Innanzitutto le arti marziali non possono essere inquadrate nel concetto occidentale di “sport”. Un’arte marziale è molto mentale (infatti la sua pratica viene suggerita anche come coadiuvante nel buddismo zen), che punta al raggiungimento di un obiettivo straordinario: il raggiungimento di una totale sintonia con il proprio avversario, per diventare l’epicentro dello scontro e rendere inefficaci tutti gli attacchi dell’avversario, fino a farlo desistere o ad immobilizzarlo. Già, perché il vero scopo non è vincere lo scontro, ma evitarlo raggiungendo una totale armonia con se stessi e gli altri.
Praticando si capisce l’inutilità e l’assurdità dell’approccio occidentale a tutte le arti marziali orientali. Noi occidentali ci approcciamo ad esse come fossero degli sport come tanti, quindi siamo convinti che chiunque, semplicemente pagando e frequentando con assiduità una palestra, possa raggiungere dei buoni risultati. Ma le cose non stanno così. L’obiettivo delle arti marziali orientali è sempre molto più ambizioso (il miglioramento di sè) di quello meramente fisico e la loro pratica è molto più selettiva, perché se per raggiungere la vittoria perfetta bisogna sviluppare delle capacità fuori dal comune, ciò significa diventare delle persone straordinarie. Le persone straordinarie, però, sono estremamente rare, quindi lungo il percorso saranno in molti a fallire, anche se avranno pagato fior di quattrini ad ottimi istruttori e praticato con assiduità. E tutto questo è inconcepibile per un occidentale.