domenica 8 maggio 2016

Bodhisattva

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Bodhisattva (devanāgarī बोधिसत्त्व) è un sostantivo maschile sanscrito che significa "Essere (sattva) 'illuminazione' (bodhi)". È un termine proprio del Buddhismo.
Nelle altre lingue asiatiche il termine bodhisattva è così reso:
  • pāli: bodhisatta;
  • cinese púsà (菩薩);
  • giapponese bosatsu (菩薩);
  • coreano bosal (보살);
  • tibetano changchub sempa (byang-chub sems-dpa');
  • vietnamita: bồ tát.




Interpretazioni del termine

  • Secondo Nakamura Hajime il termine bodhisattva indica nel Buddhismo un essere la cui intima natura corrisponde al "Risveglio" oppure "colui che cerca di conseguire il 'Risveglio'" o ancora "colui la cui mente (sattva) è fissa sulla bodhi".
  • Paul Williams offre una definizione precisa, ovvero "colui che sta percorrendo la via per diventare un buddha". Williams nota tuttavia che, mentre non ci sono dubbi sul termine bodhi, proveniente dalla radice indoaria budh (da cui Buddha), che indica il Risveglio spirituale, il termine sanscrito sattva offre diverse interpretazioni: "essere senziente", "essenza", "coraggio" e in questo senso può indicare l'"essere che si incammina verso la bodhi", oppure colui che è di "essenza-bodhi", o ancora colui che è un "eroe del Risveglio".



Il bodhisattva nel Buddhismo dei Nikāya e nel Buddhismo Theravāda










Il bodhisattva Maitreya seduto su un trono in stile greco, risalente all'epoca Kushan, Gandhara, II secolo (Tokyo, Museo Nazionale).






L'idea centrale del Buddhismo dei Nikāya e del Buddhismo Theravāda è che ci sia un solo buddha per ogni Era.
Nel quadro di queste dottrine, per divenire un buddha occorreva che il Buddha storico, Gautama Buddha, avesse precedentemente pronunciato un voto (praṇidhāna) all'epoca del Buddha Dīpaṃkara il quale predisse la venuta di Gautama Buddha nella nostra Era e nel nostro mondo.
Il futuro buddha Gautama, quando era il brahmano Sumedha, pronunciò il "voto" di bodhisattva davanti al Buddha Dīpaṃkara, avviando quindi un percorso di "perfezioni" (pāramitā), con particolare riguardo alla generosità (dāna) e alla saggezza (prajña), al fine di raggiungere la bodhi. Questo percorso di perfezionamente spirituale progressivo nelle varie Ere è concepito, per questo tipo di Buddhismo, come 'raro' (raro come il fiorire dell'Udumbara) e riguarda un ristrettissimo numero di esseri (tra gli otto e i venticinque), tutti umani (mānuṣibuddha).
Coloro che ascoltano e seguono gli insegnamenti di un "buddha", ovvero gli śrāvaka (ascoltatori della voce [di un buddha]), possono realizzare la bodhi divenendo degli arhat e raggiungere il nirvāṇa, ma non possono realizzare la buddhità (l'illuminazione dei Buddha, anuttarā-samyak-saṃbodhi), essendo la "buddhità" riservata solo e unicamente ai buddha.
Gli śrāvaka non hanno mai potuto realizzare lo stato di buddha in quanto il loro "Risveglio" è determinato dall'ascolto degli insegnamenti altrui e non provocato da quello che Nakamura Hajime definisce un "dramma cosmico" che porta all'apparizione di un buddha.
Il bodhisattva, per queste scuole, è dunque quel 'raro' essere che numerosi eoni prima ha pronunciato un "voto" per raggiungere la bodhi e salvare gli altri esseri senzienti grazie all'esperienza della suprema conoscenza (sarvajñāna).
Gautama Buddha, il fondatore del Buddhismo, nella sua vita precedente a quella in cui raggiunse lo stato di buddha era per questo un bodhisattva, e bodhisattva può essere solo colui che in futuro diverrà un buddha, i suoi discepoli possono solo ambire allo stato di arhat conseguendo il nirvāṇa.
Le gesta da bodhisattva compiute da Gautama Buddha nelle sue precedenti esistenze sono raccontate nei Jātakamāla, in cui i fedeli cercano ispirazione, leggendo di come Gautama Buddha abbia raggiunto il "Risveglio" nel prosieguo delle sue precedenti vite. Lo stesso Gautama, quando riferisce della sua esistenza prima di divenire un buddha, si esprime "quando ero ancora un Bodhisattva".
In questa tradizione quando un bodhisattva raggiunge lo stato di buddha, dopo la morte entra nel parinirvāṇa e cessa di rinascere per predicare il Dharma, ciò che resta di lui è il Dharmakāya, ovvero il "corpo" dei suoi insegnamenti raccolti e tramandati dai suoi discepoli. L'unico altro bodhisattva menzionato nel Canone Pāli è il prossimo Buddha, Maitreya. Nella tradizione Theravāda, perciò, non esistono altri bodhisattva.




Il bodhisattva nel Buddhismo Mahāyāna

Nāgārjuna (II secolo d.C.) considerato il padre del Buddhismo Mahāyāna e Vajrayāna in una stampa cinese.


Ritratto del monaco giapponese zen Dōgen (1200-1253) conservato presso il tempio Hōkyō-ji (宝慶寺) in Giappone, Prefettura di Fukui.


Guàndǐng (灌頂, 561-632) fu uno dei patriarchi del Buddhismo Tiāntái.




Nichiren (日蓮,, 1222-1282), maestro buddhista giapponese.




Gampopa, maestro buddhista tibetano dell'XI secolo.












Secondo le dottrine del Buddhismo Mahāyāna, invece, lo stato di buddha può essere conseguito da qualsiasi "essere senziente", possedendo ogni "essere senziente" la "natura di buddha" (tathāgatagarbha).
Ne consegue che chiunque pronunci con sincerità il voto di bodhisattva (praṇidhāna) è un bodhisattva e col prosieguo del tempo, e grazie alla costante pratica delle pāramitā, può realizzare la piena "buddhità" (anuttarā-samyak-saṃbodhi) e divenire esso stesso un buddha perfettamente illuminato (samyaksaṃbuddha).
Il voto del bodhisattva (praṇidhāna) nella letteratura religiosa Mahāyāna richiama inequivocabilmente il desiderio di condividere la bodhi con tutti gli esseri senzienti, così il Prajñāpāramitāsūtra più antico (composto a cavallo della nostra Era), l'Aṣṭasāhasrikāprajñāpāramitā:

«Collocherò me stesso nella "talità" (tathātā) e, in modo che tutto il mondo possa essere soccorso, collocherò tutti gli esseri nella "talità", e condurrò al nirvāṇa il mondo innumerevole degli esseri senzienti»
(Aṣṭasāhasrikāprajñāpāramitā)




Da tener presente che l'intera letteratura Mahāyāna insiste sulla vacuità di tutto il Reale e quindi sull'inesistenza di qualsiasi "essere" dal salvare:
«Per quanto innumerevoli siano gli esseri in tal modo guidati verso il Nirvana proprio nessun essere è stato guidato verso il Nirvana. Perché? Se in un bodhisattva dovesse intervenire la nozione di un essere, egli non potrebbe venire chiamato bodhisattva. E perché? Non si dovrà chiamare bodhisattva colui nel quale interviene la nozione di un essere, o la nozione di un'anima vivente o di una persona»
(Vajracchedikā-prajñāpāramitā-sūtra, 3)



Per questa ragione, ricorda Paul Williams, per il Mahāyāna tutti alla fine dovranno pronunciare il "voto" del bodhisattva per acquisire lo stato di buddha a beneficio di tutti gli esseri.
Sempre per questa ragione Paul Williams evidenzia che:
«Si noti, ed è un punto importante, che alla luce di tutto ciò è troppo semplicistico parlare semplicemente di nirvāṇa nel contesto del buddhismo mahāyāna. [...] È usuale nei testi mahāyāna contrapporre il nirvāṇa al saṃsāra, salvo poi dire che il bodhisattva, e quindi un Buddha, ottenendo la libertà dalla sofferenza ma non abbandonando gli esseri che sono ancora nel saṃsāra oltrepassa la dualità nirvāṇa-saṃsāra. Lo stato di illuminazione ottenuto da un Buddha viene perciò chiamato "nirvāṇa non dimorante" o "non determinato" (apratiṣṭhitanirvāṇa
(Paul Williams. Op.cit.)



Ma anche:
«Diventa allora molto difficile dire, come fanno molti libri diffusi in Occidente, che il bodhisattva pospone il nirvāṇa. Quale nirvāṇa si suppone posponga?»
(Paul Williams. Op.cit.)





Philippe Cornu, nel ricordare la suddivisione di bodhisattva d'"intelligenza graduale" (ovvero il seguace dello Hinayāna che pur avendo superato gli oscuramenti passionali deve ancora superare quelli cognitivi), da quello di "intelligenza immediata" (che prende i voti da bodhisattva fin dall'inizio del suo cammino di perfezionamento), evidenzia che quest'ultimo non "entra nella corrente" (śrota āpanna) poiché la corrente che consente il nirvāṇa è imperfetta dal punto di vista dei bodhisattva. Non solo il bodhisattva:
«Non diventa quindi nemmeno un sakṛdāgāmin, "colui che torna una sola volta", perché accetta di attraversare innumerevoli rinascite. A maggior ragione non diventa un "senza ritorno" (sans. anāgāmin) perché esce dai dhyāna per rinascere nel regno del desiderio (sans. kāmadhātu). Ma quando raggiunge la perfetta Illuminazione abbandona non soltanto gli oscuramenti delle passioni diventando così un arhat, ma anche quelli della conoscenza diventando un tathāgata onnisciente.»
(Philippe Cornu. Op.cit.)

In ultima analisi:
«I testi del Mahāyāna propongono che il fine della pratica religiosa propriamente concepita non sia nulla di meno che l'intuizione universale ottenuta dal Buddha, ossia che l'obiettivo della pratica religiosa sia la buddhità stessa. [...] E per di più, secondo alcuni testi mahāyānici è, di fatto, l'unica via reale predicata dal Buddha. Tutte le altre soteriologie, asseriscono tali testi, non sono che semplici strategie impiegate dal Buddha contro coloro la cui comprensione non era sufficiente sviluppata per gli insegnamenti del Mahāyāna»
(Nakamura Hajime. Op. cit.)


Lo stato di buddha è quindi l'obiettivo da conseguire per i mahāyānisti. Il percorso per raggiungere tale stato si avvia con la scelta di divenire un bodhisattva, adoperandosi per la liberazione di tutti gli esseri senzienti. Siccome la dottrina della vacuità (dottrina centrale per i mahāyānisti) insegna che non c'è alcun fenomeno separato dall'altro, allora non vi può essere alcuna "liberazione" individuale, tutti realizzeranno la bodhi.
La "inconciliabilità" tra illuminazione realizzata da un Buddha e la sofferenza di un "essere senziente" (e quindi la necessità di intervento di buddha e bodhisattva nel mondo) viene nelle scuole risolta secondo la dialettica madhyamaka: la verità assoluta (paramārtha-satya o śūnyatā-satya) richiama costantemente la vacuità (śūnyatā) e in questo senso non c'è alcuna differenza tra gli esseri senzienti e i Buddha, anzi non ci sono "esseri senzienti"; sul piano della "verità convenzionale" (o "relativa", sans. saṃvṛti-satya) tali differenze esistono. La sintesi di queste due verità o "verità della Via di mezzo" (mādhya-satya) rende conto di ambedue e della loro inconciliabilità:



(SA)
«yaḥ pratītyasamutpādaḥ śunyātāṃ tāṃ pracakṣmahe sā prajñaptirupādāya pratipat saiva madhyamā»
(IT)
« La coproduzione condizionata, questa e non altra noi chiamiamo la vacuità. La vacuità è una designazione metaforica. Questa e non altro il Cammino di mezzo»
(Nāgārjuna. Mūlamadhyamakakārikā, XXIV, 18)



In questo modo come il nirvāṇa è il saṃsāra, e quindi la stessa vita quotidiana, l'azione del buddha corrisponde all'azione del bodhisattva tesa a realizzare l'"illuminazione", essa stessa è illuminazione. Per il mahāyānista quindi è la vita quotidiana a rappresentare la "Realtà ultima" e il Nirvāṇa stesso e le azioni tese a realizzare questa consapevolezza ovvero la "vita pratica" sono esse stesse illuminazione.

«Il saṃsara è in nulla differente dal nirvāna. Il nirvāna è in nulla differente dal saṃsara. I confini del nirvāna sono i confini del saṃsara.»
(Nāgārjuna. Mūlamadhyamakakārikā)

«Nel Buddhismo non c'è nessun nirvāna separato dal ciclo di vita morte [...]; non c'è nessun Dharma buddhista al di fuori della vita quotidiana»
(Dōgen, Shōbōgenzō)

«Dunque, la concezione per cui pratica e illuminazione non sono la stessa cosa è un punto di vista non buddhista. Dal punto di vista del buddhismo, pratica e illuminazione sono una cosa sola. Poiché in qualsiasi momento si tratta di pratica nell'illuminazione, la pratica del principiante è il vero corpo dell'illuminazione»
(Dōgen. Bendōwa in Aldo Tollini Pratica e illuminazione nello Shōbōgenzō. Roma, Ubaldini, 2001, pagg. 137-8)

«Mente, Buddha, esseri senzienti sono, parimenti, [la Via di mezzo]. Poiché tutti gli aggregati e le forme di sensibilità sono la realtà così come è, non c'è alcuna sofferenza da cui liberarsi. Poiché la nescienza e le afflizioni sono identiche al corpo illuminato, non c'è alcuna origine della sofferenza da sradicare. Poiché i due punti di vista estremi sono il Mezzo e le visioni erronee sono la Verità, non c'è alcun percorso da praticare. Poiché il samsara è identico al nirvana, non c'è alcuna estinzione [della sofferenza] da realizzare. Non essendoci né sofferenza né origine della sofferenza, nulla vi è di mondano; non essendoci né sentiero né estinzione, nulla vi è di sopramondano. C'è una sola, pura Realtà; non c'è nessuna entità al di fuori di essa. La tranquillità della natura ultima di tutte le entità è detta "calma"; il suo perenne splendore è detta "consapevolezza".»
(Guàndǐng, 灌頂, Yuándùn Zhǐguān 圓頓止觀)


«Questo è l'insegnamento più importante. È l'insegnamento che 'i desideri terreni sono Illuminazione' e 'le sofferenze di vita e morte sono Nirvana' ... Le sofferenze diventano Nirvana quando si comprende che l'entità della vita umana non viene né generata né distrutta nel suo ciclo di nascita e di morte.»
(Nichiren, Gosho)


«La consapevolezza che vede la Realtà come è,
È priva di smarrimento, è concentrazione e non lavorio mentale.
La consapevolezza della Realtà come si manifesta
è smarrimento, successiva conoscenza e lavorio mentale.»
(Gampopa. Il prezioso ornamento di Liberazione)


Gli appellativi del bodhisattva

La letteratura Mahāyāna offre diversi sinonimi o appellativi del termine bodhisattva. Una lista piuttosto completa la si riscontra nel Mahāyānasūtrālaṃkāra (L'ornamento del discorso del Veicolo Universale) dove, nel XIX capitolo ai versi 73-4 viene riportato questo elenco di quindici appellativi:
  1. mahāsattva: grande essere;
  2. dhīmat: saggio;
  3. uttamadyut: luminosissimo
  4. jinaputra: figlio del Vittorioso (del Buddha)
  5. jinādhāra: legato al Vittorioso (al Buddha)
  6. vietṛ: conquistatore;
  7. jināṅkura: discendenza del Vittorioso (del Buddha);
  8. īśvara: signore;
  9. vikrānta: audace;
  10. mahāyaśas vasta gloria;
  11. paramāścarya: il meraviglioso;
  12. kṛpālu: compassionevole;
  13. dhārmika: giusto;
  14. mahāpuṇya: grandemente meritevole;
  15. sārthavāha: guida delle carovane.

La Via del bodhisattva (bodhisattvayāna)

Il percorso di perfezionamento spirituale caratteristico del Buddhismo Mahāyāna è indicato come "Via del bodhisattva" (o Veicolo del bodhisattva, sanscrito bodhisattvayāna).
L'ingresso in questa "Via" si intraprende nel momento in cui il praticante mahāyāna realizza per la prima volta l'"aspirazione a conseguire l'Illuminazione" (bodhicitta), pronuncia il voto del Bodhisattva (praṇidhāna) a favore di tutti gli esseri senzienti e si impegna a praticare le "perfezioni" (pāramitā) e a rispettare i "precetti" (bodhisattvasaṃvara).
Da quel momento il bodhisattva si incammina lungo un percorso spirituale descritto in differenti modi dalle varie scuole Mahāyāna. Nelle scuole di origine Yogacara (dette anche Vijñānavāda o Cittamātra) ad esempio egli si avvia a percorrere i "cinque sentieri" (pañca-mārga).
Con l'inizio del terzo di questi "cinque sentieri", il bodhisattva diviene un āryabodhisattva avviandosi quindi ad entrare nelle "terre" (bhūmi) dei bodhisattva, indicate come dieci (daśa bhūmi). Anche queste terre vengono denominate e descritte in differenti modi dalle diverse scuole.
Raggiunta e completata l'ultima delle "dieci terre", denominata come Dharmameghabhūmi (Terra delle nuvole del Dharma, in alcune scuole indicata come Buddhabhūmi o anche Tāthāgatabhūmi) il bodhisattva acquisisce lo stato di Samyaksaṃbuddha (Buddha perfetto) potendo far "piovere" il Dharma su tutti gli esseri senzienti.



Il bodhisattva e l'aspirazione a conseguire l'Illuminazione" (bodhicitta)





Avalokiteśvara (tib. sPyan-ras-gzigs dbang-phyug) nella tradizione tibetana. Questo Avalokiteśvara è dipinto come Ṣaḍakṣarin (Signore delle sei sillabe: Ṣaḍ-akṣara) ovvero del mantra Oṃ Maṇi Padme Hūṃ. In qualità di Ṣaḍakṣarin, Avalokiteśvara sta seduto a gambe incrociate (padmāsana). Con le quattro mani regge: con la destra un rosario (Akṣamālā, in genere composto da 108 grani, ma in questo dipinto è composto dal sottomultiplo di 54) dove per ogni grano recita il mantra; con la sinistra regge un fiore di loto (padma) simbolo della purezza; con la coppia delle mani centrali, Avalokiteśvara regge una pietra preziosa denominata cintāmaṇi (pietra preziosa del pensiero) pronta ad esaudire ogni desiderio e qui rappresentata da un cristallo ovale di colore azzurro.






Il bodhisattva mahāsattva Mañjuśrī in una rappresentazione giapponese del XVI secolo conservata al British Museum. Mañjuśrī (giapp. 文殊 Monju) viene qui rappresentato come Siṃhāsana Mañjuśrī (Mañjuśrī a dorso di un leone ruggente). Tale raffigurazione ricorda la leggenda asiatica di un leone che aveva fatto resuscitare con un ruggito i propri cuccioli nati morti. La rappresentazione del "leone ruggente" richiama in Asia la capacità di provocare la rinascita spirituale. Mañjuśrī impugna con la mano destra la "spada" (khaḍga) ad indicare la distruzione dell'ignoranza (avidyā), mentre con la mano sinistra regge un rotolo dei Prajñāpāramitāsūtra con cui infonde la "sapienza" (prajñā).


La bodhisattva mahāsattva Prajñāpāramitā (Giava). Le mani sono poste nell'attivazione della Ruota del Dharma (dharmacakrapravartanamudrā). Pollice e indice della mano destra si toccano a formare al Ruota del Dharma, mentre quelle della sinistra la mettono in movimento. In quanto bodhisattva mahāsattva indossa una corona a "cinque foglie" (o "punte") che la indicano come una entità non soggetta alle leggi naturali.
L'avvio del percorso spirituale del bodhisattva consiste nello sviluppare la "mente del Risveglio" ovvero il pensiero di ottenere l'"Illuminazione" per il bene di tutti gli esseri senzienti:

«Sono il protettore dei non protetti, il capocarovana dei viaggiatori. Sono diventato la barca, la strada e il ponte di coloro che desiderano raggiungere l'altra riva. Possa io essere una luce per coloro che hanno bisogno di luce. Possa io essere un letto per coloro che hanno bisogno di riposo. Possa io essere un servo per coloro che hanno bisogno di servigi, per tutti gli esseri incarnati. [...] Così possa io essere di sostentamento in molti modi per il regno degli esseri innumerevoli che dimorano in ogni parte dello spazio, finché tutti non abbiano ottenuto la liberazione. Nello stesso modo in cui i Sugata passati assunsero la mente del risveglio, nello stesso modo in cui essi progredirono nell'addestramento del bodhisattva. Così ecco io stesso genererò la mente del risveglio per il benessere del mondo, e proprio così mi addestrerò in quei precetti secondo l'ordine dovuto.»
(Śāntideva. Bodhicaryāvatāra, cap. II "Adozione della mente del risveglio". Roma, Ubaldini, 1998 pag.59)


Il voto del Bodhisattva (praṇidhāna)

L'ingresso nella "Via del bodhisattva" (bodhisattvayāna, Veicolo dei bodhisattva) è preceduto da un voto pronunciato da un monaco o da un laico di fronte al proprio maestro e, idealmente, di fronte all'assemblea dei buddha.
Esistono diverse forme di voto del bodhisattva ma tutte si fondano sulla ferma decisione di raggiungere la bodhi al fine di salvare tutti gli esseri senzienti.

Le perfezioni del Bodhisattva (pāramitā)

Le pāramitā sono le "perfezioni" o "virtù" che il bodhisattva deve seguire e conseguire lungo il suo cammino di perfezionamento spirituale. Esse consistono in vissuti illuminati dalla saggezza superiore e che trascendono dalla discriminazione tra sé stessi e gli altri. Esistono due elenchi di pāramitā, uno composto da sei pāramitā (ṣaṣ pāramitā), ed è il più frequente, ed un secondo che aggiunge altre quattro pāramitā alle prime sei denominandosi daśa pāramitā (Dieci pāramitā). Questa ultima elencazione di dieci pāramitā è presente nel XXXI capitolo dell'Avataṃsakasūtra, il Daśabhūmika-sūtra (十住經, Shízhù jīng, giapp. Jūjū kyō, Sutra delle dieci terre) conservato al T.D. 286 dello Huāyánbù.
Le sei pāramitā:
  1. Dāna pāramitā: generosità, disponibilità;
  2. Śīla pāramitā: virtù, moralità, condotta appropriata;
  3. Kṣanti pāramitā: pazienza, tolleranza, sopportazione, accettazione;
  4. Vīrya pāramitā: energia, diligenza, vigore, sforzo;
  5. Dhyāna pāramitā: concentrazione, contemplazione;
  6. Prajña pāramitā: saggezza, comprensione;
I quattro aggiuntivi secondo il Daśabhūmika-sūtra sono:
7. Upāya pāramitā: abili mezzi;
8. Praṇidhāna pāramitā: voto, risoluzione, aspirazione, determinazione;
9. Bala pāramitā: forza spirituale;
10. Jñāna pāramitā: conoscenza.

I precetti del Bodhisattva (bodhisattvasaṃvara)

L'ingresso nella Via del bodhisattva e quindi il pronunciamente del voto di bodhisattva implica il rispetto di una serie di precetti.
Questi precetti mahāyāna sono elencati nei Canoni buddhisti cinese e tibetano conservando alcune differenze tra loro.
Nel Buddhismo afferente al Canone cinese i precetti del bodhisattva vengono elencati in dieci principali e quarantotto secondari.
Nel Buddhismo afferente al Canone tibetano i precetti del bodhisattva vengono elencati in diciotto principali e quarantasei secondari.



I "Cinque sentieri" del Bodhisattva (pañca-mārga)

Il Buddhismo Mahāyāna riprende la descrizione dei "Cinque sentieri" pañca-mārga di perfezionamento spirituale indicate dal Buddhismo dei Nikāya, segnatamente dalle scuole Sarvāstivāda e Sautrāntika. Tale approccio prevede che il bodhisattva proceda lungo cinque itinerari spirituali che, tuttavia, a differenza di quelli suggeriti dalle scuole hīnayāniche sono centrati al fine di far raggiungere la bodhi a tutti gli esseri senzienti piuttosto che la salvezza personale. I cinque sentieri del Mahāyāna conservano dunque gli stessi nomi di quelli delle scuole hīnayāniche e sono:
  1. Saṃbhāramārga (sentiero dell'accumulazione): inizia con il Voto del Bodhisattva (praṇidhāna) e finisce con l'accoglimento della dottrina della vacuità (śūnyatā); qui il bodhisattva procede "accumulando" 'meriti' indispensabili per il prosieguo del cammino.
  2. Prayogamārga (Sentiero dell'impegno): il bodhisttava abbandona le passioni ma può conservare ancora punti di vista erronei, riesce ad assumere su di sé le sofferenze degli esseri senzienti e quindi bruciare le proprie tendenze karmiche negative. L'ultima fase di questo sentiero, denominata Laukikāgradharma (Supremo Dharma mondano) può essere conseguito solo dagli esseri umani, in quanto questa forma di esistenza consente l'esperienza del dolore, esperienza indispensabile per il progresso spirituale. I deva, ovvero le divinità che vivono una condizione di felicità, non possono superare questo sentiero.
  3. Darśanamārga (Sentiero della visione): questo sentiero corrisponde all'ingresso nella prima "terra" (bhūmi) dei bodhisattva (Pramuditābhūmi, "Molto felice"). Il bodhisattva è ora un Āryabodhisattva (nobile bodhisattva), ha superato le passioni più grossolane, ha compreso in fondo la dottrina della vacuità, ha superato le nozioni erronee di esistenza inerente ai singoli elementi della Realtà, nasce quindi in lui un forte vissuto di felicità grazie alla consapevolezza di essere utile agli esseri senzienti e di poter raggiungere la bodhi definitiva.
  4. Bhāvanāmārga (Sentiero della pratica meditativa): questo sentiero corrisponde al procedere del bodhisattva tra la seconda terra Vimalābhūmi ("Terra della Purezza") e la decima terra Dharmameghabhūmi ("Terra delle Nuvola del Dharma"). Il suo progredire costante per mezzo del Nobile Ottuplice Sentiero (ārya aṣṭāṅgika mārga) gli fa abbandonare le condizioni negative latenti. Il tragitto lungo le dieci terre è lunghissimo, secondo le fonti tradizionali occorrono due asaṃkhyeya kalpa (due eoni incalcolabili)
  5. Aśaikṣamārga (Sentiero che va oltre gli apprendimenti): il bodhisattva è ora un buddha completo, un samyaksaṃbuddha.

Le "Dieci terre" del Bodhisattva (daśa bhūmi)

Il Daśabhūmikasūtra è il sūtra principale che enuncia la dottrina delle bhūmi, indicando nella bodhicitta (Mente del Risveglio, ovvero l'aspirazione ad ottenere il Risveglio) il primo passo per entrarvi. Di seguito l'elencazione e la illustrazione delle daśa bhūmi così come presentata nel Daśabhūmikasūtra:
  1. Pramuditābhūmi ("Terra della Grande gioia")
    • Così indicata in quanto il bodhisattva si sente prossimo all'"illuminazione" e comprendendo il beneficio che questa reca a tutti gli esseri senzienti prova un sentimento di "grande gioia"; in questa bhūmi si perfeziona ogni virtù, ma in particolare la pāramitā della "generosità" (dāna).
  2. Vimalābhūmi ("Terra della Purezza")
    • Attraversando la seconda bhūmi, ci si libera dall'immoralità, conquistando la purezza; in questa bhūmi si pratica la pāramitā della "disciplina morale" (śīla).
  3. Prabhākarībhūmi ("Terra che illumina")
    • Quando si raggiunge questa bhūmi il bodhisattva illumina con la luce (della sua comprensione del Dharma) tutto il mondo che lo circonda; la pāramitā prediletta è la "pazienza" (kṣānti).
  4. Arciṣmatibhūmi ("Terra Radiante")
    • Questa bhūmi è detta 'radiante' perché qui il bodhisattva con la pratica della pāramitā della vīrya e dei saptatriṃśad-bodhi-pakṣikādharmāḥ (Trentasette fattori della illuminazione) è come una forte luce che brucia tutto ciò che si oppone all'illuminazione stessa.
  5. Sudurjayābhūmi ("Terra impegnativa da superare")
    • Quando ottiene questa bhūmi il bodhisattva cerca di aiutare gli esseri senzienti a ottenere la maturità, ma non si lascia coinvolgere emotivamente quando tali esseri rispondono negativamente impedendo così a Māra, il tentatore dello stesso Gautama Buddha, di avere la meglio, e ciò è molto difficile; la pāramitā praticata è la concentrazione meditativa (dhyāna).
  6. Abhimukhībhūmi ("Terra in vista della Realtà", o "Terra faccia a faccia")
    • Dipendendo dalla perfezione della coscienza della sapienza, il bodhisattva non è più vincolato al saṃsāra ma non ha ancora raggiunto il nirvāṇa anche se lo vede "faccia a fiaccia"; la pāramitā enfatizzata è la saggezza (prajña).
  7. Dūraṃgamābhūmi ("Terra che procede lontano")
    • Il bodhisattva giunto a questo punto è in grado di vedere la Realtà per come essa è (Tathātā). Comprende la base di ogni esistente (bhūtakoṭivihāra) ed è in grado di utilizzare gli "abili mezzi" (upāya), per aiutare il prossimo.
  8. Acalābhūmi ("Terra immutabile")
    • Il bodhisattva ora non è più spinto dai pensieri inerenti alla vacuità (śūnyatā) o quelli inerenti ai fenomeni (dharma). Coltivando la pāramitā del "voto risoluto" (pranidhana) egli è in grado di attraversare liberamente i diversi piani di esistenza.
  9. Sādhumatībhūmi ("Terra del Buon discernimento")
    • Qui il bodhisattva acquisisce le quattro conoscenze analitiche (pratisaṃvid) e si perfeziona nella pāramitā della "forza spirituale" (bala) .
  10. Dharmameghabhūmi ("Terra delle Nuvola del Dharma")
    • Il corpo del bodhisattva è ora luminoso, costituito da pietre preziose ed egli è in grado di operare miracoli al di fuori delle leggi della natura a favore di tutti gli esseri senzienti. Egli in questa terra si perfeziona nella conoscenza trascendentale (jñāna).
Con il superamento delle dieci bhūmi, secondo il Buddhismo Mahāyāna, il bodhisattva consegue l'Illuminazione completa (l'anuttarā-samyak-saṃbodhi) e diviene un buddha.
Da tener presente, come nota Nakamura Hajime, che in alcune tradizioni buddhiste afferenti al Canone cinese, come le scuole Chán e Zen, il percorso del bodhisattva viene inteso attraverso non un procedere graduale ma immediato ovvero per tramite una "illuminazione" (, giapp, satori) raggiunta subitaneamente. Allo stesso modo alcune tradizioni afferenti al Canone tibetano nonché al Buddhismo esoterico estremo-orientale, ritengono che per mezzo di alcune pratiche dette "tantriche" l'obiettivo dell'anuttarā-samyak-saṃbodhi possa essere conseguito "in questo corpo e in questa vita".



I Bodhisattva cosmici (Mahāsattva) del Buddhismo Mahāyāna

Nei testi religiosi del Buddhismo Mahāyāna e del Mahāyāna-Vajrayāna compaiono spesso dei bodhisattva pienamente illuminati che hanno raggiunto l'apratiṣṭhita-nirvāṇa (nirvāṇa non statico o non dimorante), il nirvāṇa completo del Mahāyāna ma che, tuttavia, rinunciano all'estinzione completa (parinirvāṇa) propria dei buddha scegliendo quindi di rinascere per aiutare gli esseri senzienti. Questi esseri vivono quindi nel saṃsāra ma non ne sono coinvolti.
Tali bodhisattva sono indicati come bodhisattva mahāsattva (grandi esseri) e sono dotati dei completi poteri (bāla) e perfezioni (pāramitā) complete acquisite con il raggiungimento di tutte le "Dieci terre" (daśa-bhūmi) dei bodhisattva. Tali bodhisattva mahāsattva non sono soggetti alle "leggi naturali", possono acquisire differenti forme fenomeniche e apparire contemporaneamente in più luoghi, grazie ai meriti karmici (puṇya) acquisiti possono trasferire tali meriti a quegli esseri senzienti con un karman negativo per alleggerire lo stesso.
Nei paesi di cultura Mahāyāna e Mahāyāna-Vajrayāna questi bodhisattva mahāsattva hanno dei propri culti che li accostano alle divinità (deva) protettrici del Buddhismo, ma non devono essere confusi con queste ultime in quanto le "divinità" sono di rango assolutamente inferiore non avendo realizzato alcun tipo di nirvāṇa e nemmeno avviato il percorso delle bhūmi dei bodhisattva e quindi sono collocate a pieno titolo nel saṃsāra soffrendone le conseguenze.
Tra i bodhisattva mahāsattva presenti nella letteratura Mahāyāna e Mahāyāna-Vajrayāna e nei relativi culti religiosi, ricordiamo:
  • Ākāśagarbha (Colui che ha origine nell'etere): nella letteratura non gli viene attribuita alcuna funzione precisa se non una generica "protezione della saggezza".
  • Avalokiteśvara (Colui che ascolta i dolori del mondo): è considerato il bodhisattva della compassione.
  • Kṣitigarbha (Colui che origina dalla Terra): è il bodhisattva protettore dei monaci buddhisti e dei defunti, in particolare ha cura degli esseri senzienti dal parinirvāṇa del Buddha Śākyamuni fino all'avvento del prossimo buddha Maitreya.
  • Mahāsthāmaprāpta: è inteso come la "saggezza" del Buddha Amitbāha. Rappresenta anche uno degli otto grandi bodhisattva del Buddhismo esoterico sino-giapponese.
  • Maitreya (il Buono): è l'unico bodhisattva menzionato nel Canone pāli (Metteya), secondo alcune tradizioni si manifesterà come buddha trascorsi cinquemila anni dal parinirvāṇa del Buddha Śākyamuni. Attualmente risiede nel paradiso di Tuṣita con il nome di bodhisattva Nātha.
  • Mañjuśrī (Bellezza amabile): insieme ad Avalokiteśvara è considerato il bodhisattva mahāsattva più importante. Rappresenta, tutela e infonde la "saggezza" e la "sapienza" (prajñā). Protegge coloro che studiano la dottrina buddhista offrendo loro le capacità di comprensione, memoria e intelligenza.
  • Prajñā o Prajñāpāramitā (Saggezza): è una bodhisattva mahāsattva femminile, legata alla "saggezza" e come tale "madre" di tutti i buddha. Nel tempo è stata associata a Tārā.
  • Samantabhadra (Pieno di benedizioni): nel Buddhismo indiano è inteso come il protettore di coloro che diffondono il Dharma buddhista; nel Buddhismo tibetano è inteso come colui che esprime la karuṇā; nel Buddhismo di riferimento del Canone cinese è inteso come colui che protegge i praticanti la meditazione.
  • Tārā (Stella): è una bodhisattva mahāsattva femminile. Originariamente considerata emanazione di Avalokiteśvara, essendo nata da un fiore di loto sorto da un lago in cui si erano raccolte le lacrime di questo bodhisattva cosmico, versate alla vista delle sofferenze degli esseri senzienti, Tārā acquisirà nei secoli una propria fisionomia legata al ruolo di "madre" degli esseri senzienti e loro salvatrice. Molte entità bodhisattviche femminili sono associate a Tārā assumendone la fisionomia e differenziadosi per i differenti colori.
  • Vajrapāni (Colui che impugna il vajra): è inteso come colui che accompagna e protegge il Buddha Śākyamuni.

Galleria di rappresentazioni figurative di bodhisattva cosmici

  • Siddhartha Gautama rappresentato come un bodhisattva. Gandhāra, II-III secolo.
  • Bodhisattva. Gandhāra, II-III secolo.
  • Assemblea di bodhisattva. Cina, VI secolo.
  • Murale di bodhisattva. Cina, Dinastia Tang.
  • Ākāśagarbha. Giappone, IX secolo.
  • Murale di un bodhisattva. Cina, X secolo.
  • Avalokiteśvara. India, XI-XII secolo.
  • Mahāsthāmaprāpta. Cina, XIII secolo.
  • Mañjuśrī attraversa il mare. Giappone, XIV secolo.
  • Kṣitigarbha. Giappone, XV secolo.
  • Samantabhadra. Giappone.
  • Maitreya. Tibet.







sabato 7 maggio 2016

Hiraga Genshin

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Hiraga Genshin (平賀 源信; ... – 1536) è stato un samurai giapoonese.
Hiraga Genshin era un servitore del clan Takeda durante il periodo Sengoku. Fu attaccato da Takeda Nobutora nella battaglia di Un no Kuchi del 1536 ma lo respinse e costrise al ritiro. Fu il figlio di Nobutora, Takeda Shingen, all'epoca quindicenne e chiamato 'Takeda Harunobu', che raggruppò gli uomini e li guidò alla vittoria durante la quale Hiraga perse la vita.

venerdì 6 maggio 2016

Chang Naizhou

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Chang Naizhou 苌乃周 (cinese) (Sishui, 1724 – 1783) è stato un insegnante cinese.
苌乃周, Chang Naizhou (pinyin). Zi Luochen (洛臣), anche chiamato Chang Chuncheng (苌纯诚) o Chang San (苌三). Ha creato il Changjiaquan ed ha scritto un testo di riferimento per le arti marziali Changshi wuji shu (苌氏武技书).

Note biografiche

Nel 1724 nasce nel villaggio Sishui (汜水, odierno Xingyang 荥阳) nella provincia di Henan in Cina. È un discendente di un condottiero della dinastia Ming, tale Chang Shouzhong. Chang Naizhou studiò i classici cinesi e poi iniziò a studiare arti marziali cinesi. Durante il regno dell'imperatore Qianlong della dinastia Qing, prese parte agli esami imperiali militari dove ottenne un grado alto. Dopo questo avvenimento entrò in contatto con numerosi maestri ed ebbe occasione di averne gli insegnamenti:
  • da Zhang Ba (张八) apprese l'uso della lancia ed il pugilato:
  • da Yu Rang apprese Huanhou ba qiang (桓侯八枪, anche chiamata Yide da qiang), tecnica di lancia insegnata gelosamente all'interno del clan Yu;
  • da Liang Dao (梁道) apprese le tecniche di combattimento di bastone (Gunfa 棍法);
  • da Yan Shengdao (阎圣道) di Luoyang apprese il Luohanquan;
  • nella contea di Huaxian in Henan apprese il Meihuaquan;
  • nel villaggio della famiglia Chen (陈家沟) nella contea di Wenxian (温县) apprese il Chenshi taijiquan;
  • apprese poi: Ziquan (字拳, di cui ha appreso 40 metodi 四十法); Zuiquan; Yuanhou bang (猿猴棒, di cui ha studiato 32 tecniche 猿猴三十二棒); ecc.
Da queste esperienze e dalle sue conoscenze dei Classici e della medicina tradizionale cinese egli diede vita ad un nuovo stile che prese il nome di Changshi wuji o Changjiaquan. Nel 1781 pubblica il libro Changshi wuji shu.



giovedì 5 maggio 2016

Hirate Masahide

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Hirate Masahide (平手 政秀; 1492 – 25 febbraio 1553) fu un samurai giapponese del periodo Sengoku servitore del clan Oda. Il suo nome originale fu Hirate Kiyohide (平手 清秀)..


Biografia

Masahide servì inizialmente Oda Nobuhide. Era un samurai talentuoso e esperto anche di Sadō e Waka. Questo lo portò a essere un diplomatico qualificato che trattava con lo shogunato Ashikaga e i deputati dell'Imperatore. Nel 1533 un noto reggente chiamato Yamashina Tokitsugu visitò la provincia di Owari, dominio del clan Oda. Trovandosi di fronte a una superba accoglienza Tokitsugu lodò l'operato di Masahide. In un'altra occasione visitò Kyoto in nome di Nobuhide per raccogliere i fondi necessari per riparare la residenza dell'Imperatore.
Quando nacque il figlio di Nobuhide, Nobunaga, nel 1534, Masahide divenne il secondo Karō (funzionari e consiglieri samurai di rango superiore) nonché il tutore dell'erede appena nato. Nel 1547 Nobunaga ebbe la sua cerimonia per il raggiungimento della maggiore età e in occasione della sua prima battaglia Masahide servì accanto a lui. L'anno successivo si adoperò per raggiugnere una pace tra Nobuhide e il suo rivale Saitō Dōsan nella provincia di Mino e organizzò il matrimonio tra Nobunaga e la figlia di Dōsan, Nōhime. Questa mossa permise al clan Oda di concentrare le sue forze contro il clan Imagawa. Masahide servì fedelmente gli Oda in molti modi, ma era anche profondamente turbato dall'eccentricità di Nobunaga. Dopo la morte di Nobuhide, il suo malcontento aumentò e così anche le sue preoccupazione sul futuro di Nobunaga. In preda alla disperazione e come monito per Nobunaga, Masahide commise seppuku nel 1553.
Il suicidio di Masahide è comunemente conosciuto come la storia di un fedele e premuroso servitore che rimprovera il suo giovane capo attraverso la propria morte. Tuttavia alcune fonti riportano storie diverse. Alcuni credono che Masahide si sentì responsabile del comportamento eccentrico di Nobunaga e si prese le proprie responsabilità attraverso la morte. Altri credono Nobunaga chiese il cavallo di Masahide e questi rifutò, facendolo trovare in una situazione difficile. Altri ancora ritengono che ci furono conflitti con altri servitori del clan.
Nobunaga non è divenne meno eccentrico dopo la morte di Masahide, ma afflitto per la perdita costruì in suo ricordo lo Seishu-ji (政 秀 寺), un tempio buddista dedicato a lui dedicato.


mercoledì 4 maggio 2016

Date Hidemune

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Date Hidemune (伊達 秀宗; 11 novembre 1591 – 8 luglio 1658) è stato un daimyō giapponese della fine del periodo Sengoku e l'inizio del periodo Edo, appartenente al clan Date.
Figlio maggiore di Date Masamune nacque nel 1591 da Lady Iisaka (una concubina). Divenne maggiorenne vivendo con Toyotomi Hideyoshi e ricevette da quest'ultimo parte del suo nome quando prese il nome adulto di Hidemune. Quando Hideyoshi morì nel 1590, fu tenuto come ostaggio nella residenza di Ukita Hideie.
Pur essendo il figlio maggiore di Masamune, Hidemune non poté succedere al padre nel dominio di Sendai poiché figlio di una concubina. Masamune comunque considerò l'ipotesi di far iniziare con Hidemune un nuovo ramo familiare. Questo fu possibile nel 1614 quando padre e figlio presero parte alla campagna di Osaka; Hidemune ricevette come ricompensa il dominio di Uwajima (di 100.000 koku) che era stato garantito da Tokugawa Ieyasu a Masamune.
Hidemune prese possesso del suo feudo come daimyō e lo governò fino al suo ritiro nel 1657.

martedì 3 maggio 2016

Kabeala

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Il kabeala (anche conosciuto come kabela, kabeàla o kabiala, termine che significa
"Parang" o "Golok" in lingua kambera) è un'arma tradizionale indonesiana originaria dell'isola di Sumba.

Descrizione

Il kabeala ha una lama con dorso diritto e filo piuttosto convesso. La lama si allarga leggermente verso la punta e nella parte terminale il dorso si curva andando a convergere verso il filo. L'elsa è robusta e a circa metà della sua lunghezza presenta una curva con un angolo di 45 gradi. Il fodero è dritto e ha diverse strisce di tessuto che tengono unite le due parti di cui è composto. L'apertura ha una sporgenza obliqua dalla parte del filo della lama.



Uso rituale

Durante i funerali una persona viene scelta per assumere il ruolo di un papanggang ("schiavo") per il quale gli uomini portano un kabeala mentre le donne portano un coltello detto kahidi yutu o leiding. L'abbigliamento tradizionale di un papanggang maschio include un kabeala nero, che rappresenta un simbolo principesco.

lunedì 2 maggio 2016

Liṅga Purāṇa

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Il Liṅga Purāṇa (devanagari लिङ्ग पुराण; adattato in Linga Purana) è uno dei più importanti tra i diciotto Purāṇa maggiori, testi religiosi hindū. Il testo contiene la descrizione dell'origine dell'universo, del linga, e della comparsa di Brahma, Vishnu e di tutti i Veda dal linga stesso. In questo Purāṇa, Shiva afferma direttamente l'importanza del culto dei linga e dei rituali corretti da eseguire nella pūjā del linga.

Suddivisione e contenuti

Mukhaliṅga risalente all'epoca Gupta, Bhumara, Madhya Pradesh. Il mukhaliṅga è un liṅga con la figura di Shiva in bassorilievo.
Il testo è suddiviso in cinque parti fondamentali che trattano di argomenti distinti:
  • Prima parte: viene descritta l'origine del linga e illustrata in dettaglio la relativa cerimonia di adorazione. Vi sono inoltre sezioni che illustrano la creazione del cosmo, l'immolazione di Kama, il matrimonio di Shiva, la descrizione di Surya, Soma e degli avatāra di Vishnu: Varaha e Narshimha.
  • Seconda parte: viene descritta l'importanza della figura di Vishnu e l'emergere di Brahma quale creatore del cosmo. Vi sono poi altri racconti comprendenti le descrizioni dei vari aspetti di Shiva.
  • Terza parte: contiene la descrizione delle sette isole, del Monte Meru e altre importanti montagne. Vi è anche una descrizione di Brahma che assegna l'attributo divino a diverse divinità, tra cui lo splendore di Surya.
  • Quarta parte: vi sono alcune narrazioni, tra cui quella di Dhruva quale supremo devoto; sull'origine di diverse divinità; sui dettagli delle dinastie Aaditya e Yadu; sull'ascesa di Andhak alla posizione di signore dei Gana; l'annientamento del demone Jalandhar; l'origine di Ganesha.
  • Quinta parte: comprende la storia di Upamanyu, il significato di alcuni mantra, l'importanza del guru. Vengono infine descritti i diversi tipi di yoga e la procedura per l'installazione del linga.





domenica 1 maggio 2016

Hōjō Genan

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Hōjō Gen'an (北条幻庵; 1493 – 12 agosto 1589) è stato un samurai giapponese appartenente al clan Hōjō durante il periodo Sengoku.
Hōjō Gen'an, conosciuto anche come Hōjō Nagatsuna, è stato il terzo figlio di Hōjō Sōun e fu un pilastro di lunga data del clan Hōjō. Scelse di trasferirsi a Kyoto e divenne noto per le sue ricerche culturali e la voglia di studiare. Nel 1569 perse il figlio maggiore Shinzaburô Tsunashige e il suo secondo figlio Nagatoshi in battaglia con Takeda Shingen. Per consolarlo il nipote Hōjō Ujiyasu dette brevemente in adozione a Gen'an il proprio settimo figlio, Ujihide. Gen'an servì come consigliere del clan con Hōjō Ujinao. Viene ricordato per la sua abilità al tamburo e al flauto, oltre all'uso a cavallo di arco e frecce.
Probabilmente è stato il samurai che visse maggiormente durante il periodo Sengoku. Fu ricordato negli anni successivi per la sua distinta figura che indossava un kimono nero. Poiché Ujihide fu scelto per essere adottato da Uesugi kenshin, Gen'an fu succeduto dal nipote Hōjō Ujitaka.
Morì il 12 agosto 1589.
Figli: Tsunashige (Shinzaburō; morto 1569), Nagatoshi (morto 1569).

sabato 30 aprile 2016

Haniwa

Guerriero haniwa


Gli haniwa (埴輪) sono delle figure di terracotta fabbricate a scopo rituale per essere seppellite con i morti insieme agli altri oggetti funerari ed utilizzati soprattutto nel periodo Kofun (III - VI secolo) in Giappone. Grazie al ritrovamento di queste statue abbiamo una conoscenza dettagliata delle armi e delle armature della casta guerriera sviluppatasi in questo particolare periodo della storia giapponese.
I ritrovamenti più importanti di haniwa sono situati nell'isola di Honshū, particolarmente nella regione di Kansai (Prefettura di Nara) e nella parte settentrionale dell'isola di Kyūshū. Le offerte funerarie delle statue haniwa assunsero molteplici forme, quali cavalli, pollame, uccelli, pesci, abitazioni, armi, scudi, cuscini e di esseri umani femminili e maschili. Oltre alle motivazioni di carattere artistico e religioso, le statue haniwa avevano anche lo scopo di delimitare spazialmente il tumulo del defunto.
L'uso delle offerte haniwa ebbe inizio a partire dalla fine del periodo Yayoi, all'interno del regno di Kibi. Fu proprio in questa epoca che iniziarono ad apparire figurine e vasellami in terracotta nelle tombe dei capi politici e militari. Secondo la leggenda popolare giapponese, questa pratica nacque quando un antico imperatore, scandalizzato e commosso dalla pratica di seppellire persone vive nelle tombe dei membri della famiglia imperiale, decise di sostituire le persone vere con delle copie in terracotta. Tuttavia questo resoconto popolare sull'origine degli haniwa non sembra avere fondamento in quanto non esiste prova alcuna dell'uso di seppellire i dignitari vivi, come invece era costume in Cina, e soprattutto per il fatto che le figure umane comparvero relativamente tardi nell'uso di questi oggetti funerari; sembra infatti che i primi haniwa fossero delle semplici colonne cilindriche, mentre la rappresentazione più tarda di esseri viventi e di oggetti della vita comune sembra derivare dalla volontà di ricreare per l'aldilà un mondo più familiare al deceduto.
Queste statuette venivano prodotte artigianalmente da una casta specializzata nella produzione in terracotta, si trattava di un gruppo di artigiani che tramandava la propria arte per via ereditaria e chiamati dalla collettività be. I be erano legati da un rapporto lavorativo e di sudditanza alle caste familiari più importanti nella società del tempo, le famiglie uji.



venerdì 29 aprile 2016

Kalis

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Il kalis è una tipica spada a doppio filo delle Filippine, largamente usata nelle isole di Sulu e Mindanao.

Storia

Si pensa che il kalis sia nato nel XIII secolo nell'isola di Giava, in Indonesia, per poi migrare nelle Filippine. Quest'arma può essere considerata una variante del kriss indonesiano, seppur con alcune differenze estetiche.
Rispetto al kriss, il kalis è di dimensioni maggiori: può infatti raggiungere i 70 cm complessivi di lunghezza. La lama, normalmente lunga tra i 50 e i 55 cm, è divisa in due parti: mentre la prima metà della lama è pressoché identica a quella di un kriss (ovvero una lama serpentina) la parte finale e la punta di questa spada hanno una forma dritta. Questa singolare forma della lama le conferisce un potere multiuso: la parte dritta viene utilizzata per tagliare, mentre la parte serpentina è perfetta per infilzare.
Il manico del kalis è costituito di legno duro ma si possono anche trovare rari e preziosi esempi di kalis con else fatte di oro, argento e avorio. Al fondo dell'elsa vi è un pomolo rappresentante la testa di un cacatua o, assai raramente, di una zampa di cavallo.

giovedì 28 aprile 2016

Yau Kung Moon

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Yau Kung Moon (柔功门, Traducibile con Scuola dell'abilità morbida, Rougongmen in Pinyin) è una scuola di arti marziali cinesi classificabile come Nanquan.

Storia

Nonostante alcuni allievi rivendichino un'origine nel periodo dell'epoca della dinastia Tang sembrerebbe uno stile composito di recente formazione, frutto dell'unione di Baimeiquan, Cailifo, e Liuhe Tanglangquan. Secondo la trasmissione orale della Scuola lo stile sarebbe originario di Shaolin e sarebbe stato trasmesso durante il secolo scorso nel Tempio Baimiao Jiuyuansi (白庙九源寺) nel Guangdong da un anziano monaco. Questo monaco avrebbe trasmesso lo stile a Chenglai (乘来) e a Jielai (杰来). Il secondo a sua volta lo insegnò a Tie Yin (铁隐), un monaco Buddista. Tie Yin trasmise lo stile a Xia Hanxiong (夏汉雄,1892-1962) una persona originaria di Gaoming (高明) in Guangdong. Nel 1924 Xia Hanxiong ha fondato nel porto Liwan di Canton (广州) l'Associazione Sportiva Xia Hanxiong (夏汉雄体育会, Xia Hanxiong Tiyu Hui). Il figlio di Xia Hanxiong, Xia Guozhang (夏国璋), ha appreso dal padre lo stile. Xia Hanxiong ricevette anche gli insegnamenti del fratello Ha Sang nel Cailifo e di Cheung Lai Chun (张礼泉, Zhang Liquan) nel Baimeiquan. Il Rougongmen è oggi diffuso negli Stati Uniti, in Canada, in Australia ed altri paesi. Oltre al figlio sono citati come allievi di Xia Hanxiong, Lai Zuying 赖祖英, Liang Shaohai 梁少海, Guo Qitai郭其泰, Huang Yaowei 黄耀威, ecc.


mercoledì 27 aprile 2016

Hōjō Sōun

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Hōjō Sōun (北條早雲; 1432 – 8 settembre 1519) fu il primo capo e fondatore del clan Hōjō, uno dei più potenti clan del periodo Sengoku.
Nato come Ise Moritoki, al tempo conosciuto come Ise Shinkurō, un samurai con discendeza dai Taira e da una rispettata famiglia di ufficiali dello shogunato. Sebbene appartenesse soltanto ad un ramo lontano della principale e più prestigiosa famiglia Ise, portò fama e gloria al suo clan guadagnando territorio e cambiando il suo nome successivamente alla morte in imitazione del più illustre Hōjō.
Tradizionalmente Sōun ebbe la reputazione di rōnin che guadagnò improvvisamente potere nel Kanto; tuttavia egli apparteneva ad una famiglia di prestigio del tempo che era direttamente al servizio degli shogun Ashikaga ed aveva importanti legami familiari. Sua sorella era sposata con Imagawa Yoshitada, uno dei più potenti daimyō che discendeva da un ramo principale della famiglia Ashikaga. Sōun divenne inizialmente un servitore del clan Imagawa, e quando Yoshitada morì in battaglia nel 1476, mediò durante la disputa per la successione tra il figlio di Yoshitada, Imagawa Ujichika ed il cugino di Yoshitada, Oshika Norimitsu. Fu tuttavia una pace temporanea. Quando Norimitsu cercò nuovamente di prendere il controllo del clan Imagawa, Sōun venne in aiuto in difesa di Ujichika, sconfiggendo ed uccidendo Norimitsu. Sōun fu quindi premiato da Ujichika con il castello di Kokukuji. Ottenne il controllo della provincia di Izu nel 1493, vendicando un torto commesso da un membro degli Ashikaga. Con l'invasione e la conquista della provincia di Izu, Sōun è accreditato dagli storici come il primo "Sengoku Daimyō".
Circa nel 1475, con il nome di Ise Shinkurō, servì gli Imagawa, i protettori della provincia di Suruga, e poco dopo divenne un "signore indipendente" con numerosi guerrieri che si univano a lui. Nel 1491 fu in grado di prendere Horigoye dopo la morte del Kanto Kubo (titolo equivalente allo shogun) Ashikaga Masatomo, conquistandosi il controllo della provincia di Izu. Adottò poco dopo il nome Sōun o Sōzui. Dopo aver costruito una roccaforte a Nirayama, Sōun fortificò il castello di Odawara nel 1494, che divenne il centro del potere della famiglia Hōjō per quasi un secolo. Con un atto di tradimento, s'impadronì del castello dopo che il suo signore fu ucciso mentre era a caccia. Nel 1516 mise sotto assedio il castello di Arai, e "divenne il vero padrone di tutta la provincia di Sagami."
Sōun morì l'anno successivo, e passò il comando del nuovo Hōjō a suo figlio Ujitsuna, che cambiò subito dopo il nome del clan dall'originale famiglia Ise a Hōjō e quello di suo padre Hōjō Sōun. Nel 1521 Ujitsuna costruì il tempio Sōun-ji in memoria del padre.
Oltre per la sua abilità politica e militare, Shinkuro è ricordato come un amministratore di talento, guadagnò il favore dei contadini nella sua terra abbassando le tasse al quaranta per cento (dal settanta per cento). È ricordato anche per la composizione del Soun-ji Dono Nijuichi Kajo, o 'Ventuno articoli del Signor Sōun', una lista di cose da fare e non destinato ai futuri servitori della clan Hôjō. Molti studiosi considerano l'anno in cui Sōun conquistò Izu come l'inizio del periodo Sengoku, e Sōun stesso è ricordato come uno dei primi e migliori esempi di "gekokujo" (i deboli che sconfiggono i forti) in azione. Sōun, relativamente sconosciuto, fu in grado di prendere possesso di una provincia senza il decreto Imperiale o permesso dello Shōgun.

martedì 26 aprile 2016

Hori Hideharu

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Hori Hideharu (堀秀治; 1575 – 1606) fu un samurai giapponese del periodo Sengoku, figlio di Hori Hidemasa e servitore di Toyotomi Hideyoshi.

Biografia

Hideharu fu il figlio maggiore ed erede di Hori Hidemasa. Gli furono affidate delle terre a Echigo dopo la morte del padre e nel 1598 i suoi possedimenti furono ampiati a 350.000 koku. Poco prima della campagna di Sekigahara Hideharu ebbe una disputa con Uesugi Kagekatsu del vicino feudo di Aizu, e successivamente svolse un ruolo marginale nell'armata "Orientale" per sconfiggere il clan Uesugi. Morì in giovane età, spingendo alcuni a interrogarsi se Tokugawa Ieyasu fosse implicato nella sua prematura scomparsa. Suo figlio, Hori Tadatoshi, fu accusato di incompetenza nel 1610, perse il suo feudo a Takato nella provincia di Echigo e fu esiliato nella provincia di Mutsu.


lunedì 25 aprile 2016

Ki (filosofia)

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Il termine cinese qi, in giapponese ki o anche ci in coreano (forma più antica) è il nome dato all'energia "interna" del corpo umano ricorrente in tutte le aree soggette all'influenza culturale cinese (Giappone, Corea) ma spazia da ambiti prettamente filosofici alle arti marziali o la medicina tradizionale cinese fino alla geomanzia, idraulica, pittura, calligrafia e poetica. La pronuncia in italiano è "ci".
In particolare il termine sinogiapponese Ki è l'elemento centrale costitutivo del vocabolo giapponese Aikido 合気道 (scritto in kanji) od anche 合氣道 (usando la grafia non semplificata), di cui il termine Ki costituisce il concetto essenziale.
"il ch'i al mattino è fresco, a mezzogiorno è stanco, a sera è esaurito, un abile generale evita chi ha un ch'i fresco ed attacca chi ha ormai un ch'i stanco ed esaurito. Questa è l'arte di padroneggiare il chi'i" - Sun Tzu



Traslitterazione

Il termine Ki è presente sia nella lingua giapponese che in quella cinese. Dato che queste lingue condividono in parte il sistema di scrittura ma il giapponese utilizza pronunce adattate dei termini cinesi, le traslitterazioni nell'alfabeto latino non sempre risultano univoche. La traslitterazione dal giapponese è quindi Ki, secondo il sistema Hepburn, mentre dal cinese esistono due possibili traslitterazioni in uso: la prima segue il metodo Wade-Giles ed è C'hi, la seconda segue il metodo Pinyin ed è .


Storia del Ki

Il concetto orientale di KI è di difficile definizione.
In Giappone, tale termine è usato quotidianamente a partire dall'instaurarsi della cultura cinese. Il KI esprime il concetto delle energie fondamentali dell'universo, di cui fanno parte la natura e le funzioni della mente umana. Nell'antica Cina, poiché era visto come la forza che originava tutte le funzioni fisiche e psicologiche, il concetto di KI venne ampiamente utilizzato nella medicina tradizionale cinese, nelle arti marziali ed in molti altri aspetti della vita. Il concetto di KI fu utilizzato per determinare il massimo livello della forza dei soldati, per scegliere in base a ciò il movimento militare idoneo. In seguito, lo studio dei KI divenne una forma di pratica di predizione del destino, mediante l'abilità dell'indovino di leggere il KI di un individuo.
Nella cultura tradizionale induista il termine con significato corrispondente è il vocabolo sanscrito Prana.
Nella cultura tradizionale occidentale, il significato del termine latino spiritus di cui il vocabolo Ki è termine equivalente, traduce la parola greca πνευμα (pneuma, il soffio vivificatore) da πνειν (soffiare) e questa a sua volta traduce la voce ebraica rû:ăh (accento sulla u e suono gutturale aspirato finale). La rû:ăh ebraica (che a differenza degli altri termini è invece un sostantivo femminile), in relazione all'ambito della natura indicava il soffio del vento, in relazione all'ambito di Dio significava la sua forza di creare la vita e di imprimere un senso alla storia, in relazione all'ambito dell'Uomo ne indicava non solo il suo essere vivo, ma anche il suo respiro ed il suo alito.



Il KI nella filosofia

La possibile traduzione dell'ideogramma KI, è Essenza Individuale, cioè quella peculiare caratteristica che distingue ogni essere da tutti gli altri. Secondo una interpretazione spirituale o filosofica potremmo parlare di Anima, di Microcosmo, di Coscienza, di Psiche oppure più concretamente di Personalità, Individualità, Carattere, Identità. Ciò che importa stabilire ora è l'esistenza di una energia che muove dall'interno del nostro corpo (inteso come sistema Mente/Corpo) e gli permette di interagire con la realtà. La cellula è l'unità fondamentale della materia vivente, il suo cuore è il nucleo, il suo corpo è la membrana citoplasmatica. La membrana plasmatica non è solamente una barriera passiva tra l'ambiente esterno e quello interno della cellula, ma è capace di governare il passaggio delle sostanze che l'attraversano. Durante lo sviluppo dell'organismo, sono le cellule che evolvendosi e specializzandosi formano i tessuti. La cellula consiste quindi dei componenti essenziali, necessari al processo vitale, in grado di fornire a tutto l'organismo energia e materiali di costruzione. Il complesso delle reazioni che generano energia è detto respirazione interna, per distinguerlo dalla respirazione polmonare. Crescita, rinnovamento e riparazione sono le caratteristiche fondamentali di ogni tipo di vita. Nell'essere umano esiste una memoria di un passato antichissimo, un collegamento con i primordi della vita ed esistono misteriose e segrete, le istruzioni per edificare l'intera vita. Le cellule sanno perfettamente quello che devono fare la crescita, la vita e la riproduzione. Questa conoscenza è una forma di energia, ed è in questo senso che si intende il KI, come energia ancestrale, primordiale, come memoria, saggezza e armonia interiori, collegamento a tutti gli esseri precedenti e conseguenti. Il Ki è l'essenza, il seme, il germe, il nucleo dove si condensa il significato della vita. Come la cellula conosce il proprio scopo, sa chi è e cosa deve fare e lavora instancabilmente per essere sé stessa, anche l'essere umano ha un preciso compito nella vita. Cercarlo, scoprirlo, comprenderlo e realizzarlo è la chiave della felicità.
Ki è quindi la Forza Vitale che scorre in ogni organismo vivente. In Sanscrito è conosciuta come Prana, nella Medicina tradizionale cinese si chiama Chi, e circola negli organi interni e nei meridiani generando i principali processi fisiologici come la respirazione, la digestione, la circolazione sanguigna e linfatica, la secrezione e l'escrezione. Nelle arti marziali indica la capacità di concentrare e dirigere il potere personale durante il combattimento, (Kumite). Le pratiche yogiche di respirazione o Pranayama mettono in condizione di accumulare l'energia all'interno del corpo, attraverso la meditazione, i mudra, i mantra possiamo interagire con il nostro equilibrio psicofisico.




Il Ki (qì) nelle arti marziali

Il Ki di cui si tratta nella disciplina giapponese dell'Aikido, è rappresentato dall'ideogramma giapponese che, nei caratteri della scrittura kanji, raffigura il vapore che sale dal riso in cottura.
Nella disciplina dell'Aikido significa spirito, ma non nel significato che tale termine ha nella religione, bensì nel significato del vocabolo latino "spiritus", cioè soffio vitale ed energia vitale.
Il riso, nella tradizione giapponese, rappresenta il fondamento della nutrizione e quindi l'elemento del sostentamento in vita ed il vapore rappresenta l'energia sotto forma eterea e quindi quella particolare energia cosmica che spira ed aleggia in natura e che per l'Uomo è vitale. Il Ki è dunque anche l'energia cosmica che sostiene ogni cosa.
Nella disciplina dell'Aikido e più in generale nelle arti marziali giapponesi ed orientali, l'essere umano è vivo finché è percorso dal Ki dell'universo e lo veicola scambiandolo con la natura circostante: privato del Ki l'essere umano cessa di vivere e fisicamente si dissolve. Nella concezione delle arti marziali orientali, l'essere umano è pieno di vita, di coraggio, di energie fisiche ed interiori finché veicola il Ki in modo vigoroso attraverso il proprio corpo e lo scambio con la natura circostante è abbondante; quando invece nel suo corpo la carica vitale del Ki è carente, l'essere umano langue, è debole, codardo, rinunciatario.
Nella pratica della disciplina dell'Aikido 会氣道, ci si impegna per imparare a riempire il corpo con il Ki ed a veicolarlo energicamente; pertanto nell'Aikido 会氣道 è necessario comprendere bene la profonda natura del Ki ed imparare a riconoscerne le manifestazioni e gli effetti, i quali vanno sotto il nome di Kokyu.
Per estensione di significato il Ki può essere associato a quella che i fisici del XVIII e XIX secolo chiamavano vis viva (forza viva), ovvero una sorta di fluido attraverso il quale l'energia ha la possibilità di trasferirsi da un oggetto materiale ad un altro. Secondo le antiche credenze, attraverso la respirazione il Ki si accumula e riempie tutte le parti del corpo, ma viene emanato solo quando corpo e mente sono sereni e distesi.
Nell'aikido o nel taijiquan ogni gesto è un movimento di energia, nel Jūdō, nel ju jitsu non è importante la forza muscolare quanto l'abilità di gestire e direzionare il Ki.
Secondo una trattazione scientifica corrispondente alla mentalità occidentale, il Ki potrebbe essere inteso come l'energia interna di un corpo.
La questione dell'armonia del Ki (o Ai-Ki) è un concetto orientale di una certa complessità. Si noti innanzitutto che tale questione è assolutamente diversa da quella di una mente (nel senso di Kokoro) salda e lucida, anche se entrambe si riconducono allo stesso principio: il miglior impiego dell'energia. Tale principio, enunciato e fermamente sostenuto da Jigoro Kano (Ki-Ai) fu concretamente realizzato da Morihei Ueshiba con la creazione dell'Aikido (termine composto dai vocaboli Ai-Ki-Do, ciascuno dei quali ha un suo proprio significato che, unito agli altri, genera un significato più complesso). Questa disciplina realizza l'Ai-Ki nella vita interiore dell'uomo e nella sua manifestazione esteriore: questa esteriorizzazione è denominata nella lingua giapponese con il termine Kokyu. La realizzazione dell'Ai-Ki è infatti la manifestazione di uno stato di totale controllo del corpo che vive ed agisce in perfetta armonia con le leggi naturali e cosmiche. Tuttavia, sebbene questo stato sia raggiungibile sotto il controllo dell'esercizio della volontarietà in modo relativamente facile, il requisito fondamentale dell'Ai-Ki è l'assoluta spontaneità ed istintualità dei propri movimenti, per quanto precisi essi siano. Le azioni passano dallo stato di consapevolezza volontaria a quello di libera istintualità e perciò si dice che la mente (sempre nel senso di Kokoro) è ricettiva e conforme ad adattarsi alle situazioni.
Nella disciplina dell'Aikido con il termine "istintualità" s'intende quell'istintività non naturale, cioè che nessuno possiede in modo innato e spontaneo, ma che un'abitudine frutto di un allenamento particolare può far penetrare nei meccanismi istintivi naturali e consolidarli ad essi, radicandoli nell'istinto naturale come se questi fossero stati conferiti insieme alla nascita. Per fare un esempio: sono reazioni istintuali le complesse reazioni istantanee fra di loro combinate ed armonicamente sincronizzate quali le azioni contemporaneamente esercitate su freno, frizione, cambio, acceleratore, volante, che quando siamo alla guida di un autoveicolo poniamo in essere in situazioni d'emergenza senza pensare ai gesti che compiamo, mentre il ritrarre istantaneamente la mano senza pensare e premeditare il gesto che si compie quando questa è scottata da una fiamma, questo è invece un gesto istintivo.
Secondo la tradizione orientale e specificamente delle arti marziali giapponesi, esistono tre sedi naturali in cui il Ki si localizza che nella lingua giapponese sono denominate "tanden" 丹田, le quali non sono però delle vere e proprie sedi fisiche, materiali, corporee, ma sono dei punti virtuali dove viene localizzata la cosiddetta "presenza mentale" del praticante e precisamente: il "Kikai Tanden" 気海丹田, la sede viscerale, il "Chudan Tanden" 中段丹田, la sede mediana ed il "Jodan Tanden" 上段丹田, la sede superiore.
Il Ki è l'energia vitale che percorre i centri vitali e li rende funzionali e capaci di svolgere il loro compito essenziale per il mantenimento in vita dell'essere umano.
Il Maestro Shingeru Egami (Shotokai) in un passaggio del suo libro Karate-Do Nyumon dice:
Il problema della mente è profondo. La sua elevazione ad uno stato superiore, l'allargamento e la purificazione di se stessi, sono le ultime cose da conseguire per mezzo della pratica. Si devono allenare mente e corpo, perché diversamente la pratica non ha senso. Tentando di pulire la vostra mente dalle impurità della vita quotidiana, per mezzo del contatto spirituale con gli altri. La mente ed il corpo sono simili a due ruote di un carro, nessuna delle due ha il predominio. Questa è la pratica autentica. Ottenere qualcosa di valore spirituale nella vita è vera pratica. Entrando in contatto fisico con gli altri, si entrerà anche in contatto spirituale. Nella vita quotidiana bisogna arrivare a conoscere le nostre relazioni con gli altri, come ognuno di noi influisca sugli altri e come le idee si possano scambiare. Si devono rispettare gli altri e pensare bene di loro. Le persone devono essere mentalmente aperte e rispettose del benessere e della felicità altrui. In un combattimento, quando riuscirete a trascendere dalla semplice pratica, riuscirete ad essere una cosa sola con il vostro avversario'.



domenica 24 aprile 2016

Haidong Gumdo

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L'Haidong Gumdo (해동 검도, 海東劍道, Haedong Geomdo, Haedong Kŏmdo – letteralmente "la via della spada del mare dell'est") è una scherma marziale sud coreana assimilabile alle arti parallele giapponesi del kenjutsu (combattimento con la spada), Iaidō (tecnica dell'estrazione della spada) e del Battodo (tecniche di taglio), con un insegnamento che comprende tutte e tre queste discipline, abbinandole a una dinamicità e mobilità maggiore di quella riscontrabile nelle controparti giapponesi, usando comunque la stessa arma (la katana standard giapponese) e una simile divisa (giacca tipo kimono e gonna-pantaloni, con sistema di cinture colorate derivato dalle arti marziali canoniche). Questa arte marziale è probabilmente un derivato di diverse scuole indigene coreane, di influenze militari cinesi come l'uso della spada diritta Jian e della sciabola Dao, come pure dello spadone DaDao, e infine condizionate fortemente dalla dominazione giapponese che i Coreani hanno dovuto subire dal 1905 al 1945, e che sia prima che dopo è sempre stata presente sia culturalmente che economicamente. Moltissimi coreani hanno infatti prestato servizio nell'esercito Giapponese dal XVIII secolo fino al 1945 e ne hanno importato in patria molti degli insegnamenti. L'insegnamento dell'Haidong Gumdo moderno è un compendio piuttosto vasto di tecniche statiche e dinamiche, e le pratiche di taglio e combattimento libero sono incoraggiate già dai primi gradi.

Origini e diffusione

Benché la diffusione pubblica dell'Haidong Gumdo risalga al 1960 anno in cui l'attuale presidente della Federazione Mondiale (Kim Jung Ho) codificò posture e tecniche di taglio, le origini di questa disciplina vengono fatte risalire dai praticanti all'epoca della dinastia Goguryeo (37 a.C. - 668 d.C.). L'arte della spada coreana in Europa è giunta soltanto dodici anni fa grazie al Maestro Han Sang Hyun, presidente della Europe Haidong Gumdo Association, e ha riscontrato un notevole successo in svariati Paesi dell'Unione. In Italia l'arte è stata introdotta nel settembre 2005 dal Maestro e direttore tecnico Flavio Piccioni, fondatore dell'Associazione Italiana Haidong Gumdo.

Le tecniche base delle spada

Tutte le tecniche dell'Haidong Gumdo si possono attuare contro una o più avversari e sono le seguenti:
  • i 12 movimenti di base, che permettono di sviluppare le varie tecniche (taglio, parate, …) in tutte le direzioni;
  • le forme, un insieme di movimenti codificati eseguite nelle diverse posture (tecniche di difesa e di attacco, con una mano o a due mani);
  • i moduli da combattimento, che permettono di sapersi muovere in caso di difesa o di attacco contro una o più persone;
  • meditazione e tecniche di respirazione, che aiutano a rimuovere lo stress e la fatica e procurano energia e chiarezza mentale.

Le tecniche di taglio con la spada

Le tecniche di base dell'Haidong Gumdo sono particolarmente incentrate sull'esecuzioni di tagli effettuati su canne di bambù o su fasci di paglia sostenuti da un supporto in ferro. Per eseguire vari tagli simultanei sullo stesso supporto occorre assumere precise posture che permettono di fendere nelle diverse angolature. Sin dalle prime cinture sarà possibile mettere alla prova le proprie capacità di controllo, precisione e destrezza di taglio, spegnendo una o più candele senza sfiorare la fiamma o tagliando un foglio di carta. Infine tagliare del bambù e dei fasci di paglia per mettere alla prova la forza e la velocità.



La meditazione

La meditazione è una tecnica mentale naturale, che affonda le sue radici nell'antichità. La meditazione utilizza la tendenza spontanea della mente a cercare una condizione di maggiore benessere. In questo modo la mente raggiunge facilmente e in modo naturale la sorgente del pensiero: la consapevolezza. Questo stato di pura consapevolezza, è uno stato di calma molto piacevole e rivitalizzante che aiuta a rimuovere lo stress e la fatica e procura energia e chiarezza mentale. La pratica della meditazione è inclusa nel programma pedagogico dell'Haidong Gumdo, permettendo così ad ogni praticante di sviluppare la padronanza delle sue proprie energie. In seguito, ripetendo i diversi esercizi respiratori ed energetici, i praticanti potranno approdare alla realizzazione delle tecniche più complesse.

L'Haidong Gumdo nel mondo

L'Haidong Gumdo è già presente da parecchi anni in Canada, USA e sud America dove sono state aperte le prime scuole nel mondo occidentale. Negli ultimi anni ha preso piede anche in Europa: hanno aperto scuole in Inghilterra, Portogallo, Spagna, Svezia, Norvegia, Irlanda, Paesi Bassi, Germania, Francia, Svizzera ed in Italia, dove a settembre 2005 è nata l'Associazione Italiana Haidong Gumdo. Nella Corea del Sud ci sono più di 600 scuole private e circa 2000 corsi tenuti presso strutture scolastiche. Nel 2002 si sono tenuti i campionati del mondo in Corea ai quali hanno partecipato 50 nazioni e più di 1000 palestre. Dato il buon esito, nel 2004, è stato organizzato un altro campionato con ancor maggior partecipazione. Nel 2007 si terranno i campionati europei in Svizzera. Chiaramente i campionati non sono sportivi, ma solo dimostrativi, tipo valutazioni su tecniche di taglio.

Campionati nazionali e internazionali di Haidong Gumdo

I Campionati nazionali e internazionali si dividono in: europeo e mondiale che sono eventi biennali (il primo si tiene nelle più belle capitali d'Europa mentre il secondo categoricamente in Corea)e il campionato italiano che si tiene ogni anno in primavera nelle più importanti città italiane. Le competizioni sono suddivise in individuali, tra forme, taglio della carta, taglio della pallina, taglio della mela, spegnimento della candela e taglio del bambù, e in gruppo tra forma libera sincronizzata e combattimento dimostrativo. Tutti gli allievi hanno l'obbligo di competere nella gara di forme individuali, essendo esse le basi di questa disciplina mentre la partecipazione alle altre competizioni è a discrezione degli atleti.

Critiche

L'Haidong Gumdo viene criticato per via di inesatezze nella ricostruzione storica delle sue origini, ad esempio la figura del "samurang" non ha riscontri storici. Non sono noti documenti storici che diano credibilità alla federazione; nessuna registrazione scritta menziona i Samurang, il che sarebbe altamente improbabile, se il presunto gruppo fosse veramente esistito, come la federazione afferma. In realtà non vi è alcuna prova che la parola "Samurang" sia stata utilizzata prima del ventesimo secolo. I critici sostengono quindi che i nomi 'Haidong Gumdo' e 'Samurang' siano di recente creazione.
L'elementare conoscenza della fonologia storica cinese e giapponese suggerisce che la connessione con la parola samurai è improbabile. L'associazione Haidong Gumdo ha coniato la parola samurang combinando i tre caratteri cinesi , e in modo da suonare simile a samurai in coreano moderno. Tuttavia, questo putativo composto è pronunciato * shiburō nella moderna lettura sino-giapponese e qualcosa di simile a * tʃiburau in antico giapponese. Entrambi sono molto diversi da samurai.
Dal momento che l'etimologia di samurai è chiara, è improbabile che il popolo giapponese accetterà mai la pretesa etimologia. Tuttavia, la storia ha acquisito indebito credito tra alcuni coreani. Infine, seppur ci siano testimonianze accertate che la curvatura della katana abbia una possibile origine nelle sciabole in uso nella cavalleria delle antiche popolazioni a nord della Corea, lo sviluppo dei particolari costruttivi e l'uso della katana si può definire indigeno del Giappone con poche o nulle influenze esterne. Alcuni fanno risalire le reali origini dell'Haidong Gumdo a maestri di Kendo (Kumdo o Umdo in coreano) e Iaido coreani che basandosi sullo studio di danze tradizionali e arti marziali di origine o elaborazione coreana, come lo Sipalki o l'Hapkisuul e l'Hapkido, hanno infine elaborato questo sistema marziale. Da sottolineare che anche l'Arte marziale coreana del Hwa Rang Do(r) vanta nel suo curriculum l'uso della spada, e di tante altre armi da taglio e non.