricostruire l’evoluzione di quest’arma.
Con mio sommo gaudio, ho visto che wikipedia cita uno degli episodi storici più importanti nella storia del MdA. Nel 1382 infatti ebbe luogo a Parigi una rivolta popolare, quella dei Mailottins, che vennero chiamati così perchè armati di martelli da guerra rubati presso l’armeria di Parigi.
Mailottins all'opera. In basso a sinistra la tetraplegia è alle porte.

Ho parlato di martelli da guerra e non di MdA, perchè dall’immagine di cui sopra sembra trattarsi di martelli da lavoro nonostante fossero stati sottratti a un’armeria (ipotizzo si trattasse dei martelli utilizzati per piantare le tende dei campi). Probabilmente i primi martelli da guerra erano proprio così, semplici martelli da lavoro, facili da fabbricare e assemblare, che riuscirono a trovaro un loro spazio all’interno degli armamenti medievali.
Solo successivamente, fra XIV e XV secolo, si arrivò al vero e MdA. Una delle rappresentazioni più importanti è quella contenuta nel trittico di Paolo Uccello “La Battaglia di San Romano” (prima immagine dell’articolo), che Oakeshott data al 1462 quando in realtà è del 1438. Questo dato è interessante, perchè conferma l’uso del MdA da parte di uomini d’arme già nella prima metà del XV secolo (d’altronde, il Flos Duellatorum è del 1410 e già sono presenti MdA Inastati).

Martello d'Arme del 1350 (copia di Therionarms di un esemplare conservato al Museo nazionale di Norimberga)

La prima divisione da fare nella categoria dei MdA riguarda il tipo di supporto su cui veniva montata la testa; la scelta era fra manico e asta. Trovo quindi che la corretta definizione per le due tipologie potrebbe essere Martelli Immanicati e Martelli Inastati. I primi venivano utilizzati quasi esclusivamente dalla cavalleria, mentre i secondi dalla fanteria. Come ho già detto, la preoccupazione fondamentale di ogni soldato appiedato è quella di riuscire a fare danni rimanendo a distanza di sicurezza dal nemico. Le armi in asta sono state le più diffuse durante tutte le guerre dall’evo antico al XVII secolo e, proprio per questa ragione, il MdA non fa eccezione.
L’uso di MdA Inastati si fece sempre più frequente nel corso del XV secolo, tanto che loro rappresentazioni fanno spesso capolino nell’iconografia dell’epoca. Qui sotto ho riportato una bella immagine (“Three Knights Brought Water from the Cistern to King David”) presa dallo “Speculum Humanae Salvationis“, stampato nel 1474-75. Il cavaliere in ginocchio, oltre a fare sfoggio di una bella full armour e di un falcione, si puntella con un MdA Inastato (Bec de Corbin) dalla foggia semplice e quasi privo di brocco in cima alla testa.

In mano alla fanteria, il MdA Inastato divenne sempre più simile ad una poleaxe. La versatilità delle parti della testa, specie se montata su un’asta di 180cm o più,  permettevano una grande varietà di impieghi:
- sfondamento tramite la bocca;
- perforazione tramite la penna;
- perforazione/lacerazione attraverso il brocco.
Oltre a questi impieghi, un MdA poteva servire per tirare giù un cavaliere dalla sua cavalcatura o agganciare uno scudo, in modo da strapparlo al nemico.
Sembra che il MdA (in questo caso parliamo della variante Immanicata) divenne l’arma secondaria preferita dagli arcieri. Già ad Agincourt gli arcieri inglesi utilizzarono sulla disgraziata cavalleria francese i martelli che avevano portato per piantare i paletti in terra e non è difficile immaginare che si affidarono alla tecnica messa in opera dai romani contro i crupellari. L’idea di martellare un uomo in full armour fino a farlo diventare una scatoletta grondante sangue ebbe successo, tanto che in una famosa Ordinanza del Duca di Borgogna Carlo il Temerario (Ordinanza di Bohain in Vermandois del 13 Novembre 1472) troviamo questa previsione:
The archer should wear a brigandine over a padded jacket, some armoured reinforcement on his forearms, a gorget, a sallet, and must carry a long sharp dagger, a lead hammer and a bow and quiver hanging behind.
Di certo quel “lead hammer” aveva la solita funzione principale di piantare paletti, ma quando c’era da fare del lavoro sporco poteva essere utile come e più della “long sharp dagger”.
Nota di colore: immaginate un effeminato elfo arciere fantasy conciato come un vero arciere… giacca imbottita, brigantina, cannoni per gli avambracci, gorgiera, celata, daga, martello oltre al bagaglio… davvero poco fashion!
Ancora nella seconda metà del XVI secolo (1562), il martello figurava nell’armamento standard degli arcieri dei Tudor.
Non pensiate che il MdA Immanicato fosse un’arma ingombrante o pesante. La lunghezza media di quelli in dotazione delle cavallerie di mezza europa si aggirava attorno ai 50-70cm, per un peso spesso inferiore al chilogrammo (costituito perlopiù dalla testa e dal collare). Il Picco d’Arme poteva pesare qualcosa in più, visto che ho notato molti manici fasciati o realizzati in ferro invece che in legno. A questo punto, non deve meravigliare che un MdA Inastato di lunghezza media (150cm ca) raggiungesse a malapena i 2kg di peso. Ad es., l’esemplare conservato presso il Metropolitan Museum of Art di New York (reperto 14.25.465), ovvero il Bec de Corbin (1580 ca) che in una delle immagini qui sotto ho accoppiato con il Martello di Lucerna,  misura 145 cm per 2kg.
Oltre alla lunghezza dell’asta su cui viene montata la testa, l’elemento più importante per distinguere i vari tipi di MdA è proprio il rapporto fra le parti della testa (penna-brocco-bocca). Ad esempio, il Martello di Lucerna (Lucerne Hammer) aveva un brocco lungo e affusolato, simile a uno stiletto, che lo faceva somigliare più a uno spiedo che a un martello. Al contrario, il Mazzapicchio (Bec de Corbin, ma per una volta il nome italiano è molto più esplicativo) era un MdA (o PdA? La differenza, come ho detto, può essere sottile)  puntava tutto sulla capacità di perforazione della penna.
Sopra: Bec de Corbin/Mazzapicchio; sotto: Martello di Lucerna

Un bel MdA doveva essere un must fra gli uomini d’arme, anche nei tornei. C’è un repertorio di immagini iconografiche piuttosto ricco e, non a caso, alcuni manuali di combattimento del XV-XII secolo prevedono delle apposite sezioni dedicate al duello con poleaxe e/o MdA Inastato, a partire, come già specificato, dal Flos Duellatorum di Fiore de Liberi (nel quale trovano posto diverse tavole sull’argomento).
Quella riportata qui sotto è una delle più esemplificative che ho trovato, e ci permette di notare una forte somiglianza (in questo caso sono identiche) fra le poste descritte per il combattimento con la spada e quello con il MdA Inastato.
Era in posta dente di cinghiale e per questo j'ho spaccato la faccia

All’inizio, diciamo fino all’inizio del XVI secolo, il martello da guerra era poco più di un martello con una piccozza (la “penna”, vedi nomenclatura di cui sopra) sul lato opposto della testa, mentre all’inizio del XVII secolo (specie in Europa orientale) troviamo dei martelli con delle penne esagerate, la cui capacità di perforare le corazze, piuttosto che deformarle, è divenuta preminente.
Come spiega anche Oakeshott, per i MdA Immanicati non è sbagliato operare una distinzione fra Martelli d’Arme e Picchi d’arme, anche se il sacro fuoco della sistematizzazione potrebbe condurci ad infilare nell’una o nell’altra categoria delle armi praticamente identiche.
Il Picco d’Arme (chiamato anche Martello d’Arme a Becco di Corvo), utilizzato quasi esclusivamente dalla cavalleria, ebbe grande diffusione fra gli Ussari Alati, presso i quali era chiamato “nazdiak”.
Il Picco d'Arme raggiunse la sua massima diffusione nell'Europa dell'est del XVII secolo. Questo esemplare ha il manico completamente avvolto da spirali di ferro.
Sull’arma in questione, devo fare l’ennesimo plauso agli studiosi italiani che operano su wikipedia.
Eloquente in merito quanto testimoniatoci dal resoconto dell’abate Jędrzej Kitowicz, vissuto al tempo di Augusto III di Polonia:
« [Il nazdiak] è uno strumento terribile nelle mani dei polacchi, specie se di umore combattivo o alterato. Con la szabla si può mozzare la mano a qualcuno, lacerargli il volto ferendolo alla testa e la vista del sangue che sgorga dal nemico può così calmare il rancore. Ma con la mazza potrebbe causare un infortunio mortale senza vedere il sangue e, non vedendolo, calmarsi, finendo invece per colpire diverse volte senza tagliare la pelle ma rompendo ossa e vertebre. I nobili muniti di mazza hanno sovente battuto i loro servi a morte. A causa del pericolo che rappresentava, fu proibito loro di venirne muniti durante le grandi assemblee o le sessioni del parlamento. [...] E in verità, era uno strumento da brigante, perché se si colpisce qualcuno con il becco puntuto del nadziak dietro l’orecchio, lo si uccide all’istante, la tempia trapassata dal ferro mortale.
Pur riferendosi al nazdiak, questo passo è molto interessante per capire le differenze, anche a livello psicologico, fra l’uso di un’arma da taglio e una da botta. Anche l’immagine del colpo dietro l’orecchio ha un suo fascino, poichè l’abate doveva aver ricevuto diverse testimonianze per citarlo nel brano.
Picco d'Arme senza eccessiva differenza fra penna e bocca. Da www.wulflund.com.

Quanto all’uso del Picco d’Arme, ho trovato l’interessante testimonianza di un rievocatore:
The spike side was the truly nasty end of the weapon, though, as it was fully capable of piercing even the strongest of plate armor, burying it’s point deep inside of the target’s body. This penetration was the weapons best quality and its worst, as often times the spike would get stuck in the victim’s body, rendering the weapon useless. The spike also did not normally kill a man outright; although massive bleeding and internal punctures were bound to happen, there simply was not enough trauma from the spike to kill a man unless a critical organ (brain, heart) was struck.
In effetti il Picco d’Arme, molto più dei MdA con bocca e brocco ipersviluppati, tendeva ad incastrarsi dell’armatura/giacca imbottita sottostante/carne et ossa. Questo dato, unitamente al fatto che veniva utilizzato dalla cavalleria, mi porta a pensare che dovesse trattarsi di un arma che richiedeva un lungo e specifico addestramento.
Come tutte le armi bianche, anche il MdA fu vaporizzato da tonnellate e tonnellate di volgare polvere da sparo.
Piangiamo dunque assieme quei giorni di vero onore.

giovedì 29 dicembre 2011

Incontrare donne giapponesi online



Se non hai mai usato un servizio di dating online, utilizzare questo mezzo potrebbe risultarti un pò strano. La maggior parte dei ragazzi tende ad incontrare la prorpria controparte femminile in luoghi pubblici come bar o club, ma se sei seriamente intenzionato a conoscere ed uscire con una donna
giapponese questo tipo di approccio potrebbe risultare clamorosamente fallimentare.
Prima di tutto, club e bar non sono luoghi dove incontrarerai una donna giapponese. Quello che voglio dire è che non troverai di certo una donna molto elegante e bella giapponese in un bar in attesa di essere avvicinata. Le situazioni migliori di incontro con le donne giapponesi sono quelle naturali, dove non sembra che ci si avvicini a loro con un secondo fine.
Il secondo problema è che le donne giapponesi sono per natura timide. In Giappone, la gente non parla con gli sconosciuti. Se un ragazzo si avvicina a una ragazza e inizia a chiacchierare con lei, questo non farà altro che spaventarla. Lei inizierà a camminare, allontanandosi.
Per questo, i giapponesi che sono un popolo timido, usano i servizi di dating online molto più di noi. In realtà, i giapponesi usano i servizi di dating online perché hanno trasferito in rete una tradizione di servizi di incontri che si chiama "gokon," è una specie di festa dove le persone si incontrano cercando di scambiarsi i rispettivi numeri di telefono.
Ci sono un sacco di siti che è possibile utilizzare per conoscere on line delle donne giapponesi. Vi consiglio un sito chiamato Mixi. Mixi è la versione giapponese di Myspace o Facebook. E' un sito dove una volta creato il proprio profilo si possono conoscere persone, organizzare eventi, incontri. Le ragazze giapponesi lo usano molto per incontrare potenziali partner, molto più di noi.
L'unico problema di Mixi è che non ha un'interfaccia in inglese. Questo può rendere davvero difficile l'utilizzo se non si conosce il giapponese. In alternativa a questo sito, si possono tranquillamente utilizzare siti di social networking come Myspace e Facebook. In Giappone un sacco di persone li utilizzano, e se sei alla ricerca di una donna che vive in un altro paese al di fuori del Giappone, ne troverai un sacco su questi siti.
Tutto del tuo profilo è importante, l'immagine più di tutto. Non importa quello che fai nella vita, ma non mettere mai una fotografia sfocata e mal illuminata. Se necessario, assumi un fotografo professionista o almeno usa un amico con una certa abilità nell'utilizzo della fotocamera. La tua foto ti deve mostrare sorridente con la migliore angolazione. Tieni presente che questo può essere tutto ciò che vedrà prima di decidere di chattare con te oppure no.
Per i primi contatti online, ti raccomando di creare dei modelli. Si tratta di messaggi semplici in cui dici loro che le hai notate e che pensi di avere qualcosa in comune. Poi, quando in realtà lo invierai, avrai modificato parti del discorso per renderlo unico. Quando contatti una donna giapponese, fai attenzione a usare vovaboli di facile comprensione in inglese. Non puoi sapere a priori il suo livello di inglese, e non ti risponderà se non ti può capire.
Dopo essere stato per un po' in chat con lei, organizza un appuntamento. Ottenere un appuntamento online è l'ideale per far sentire una donna giapponese a proprio agio perché è generalmente timida e non abituata a parlare con gli sconosciuti. Mostra loro che sei realmente interessato a lei, e stai sicuro che otterrai qualcosa al di fuori della rete.





mercoledì 28 dicembre 2011

I Nove Inferni di Beppu

Beppu sorgente termaleBeppu è una cittadina giapponese di piccole-medie dimensioni nella prefettura di Ōita di Kyushu, Giappone. Nonostante sia di recente fondazione (1924), la sua fama è velocemente cresciuta per via delle sue fonti termali, considerate una delle meraviglie del mondo naturale.
Le onsen (stazioni termali) di Beppu, chiamate anche "I Nove Inferni di Beppu", rappresentano il secondo volume d'acqua calda del mondo (70.000 metri cubi al giorno), secondo solo a quello dello  Yellowstone. Le nove punti geotermali principali, i "Nove Inferni", dominano una località costellata da migliaia di sorgenti d'acqua calda minori suddivise in otto aree note come Beppu hatto.

Beppu sorgente termaleLe nove fonti (Umi Jigoku, Oniishibozu Jigoku, Shiraike Jigoku, Yama Jigoku, Kamado Jigoku, Oniyama Jigoku, Kinryu Jigoku, Tatsumaki Jigoku e Chinoike District) sono suddivise tra due distretti della città, e creano un paesaggio talvolta volte lunare, a volte apparentemente uscito dalla mente di uno scrittore fantasy.

Nove Inferni BeppuLa Umi Jigoku (Inferno del Mare) è una pozza d'acqua fumante color turchese, simile al mare di un'isola tropicale. Eè profonda circa 120 metri e ha una temperatura di 90°C.
La Oniishibozu Jigoku ("Inferno della Testa di Monaco") è una vasca naturale di fango rovente che crea continue bolle simili alla testa rasata dei monaci.
La Shiraike Jigoku, invece, che potrebbe essere tradotta con "Inferno dello stagno bianco", è uno stagno di forma circolare colmo d'acqua azzurra, dall'aspetto lattiginoso per via dell'alto contenuto di calcio.

Beppu sorgente termaleUna delle fonti più suggestive è l' "Inferno del Dragone Dorato" (Kinryu Jigoku), una sorgente termale sovrastata dalla statua di un drago e dotata di una serra riscaldata dalla sorgente stessa.
La Yama Jigoku (Inferno della Montagna) è un vulcano di fango circondato da piccole pozze d'acqua biancastra.
La Kamado Jigoku (Inferno della Pentola Bollente) è una serie di piccoli stagni d'acqua bollente sorvegliati dalla statua di un demone rosso, il "cuoco" della sorgente Kamado.

Nove Inferni BeppuC'è inoltre anche un geyser, la Tatsumaki Jigoku, che erutta ogni 25-30 minuti emettendo vapore bollente per circa 5 minuti ad un'altezza di 20 metri.
L'acqua o il fango che vanno a formare le onsen sono generalmente ad una temperatura di 50-99,5°C, e alcune emettono un tipico odore solforoso di uova marce. In totale ci sono 2.849 sorgenti che emettono 9 tipi differenti d'acqua termale, un vero e proprio record mondiale.
La qualità delle acque e dei fanghi ha fatto sorgere una crescente industria legata ai trattamenti medici, specialmente alle terapie di riabilitazione e al benessere.