mercoledì 13 giugno 2018

Rivolta di Shimabara

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La rivolta di Shimabara (島原の乱 Shimabara no ran) fu una rivolta scoppiata nel 1637, durante il periodo Edo, nel Giappone sud-occidentale, che vide i cattolici giapponesi, in gran parte contadini, insorgere contro il governo dello shogunato Tokugawa che aveva attuato una forte persecuzione religiosa nei confronti dei cristiani cattolici.
Lo shogunato inviò un contingente di oltre 125.000 uomini per sopprimere la ribellione e dopo un lungo assedio contro i ribelli nel castello di Hara riuscì a sconfiggerli.
A seguito della rivolta, il leader dei ribelli Shiro Amakusa fu decapitato e la persecuzione anticristiana si fece molto più aspra terminando solo nel 1850. Fu a seguito di questa rivolta che in Giappone si adottò una politica di isolamento nazionale (sakoku) che andò avanti per oltre due secoli.

Contesto storico

L'evangelizzazione del Giappone ebbe inizio il 15 agosto 1549 con lo sbarco del gesuita spagnolo Francesco Saverio che creò la prima comunità cattolica nell'isola di Kyushu nel sud del Giappone.
Il Cattolicesimo si diffuse abbastanza rapidamente in Giappone grazie all'apporto di Alessandro Valignano, un gesuita italiano che apprese il giapponese e pubblicò il Cerimoniale per i missionari in Giappone, una sorta di "guida" per i missionari su come evangelizzare i giapponesi rispettando la loro cultura e le loro tradizioni, con cui si riuscì a convertire molti giapponesi in un tempo relativamente breve. Si è stimato che il numero di convertiti nel 1579 fosse di 130'000 persone, mentre alla fine del XVI secolo saranno 300'000.
Inizialmente le autorità giapponesi, soprattutto durante il governo di Oda Nobunaga, non ostacolarono l'opera dei missionari europei, che anzi videro favorevolmente perché gli permetteva di avere relazioni economiche con la Spagna e il Portogallo e perché riduceva il potere dei monaci buddisti. La situazione cambiò con la salita al potere di Toyotomi Hideyoshi, preoccupato per il crescente numero di convertiti, soprattutto tra i daimyo, che divenuti cattolici ebbero anche dei vantaggi nei rapporti con gli europei.
Il 24 luglio 1587 Hideyoshi promulgò un editto con il quale mise al bando i missionari europei, non gradendo più che questi diffondessero la loro "perniciosa dottrina". Nonostante ciò, i missionari non lasciarono il paese e anzi continuarono la loro evangelizzazione; Hideyoshi decise di attuare misure più repressive e il 5 febbraio 1597 fece crocifiggere ventisei kirishitan, sei francescani, tre gesuiti giapponesi e diciassette giapponesi terziari francescani.
Dopo la morte di Hideyoshi (1598), la persecuzione dei cristiani diminuì per via delle guerre di successione che portarono nel 1603 all'inizio dello shogunato Tokugawa, per poi riprendere qualche anno dopo. Nel 1614 fu vietata la professione della fede cattolica e fu redatto, dal monaco zen Konchiin Suden (1563 – 1633), un decreto di espulsione di tutti i missionari dal Giappone. Nel decreto si accusano i cattolici di aver: «contravvenuto alle norme del governo, diffamato lo scintoismo, calunniato la Vera Legge, distrutto i regolamenti e corrotto la bontà». I cattolici dovettero praticare la loro fede in segreto, e presero il nome di kakure kirishitan ("cristiano nascosto"), per via del fatto che, oltre a dover amministrare i sacramenti in stanze segrete nelle loro abitazioni private, camuffarono i simboli cristiani seguendo i canoni dell'iconografia buddista e le preghiere cristiane in canti buddisti.
Le persecuzioni divennero quindi sistematiche: tutte le chiese che avevano edificato negli anni furono distrutte; tutti i giapponesi che fossero risultati cattolici sarebbero stati giustiziati. Lo shogunato incaricò il clero buddista di vigilare che non vi fossero più giapponesi di fede cattolica. A questo scopo si adottò il "sistema del certificato del tempio" teraukeseido), che non era altro che una sorta di "corso" che si doveva frequentare presso un tempio buddista, al cui termine veniva rilasciato un certificato che attestava l'ortodossia religiosa, l'accettabilità sociale e la fedeltà allo shogunato. Con questo, e altri sistemi - come il "yefumi" - si riuscivano a individuare i cattolici che o dovevano convertirsi al buddismo o sarebbero stati condotti sul Monte Unzen a Nagasaki dove sarebbero stati giustiziati.

La rivolta

L'inizio della rivolta

La rivolta ebbe inizio nella penisola di Shimabara, nel sud del Giappone, la regione era stata governata da Shigemasa Matsukura fino al 1630 e poi dal figlio Katsuie Matsukura che dovette fronteggiare alla rivolta. I due daimyo causarono lo scoppio della rivolta, che i vide i contadini e i rōnin cattolici insorgere contro lo shogunato. Le cause dell'insurrezione furono sostanzialmente due: la prima causa è la persecuzione contro i cattolici della regione; la seconda è l'eccessiva tassazione imposta da Matsukura che, per dar seguito alla politica dell'Ikkoku-ichijō ("un castello in ogni provincia") decisa dallo shogunato, fece smantellare i castelli di Hara e Hino e fece costruire il Castello di Shimabara, nonostante il suo feudo non fosse in grado di sostenere tutte queste spese. Matsukura non si curava delle condizioni già disperate dei contadini e anzi ripeteva che "i contadini sono come spighe di grano. Più vengono spremute e più danno". Molti contadini morivano di fame, ma i soldati dei daimyo compivano qualunque crudeltà nei loro confronti: si dice che rapissero ragazze per violentarle e "appenderle nude a testa in giù" . Un cronista portoghese racconta della figlia di un capovillaggio che fu legata nuda ad un palo e marchiata con ferri roventi. Inoltre i soldati prendevano i bambini e li trattenevano finché la tassa non fosse stata pagata. Alla rivolta si unirono anche gli abitanti del vicino arcipelago di Amakusa, che governata da Katataka Terasawa subirono anch'essi le stesse persecuzioni.
La rivolta scoppiò nell'autunno 1637, con l'assassinio di Hayashi Hyōzaemon, il daikan di Shimabara, ovvero l'esattore delle tasse. In molti villaggi di Shimabara iniziarono le prime violenze e i contadini cominciarono con l'attaccare i granai pubblici in cui era contenuto il riso con cui avevano pagato le nuove tasse.
La notizia della ribellione arrivò a Nagasaki, che inviò delle truppe per reprimere la rivolta. Nel frattempo la rivolta scoppiò anche sull'arcipelago di Amakusa e Terazawa spedì nove nobili alla testa di 3.000 uomini per sedare la rivolta, ma il 27 dicembre 1637, il contingente inviato da Terazawa viene completamente sconfitto. In una successiva battaglia combattuta il 3 gennaio 1638, i ribelli di Amakusa furono sconfitti e i sopravvissuti fuggirono dalla loro isola per unirsi ai ribelli di Shimabara. Su Amakusa le rivolte terminarono poi il mese successivo.
Alla fine dell'anno, 5.000 - 6.000 uomini in armi, alcuni dei quali provenienti da Shimabara, assediarono il castello di Tomioka di Terasawa ad Amakusa, per difendere il suo castello inviò un suo tenente, Miyake Dschumhurij, a Kusatsu per chiedere rinforzi. Questi riuscì a radunare 1.500 uomini, ma lungo la strada fu intercettato dagli insorti che lo sconfissero, e solo una parte di quel contingente riuscì a raggiungere il castello. Nonostante tutto però, l'esercito di Terasawa riuscirà a respingere gli assedianti il 7 gennaio 1638.
Nella penisola di Shimabara, nel frattempo, si pose a capo della rivolta il rōnin di appena 16 anni, Shiro Amakusa. Gli insorti attraversarono il Mar Ariake e raggiunsero la città di Shimabara, qui si accanirono contro gli ufficiali locali che cercavano di fermarli, il 12 dicembre 1637 incendiarono parte della città, e danneggiarono i templi. Decisero poi di assediare il castello di Shimabara di Katsuie Matsukura, ma non ebbero successo e furono respinti.

L'assedio del castello di Hara

Riunirono le loro forze al castello di Hara, che era il vecchio castello del clan Arima, e che si trovava in rovina perché fu smantellato da Shigemasa Matsukura. Vista la poca protezione offerta dal castello, costruirono una palizzata con il legno delle imbarcazioni che utilizzarono per attraversare il mare e si andarono poi a rifornire di armi, munizioni e provviste saccheggiando i magazzini di Matsukura.
Gli insorti capirono che senza artiglieria e armi d'assedio non sarebbero stati in grado di attaccare altre fortezze, per questo motivo, Amakusa, decise di prendere possesso del castello di Hara che, sebbene fosse in rovina, garantiva una buona protezione. Il castello era situato su un promontorio che dava sul mare, tre lati del castello, infatti, terminavano con un dirupo; e per attaccarlo si doveva usare l'unico passaggio disponibile che era protetto da due profondi fossati. Nel castello gli insorti portarono con sé anche le loro donne e i loro bambini e gli storici ritengono che il numero di persone presenti, tra soldati, donne e bambini, vada dai 27.000 ai 37.000. Nel castello tutti lavorarono per rafforzare le difese e sui merli esposero croci di legno e vessilli crociati.
Durante l'assedio, il 14 febbraio gli insorti invieranno un lettera agli assedianti attaccata su una freccia, in cui riassumono le loro motivazioni:
«Per amore del nostro popolo abbiamo ora fatto ricorso a questo castello. Senza dubbio penserete che lo abbiamo fatto nella speranza di ottenere terre e cavalli. Ma non è questo il motivo. È semplicemente perché il cristianesimo non è tollerato, come ben sapete. Frequenti divieti sono stati pubblicati dallo Shogun, che ci hanno notevolmente angosciato. Alcuni di noi che sono qui, considerano la speranza di vita futura la cosa più importante. Per questo non ci sarà alcuna fuga. Dato che non rinnegheranno la loro religione, andranno incontro a tutte le severe punizioni, saranno oggetto di molte sofferenze inumate e vergognose, fino all'ultimo, per la loro devozione al Signore del Cielo, saranno torturati a morte. Altri, ugualmente uomini risoluti, mossi dalla sensibilità del corpo e dalla paura delle torture, celando il dispiacere, hanno rispettato la volontà dello Shogun e hanno ritrattato. Stando così le cose, tutto il popolo si unì in una rivolta, in un modo inspiegabile e miracoloso. Dovremmo continuare a vivere come abbiamo fatto finora e fuori dalle leggi che non saranno abrogate, dobbiamo subire ogni sorta di dura punizione per sopravvivere; dobbiamo, con i nostri corpi deboli e sensibili al dolore, peccare contro il Signore del Cielo e per l'attenzione alle nostre brevi vite perderemmo tutto quello che per noi ha il più alto valore. Queste cose ci riempiono di un dolore insopportabile. Per questo siamo adesso in questa situazione. Non è il risultato di una dottrina corrotta.»



L'esercito che assediò il castello fu composto dalle truppe di vari feudi locali, tra gli altri era presente anche il famoso spadaccino Musashi Miyamoto; lo Shogun diede il comando di tutto l'esercito al daimyo Shigemasa Itakura e chiese l'aiuto degli alleati olandesi che presero parte all'assedio con Nicolaes Couckebacker, il capo di una compagnia commerciale, che rifornì l'esercito a terra di cannoni e polvere da sparo, e inviò sul luogo dello scontro tre vascelli, uno dei quali comandato dallo stesso Couckebacker, il de Ryp. Il castello per una quindicina di giorni subì un pesante cannoneggiamento sia dalle truppe a terra sia dalle navi a mare, si è stimato che furono sparati 426 colpi di cannone, ma nonostante tutto gli insorti resistettero rifugiandosi in alcune gallerie sotterranee che avevano creato per proteggersi dalla cannonate.
Le navi olandesi lasciarono l'assedio di lì a poco, vista la disorganizzazione dell'esercito giapponese e per l'inefficacia della loro strategia giapponese, anche se probabilmente il vero motivo fu che i loro alleati giapponesi non gradivano farsi aiutare da stranieri per sedare una rivolta interna di tali dimensioni, e infatti gli stessi insorti si fecero beffa dei loro nemici inviandogli con una freccia un messaggio con su scritto: «Nel Regno non ci sono soldati più coraggiosi per combatterci, e che non abbiano avuto la vergogna di aver chiamato in aiuto degli stranieri contro il nostro piccolo contingente?».
Itakura, lanciò due attacchi contro il castello, ma entrambi furono respinti dagli insorti, che causarono molte vittime tra gli assediati, mentre loro non ebbero che poche perdite; inoltre durante il secondo assalto, avvenuto il 14 febbraio, Itakura fu ucciso. Lo shogunato mandò nuove truppe al comando del daimyo Nobutsuna Matsudaira, che sostituì il defunto Itakura al comando dell'esercito che assediava il castello.
Gli insorti riuscirono a resistere per altri due mesi e gli assedianti continuavano a perdere uomini senza ottenere alcun risultato. Furono le condizioni climatiche e la tenacia degli assedianti a cambiare le sorti della battaglia. Il freddo dell'inverno infatti aveva danneggiato entrambe le fazioni, ma le truppe dello shogunato ricevevano periodicamente dei rinforzi a differenza dei ribelli, che, oltretutto, cominciavano ad esaurire le munizioni e le scorte di cibo. Nell'aprile 1638, Matsudaira aveva al suo comando 125.000 uomini mentre gli uomini di Amakusa, stanchi e provati dalla fame, erano circa 27.000 Per approfittare della situazione degli insorti, Matsudaira provò a indurli alla resa inviandogli un messaggio in cui prometteva, nonostante avesse l'ordine di ucciderli tutti, il totale perdono per tutti i non cristiani e per coloro che avessero ritrattato la loro fede. La lettera arrivò nelle mani di Amakusa che rispose al suo avversario, scrivendogli che erano tutti cristiani e sarebbero morti per la loro fede, e quindi che non si sarebbero mai arresi.
Nella notte del 4 aprile, gli insorti, ormai privi di cibo e munizioni, tentarono un ultimo attacco, che fu facilmente respinto dagli assedianti che fecero pure alcuni prigionieri. L'attacco definitivo avvenne il 12 aprile quando l'esercito di Matsudaira riuscì finalmente a fare breccia nel castello senza troppe difficoltà. Gli insorti non erano in grado di resistere ancora a lungo, infatti tre giorni più tardi, il 15 aprile, furono sconfitti e le truppe dello Shogun presero possesso del castello.

Esito della rivolta

L'esercito dello Shogun ebbe l'ordine di sterminare tutti gli insorti, comprese le donne e i bambini che si trovavano con loro. Tutti gli occupanti del castello di Hara, che si è stimato fossero tra i 27.000 e i 37.000, tra soldati e civili, furono decapitati e i loro corpi furono ammassati e sepolti tra le rovine del castello che fu incendiato e completamente raso al suolo. Shiro Amakusa fu anch'esso decapitato e la sua testa venne esposta in pubblico a Nagasaki come monito.
Lo shogunato prese dei provvedimenti anche nei confronti degli comandanti del suo stesso esercito: i daimyo di Nagato, Arima e Shimabara furono considerati responsabili della rivolta e vennero decapitati; Matsukura, la cui politica tirannica fu tra le cause della rivolta, fu indotto a compiere il seppuku e il suo feudo passò ad un altro daimyo, Kōriki Tadafusa. I possedimenti del clan Arima e del clan Amakusa furono spartiti tra vari signori feudali, mentre i clan che diedero il loro contributo militare all'esercito dello shogunato furono ricompensati venendo esentati dai periodici contribuiti che dovevano versare allo Shogun.

Forze presenti a Shimabara

La rivolta di Shimabara rappresentò il primo massiccio impiego militare dopo l'assedio di Osaka, nel quale lo shogunato Tokugawa dovette mettere insieme un contingente formato da truppe provenienti da varie province del Giappone.
Il primo comandante supremo delle forze dello shogunato fu Shigemasa Itakura, al comando diretto di 800 uomini. Alla sua morte, il comando supremo passò a Nobutsuna Matsudaira al comando di 1.500 uomini. Il vicecomandante fu Ujikane Toda che comandava 2.500 uomini.
Il grosso dell'esercito dello shogunato era composto da truppe provenienti dai feudi limitrofi a Shimabara. Il contingente più grande, oltre 35.000 uomini, proveniva dall'han (feudo) di Saga ed era al comando di Katsushige Nabeshima. Il secondo più grande era costituito dalle truppe degli han di Kumamoto e Fukuoka, che rispettivamente schierarono 23.500 uomini, al comando di Tadatoshi Hosokawa; e 18.000 uomini al comando di Tadayuki Kuroda. Dal feudo di Kurume provenivano 8.300 uomini al comando di Toyouji Arima; dal feudo di Yanagawa, 5.500 uomini al comando di Muneshige Tachibana; dal feudo di Karatsu, 7.570 uomini al comando di Katataka Terasawa; da Nobeoka, 3.300 uomini al comando di Arima Hayama; da Kokura, 6.000 uomini al comando di Ogasawara Tadazane; da Nakatsu, 2.500 uomini al comando di Nagatsugu Ogasawara; da Bungo-Takada, 1.500 uomini al comando di Shigenao Matsudaira e da Kagoshima, 1.000 uomini al comando di Arinaga Yamada.
Le forze non provenienti dai feudi dell'isola di Kyushu erano costituite dai 5.600 uomini dal feudo di Fukuyama, sotto il comando di Katsunari Mizuno, Katsutoshi Mizuno e Katsusada Mizuno; e da circa 800 uomini provenienti da altre zone del Giappone. Infine erano presenti circa 2.500 samurai, tra cui lo spadaccino Musashi Miyamoto.
In totale, l'esercito dello shogunato ammontava a oltre 125.800 uomini.
Le forze dei ribelli invece non si conoscono con certezza, si stima che i soldati erano più di 14.000 uomini, e con loro erano presenti più di 13.000 non combattenti, tra donne, bambini e anziani. Secondo altre fonti, come quella costituita da una lettera che il gesuita portoghese Duarte Correa scrisse durante la sua prigionia (che va dal 1637 al 1639, anno della sua morte), riporta che dopo l'assedio furono decapitate tra le 35.000 e le 37.000 persone.

Conseguenze

La rivolta di Shimabara fu l'ultimo grande conflitto che svolse in Giappone durante lo shogunato Tokugawa, che fu in generale un periodo abbastanza pacifico per il paese.
Dopo la rivolta, lo shogunato sospettò che i cattolici occidentali avessero favorito l'insurrezione e per questo motivo decise di interrompere anche le relazioni commerciali con i portoghesi, che dopo la cacciata dei missionari e degli spagnoli, era l'ultimo rapporto che il Giappone avesse mantenuto con dei cattolici europei. Nella primavera del 1639, alle navi portoghesi fu impedito di sbarcare in Giappone e tutti i portoghesi furono espulsi dal paese.
Le politiche anticattoliche che mettevano al bando la pratica religiosa, si fecero più dure e i cristiani furono costretti a professare la propria fede in segreto per altri 250 anni.
Sulla penisola di Shimabara, dopo aver represso la rivolta, la maggior parte delle città si ritrovarono con la popolazione decimata. Al fine di non perdere i raccolti e per riprendere la produzione di riso e delle altre colture, gli immigrati che giungevano in Giappone furono fatti stabilire su tutto il territorio della regione. Tutti gli abitanti furono affiliati ai templi buddisti locali e ottennero il certificato che garantiva la loro appartenenza alla religione buddista e la loro fedeltà allo shogunato, secondo quanto previsto dal sistema terauke.

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martedì 12 giugno 2018

Accordo di Simla

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L'Accordo di Simla o Convenzione tra Gran Bretagna, Cina, e Tibet di Simla, è un trattato contestato dai cinesi riguardante lo status ed i confini del Tibet negoziato dai delegati di Cina, Tibet e Gran Bretagna a Simla nel 1914.
Fu promosso dai britannici per affermare la propria egemonia nel Tibet, nel timore che l'espansione dell'Impero russo si estendesse sull'altopiano, nel quadro di quello che fu definito il grande gioco fra le due potenze europee per il controllo dell'Asia.
La convenzione doveva stabilire i confini tra la Cina ed il "Tibet Esterno", il cui governo doveva spettare al Tibet. La regione, che corrisponde a grandi linee all'attuale regione Autonoma del Tibet, sarebbe rimasta sotto il protettorato della Cina, che avrebbe dovuto impegnarsi a non interferire negli affari di governo. Doveva inoltre definire i confini tra Tibet, Cina e India britannica.
Il delegato cinese Ivan Chen si rifiutò di sottoscrivere l'accordo e lasciò la conferenza il 3 luglio 1914. Dopo il suo ritiro il delegato britannico Henry McMahon e quello tibetano Lochen Shatra firmarono l'accordo, che divenne quindi bilaterale, ed aggiunsero una nota che escludeva la Cina dai benefici di tale accordo, in base al quale si sarebbe arrivati a stabilire la nuova linea di confine tra i due paesi nota come linea McMahon. Con il nuovo assetto i britannici si impossessarono della vasta area nel nord-est dell'India, corrispondente alla quasi totalità dell'odierno Arunachal Pradesh.

Premesse

Il primo tentativo britannico di esercitare influenza in quest'area era stato nel 1873, quando il governo dell'India coloniale aveva cercato di espandere le sue rotte commerciali nel nord-est spostando il confine più a nord, in corrispondenza della linea di demarcazione naturale rappresentata dall'Himalaya che separa i diversi bacini idrografici.
Questa mappa era stata accettata dai cinesi, che erano stati sconfitti poco tempo prima nelle guerre dell'oppio dai britannici e che esercitavano il protettorato sul Tibet, nel quadro del trattato del 1886 per la definizione del confine tibeto-birmano, e in quello per i confini del Sikkim del 1890.
Il Tibet, che aveva la sovranità sul proprio territorio, rifiutò tali accordi e nel 1903 le truppe britanniche al comando di Francis Younghusband invasero lo Stato asiatico, per obbligarlo ad accettare l'installazione di avamposti commerciali e l'ingerenza britannica negli affari interni del paese. La vittoriosa spedizione si concluse l'anno dopo, con la firma tibetana di un trattato che accettava le condizioni che gli venivano imposte, e con il ritiro delle truppe del Regno Unito.
Nel 1907 Gran Bretagna e Russia riconobbero il protettorato cinese in Tibet e si impegnarono a non siglare alcun accordo con il paese se non con l'intermediazione di Pechino."
Dopo che il governo Qing inviò le sue truppe all'interno del Tibet nel 1910, si registrò un nuovo intervento dei britannici, che occuparono tutta l'area dell'odierno Arunachal Pradesh ad est di Tawang, ed istituirono l'agenzia per le frontiere nord-orientali, che stabilì accordi con i capi delle tribù presenti in quell'area.
Nel 1911 crollò il millenario impero cinese ed il Tibet ne approfittò cacciandone le truppe di stanza a Lhasa e dichiarando l'indipendenza nel 1913, che fu respinta dalla neonata repubblica cinese.

Conferenza

Nel 1913 i britannici convocarono i delegati tibetani e cinesi a Simla in India per sancire le nuove frontiere e stabilire lo status del Tibet. Il ministro degli esteri dell'India coloniale, Sir Henry McMahon illustrò il piano contenuto nel trattato concernente:
  • l'assegnazione alla Cina del territorio chiamato Tibet Interno, che visto dalla prospettiva cinese era quello orientale e comprendeva le aree tibetane del Kham e dell'Amdo racchiuse nelle province del Qinghai, Gansu, Sichuan e Yunnan
  • il riconoscimento della sovranità tibetana, sotto protettorato cinese, del Tibet Esterno, comprendente all'incirca l'odierna area della Regione Autonoma del Tibet
  • la ratifica della nuova linea di frontiera tra il Tibet e l'India nord-orientale denominata linea di McMahon, che venne rappresentata in una mappa allegata al documento
Quest'ultima frontiera era stata negoziata in precedenza durante dei colloqui svoltisi a Delhi tra i delegati britannici e tibetani e non fu sottoposta all'esame dei cinesi prima di Simla. La grande mappa originale, tenuta nascosta ai cinesi, fu disegnata in una scala espressa in pollici e miglia che corrispondeva a una scala metrica di circa 1:5.000, mentre quella allegata al trattato, che i cinesi non presero in considerazione, era molto più ridotta, essendo un'appendice dell'argomento chiave della conferenza, riguardante le frontiere tra Tibet e Cina.
I punti più importanti dell'accordo erano i seguenti:
  • riconoscimento del protettorato cinese nel Tibet Esterno
  • riconoscimento della sovranità del Tibet Esterno e non ingerenza cinese nella sua amministrazione e nella nomina del Dalai Lama che venivano affidate al governo di Lhasa
  • impegno cinese a non trasformare il Tibet in una sua provincia
  • impegno britannico a non annettersi alcuna parte del Tibet
  • riconoscimento dell'interesse britannico nel fare del Tibet uno Stato sovrano e mantenimento dell'ordine nelle frontiere indo-tibetane
  • rispetto degli accordi del trattato anglo-tibetano del 1904 con l'unica deroga riguardante la concessione al Tibet di mantenere i rapporti con la Cina
  • ritiro entro tre mesi di tutte le truppe ed ufficiali cinesi dal Tibet Esterno ad eccezione di un delegato avente diritto ad una scorta massima di 300 uomini
  • impegno britannico di non mantenere truppe né ufficiali nel Tibet ad eccezione di un agente e della sua scorta, a cui viene fissata la residenza a Gyantse, situata sulla strada tra Lhasa ed il Nepal, e data facoltà di visitare Lhasa per eventuali colloqui col governo tibetano
  • inizio immediato dei negoziati tra Tibet e Gran Bretagna per la realizzazione di un piano di scambi commerciali sulla base del trattato del 1904
  • accettazione delle nuove frontiere illustrate nelle mappe allegate tra Tibet Interno e Tibet Esterno, e tra Tibet e India.
  • salvaguardia del diritto tibetano di esercitare il pieno controllo su quanto riguarda le faccende religiose interne



Altre note allegate al trattato prevedevano:
  • il riconoscimento che il Tibet era un territorio cinese
  • l'immediata notifica della scelta del nuovo Dalai Lama al governo di Pechino, cui spettava la ratifica e l'investitura
  • l'esclusiva competenza tibetana sulla nomina degli ufficiali del Tibet Esterno, che non aveva diritto ad essere rappresentato nel parlamento cinese.
La conferenza fallì per il rifiuto cinese di accettare i confini proposti con il Tibet Esterno, ma i documenti furono controfirmati da tibetani e britannici che subito intavolarono i negoziati per nuovi accordi commerciali.

Conseguenze

L'accordo fu in un primo momento bocciato dal governo indo-britannico, in quanto non conforme al trattato anglo-russo del 1907, e fu pubblicato con una nota che evidenziava il mancato raggiungimento dell'accordo fra le parti convocate.
Il trattato anglo-russo cessò di avere effetto nel 1921 in comune accordo fra le due parti, ma la linea McMahon non fu presa in considerazione fino al 1935. La prima mappa comprendente la linea McMahaon fu pubblicata nel 1937, e nel 1938 fu invece pubblicato il trattato di Simla, accompagnato da un testo che metteva in risalto come tale documento fosse stato firmato da tibetani e britannici malgrado il rifiuto a sottoscriverlo da parte dei cinesi.
Alla fine degli anni cinquanta la linea di McMahon fu oggetto di tensioni tra l'India e la Cina, che ne rigettava la validità in quanto il Tibet non era uno Stato autonomo e non poteva firmare quanto le competeva, e considerava l'accordo un trattato ineguale imposto dai britannici.
La Cina offrì all'India di rinunciare alle sue pretese su quei territori se l'India avesse rinunciato alle sue pretese sulla regione dell'Aksai Chin, contesa tra i due stati. Il rifiuto indiano portò alla guerra sino-indiana del 1962 che non cambiò lo status quo ante bellum. Anni dopo la zona demarcata dalla linea McMahon fu chiamata Arunachal Pradesh, ma per la Cina rimane tuttora il Sud Tibet.

Cambiamento della posizione britannica del 2008

Fino al 2008 il governo del Regno Unito ha riconosciuto solo il protettorato cinese sul Tibet, ma mai la sovranità, che è stata invece ufficialmente riconosciuta nel 2008 dal ministro degli Esteri David Miliband con la pubblicazione sul sito internet governativo della nuova posizione britannica, in cui dichiara come la precedente posizione fosse dettata da criteri anacronistici.
Il settimanale inglese The Economist ha osservato che senza usare la parola "sovranità" il ministro ha dichiarato che il nuovo punto di vista britannico vede il Tibet come parte della Cina.
Da più parti sono state fatte ampie speculazioni su come tale dichiarazione sia stata dettata dal ruolo di primo piano che la Cina ha assunto all'interno del Fondo Monetario Internazionale negli ultimi anni.

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lunedì 11 giugno 2018

Accademia militare di Whampoa

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L'accademia per ufficiali dell'esercito del partito nazionalista cinese (中國國民黨陸軍軍官學校, 中国国民党陆军军官学校, Zhōngguó Guómíndǎng Lùjūn Jūnguān Xuéxiào), comunemente conosciuta come Accademia militare di Whampoa (黃埔軍校, 黄埔军校, Huángpŭ Jūnxiào), è stata un'accademia militare nella repubblica cinese che ha prodotto molti prestigiosi comandanti che combatterono in svariati conflitti cinesi del XX secolo, in particolare la spedizione del nord (1926–1927), la seconda guerra sino-giapponese e la guerra civile cinese. L'accademia militare fu ufficialmente aperta il 16 giugno del 1924, subordinata al Partito nazionalista, ma le prime lezioni iniziarono il 1º maggio dello stesso anno. L'inaugurazione fu fatta sull'isola di Changzhou, al largo del porto di Huangpu, nel Canton, facendo guadagnare all'accademia il nome con la quale è conosciuta comunemente. Durante la cerimonia inaugurale, Sun Yat-sen pronunciò un discorso che in seguito divenne l'inno nazionale della Repubblica cinese. 

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domenica 10 giugno 2018

Città Proibita

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La Città Proibita (紫禁城, Zǐjìnchéng, letteralmente "Purpurea città proibita") fu il palazzo imperiale delle dinastie Ming e Qing. Esso si trova nel centro di Pechino, la capitale cinese. Per quasi 500 anni, ha servito come abitazione degli imperatori e delle loro famiglie, così come centro cerimoniale e politico del governo cinese.
Costruita tra il 1406 e il 1420, il complesso è composto di 980 edifici divisi in 8.707 camere e copre 720.000 m² che ne fa "il più grande palazzo del mondo". Il complesso del palazzo esemplifica la sontuosa architettura tradizionale cinese, ed ha influenzato gli sviluppi culturali e architettonici dell'Asia orientale.
Nel 1987 la Città Proibita è stata inserita nell'elenco dei Patrimoni dell'umanità dell'UNESCO, che la riconosce come la più grande collezione di antiche strutture in legno che si sia conservato fino ai giorni nostri.
Dal 1925, la Città Proibita è diventata un museo, la cui vasta collezione di opere d'arte e manufatti è stata realizzata grazie alle collezioni imperiali delle dinastie Ming e Qing. Esso non va confuso con il museo omonimo che si trova a Taipei ("Museo nazionale del palazzo"), sull'isola di Taiwan: entrambi i musei derivano dalla stessa istituzione, ma furono divisi dopo la guerra civile cinese.
I nomi con cui è conosciuta la Città Proibita sono numerosi. Il più comune, come già accennato, deriva dal cinese Zijin Cheng (紫禁城), che significa "Città purpurea". L'aggettivo "Proibita" deriva dal fatto che, a parte i membri della casa imperiale, nessuno vi poteva entrare senza l'esplicito permesso dell'Imperatore. Talvolta nel passato veniva chiamato anche "Palazzo d'Inverno".
Oggi, il sito è comunemente conosciuto in Cina col nome di Gugong (故宫), cioè "ex palazzo". Il museo della Città Proibita viene chiamato Gùgōng Bówùyùan (故宫博物院), cioè "Museo del palazzo".
In manciù è chiamato Dabkūri dorgi hoton, che letteralmente significa "Città interna stratificata".

Storia

Il sito dove sorge oggi la Città Proibita era parte della città imperiale già durante la Dinastia Yuan. Quando la Dinastia Ming le succedette, l'Imperatore Hongwu spostò la capitale da Pechino a Nanchino e ordinò che i palazzi mongoli fossero rasi al suolo (1369). Il figlio Zhu Di, futuro Imperatore Yongle, ricevette il titolo di Principe di Yan, con sede a Pechino, dove venne costruito un palazzo. Nel 1402 Zhu Di usurpò il trono e divenne imperatore, spostando nuovamente la capitale da Nanchino a Pechino.
La costruzione della Città Proibita iniziò nel 1406 e durò 14 anni, impiegando (secondo alcune stime) più di un milione di uomini. L'asse principale del nuovo palazzo si trovava a est dei palazzi della Dinastia Yuan, un fatto non casuale perché così facendo quei palazzi si venivano a trovare a ovest del nuovo edificio (la "zona della morte" secondo il Feng shui). Il terreno scavato durante la costruzione del fossato che circonda la Città Proibita venne riportato a nord, dove divenne una vera e propria collina artificiale.
Fra il 1420, anno del completamento, e il 1644, la Città Proibita fu la sede della Dinastia Ming fino a quando venne invasa durante la rivolta contadina guidata da Li Zicheng, che fu proclamato imperatore della dinastia Shun. In ottobre, i Manciù avevano raggiunto la supremazia nel nord della Cina e una cerimonia svoltasi presso la Città Proibita annunciò il giovane imperatore Shunzhi come sovrano di tutta la Cina sotto la dinastia Qing. Gli imperatori Qing cambiarono i nomi di alcuni degli edifici principali al fine di sottolineare "armonia" piuttosto che la "supremazia", produssero delle iscrizioni in doppia lingua (cinese e manciù), e introdussero elementi sciamanici nel palazzo. Anche successivamente la dinastia Qing tenne qui il quartier generale del potere politico cinese.
Nel 1860, durante la seconda guerra dell'oppio, l'esercito britannico penetrò nella Città Proibita e la occupò fino alla fine delle ostilità. Dopo essere stata la residenza di 24 imperatori (14 della Dinastia Ming e 10 della Qing), nel 1912 la Città Proibita cessò di essere il centro del potere politico cinese, con l'abdicazione del giovane imperatore Pu Yi. Egli ottenne però di poter continuare a vivere all'interno della "parte interna" della Città Proibita con la sua famiglia, mentre la "parte esterna" venne occupata dal governo della Repubblica di Cina e vi venne istituito un museo nel 1925.
Pu Yi restò nella Città Proibita fino al 1924, quando Feng Yuxiang prese il controllo di Pechino con un colpo di Stato, espellendo l'ex imperatore. Poco dopo venne istituito il "museo nazionale del palazzo", in cui erano esposti i numerosissimi tesori raccolti dagli imperatori nei cinque secoli in cui avevano dominato la Cina. Durante la seconda guerra sino-giapponese, la sicurezza di tali tesori venne messa in pericolo e furono quindi riportati nella Città Proibita. Parte della collezione è stata poi restituita alla fine della seconda guerra mondiale.
Nel 1947, dopo che erano stati spostati in numerosissime località della Cina, Chiang Kai-shek ordinò che tutti i manufatti che si fosse riusciti a trasportare (provenienti sia dalla Città Proibita che dal palazzo imperiale di Nanchino) dovevano venire portati sull'isola di Taiwan. Questi oggetti formano il cuore del "museo nazionale del palazzo" di Taipei.
Dopo la costituzione, avvenuta nel 1949, della Repubblica Popolare Cinese, la Città Proibita ha subito alcuni danni per colpa del clima rivoluzionario che ha travolto il paese. Durante la Rivoluzione Culturale, tuttavia, sono stati evitati ulteriori danneggiamenti grazie all'intervento del primo ministro Zhou Enlai, che ha inviato un battaglione dell'esercito a guardia della città.
Per il ruolo che ha avuto nello sviluppo dell'architettura e cultura cinese, la Città Proibita è stata dichiarata patrimonio dell'umanità nel 1987 dall'UNESCO come "palazzo imperiale delle dinastie Ming e Qing". Nel 2004, il Palazzo Mukden di Shenyang fu aggiunto come estensione della Città Proibita, mutando il nome del patrimonio in "palazzi imperiali delle dinastie Ming e Qing a Pechino e Shenyang". Attualmente si sta realizzando un progetto di restauro per riparare e ripristinare tutti gli edifici della Città Proibita al loro stato precedente al 1912.
Negli ultimi anni, la presenza di imprese commerciali nella Città Proibita è diventata oggetto di dibattiti e di controversie. Un negozio Starbucks, aperto nel 2000, ha suscitato obiezioni ed è stato infine chiuso il 13 luglio 2007.

Descrizione

La Città Proibita è il più grande complesso di palazzi esistente al mondo coprendo 72 ettari. Si tratta di un rettangolo lungo 961 metri sul lato da nord a sud e di 753 metri su quello da est a ovest. Esso consiste in 980 edifici sopravvissuti con un totale di 8.707 camere. La Città Proibita è stata progettata per essere il centro della antica città fortificata di Pechino. È infatti racchiusa in una più grande area fortificata chiamata città imperiale. La città imperiale, a sua volta, è racchiusa dalla città interna, a sud si trova la città esterna.
La Città Proibita rimane importante nello schema urbanistico di Pechino. L'asse nord-sud centrale rimane la via principale della Città. Esso si estende verso sud attraversando la porta di Tienanmen verso la piazza Tienanmen, il centro cerimoniale della Repubblica popolare cinese, dirigendosi per Yongdingmen. A nord, si estende attraverso la collina di Jingshan verso le Torri Bell e Drum. Questo asse non è esattamente allineato da nord-sud ma è leggermente inclinato di poco più di due gradi. Gli studiosi ritengono che l'asse sia stato progettato durante la dinastia Yuan per essere allineati con Xanadu, l'altra capitale del loro impero.

Muri e porte

La Città Proibita è circondata da mura alte 7,9 metri e da un fossato di 6 metri di profondità e 52 metri di ampiezza. Le pareti, alla base, sono larghe 8,62 metri per poi assottigliarsi a 6,66 metri in cima. Queste mura servono sia come difesa che come sostegno per i palazzi. Esse sono state costruite con un nucleo in terra battuta e da tre strati di mattoni su entrambi i lati, con gli interstizi riempiti di malta.
Ai quattro angoli del muro, sono situate delle torri (E) con i tetti realizzati con 72 creste, che riproducono la Pagoda della Gru Gialla e la Pagoda del Principe Teng, come apparivano nei dipinti della dinastia Song. Queste torri sono le parti più visibili del palazzo per la gente comune che si trova fuori le mura.
Le mura presentano una porta su ogni lato. All'estremità meridionale si trova la "Porta meridiana" (A). A nord si trova la "Porta del volere divino" (B) (la distanza fra queste due porte è di 960 metri) a cui si affaccia il parco Jingshan. A est e a ovest le porte sono chiamate "Porta gloriosa dell'est" (D) e "Porta gloriosa dell'ovest" (C). Tutte le porte della Città Proibita sono decorate con nove file di chiodi d'oro, fatta eccezione per la Porta gloriosa dell'est che ha solo otto file. Le mura sono molto spesse, progettate specificamente per resistere ad attacchi di cannoni.
Tra la "Porta Meridiana" e la "Porta Tienanmen" si trova un'ampia piazza in cui spesso venivano eseguite le punizioni corporali inflitte dall'imperatore. Questa è la stessa piazza in cui Mao Tse-tung fece il suo celebre discorso sul comunismo.
La Porta meridiana ha due ali sporgenti che formano tre lati di un quadrato. Il cancello possiede cinque porte. L'ingresso centrale è parte della Via Imperiale, un percorso contrassegnato da pietra che forma l'asse centrale della Città Proibita e della stessa antica città di Pechino. Solo l'imperatore poteva passeggiare sulla Via Imperiale, fatta eccezione per l'imperatrice, in occasione del suo matrimonio e degli studenti di successo dopo l'esame imperiale.

Corte esterna

Tradizionalmente, la Città Proibita è divisa in due parti. La Corte esterna (外朝) o frontale (前朝) comprende le sezioni poste a sud e veniva usata prevalentemente per scopi cerimoniali. La Corte Interna (内廷) o palazzi di retro (后宫) comprende le sezioni nord ed era la residenza dell'imperatore e della sua famiglia, oltre ad essere il luogo dove si svolgevano gli affari di stato. La linea di divisione approssimativa tra le due corti è indicata con un tratteggio rosso nella pianta sopra riportata. Generalmente, la Città Proibita è disposta su tre assi verticali. Gli edifici più importanti sono situate al centro nord-sud.
Entrando dalla Porta di Meridiana, si incontra una grande piazza, tagliata dal meandro del Fiume dell'Acqua d'Oro, che è possibile attraversare grazie a cinque ponti. Al di là della piazza si trova la Porta della Suprema Armonia (F). Dietro questa vi è la Piazza della Suprema Armonia. Sopra questa piazza sorgono tre livelli di terrazze in marmo bianco su cui sono disposti tre palazzi, partendo da sud questi sono: il Palazzo della Suprema Armonia (太和 殿), il Palazzo dell'Armonia Centrale (中 和 殿) e il Palazzo della Preservazione dell'Armonia (保 和 殿).
Il Palazzo della Suprema Armonia (G) è il più grande e sorge a circa 30 metri sopra il livello della piazza circostante. Era il centro cerimoniale del potere imperiale e la più grande struttura in legno sopravvissuta in Cina. Si tratta di un edificio di nove campate di larghezza e cinque campate in profondità. I numeri 9 e 5 erano simbolicamente collegati alla maestà dell'imperatore. Nel soffitto al centro della sala vi è un'intricata struttura a cassettoni decorata con un drago a spirale, dalla cui bocca vi è appeso un lampadario realizzato in sfere di metallo, chiamato lo "Specchio Xuanyuan". Nella dinastia Ming, l'imperatore teneva qui la corte per discutere di affari di stato. Durante la dinastia Qing, questa sala veniva utilizzata prevalentemente per soli scopi cerimoniali, come incoronazioni, investiture e matrimoni imperiali.
Il Palazzo dell'Armonia Centrale è un piccolo edificio utilizzato dall'imperatore per la preparazione e del riposo, prima e durante le cerimonie. Il Palazzo della Preservazione dell'Armonia veniva invece utilizzato per le prove delle cerimonie ed anche come luogo dove si svolgeva la fase finale dell'esame imperiale. Tutti e tre gli edifici dispongono di troni imperiali, quello più grande ed elaborato è situato nella Sala della Suprema Armonia.
Al centro delle rampe che portano alle terrazze dai lati nord e sud, che fanno parte della Via Imperiale, vi sono dei bassorilievi con elaborati soggetti simbolici. La rampa a nord, dietro il Palazzo della Preservazione dell'Armonia, è ricavata da un unico pezzo di pietra di 16,57 metri di lunghezza e 3,07 metri di larghezza e 1,7 metri di spessore. Pesa circa 200 tonnellate ed è la più grande scultura del genere in Cina. La rampa sud, davanti al Palazzo della Suprema Armonia, è ancora più lungo, ma è composta da due lastre di pietra unite. La giunzione è stata ingegnosamente nascosta utilizzando la sovrapposizione di bassorilievi ed è stata scoperta solo quando gli agenti atmosferici hanno allargato il divario nel XX secolo.
A sud-ovest e sud-est del cortile esterno vi sono le sale dell'Eminenza Militare (H) e della Gloria Letteraria (J). La prima è stato utilizzata varie volte dall'Imperatore per ricevere ministri e tenere la corte. Quest'ultima è stato utilizzato per le lezioni di cerimoniale da parte di personale altamente preparato e da studiosi confuciani e più tardi divenne la sede del Grande Segretariato. Una copia della Siku Quanshu era situata lì. A nord-est vi sono i tre palazzi del sud (南 三 所) (K), che furono la residenza del principe ereditario.

Corte interna

La corte interna è separata da quella esterna per mezzo di un cortile ortogonale all'asse principale della città. Essa è stata da sempre la residenza dell'imperatore e della sua famiglia. Durante la dinastia Qing, l'imperatore ha vissuto e lavorato quasi esclusivamente nella corte interna, mentre quella esterna era utilizzata solo per scopi cerimoniali.
Al centro della corte interna, sono presenti tre edifici (L). Partendo da sud si possono trovare; il Palazzo della Purezza Celeste (干 清宫), Il Palazzo dell'Unione e il Palazzo della Tranquillità Terrestre. I tre palazzi furono le residenze ufficiali dell'imperatore e dell'imperatrice. L'Imperatore, che rappresenta lo Yang e il Cielo, occupava il Palazzo della Purezza Celeste. L'Imperatrice, che rappresentano lo Yin e la Terra, risiedeva nel Palazzo della Tranquillità Terrestre. Tra di loro c'era il Palazzo dell'Unione, in cui lo Yin e lo Yang si mescolavano per produrre armonia.
Il Palazzo della Purezza Celeste è un edificio impostato su un'unica piattaforma di marmo bianco, è collegato alla Porta della Purezza Celeste posta a sud da una passerella. Durante la dinastia Ming, fu la residenza dell'imperatore. Tuttavia, a partire da Yongzheng, imperatore della dinastia Qing, l'imperatore risiedeva invece presso la Sala minore del palazzo della coltivazione mentale (N) situato a ovest, per rispetto alla memoria dell'imperatore Kangxi. Il Palazzo della Purezza Celeste divenne in seguito la sala delle udienze dell'imperatore. Il tetto è strutturato a cassettoni con un drago a spirale. Sopra il trono pende una tavoletta recante la scritta: "Giustizia e Onore" (cinese: 正大光明; pinyin: zhèngdàguāngmíng).
Il Palazzo della Tranquillità Terrestre (坤宁宫) è un doppio edificio che, durante la dinastia Ming, era destinato alla residenza dell'imperatrice. Durante la dinastia Qing, grandi porzioni del Palazzo sono state convertite al culto sciamanico dai nuovi governanti Manchu. Dal regno dell'imperatore Yongzheng, l'Imperatrice fu spostata all'esterno del palazzo. Tuttavia, due stanze nel Palazzo dell'Armonia terrestre sono state conservate per l'utilizzo durante la prima notte di nozze dell'imperatore.
Tra questi due palazzi vi è la Sala dell'Unione, che è di forma quadrata con un tetto piramidale. Qui vengono conservati i 25 sigilli imperiali della dinastia Qing, così come altri oggetti cerimoniali.
Dietro queste tre sale si trova il Giardino Imperiale (M). Relativamente piccolo e compatto nel disegno, il giardino contiene tuttavia numerose caratteristiche paesaggistiche elaborate. A nord del giardino vi è la Porta della Divina Potenza, la porta nord del palazzo.
Distribuiti a est e a ovest delle tre sale principali, vi sono una serie di cortili e palazzi minori, dove vivevano le concubine dell'Imperatore e suoi figli.
Direttamente a ovest vi è la Sala dell'Educazione Mentale (N). In origine era un palazzo minore, questa divenne la residenza di fatto e l'ufficio dell'Imperatore a partire da Yongzheng. Situati intorno alla sala centrale vi sono gli uffici del Gran Consiglio e gli altri enti pubblici fondamentali.
Il cortile posto a nord-est è occupato dal Palazzo della Longevità Tranquilla (宁寿宫) (O), un complesso costruito dall'imperatore Qianlong in previsione del suo ritiro. Rispecchia il disegno della Città Proibita e dispone di un proprio "cortile esterno", un "cortile interno", giardini e templi. L'ingresso al Palazzo della Longevità Tranquilla è segnato da un vetro su cui vi sono disegnati nove draghi. Questa sezione della Città Proibita è stata restaurata grazie ad una collaborazione tra il Museo del Palazzo e il World Monuments Fund, in un progetto a lungo termine previsto per essere portato a termine nel 2017.

Religione

La religione era una parte importante della vita per la corte imperiale. Durante la dinastia Qing, il Palazzo dell'Armonia terrestre era il luogo per le cerimonie sciamaniche. Allo stesso tempo, la religione nativa taoista cinese ha continuato ad avere un ruolo importante per tutte le dinastie Ming e Qing. Erano presenti due santuari taoisti, uno nel giardino imperiale e un altro nella zona centrale della corte interna.
Un'altra forma prevalente della religione nella dinastia Qing fu il Buddismo. Un certo numero di templi e santuari vennero edificati in tutto il cortile interno, compresi quelli relativi al culto del buddismo tibetano o lamaismo. L'iconografia buddista ha proliferato anche nelle decorazioni degli interni di molti edifici. Di questi, il Padiglione della Pioggia di Fiori è uno degli esempi più importanti. Ospitava un gran numero di statue buddiste e icone collocate in diverse modalità rituali.

Dintorni

La Città Proibita è circondata sui tre lati da giardini imperiali. A nord c'è Jingshan Park, noto anche come Prospect Hill, una collina artificiale creata dal terreno scavato per costruire il fossato e dai laghi vicini.
A ovest si trova Zhongnanha, un giardino in mezzo a due laghi collegati, che ora serve come sede centrale del Partito Comunista di Cina e il Consiglio di Stato della Repubblica popolare cinese. A nord-ovest si trova Parco Beihai.
A sud della Città Proibita vi erano due importanti santuari: il Santuario della Famiglia Imperiale (cinese: 太庙; pinyin: Tàimiào) e il Santuario Imperiale di Stato (in cinese: 太 社稷; pinyin: Tàishèjì), dove l'imperatore venerava rispettivamente gli spiriti dei suoi antenati e quello della nazione. Oggi questi sono occupati dal palazzo culturale di Pechino e dal parco Zhongshan (in commemorazione di Sun Yat-sen), al cui interno si trova uno dei luoghi cerimoniali più sacri della Cina imperiale ovvero lo Shejitan (社稷坛, Shèjìtán, letteralmente "Altare della Terra e del Grano").
A sud vi sono due corpi di guardia in posizione quasi identica lungo l'asse principale. Sono la Porta verticale (cinese: 端 门; pinyin: Duānmén) e la porta più famosa, quella di Tienanmen, che è attualmente decorata con un ritratto di Mao Tse-tung posto al centro e da due cartelli a sinistra e a destra recanti le scritte: "Viva la Repubblica popolare di Cina "e" Viva la Grande Unità dei Popoli del Mondo". La Porta di Tienanmen collega città Proibita con la moderna Piazza Tienanmen.
Mentre lo sviluppo urbano è strettamente controllato nelle vicinanze della Città Proibita, per tutto il secolo scorso demolizioni incontrollate e, talvolta, politicamente motivate hanno cambiato il carattere delle aree circostanti alla Città Proibita. Dal 2000, il governo municipale di Pechino ha lavorato a spostare le istituzioni governative e militari che occupano alcuni edifici storici e ha istituito un parco intorno alle restanti parti della città. Nel 2004, un'ordinanza in materia di altezza degli edifici e pianificazione è stata emanata per stabilire la zona della città imperiale e la zona nord della città come una zona cuscinetto per la Città Proibita. Nel 2005, la città imperiale e il Parco Beihai (come un elemento di estensione al Palazzo d'Estate) sono stati inclusi nella lista dei Patrimonio dell'umanità a Pechino.

Simbolismo

Il progetto della Città Proibita, dalla disposizione generale al più piccolo dettaglio, è stato meticolosamente pianificato in modo da riflettere i principi filosofici, religiosi e, soprattutto, a simboleggiare la maestà del potere imperiale. Alcuni esempi celebri della sua simbologia sono:
  • Il giallo è il colore dell'imperatore, colore che domina i tetti della Città Proibita. Ci sono solo due eccezioni: la biblioteca presso il Palazzo della Gloria letteraria (文渊 阁) che ha piastrelle nere, poiché questo colore è stato associato con l'acqua e quindi antincendio. Analogamente, la residenza del principe ereditario ha piastrelle verdi, perché il verde era associato con il legno e quindi con la crescita.
  • Le sale principali delle corti esterne ed interne sono tutte disposte in gruppi di tre, a ricordare il diagramma Quiang che rappresenta il Cielo. Le residenze della corte interna sono invece disposte in gruppi di sei, la forma del trigramma Kun, che rappresenta la Terra.
  • Le creste inclinate di tetti dell'edificio sono decorate con una linea di statuette rappresentanti da un uomo in sella a una fenice e seguita da un drago imperiale. Il numero delle statuette rappresenta lo stato della costruzione, un edificio minore può avere 3 o 5. La Sala della Suprema Armonia ne ha 10, l'unico edificio del paese ad essere ammesso a questo livello. Di conseguenza, la sua statuetta 10, chiamata "Hangshi" (in cinese: 行 十; pinyin: Hángshí), è anche unica nella Città Proibita.
  • La disposizione degli edifici segue antiche usanze previste dal Libro dei riti. Così, i templi ancestrali sono di fronte al palazzo. Le aree di deposito sono poste nella parte anteriore del complesso del palazzo e le residenze nella parte posteriore-

La Città Proibita oggi

Oggi la Porta Tienanmen è decorata con un enorme ritratto di Mao Tse-tung, affiancato da due manifesti. Quello di sinistra reca la scritta zhōnghuá rénmín gònghéguó wànsuì (中华人民共和国万岁), che significa "lunga vita alla Repubblica Popolare Cinese", mentre su quello di destra c'è scritto shìjiè rénmín dà tuánjié wànsuì (世界人民大团结万岁), cioè "lunga vita alla grande unità delle popolazioni del mondo". Queste frasi hanno un enorme significato simbolico, poiché la frase "lunga vita" (letteralmente: "diecimila anni") era tradizionalmente riservata all'Imperatore della Cina, mentre oggi è utilizzabile anche per la gente comune, esattamente come è successo per la Città Proibita.

Influenze

Architettura
La Città Proibita, culmine di 2.000 anni di sviluppo di architettura classica cinese e orientale, ha influenzato il suo sviluppo successivo, oltre a fornire l'ispirazione per molte moderne costruzioni. Alcuni esempi comprendono:
  • L'imperatore del Vietnam Gia Long costruì nel XIX secolo un palazzo e una fortezza che intendevano essere una copia in scala ridotta della Città Proibita. Le rovine di questi edifici si trovano a Hué ed è a sua volta un Patrimonio dell'umanità.
  • Il teatro della 5th Avenue di Seattle è stato progettato per incorporare elementi di architettura classica cinese. Il soffitto della sala dispone di un pannello che rappresenta un drago e altri elementi presenti nella Città Proibita.
Nel cinema, nella letteratura e nella cultura popolare
La Città Proibita è servita come scenografia di molte opere di narrativa. Negli ultimi anni è stata presente in film e serie televisive. Alcuni esempi notevoli includono:
  • La Città Proibita (1918), un film diretto da Sidney Franklin
  • L'ultimo imperatore (1987) fu il primo film cui il governo cinese abbia mai dato l'autorizzazione ad essere girato all'interno della Città Proibita.
  • Negli anni ottanta la RAI e la NBC girarono una serie televisiva incentrata su Marco Polo, effettuando moltissime riprese all'interno della Città Proibita. Storicamente, però, a quell'epoca la Città Proibita non era ancora stata costruita, quindi questo fatto va inteso come una "licenza artistica".

Sede di manifestazioni e spettacoli
La Città Proibita è servito anche come un luogo di manifestazioni e spettacoli. Tuttavia, il suo uso per questo scopo è strettamente limitato, a causa del pesante impatto delle attrezzature e delle prestazioni sulle strutture antiche. Quasi tutti gli spettacoli vengono in realtà realizzati al di fuori delle mura del palazzo.
  • La Turandot di Giacomo Puccini, la cui storia è incentrata su di una principessa cinese, è stata rappresentata all'interno della Città Proibita per la prima volta nel 1998, con la direzione di Zubin Mehta.
  • Nel 1988, il musicista statunitense Marty Friedman ha composto una canzone ispirata alla Città Proibita, come parte dell'album "Dragon Kiss".
  • Nel 2004 il musicista francese Jean Michel Jarre tenne un concerto all'interno della Città Proibita, accompagnato da altri 260 musicisti, in occasione delle festività per l'"anno della Francia in Cina".

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sabato 9 giugno 2018

Ring

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Il ring è lo spazio quadrato dove si svolge un incontro di pugilato.

Forma

Data la sua forma quadrata, il ring presenta 4 angoli: a ciascuno di essi è collegato un paletto cui sono assicurate, in orizzontale, 4 corde delimitanti il perimetro. L'arena si trova, sovente, in posizione rialzata con tappeti posti al di sotto di essa.

Misure

Le misure regolamentari sono le seguenti:
  • Lato: da 488 a 732 cm
  • Perimetro esterno: 61 cm
  • Altezza: da 91 a 122 cm
  • Spessore del tappeto: 2,5 cm
  • Diametro delle corde: 2,5 cm
  • Altezza delle corde: 46, 76, 107, 137 cm

Etimologia del nome

Il termine, che in inglese significa «anello», deriva dal fatto che agli albori di questo sport l'area di lotta avesse una forma circolare, tracciata sul terreno. La denominazione rimase immutata anche quando, nel 1838, la Pugilistic Society introdusse un'arena quadrata (con area di 920 cm² e 2 corde).

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venerdì 8 giugno 2018

Zhongli Quan

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Zhongli Quan (cinese tradizionale: 鐘離權; cinese semplificato: 钟离权; pinyin: Zhōnglí Quán; Wade-Giles: Chung-li Ch'üan) è il primo degli Otto Immortali nonché il leader del gruppo.
Nato nello Shanxi prima della venuta di Cristo, fu un generale dell'esercito durante la Dinastia Han e, diventato vecchio, andò a vivere da eremita nei monti Yang Jiao. Ma esistono diverse versioni riguardanti questo personaggio, che forse è di origine storica. Era in grado di tramutare il rame in argento per mezzo di una droga e distribuiva poi ai poveri il suo metallo prezioso. Un giorno una gru celeste lo trasportò nel paradiso dell'immortalità. I moderni taoisti celebrano il suo compleanno il quindicesimo giorno del quarto mese del Calendario Cinese.
Nella cultura taoista è conosciuto come "正陽祖師" (Zhèngyáng Zǔshī). Viene anche chiamato (雲房先生 Yún Fáng Xiān Shēng) nelle storie che descrivono il suo incontro con Lü Dongbin prima di raggiungere l'immortalità.
Possiede un raro cognome composto cinese, Zhongli (鐘離).

Rappresentazione

Obeso, grasso, la pancia per aria, barbuto, con due piccoli chignon rotondi sulle tempie, ha come attributo principale un ventaglio che gli serve per cacciare le creature malefiche e anche per risvegliare l'anima dei defunti, creando un vento agitando le ali. Zhongli Quan nell'altra mano ha anche la pesca dell'immortalità o il fungo magico della longevità, oppure anche il frutto che viene detto “mano di Budda”, il Citrus digitata, simbolo di prosperità.

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