domenica 17 ottobre 2010

Spada d'abbordaggio genovese

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La spada d'abbordaggio genovese è un'arma bianca e uno strumento di lavoro utilizzato da marinai, pirati e militari dalla seconda metà del XVII secolo al XX.

Dimensioni e uso
L'arma è caratterizzata da una lama massiccia e larga (4-6 cm). La lunghezza è di circa 60 cm. La differenza tra quest'arma e le sciabole d'abbordaggio risiede nella lama, il cui andamento è meno curvo. La spada consente un maggiore controllo e permette di combattere più efficacemente a distanza corta e durante la abbordaggio. Con la spada si pratica la scherma genovese.
Con la spada d'abbordaggio genovese si può tagliare, pungere, o utilizzarla come un'arma bianca. Il pomo, costituito da un pomello di metallo situato alla base dell'impugnatura, assicura un bilanciamento ottimale dell'arma, oltre che migliorare la presa е difendere il pennello. La scherma genovese include la tecnica di attacco con la spada d'abbordaggio genovese.
La lama pesante permette di tagliare porte, corde e altro.


sabato 16 ottobre 2010

Spada a tazza

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La spada a tazza è una tipica arma bianca dell'esercito mamelucco. Prese piede in occidente durante il periodo che va dal 1650 al 1700 circa, quando l'impero turco controllava buona parte del Mediterraneo. Era costituita da una lama sottile e flessibile, che si ripiegava più volte su se stessa. La lama veniva poi inserita nel fodero, costituito da una tazza, o un recipiente atto a contenere liquidi, molto spesso una tazzina decorata. L'impugnatura dell'arma corrispondeva al manico della tazzina. L'aspetto di quest'arma era camuffato per non destare sospetti, e veniva sguainata nel momento opportuno per effettuare un attacco a sorpresa.  

venerdì 15 ottobre 2010

Labrys

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La lábrys (λάβρυς, lidio; in greco antico πέλεκυς pélekys; in latino bipennis; in italiano anche ascia bipenne o bipenne), era una scure a due lame, simbolo del potere minoico.

Utilizzo arcaico
Il simbolismo della labrys si riscontra fin dalla media età del bronzo nell'arte e nella mitologia cretese, tracia, nuragica, greca e bizantina. La labrys compare anche nel simbolismo religioso e mitologico africano.
Al contrario di quello che si possa credere, le raffigurazioni nella moderna arte "vichinga" di asce bipenni sono puramente frutto di fantasia, i guerrieri norreni e gli abitanti della Scandinavia non usarono mai tali armi.
Visto il suo significato religioso si è teso a considerare le labrys trovate in contesti archeologici dell'età del bronzo (soprattutto nell'Egeo) come armi sacrificali o cerimoniali. Va però rimarcato come fossero affilatissime, tra le armi meglio affilate dell'età del bronzo, ed essendo molto pesanti, adatte al combattimento contro uomini dotati di armatura, quindi è oggi ipotizzabile siano state effettivamente impiegate in combattimento e non solo in cerimonie e parate, anche se l'estrema affilatura ed il peso sono compatibili con l'uso sacrificale ed in particolar modo con la necessità di decapitare sacrifici di grosse dimensioni (tori, equini) con un unico colpo.

Curiosità
Diverse labrys sono state rinvenute negli scavi del palazzo di Cnosso e la leggenda del Labirinto di Cnosso potrebbe condurre al relativo palazzo; è stato ipotizzato che il sostantivo labirinto derivi proprio da labrys, e che quindi il palazzo di Cnosso fosse definito il "palazzo delle labrys". Questo strumento era anche legato a riti e sacrifici.




giovedì 14 ottobre 2010

Saichō

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«Quando praticate la meditazione realizzate questi dieci insegnamenti: 1. contemplate le verità misteriose; 2. conservate la misericordia; 3. mantenetevi quieti; 4. restate liberi dagli attaccamenti; 5. distinguete la via che porta all'illuminazione da quella che la ostacola; 6. praticate ciò che vi fa crescere spiritualmente; 7. superate le difficoltà; 8. siate consapevoli del vostro livello spirituale; 9. restate tranquilli sopportando ciò che vi è sgradevole; 10. superate qualsiasi attaccamento.»
(Saichō)

Saichō (最澄), conosciuto anche col nome postumo Dengyō Daishi (傳教 大師; Omi, 767 – Monte Hiei, 4 giugno 822), è stato un monaco buddhista giapponese, fondatore del Buddhismo Tendai.

La vita
Saichō nacque in una famiglia di ferventi buddhisti. All'età di dodici anni i genitori lo inviarono a studiare presso il Kokubun-ji (國分寺), tempio provinciale di Ōmi (近江, oggi nella Prefettura di Shiga), sotto la direzione dell'abate Gyōhyō (行表, 722-797), un discepolo del monaco cinese Dàoxuān Lüshi (道宣律師, 702-760), fondatore della scuola giapponese Ritsu (律宗). Presso questo tempio Saicho studiò il sutra principale di questa scuola, l'Avataṃsakasūtra (華嚴經, Sutra dell'ornamento fiorito del Buddha, giapp. Kegonkyō), ma si interessò anche al Sutra del Loto (妙法蓮華經, sanscrito Saddharmapundarīkasūtra, giapp. Myōhō renge kyō o Hokkekyō).
Venne ordinato monaco nel 785 presso il tempio Tōdaiji (東大寺) di Nara sede centrale della scuola Kegon (華厳宗) e subito dopo decise di ritirarsi in un piccolo eremo sul Monte Hiei (比叡山, giapp. Hieizan) situato sul lato nord-orientale di Kyōto.
Durante questo periodo approfondì le pratiche meditative e le dottrine Kegon ma anche i testi della scuola cinese Tiāntái (天台宗) portati in Giappone, nel 754, dal monaco cinese Jiànzhēn (鑑眞, 688-763), patriarca della scuola giapponese Ritsu. La presenza solitaria di un monaco sul Monte Hiei contrastava con la vita, spesso di corte, dei monaci residenti a Nara, ciò consentì a Saichō di acquisire rapidamente una fama di 'santità'.
Nel 795 Kyōto divenne la capitale del Giappone, i geomanti incaricati di verificarne la posizione segnalarono che la presenza dell'eremita buddhista sul Monte Hiei, quest'ultimo collocato in una posizione 'esotericamente' pericolosa (l'Est era considerato la porta da dove entravano i demoni), era di assoluto buon auspicio. Ciò rese Saichō noto alla Corte imperiale, in particolare al clan Wake, e fu nominato, nel 797, cappellano di Corte. Non solo, il suo piccolo eremo ebbe l'opportunità di ingrandirsi e divenire sede delle annuali riunioni sul Sutra del Loto (法華会 Hōkke'e). A Nara il Buddhismo continuava a dividersi per le polemiche dottrinali tra le scuole Hossō (法相宗, rappresentante degli insegnamenti cittamātra) e Sanron (三論宗, che seguiva invece le dottrine mādhyamika). Fu quindi obiettivo della Corte riportare armonia tra le scuole buddhiste sostenendo proprio quei monaci lontani dalle divisioni e dagli intrighi, spesso anche politici.
Per questa ragione quando Saichō chiese, nell'804, alla Corte l'autorizzazione a recarsi in Cina per approfondire gli insegnamenti Tiāntái e procurarsi nuovi testi religiosi, tale permesso gli fu subito accordato. Giunto in Cina, Saichō si recò sui Monti Tiāntái, sede della scuola buddhista cinese Tiāntái, divenendo discepolo diretto del nono patriarca cinese, Dàòsuì (道邃, n.d.), allievo a sua volta Zhànrán (湛然, 711-782).
Dopo una permanenza di alcuni mesi, Dàòsuì consegnò a Saichō una ordinazione speciale che di fatto lo indicava come rappresentante del Tiāntái in Giappone.
Ma in Cina, Saichō approfondì anche gli insegnamenti esoterici della scuola Zhēnyán (真言宗), con il maestro Shùnxiǎo (順曉), e del Buddhismo Chán Beizōng (北宗, Scuola settentrionale). Saichō riceverà in Cina anche il lignaggio, dal maestro Xiāochán (翛禪), della scuola buddhista Chán denominata Niútóuchán (牛頭宗, pinyin Niútóu zōng), che scomparirà dalla Cina pochi decenni dopo e che egli trasferirà in Giappone come scuola Gozu (牛頭宗, Gozu shū).
Rientrato in Giappone nell'805, Saichō fu ricevuto dall'imperatore Kammu (桓武天皇, Kanmu Tennō, 737-806) in persona che, molto malato, sperava nei rituali esoterici portati da Saichō dalla Cina per poter guarire. Non fu così e Kammu morì l'anno successivo, nell'aprile dell'806. Saichō si rese tuttavia conto che ai governanti interessavano più gli insegnamenti esoterici che la pratica meditativa e le dottrine Tiāntái. L'appoggio della Corte imperiale nei confronti di Saichō aumentò ugualmente e le donazioni gli consentirono di fondare la scuola Tendai di fatto erede degli insegnamenti e dei lignaggi del Tiāntái cinese. Il fatto che la Corte gli donasse un capitolo di finanziamenti specifico per le dottrine esoteriche spinse Saichō ad approfondire questi insegnamenti.
È da tener presente che sia il Buddhismo Tiāntái che quello Tendai, fin dalla loro fondazione, si sono caratterizzati per il sincretismo delle dottrine e delle pratiche. Pur privilegiando la dottrina esposta nel Sutra del Loto e la pratica meditativa dello zhǐguān (止觀, giapp. shikan) queste scuole hanno accolto e diffuso anche altri sutra, soprattutto mahayana, e varie pratiche che vanno dallo zuòchán (坐禅, giapp. zazen) tipica delle scuole Chán e Zen, al niànfó (念佛, giapp. nenbutsu) tipica della scuole Jìngtǔ zōng (淨土宗, giapp. Jōdoshū), fino ai vari rituali esoterici delle scuole tantriche cinesi (Zhēnyán) e giapponesi (Shingon).
La ragione di tale sincretismo risiede nel fatto che per le scuole Tiāntái e Tendai, gli insegnamenti dottrinali e le pratiche spirituali sono sempre mezzi abili (sanscrito upāya, cin. 方便, fāngbiàn, giapp. hōben) che devono adattarsi alle differenti condizioni dei discepoli e dei praticanti buddhisti. Saichō comprese che le dottrine esoteriche (密教, giapp. Mikkyō) erano le pratiche più adatte (sanscrito upāya) per far comprendere all'aristocrazia il messaggio buddhista e, a ricaduta in una società fortemente gerarchizzata come quella giapponese dell'epoca, consentire di far giungere tale messaggio a tutto il popolo.
Sempre nell'806 rientrò in Giappone dalla Cina un altro monaco pellegrino, Kūkai (空海, 774-835) che invece aveva esclusivamente approfondito le dottrine esoteriche della scuola cinese Zhēnyán e si avviava a fondare la scuola Shingon. Saichō chiese a Kūkai di insegnargli le dottrine esoteriche che aveva appreso e tra i due nacque un sodalizio che tuttavia terminò nell'816 per delle inconciliabilità dottrinali (a differenza di Saichō, Kūkai sosteneva la superiorità delle dottrine esoteriche rispetto a quelle Tiāntái), per il rifiuto da parte di Kūkai di prestare a Saicho un testo esoterico e per la defezione del più importante discepolo di Saichō (e successore designato), Taihan (778-858), a favore della scuola Shingon. In quel periodo furono numerosi i monaci Tendai che abbandonarono il monastero Hieizan (poi denominato 延暦寺 Enryaku-ji) per passare alle scuole Hossō e Shingon.
Per questa ragione, Saicho iniziò a redigere una serie di testi dottrinali mirati a difendere gli insegnamenti della scuola Tendai contro le scuole rivali. In particolare contro la scuola Hossō, la quale ereditava dalla scuola cinese Fǎxiāng (法相宗) la dottrina degli icchantika (lett. 'senza famiglia' o 'senza fede', cin. 一闡提, yīchǎntí, giapp. issendai) ovvero di coloro a cui era impedita per sempre l'illuminazione (cin. 菩提 pútí, giapp. bodai). Saichō difese il principio per cui chiunque può raggiungere la buddhità, l'illuminazione. Sul piano della disciplina monastica (sans. vinaya, cin. Lü, giapp. ritsu) Saichō stabili che i monaci dovevano completare un periodo di studio e pratica della durata di almeno dodici anni. Inoltre ritenne opportuno abolire l'ordinazione Hīnayāna secondo il vinaya dharmaguptaka (sans. Cāturvargīya-vinaya, 四分律 pinyin: Shìfēnlǜ, giapp. Shibunritsu, è conservato nel Lǜbù), mantenendo invece l'ordinazione mahayana secondo ilBrahmajāla-sūtra (cin. 梵網經, Fànwǎng jīng, giapp. Bonmokyō). In questo Saichō operò una cesura con il Buddhismo cinese, e con lo stesso Buddhismo Tiāntái, che, con la scuola Lǜ zōng (律宗) fondata nel VII secolo da Dàoxuān (道宣, 596-667) aveva sempre difeso la doppia ordinazione. Secondo Saichō i 250 precetti del vinaya dharmaguptaka essendo di origine Hīnayāna (giapp. Shojo) sarebbero stati di ostacolo allo sviluppo spirituale del monaco mahāyāna (giapp. daijo) a differenza dei 58 precetti mahāyāna contenuti nel Brahmajālasūtra.
Saichō, infine, propose alla Corte imperiale di poter effettuare le ordinazioni monastiche direttamente sul Monte Hiei liberandosi in questo modo dal condizionamento del monastero Tōdai-ji (東大寺) di Nara, sede della scuola Kegon e luogo, insieme allo Yakushi-ji (薬師寺) e al Kannon-ji (觀音寺), di tutte le ordinazioni monastiche in Giappone.
La Corte imperiale negò tale autorizzazione fino alla morte di Saichō, il 4 giugno dell'822. Una settimana dopo la sua scomparsa, infatti, giunse allo Hieizan l'autorizzazione ad attivare una piattaforma monastica, specificatamente mahāyāna, per le ordinazioni. Dopo la sua morte, nell'866, gli fu conferito il titolo di 'Dengyō Daishi' (傳教大師).

La dottrina
L'insegnamento di Saichō, al ritorno del suo pellegrinaggio in Cina, fu subito indirizzato alla difesa della nuova scuola Tendai da lui fondata e originata dalla scuola cinese Tiāntái. Saicho era profondamente convinto che il Sutra del Loto e gli insegnamenti cinesi del Tiāntái (vedi questa voce), enyū santai 圓融三諦, ichinen sanzen 一念三千 e shikan 止觀, contenessero la dottrina perfetta (圓教, giapp. engyō) dell'insegnamento del Buddha Shakyamuni. Era anche convinto di vivere durante il periodo del Dharma contraffatto (像法, giapp. zōhō) e che nei due secoli successivi si sarebbero avviati gli ultimi giorni della legge (末法, giapp. mappō).
A differenza dei fondatori delle scuole buddhiste giapponesi del periodo Kamakura (vedi Buddhismo giapponese), Saichō non fece, tuttavia, della dottrina dei Tre periodi del Dharma (vedi Mappō) un aspetto fondante del suo insegnamento o innovando per questo la dottrina buddhista. Consigliò solamente ai monaci di ritirarsi sui monti e di praticare con costanza il rispetto dei precetti (vinaya).
Su questo punto Saichō operò invece una decisa innovazione rifiutando l'adesione ai precetti indicati nel vinaya dharmaguptaka (sans. Cāturvargīya-vinaya, 四分律 pinyin: Shìfēnlǜ, giapp. Shibunritsu, è conservato nel Lǜbù) vinaya di tutte le altre scuole cinesi e giapponesi, indicando l'ordinazione monastica solo in base ai 58 precetti mahāyāna indicati nel Brahmajāla-sūtra (cin. 梵網經, Fànwǎng jīng, giapp. Bonmokyō). Questo perché, ad avviso di Saichō, il rispetto dei precetti di una scuola hīnayāna sarebbe stata fonte di regresso per i monaci.
Saichō, sempre a differenza della scuola cinese Tiāntái, ritenne equivalenti (enmitsu ichi) le dottrine di quest'ultima con gli insegnamenti esoterici (mikkyō) impartiti anche dalla scuola Shingon. Ritenne, come anche Kūkai, di insegnare ad ottenere l'illuminazione in questa vita (sokushin jōbutsu, 卽身成佛) e di adattare gli insegnamenti in base alle effettive capacità dei discepoli.
Fu un autore prolifico e tra le numerose opere (circa 160) ricordiamo: lo Shugo kokkaishō (守護國界章, Discorso sulla protezione dello stato), il Hokkeshūku (法華秀句, Meravigliosi percorsi del Sutra del Loto) e il Kenkai ron (顯戒論, Trattato sui precetti [del mahāyāna]), gli viene attribuito anche il Mappō Tōmyōki (末法燈明記, Il Trattato della Lampada che illumina l'era degli ultimi giorni del Dharma), trattato che ebbe grande influenza sul buddhismo giapponese successivo.



martedì 12 ottobre 2010

Tsurugi

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Lo Tsurugi, anche Ken, (in Lingua giapponese) è il vocabolo giapponese che identifica la spada a lama diritta, affilata su ambo i lati, derivata dal modello del jian cinese. Nella cultura giapponese, il nome Tsurugi viene spesso associato a figure leggendarie di eroi cinesi noti per l'uso di armi dalla lama eccezionalmente lunga o pesante. In Occidente, il vocabolo ken è passato ad indicare le forme di spada in uso ai monaci-guerrieri buddisti (Sōhei), contrapposte alla katana ricurva dei samurai.

Storia
I primi rudimenti della siderurgia, costituenti il segreto della lavorazione di spade in ferro, passò dalla Cina al Giappone tra il I ed il III secolo (fine della Dinastia Han), ed almeno sino al VI secolo spade e fabbri sinici continuarono ad essere importati nel Sol Levante.

Costruzione
Kusanagi-no-Tsurugi
Il nome corrente (diversi appellativi sono stati utilizzati in passato) per uno dei tre oggetti (spada, specchio e gioiello) che compongono i tre sacri tesori di Shinto è "Kusanagi-no-Tsurugi."


lunedì 11 ottobre 2010

Zhū Shìxíng

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Zhu Shixing (朱士行 Zhū Shìxíng, Wade-Giles: Chu Shih-hsing, giapponese: Shu Shikō; Henan, 203? – 282?) è stato un monaco buddhista e traduttore cinese.

Biografia
Nato a Yinzhou (颍州, nello Henan) nei primi anni del III secolo, Zhū Shìxíng è considerato il primo monaco buddhista cinese che visitò, nel III secolo d.C., le cosiddette "Regioni occidentali" (西域 Xīyù) ovvero quell'area dell'Asia centrale successivamente indicata come Turkestan.
Lo scopo del viaggio di Zhū Shìxíng, iniziato nel 260, fu quello di procurarsi delle scritture religiose buddhiste mahāyāna, in particolar modo il Pañcaviṃśatikāprajñāpāramitā-sūtra in quanto non era convinto della corrente traduzione cinese, da riportare in patria e quindi tradurre.
Giunto, dopo venti anni di viaggio lungo quelle regioni, nel Regno di Khotan, raccolse la versione sanscrita del Pañcaviṃśatikāprajñāpāramitā-sūtra e, nonostante le resistenze di monaci buddhisti di scuola Sarvāstivāda (Hīnayāna), lo inviò tramite alcuni suoi discepoli in Cina dove, nel 291, fu tradotto da Mokṣala (nome cinese 無叉羅 Wúchāluó, monaco di origine khotanese) e Zhu Shulan (竺叔蘭) con il titolo di 放光般若波羅蜜經 (Fàngguāng bōrě bōluómì jīng, raccolto al T.D. 221).
Secondo alcune tradizioni Zhū Shìxíng fu tra i primi cinesi e ad essere ordinato monaco buddhista quando Dharmakāla costruì nel 250 la prima piattaforma per le ordinazioni monastiche al Tempio del Cavallo bianco (白馬寺, Báimǎ Sì) a Luòyáng.



domenica 10 ottobre 2010

Zhú (buddhismo cinese)

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Con l'etnonimo Zhú (cinese, ; giapponese: Chiku; coreano: , Ch'uk; vietnamita: Trúc) si indicano, nella letteratura buddhista cinese, quei monaci originari dell'India (cinese: 天竺, Tiānzhú; giapponese: Tenjiku; rese del sanscrito Sindhu), che giunsero in Cina per scopi missionari finendo frequentemente per svolgere l'attività di traduttori dal sanscrito al cinese di opere buddhiste.  


sabato 9 ottobre 2010

Tabar

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Il tabar è un'ascia da battaglia tipica dell'India.
È di solito costruita interamente in metallo (generalmente acciaio), impugnatura inclusa, ed una lama fortemente curva, a mezzaluna, per meglio concentrare la forza del colpo su una superficie ridotta. A volte c'è una punta sulla parte opposta dalla lama, o in cima all'impugnatura, sopra la testa.
Alcuni modelli, i più ornati e costosi, sono dotati di manico interamente o in parte vuoto, contenente un pugnale, che può essere estratto svitandolo. Questa era una caratteristica presente anche in altre armi indiane, ma che sarebbe stata di dubbia utilità in combattimento.


venerdì 8 ottobre 2010

Bodhiruci

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Bodhiruci (菩提流支, Pinyin: Pútíliúzhī, Wade-Giles: P'u-t'i-liu-chih, giapponese: Bodairushi; ... – 527) è stato un monaco buddhista e traduttore indiano.
Originario dell'India settentrionale, Bodhiruci è stato uno dei più prolifici traduttori dal sanscrito al cinese di opere buddhiste. Nel Tempio di Shàolín, situato nei pressi dell'allora capitale Luoyang, Bodhiruci completò la traduzione di oltre trenta sutra e commentari mahāyāna. È ricordato soprattutto per aver operato su testi della scuola Cittamātra come il Laṅkāvatārasūtra e il Saṃdhinirmocana-Sutra, ma anche su altri sutra mahāyāna come il Sutra del Diamante e il Sutra del Loto.
A Bodhiruci si attribuiscono, tra le altre, le seguenti traduzioni:
  • Saṃdhinirmocanasūtra (Sutra che rivela il pensiero o Sutra che rivela i misteri, 深密解脫經 Shēnmì jiětuō jīng, giapp. Shinmitsu gedatsu kyō, T.D. 675.16.668-687) tradotto nel 514;
  • Laṅkāvatārasūtra (Sutra della discesa a Lanka, 入楞伽經 Rulengqiejing, in 10 fascicoli, T.D. 671.16.514-586) tradotto nel 513;
  • Saddharmapuṇḍarīka-sūtra-upadeśa (妙法蓮華經憂波提舍 Miào fǎ liánhuā jīng yōupōtíshè, giapp. Myōhō renge kyō ubadaisha, T.D. 1522.26.123b-203b), Commentrario sul Sutra del Loto, opera di Vasubandhu.
  • Vajracchedikā-prajñāpāramitā-sūtra (Sutra della perfezione della saggezza che recide come un diamante, o più brevemente Sutra del diamante che recide, 金剛般若波羅蜜經 Jīngāng banruo boluómì jīng, giapp. Kongō hannyaharamitsu kyō, T.D. 236.8.752c-761c) tradotto nel 509;
  • Daśabhūmikasūtra-śāstra (十地經論, Shídì jīnglùn, giapp. Jūji kyō ron, T.D.1522.26.123b-203b), un commentario dell'Avataṃsakasūtra (華嚴經, Huāyánjīng, giapp. Kegon kyō, Sutra della ghirlanda fiorita di Buddha), redatto da Vasubandhu.
  • Mahāsatyanirgranthasūtra (大薩遮尼乾子所說經, Dàsàzhē nígānzí suǒ shuō jīng, giapp. Dai satsusha nikanji sho setsu kyō, T.D. 272), un sutra mahāyāna dove il Buddha Shakyamuni insegna a Mañjuśrī la pratica delle sei pāramitā unitamente allo sviluppo della bodhicitta.
Il Bodhiruci del VI secolo non va tuttavia confuso con un omonimo monaco indiano traduttore che operò nel VII secolo, sotto la Dinastia Tang a cui si deve, ad esempio, la traduzione, tra il 706 e il 713, del Dà bǎojī jīng (大寶積經, Ratnakūṭasūtra, giapp. Daihōshakukyō, Sutra del cumulo di gioielli, T.D. 310.11.1-687) in 120 fascicoli.



giovedì 7 ottobre 2010

Lu jiao dao

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I Lu jiao dao (cinese: 鹿角刀; pinyin: Lùjiǎodāo) sono delle armi cinesi che consistono in due lame d'acciaio a forma di mezzaluna incrociate. Sono armi specifiche delle arti marziali cinesi. Gli incroci delle lame fanno sì che si vengano a creare quattro artigli, e ciascuno dei quali può essere utilizzato come lama principale. Chi utilizza tali armi, le tiene per la parte centrale, che è ricoperta affinché non ci si tagli con la lama, e se ne usa una per l'attacco e una per la difesa. Essendo abbastanza piccole, vengono portate a coppia nei tradizionali vestiti cinesi.
Queste armi sono associate con l'arte marziale Baguazhang, conosciuta per la sua varietà di armi utilizzate. Sono usate soprattutto per disarmare l'avversario, rompere un'arma lunga ed altri svariati colpi della lotta ravvicinata.
Sono appunto efficaci contro armi lunghe tipo lance, spade e comunque armi che prevedono un combattimento a distanza. A differenza delle armi più lunghe, i lu jiao dao sono molto maneggevoli e quindi possono essere usati con grande rapidità e precisione; inoltre si può facilmente rompere la guardia dell'avversario.

Varianti
Esistono delle versioni diverse di lu jiao dao, che hanno due lame più lunghe delle altre. La parte con le lame lunghe viene utilizzata come arma principale, invece dal lato delle lame corte si ha la guardia.




mercoledì 6 ottobre 2010

Tomahawk

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Il tomahawk è l'ascia da battaglia (termine in realtà improprio in quanto il tomahawk è in realtà un'accetta) dei Nativi americani. Utilizzata anche dai coloni europei, si prestava anche ad essere lanciata. Il nome, che deriva dai termini tamahak, tamahakan o otomahuk ("abbattere"), è la traslitterazione in inglese del termine utilizzato dagli Algonchini della Virginia.
Il lancio di Tomahawk viene praticato in Nordamerica durante rievocazioni storiche del periodo coloniale.

Storia
Originariamente, la testa del tomahawk era di pietra ma con l'arrivo degli europei furono utilizzati esclusivamente ferro o ottone.
Le teste metalliche si basavano su accette in uso sulle imbarcazioni della Royal Navy che i coloni usavano come merce di scambio con i Nativi americani; la forma di questa ascia utilizzata in Gran Bretagna risale alle invasioni dei Vichinghi. Nei territori colonizzati dai francesi invece i tomahawk metallici assunsero forme simili alle asce di tipo francisca usate in Francia.
Una versione moderna del tomahawk, sviluppata dall'ex US Marine Peter LaGana, venne usata dall'esercito americano durante la guerra in Vietnam come arma per il combattimento corpo a corpo.

Caratteristiche
Quest'arma era caratterizzata e si contraddistingueva per:
  • il manico dei tomahawk, che era solitamente lungo meno di 60 centimetri e realizzato in legno di Carya;
  • la testa, che aveva un peso che poteva andare dai circa 250 ai 550 grammi, con una lama non più lunga di 10 centimetri, all'estremità opposta alla lama poteva esserci un piccolo martello o una punta. Le teste in pietra erano realizzate in pietra saponaria, ed alcuni esemplari utilizzati in rituali erano scolpiti.
Varianti
Gli europei realizzarono alcuni esemplari sia in pietra che metallo con il manico cavo ed una pipa integrata nella testa per potervi fumare tabacco: una descrizione di questo tipo di tomahawk si trova nel romanzo Moby Dick di H. Melville; si tratta dell'arma del (buon) selvaggio Queequeg. Questi oggetti particolari venivano commerciati con i Nativi o scambiati in trattative diplomatiche e avevano un valore simbolico, da un lato vi era l'ascia simbolo di guerra, dall'altro una sorta di calumet, la pipa della pace.


martedì 5 ottobre 2010

Kātyāyana

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Kātyāyana o Mahākātyāyana (in sanscrito e in pali: Kaccāna, Mahākaccāna o Mahākaccāyana) era un discepolo di Gautama Buddha.
È elencato tra i suoi dieci principali discepoli ed era noto per la sua esposizione del Dharma.
Nel buddismo tailandese, è anche conosciuto come Phra Sangkajai e spesso ritratto come estremamente corpulento.

Vita
Kātyāyana nacque da una famiglia di bramini nella città di Ujjayini (Ujjain) e ricevette un'educazione braminica classica, che includeva lo studio dei Veda. Studiò assiduamente sotto Asita, che aveva predetto che il principe Siddharta sarebbe diventato un cakravartin, un grande sovrano mondano o un Buddha. Kātyāyana era un consigliere religioso del re Candappajjota, sovrano dello stato di Avanti.
Su richiesta del re, Kātyāyana partì con un gruppo di sette amici per fare visita al Buddha a Sravasti, e raggiunse l'illuminazione ascoltandolo mentre predicava. Fu ordinato e operò numerose conversioni ad Avanti.
Nella Madhura Sutta, il re Avantiputta di Madhurā si avvicinò a Kātyāyana qualche tempo dopo il parinirvana del Buddha con una domanda relativa alle pretese di superiorità del bramino a causa della loro casta. Kātyāyana sottolinea che la ricchezza conferisce potere alle persone indipendentemente dalla casta e che i bramini sperimentano gli stessi risultati di una condotta buona o cattiva allo stesso modo di quelli di altre caste.

Vite precedenti
Nell'epoca del Buddha Padmottara, Kātyāyana prese la decisione di raggiungere la grandezza dopo aver ascoltato le lodi di un altro monaco che condivideva il suo nome. In questa vita, era un vidyādhara e offrì al Buddha tre fiori di kanikāra. Dopo aver costruito una capanna a forma di loto e averla chiamata Paduma (in pali lett. "loto"), divenne un re di nome Pabhassara dopo trenta kalpa.
Si dice anche che fosse stato un vidyādhara ai tempi del Sumedha Buddha .
Al tempo del Buddha Kāsyapa era un capofamiglia di Benares. Offrì un mattone d'oro a un caitiya che ospitava i resti del Buddha e fece un voto che in futuro il suo corpo avrebbe avuto una carnagione dorata.

Soreyya
Vi è un famoso "incidente" riportato nel versetto 43 del commentario di Dhammapada in cui un uomo di nome Soreyya stava viaggiando con un amico e si accorse che Kātyāyana si stava aggiustando le vesti. Vedendo la sua carnagione dorata, Soreyya iniziò a fantasticare sul fatto che Kātyāyana dovesse diventare sua moglie o che la carnagione di sua moglie dovesse essere come quella di Kātyāyana. A causa della natura di questo pensiero, si trasformò in una donna. Sposò un uomo ricco di Taxila e gli diede due figli.
Soreyya in seguito si avvicinò a Kātyāyana e spiegò la situazione, scusandosi per la sua cattiva condotta nel pensiero. Kātyāyana accettò le sue scuse, grazie alle quali Soreyya riacquistò la sua forma maschile.

Vassakara
Un'altra storia racconta l'incidente di un uomo di nome Vassakāra, ministro del re Ajātaśatru. Dopo aver visto Kātyāyana scendere dal monte Gridhrakūta, Vassakāra affermò che sembrava una scimmia. Il Buddha lo avvertì che, a causa della sua affermazione, sarebbe rinato come una scimmia a Veṇuvana Per precauzione, Vassakāra rifornì quell'area di alberi da frutto e dopo la morte rinacque come aveva predetto il Buddha.

Testi attribuiti
La tradizione attribuisce a Katyāyana la paternità di due testi canonici del tardo Pāli:
  • Il Nettipakarana, un commento sulla dottrina buddista
  • Il Peṭakopadesa, un trattato sulla metodologia esegetica.
Tuttavia, è possibile che questi testi siano stati composti da una scuola che discende da lui. La tradizione associa il suo nome a una comunità buddista di Avanti, la regione che si ritiene sia stata l'origine del Canone Pāli.
La tradizione sostiene anche che Mahākātyāyana fosse l'autore dei versetti 494-501 del Theragāthā, dove dà consigli ai meditatori.

Letteratura
Nel Sutra del Loto
Nel capitolo 3 del Sutra del Loto intitolato "Simile e parabola", Mahākātyāyana è uno dei quattro discepoli a comprendere l'intenzione del Buddha nel suo sermone.
Nel capitolo 6 intitolato "Conferimento della profezia", il Buddha conferisce profezie di illuminazione ai discepoli Mahākāśyapa, Subhūti, Mahākātyāyana e Maudgalyāyana. Viene predetto che Mahākātyāyana diventerà un Buddha chiamato Jāmbūnadābhāsa.

Kātyāyanavavāda
Nāgārjuna cita un testo che chiama Kātyāyanavavāda ("Consiglio a Kātyāyana") nel suo Mūlamadhyamakakārikā (15.7). Questo testo sembra essere stato un parallelo in sanscrito del Pāli Kaccānagotta Sutta .