Presso la religione induista, Ganesha
o Ganesh (Sanscrito गणेश IAST
Gaṇeśa) è una delle
rappresentazioni di Dio più conosciute e venerate; figlio
primogenito di Shiva e Parvati, viene raffigurato con una testa di
elefante provvista di una sola zanna, ventre pronunciato e quattro
braccia, mentre cavalca o viene servito da un topo, suo veicolo.
Spesso è rappresentato seduto, con una gamba sollevata da terra e
ripiegata sull'altra, nella posizione della Lalitasana. Tipicamente,
il suo nome è preceduto dal titolo di rispetto induista, Shri.
Il culto di Ganesha è molto diffuso,
anche al di fuori dell'India; i devoti di Ganesha si chiamano
Ganapatya.
Etimologia ed altri nomi
Formato dalle parole sanscrite gana
e isha (signore), Ganesha significa letteralmente
"Signore dei gana" dove gana può essere
interpretato come "moltitudine", facendo assumere al nome
il significato di "Signore di tutti gli esseri", ma con
gana nella tradizione induista si possono intendere anche dei piccoli
demoni deformi che corteggiano Śiva.
Ganesha viene a volte chiamato anche Vighnesvara, "Signore
degli ostacoli", Vinayaka, "colui che rimuove"
o anche Pillaiyar.Simbologia
Come per ogni altra forma con la quale
l'Induismo rappresenta Dio, inteso come l'aspetto personale di
Brahman (detto anche Īśvara, il Signore), anche la figura di
Ganesha è un archetipo carico di molteplici significati e simbolismi
che esprimono uno stato di perfezione, e il modo per raggiungerla;
Ganesha è infatti il simbolo di colui che ha scoperto la Divinità
in se stesso.
Egli rappresenta il perfetto equilibrio tra energia maschile (Śiva) e femminile (Shakti), ovvero tra forza e dolcezza, tra potenza e bellezza; simboleggia inoltre la capacità discriminativa che permette di distinguere la verità dall'illusione, il reale dall'irreale.
Egli rappresenta il perfetto equilibrio tra energia maschile (Śiva) e femminile (Shakti), ovvero tra forza e dolcezza, tra potenza e bellezza; simboleggia inoltre la capacità discriminativa che permette di distinguere la verità dall'illusione, il reale dall'irreale.
Una descrizione di tutte le
caratteristiche e gli attributi di Ganesha si può trovare nella
Ganapati Upaniṣad (una Upaniṣad dedicata a Ganesha) del rishi
Atharva, nella quale Ganesha è identificato con il Brahman e con
Ātman. In questo inno, inoltre, è contenuto uno dei mantra più
famosi associati a questa divinità: Om Gam Ganapataye Namah
(lett. Mi arrendo a Te, Signore di tutti gli esseri).
Nei Veda si trova anche una delle più
salmodiate preghiere attualmente attribuite a Ganesha, che
costituisce l'inizio del Ganapati Prarthana:
- Gaṇānāṃ tvā ganapatiṃ havāmahe kavim kavīnām upamaśravastamam
- jyeṣṭarājam brahmaṇām brahmaṇas pata ā nah śṛṇvann ūtibhiḥ sīda sādanam
(Rig Veda
2.23.1)
Il Signore del Buon Auspicio
In termini generali, Ganesha è una
divinità molto amata ed invocata, poiché è il Signore del buon
auspicio che dona prosperità e fortuna, il Distruttore degli
ostacoli di ordine materiale o spirituale; per questa ragione se
ne invoca la grazia prima di iniziare una qualunque attività, come
ad esempio un viaggio, un esame, un colloquio di lavoro, un affare,
una cerimonia, o un qualsiasi evento importante. Per questo motivo è
tradizione che tutte le sessioni di bhajan (canti devozionali)
comincino con una invocazione a Ganesha, Signore del "buon
inizio" dei canti.
È inoltre associato con il primo
chakra, che rappresenta l'istinto di conservazione e sopravvivenza,
la procreazione ed il benessere materiale.
Attributi corporei
Ogni elemento del corpo di Ganesha ha una sua valenza ed un suo proprio significato:- la testa d'elefante indica fedeltà, intelligenza e potere discriminante;
- il fatto che abbia una sola zanna (e l'altra spezzata) indica la capacità di superare ogni dualismo;
- le larghe orecchie denotano saggezza, capacità di ascolto e di riflessione sulle verità spirituali;
- la proboscide ricurva sta ad indicare le potenzialità intellettive, che si manifestano nella facoltà di discriminazione tra reale ed irreale;
- sulla fronte ha raffigurato il Tridente (simbolo di Śiva), che simboleggia il Tempo (passato, presente e futuro) ne attribuisce a Ganesha la padronanza;
- il ventre obeso è tale poiché contiene infiniti universi, rappresenta inoltre l'equanimità, la capacità di assimilare qualsiasi esperienza con sereno distacco, senza scomporsi minimamente;
- la gamba che poggia a terra e quella sollevata indicano l'atteggiamento che si dovrebbe assumere partecipando alla realtà materiale e a quella spirituale, ovvero la capacità di vivere nel mondo senza essere del mondo;
- le quattro braccia di Ganesha rappresentano i quattro attributi interiori del corpo sottile, ovvero: mente, intelletto, ego, coscienza condizionata;
- in una mano brandisce un'ascia, simbolo della recisione di tutti i desideri, apportatori di sofferenza;
- nella seconda mano stringe un lazo, simbolo della forza che lega il devoto all'eterna beatitudine del Sé;
- la terza mano, rivolta al devoto, è in un atto di benedizione (abhaya);
- la quarta mano tiene un fiore di loto (padma), che simboleggia la più alta meta dell'evoluzione umana.
La zanna spezzata
La zanna spezzata di Ganesha, come si è visto, indica principalmente la capacità di superare o "spezzare" la dualità; tuttavia, questo è un simbolo che può assumere vari significati.
«Un elefante ha, di norma,
due zanne. Anche la mente propone spesso due alternative: quella
buona e quella cattiva, l'eccellente e l'espediente, il fatto e la
fantasia che la porta fuori strada. Per fare qualsiasi cosa, la
mente deve comunque diventare determinata. La testa di elefante
del Signore Ganesha ha quindi una sola zanna per cui Egli è
chiamato "Ekadantha", che significa "Colui che ha
una sola zanna", per ricordare ad ognuno che si deve
possedere la determinazione mentale.»
|
(Sathya Sai Baba) |
Ci sono vari aneddoti che spiegano
l'origine di questo particolare attributo (v. paragrafo Come si
ruppe la zanna di Ganesha?).
Ganesha e il Topo
La cavalcatura di Ganesha è un piccolo
topo (Mushika o Akhu), che rappresenta l'ego, la mente
con tutti i suoi desideri, la bramosia dell'individuo; Ganesha,
cavalcando il topo, diviene padrone (e non schiavo) di queste
tendenze, indicando il potere che l'intelletto e la discriminazione
hanno sulla mente. Inoltre il topo (per natura estremamente vorace),
viene spesso raffigurato a fianco di un piatto di dolci, con lo
sguardo rivolto a Ganesha mentre tiene un boccone stretto tra le
zampe, come in attesa di un suo ordine; rappresenta la mente che è
stata completamente assoggettata alla facoltà superiore
dell'intelletto, la mente sottoposta ad un ferreo controllo, che
fissa Ganesha e non si accosta al cibo se non ne riceve il permesso.
C'è anche un altro significato di Akhu, l'astuzia del topo che
accompagnata alla saggezza dell'elefante fa compiere grandi imprese
e, inoltre, tanto l'elefante quanto il topo, passano dappertutto,
quasi senza incontrare ostacoli: uno per via della sua mole e
l'altro, per la sua minutezza. Ganesha, infatti, è colui che aiuta a
superare gli ostacoli e viene venerato prima di iniziare qualsiasi
impresa.
Sposato o celibe?
È interessante notare come, secondo la
tradizione, Ganesha sia stato generato dalla Madre Parvati senza
l'intervento del marito Śiva; infatti Śiva, essendo eterno
(Sadashiva), non sentiva alcuna necessità di avere figli.
Così Ganesha nacque dall'esclusivo desiderio femminile di Parvati di
creare. Di conseguenza, la relazione di Ganesha con la propria madre
è unica e speciale.
Questa devozione è la ragione per la
quale la tradizione dell'India del sud lo rappresenta come celibe (v.
l'aneddoto Devozione alla Madre). Si dice che Ganesha, ritenendo sua
madre Parvati la donna più bella e perfetta dell'universo, abbia
esclamato: "Portatemi una donna bella come lei ed io la
sposerò".
Nell'India del nord, invece, Ganesha è
spesso raffigurato sposato alle due figlie di Brahma: Buddhi
(intelletto) e Siddhi (potere spirituale). In altre
raffigurazioni le sue consorti sono: Sarasvathi (dea della cultura e
dell'arte) e Lakshmi (dea della fortuna e della prosperità), a
simboleggiare che queste qualità accompagnano sempre colui che ha
scoperto la propria Divinità interiore.
Aneddoti mitologici
Come ottenne una testa di elefante?
L'articolata mitologia induista
presenta tante storie che spiegano in che modo Ganesha ottenne una
testa di elefante; spesso l'origine di questo particolare attributo
si trova negli stessi aneddoti che riguardano la sua nascita.
Nelle storie in questione, inoltre, si raccontano anche varie ragioni che rivelano l'origine dell'enorme popolarità del suo culto.
Nelle storie in questione, inoltre, si raccontano anche varie ragioni che rivelano l'origine dell'enorme popolarità del suo culto.
Decapitato e rianimato da Śiva
La storia più conosciuta è
probabilmente quella tratta dallo Śiva Purāṇa: una volta Madre
Parvati volle fare un bagno nell'olio, ma sentendosi offesa per una
precedente visita improvvisa di suo marito Śiva mentre si stava
lavando, creò un ragazzo dalla farina di grano di cui si era
cosparsa il corpo e gli chiese di fare la guardia davanti alla porta
di casa, raccomandando di non far entrare in casa nessuno. In quel
frangente Śiva tornò a casa e, trovando sulla porta uno sconosciuto
che gli impediva di entrare, si arrabbiò e lo decapitò con il suo
tridente. Parvati ne fu molto addolorata e Śiva, per consolarla,
inviò le proprie schiere celesti (Gana) a trovare e prendere la
testa di qualsiasi creatura avessero trovata addormentata con il capo
rivolto a nord. Essi trovarono un elefante che dormiva in tal modo, e
ne presero la testa; Śiva la attaccò al corpo del ragazzo, lo
resuscitò e lo chiamò Ganapathi, o capo delle schiere
celesti, concedendogli di essere adorato da chiunque fosse in
procinto di iniziare una qualsiasi attività importante.
Śiva e Gajasura
Un'altra leggenda riguardante l'origine
di Ganesha narra che, una volta, ci fosse un Asura (demone) dalle
sembianze di elefante chiamato Gajasura, il quale eseguì una
penitenza (o tāpas); Śiva, soddisfatto di questa austerità, decise
di concedergli in dono qualsiasi cosa desiderasse. Il demone voleva
che dal suo corpo si emanasse continuamente del fuoco, in modo che
nessuno osasse avvicinarlo; il Signore glielo concesse. Gajasura
proseguì la sua penitenza e Śiva, che gli appariva davanti di tanto
in tanto, gli chiese nuovamente che cosa desiderasse; il demone
rispose: "Io desidero che Tu risieda nel mio stomaco".
Śiva esaudì la richiesta e vi prese dimora. Infatti, Śiva è anche conosciuto come Bhola Shankara, poiché è una divinità facile da propiziare; quando è soddisfatto di un devoto gli concede qualunque cosa chieda, e questo a volte genera situazioni particolarmente intricate. Fu così che Parvati, sua moglie, lo cercò ovunque senza risultato; come ultima risorsa si recò dal proprio fratello Viṣṇu, chiedendogli di trovare suo marito. Egli, che conosce tutto, la rassicurò: "Non preoccuparti, cara sorella, tuo marito è Bhola Shankara e concede prontamente qualunque grazia il Suo devoto Gli chieda, senza prenderne in considerazione le conseguenze; per cui penso che si sia cacciato in qualche guaio. Scoprirò cosa è accaduto".
Allora Viṣṇu, l'onnisciente regista del gioco cosmico, inscenò una piccola commedia: tramutò Nandi (il toro di Śiva) in un toro danzatore e lo condusse al cospetto di Gajasura, assumendo nel contempo le sembianze di un suonatore di flauto. L'incantevole esecuzione del toro mandò in estasi il demone, il quale chiese al suonatore di flauto di esprimere un desiderio; il Viṣṇu musicante allora rispose: "Puoi darmi quello che ti chiedo?" Gajasura replicò: "Per chi mi hai preso? Io posso darti subito qualunque cosa tu chieda". Il suonatore quindi disse: "Se è così, libera dunque dal tuo stomaco Śiva che vi si trova". Gajasura capì allora come questi non fosse altri che Viṣṇu Stesso, l'unico che potesse conoscere quel segreto, così si gettò ai suoi piedi e, liberato Śiva, Gli chiese un ultimo dono: "Io sono stato benedetto da Te con molti doni; la mia ultima richiesta è che tutti mi ricordino adorando la mia testa quando sarò morto". Śiva condusse allora lì il proprio figlio, la cui testa venne sostituita con quella di Gajasura. Da allora, in India è viva la tradizione per cui qualunque iniziativa, per essere prospera, deve cominciare con l'adorazione di Ganesha; questo è il risultato del dono di Śiva a Gajasura.
Śiva esaudì la richiesta e vi prese dimora. Infatti, Śiva è anche conosciuto come Bhola Shankara, poiché è una divinità facile da propiziare; quando è soddisfatto di un devoto gli concede qualunque cosa chieda, e questo a volte genera situazioni particolarmente intricate. Fu così che Parvati, sua moglie, lo cercò ovunque senza risultato; come ultima risorsa si recò dal proprio fratello Viṣṇu, chiedendogli di trovare suo marito. Egli, che conosce tutto, la rassicurò: "Non preoccuparti, cara sorella, tuo marito è Bhola Shankara e concede prontamente qualunque grazia il Suo devoto Gli chieda, senza prenderne in considerazione le conseguenze; per cui penso che si sia cacciato in qualche guaio. Scoprirò cosa è accaduto".
Allora Viṣṇu, l'onnisciente regista del gioco cosmico, inscenò una piccola commedia: tramutò Nandi (il toro di Śiva) in un toro danzatore e lo condusse al cospetto di Gajasura, assumendo nel contempo le sembianze di un suonatore di flauto. L'incantevole esecuzione del toro mandò in estasi il demone, il quale chiese al suonatore di flauto di esprimere un desiderio; il Viṣṇu musicante allora rispose: "Puoi darmi quello che ti chiedo?" Gajasura replicò: "Per chi mi hai preso? Io posso darti subito qualunque cosa tu chieda". Il suonatore quindi disse: "Se è così, libera dunque dal tuo stomaco Śiva che vi si trova". Gajasura capì allora come questi non fosse altri che Viṣṇu Stesso, l'unico che potesse conoscere quel segreto, così si gettò ai suoi piedi e, liberato Śiva, Gli chiese un ultimo dono: "Io sono stato benedetto da Te con molti doni; la mia ultima richiesta è che tutti mi ricordino adorando la mia testa quando sarò morto". Śiva condusse allora lì il proprio figlio, la cui testa venne sostituita con quella di Gajasura. Da allora, in India è viva la tradizione per cui qualunque iniziativa, per essere prospera, deve cominciare con l'adorazione di Ganesha; questo è il risultato del dono di Śiva a Gajasura.
Lo sguardo di Shani
Una storia poco celebre riguardante le
origini di Ganesha si trova nel Brahma Vaivarta Purana: Śiva chiese
a Parvati, la quale desiderava avere un figlio, di compiere un
particolare sacrificio (punyaka vrata) per un anno, in modo da
appagare Viṣṇu.
Dopo il completamento del sacrificio, il Signore Krishna promise a Parvati di incarnarsi come suo figlio, all'inizio di ogni kalpa o era cosmica. Così Krishna nacque come un bellissimo bambino, con grande gioia di Parvati che volle celebrare la miracolosa nascita. Tutti gli dèi e le dee si riunirono per gioire della nascita. Shani, figlio di Surya (il deva del sole), era presente ma si rifiutò di guardare il neonato; disturbata dal suo comportamento, Parvati gliene chiese la ragione, e Shani rispose che se avesse guardato il bambino lo avrebbe ferito. In seguito all'insistenza di Parvati, Shani volse lo sguardo e, non appena i suoi occhi si posarono sul neonato, la sua testa fu tagliata all'istante. Tutte le deità presenti si disperarono, per cui Viṣṇu si precipitò sulle rive del fiume Pushpabhadra e tornò con la testa di un giovane elefante, e la unì al corpo del bambino infondendogli nuova vita. Viṣṇu benedì il bambino, promettendogli che egli sarebbe stato adorato prima di qualunque altra deità, e che sarebbe stato il migliore tra gli yogi; allo stesso modo Śiva lo pose a capo delle sue truppe e lo benedì, affermando che qualsiasi ostacolo, di qualsiasi entità, sarebbe stato superato pregando Ganesha.
Dopo il completamento del sacrificio, il Signore Krishna promise a Parvati di incarnarsi come suo figlio, all'inizio di ogni kalpa o era cosmica. Così Krishna nacque come un bellissimo bambino, con grande gioia di Parvati che volle celebrare la miracolosa nascita. Tutti gli dèi e le dee si riunirono per gioire della nascita. Shani, figlio di Surya (il deva del sole), era presente ma si rifiutò di guardare il neonato; disturbata dal suo comportamento, Parvati gliene chiese la ragione, e Shani rispose che se avesse guardato il bambino lo avrebbe ferito. In seguito all'insistenza di Parvati, Shani volse lo sguardo e, non appena i suoi occhi si posarono sul neonato, la sua testa fu tagliata all'istante. Tutte le deità presenti si disperarono, per cui Viṣṇu si precipitò sulle rive del fiume Pushpabhadra e tornò con la testa di un giovane elefante, e la unì al corpo del bambino infondendogli nuova vita. Viṣṇu benedì il bambino, promettendogli che egli sarebbe stato adorato prima di qualunque altra deità, e che sarebbe stato il migliore tra gli yogi; allo stesso modo Śiva lo pose a capo delle sue truppe e lo benedì, affermando che qualsiasi ostacolo, di qualsiasi entità, sarebbe stato superato pregando Ganesha.
Come si ruppe la zanna di Ganesha?
Ci sono vari aneddoti che spiegano come
Ganesha si spezzò una zanna.
Ganesha scriba
La prima parte del poema epico del
Mahābhārata dichiara che il saggio Vyāsa chiese a Ganesha di
trascrivere il poema sotto la sua dettatura; Ganesha acconsentì, ma
solo alla condizione che Vyāsa avrebbe dovuto recitare il poema
ininterrottamente, senza alcuna pausa. Il saggio, allora, pose a
propria volta una ulteriore condizione: Ganesha avrebbe non solo
dovuto scrivere, ma comprendere tutto ciò che udiva ancor prima di
scriverlo. In questo modo Vyāsa avrebbe potuto riprendersi un poco
dal suo continuo parlare, semplicemente recitando un verso difficile
da capire. La dettatura cominciò, ma nella foga della scrittura il
pennino di Ganesha si ruppe, così egli si spezzò una zanna e la usò
come penna affinché la trascrizione potesse andare avanti senza
interruzioni, così da permettergli di mantenere la parola data.
Ganesha e Parashurama
Un giorno Parashurama, un avatar di
Viṣṇu, si recò a fare visita a Śiva, ma lungo la strada fu
bloccato da Ganesha. Parashurama si scagliò contro di lui con la sua
ascia, e Ganesha (sapendo che quell'ascia gli era stata donata da
Śiva) acconsentì a farsi colpire, perdendo così una zanna che fu
tagliata.
Ganesha e la Luna
Si racconta che un giorno Ganesha, dopo
aver ricevuto da moltissimi adoratori una gran quantità di dolci
(Modak), per digerire meglio quell'impressionante mole di
cibo, decise di fare una passeggiata; salì sul topo che utilizza
come veicolo e partì. Era una notte magnifica e la Luna splendeva.
All'improvviso spuntò un serpente che spaventò a morte il topo, il
quale sussultando fece cadere il suo cavaliere. Il grosso stomaco di
Ganesha venne schiacciato e, troppo pieno, scoppiò; tutti i dolci
che aveva mangiato si sparsero attorno a lui. Tuttavia, egli era
troppo intelligente per prendersela a causa di questo incidente, per
cui senza perdere tempo in inutili lamentele, si preoccupò soltanto
di risolvere al meglio la situazione: prese il serpente che aveva
causato l'incidente e lo utilizzò come cintura per tenere chiuso il
suo addome e bendare la ferita; e, soddisfatto, salì nuovamente sul
topo e riprese il suo giro. Chandra, il deva della Luna, nel vedere
la buffa scena scoppiò a ridere e si prese gioco di Ganesha; questi
allora ritenne giusto punire il deva per la sua arroganza,
quindi si spezzò una zanna e la lanciò contro la Luna spaccandone a
metà il viso luminoso. Egli la maledisse, decretando che chiunque
l'avesse guardata sarebbe stato perseguitato dalla sfortuna. Chandra,
rendendosi conto del proprio errore, chiese perdono e pregò Ganesha
di ritirare la maledizione; ma una maledizione non può essere
revocata, soltanto attenuata, così Ganesha condannò la Luna a
crescere e calare in intensità secondo cicli di 15 giorni, e stabilì
che chiunque l'avesse guardata durante la festività di Vinayaka
Chaturthi sarebbe stato colpito dalla sfortuna. Così, in certi
momenti la luce della Luna si sarebbe spenta, per poi ricominciare
poco a poco ad apparire; ma la sua faccia sarebbe rimasta intera
soltanto per un brevissimo periodo di tempo, perché poi si sarebbe
nuovamente "spaccata" fino a scomparire.
Ganesha, Capo delle Schiere Celesti
Una volta fu indetta una grande gara
tra i Deva per scegliere tra essi il capo dei Gana (le truppe di
semidèi al servizio di Śiva). I concorrenti avrebbero dovuto fare
velocemente il giro del mondo e ritornare ai Piedi di Śiva. Gli Dei
partirono sui propri veicoli, ed anche lo stesso Ganesha partecipò
con entusiasmo alla gara; ma aveva una grossa corporatura, e per
veicolo un topo. Naturalmente, procedeva con notevole lentezza e ciò
gli era di grande svantaggio. Non aveva ancora fatto molta strada,
quando gli apparve davanti il saggio Narada (figlio di Brahma), che
gli chiese dove fosse diretto. Ganesha fu molto seccato e andò su
tutte le furie, poiché era considerato infausto il fatto che, non
appena s'iniziasse un viaggio, si incontrasse un Brahmino solitario.
Nonostante Narada fosse il più grande dei bramini, figlio dello
stesso Brahma, ciò rimaneva comunque di cattivo auspicio. Inoltre,
non era considerato buon segno ricevere la domanda "Dove sei
diretto?" quando ci si stava dirigendo da qualche parte; quindi
Ganesha si sentì doppiamente sfortunato. Tuttavia, il grande
brahmino riuscì a calmare la sua collera. Il figlio di Śiva gli
raccontò il motivo della sua tristezza e il suo desiderio di
vincere; Narada lo consolò, esortandolo a non disperarsi, e gli
diede un consiglio:
"Così come un grande albero
nasce da un singolo seme, il nome di Rama è il seme da
cui si è sprigionato quell'immenso albero chiamato Universo. Perciò,
scrivi per terra il nome "Rama", fai un giro intorno ad
esso, e precipitati da Śiva a reclamare il tuo premio."
Ganesha tornò da suo padre, il quale
gli chiese come avesse potuto fare così in fretta. Rispose,
raccontandogli la storia ed il suggerimento di Narada; Śiva,
soddisfatto della saggia risposta alla sua domanda, dichiarò
vincitore suo figlio il quale da quel momento fu acclamato con il
nome di Ganapati (Conduttore delle schiere celesti) e Vinayaka
(Maestro di tutti).
L'appetito di Ganesha
Un aneddoto tratto dai Purana narra che
il tesoriere di Svarga (il paradiso) e dio della ricchezza, Kubera,
si recò un giorno sul monte Kailāśā per ricevere il darshan (la
visione) di Śiva. Poiché era molto vanitoso, lo invitò ad una cena
nella sua sfarzosa città, Alakapuri, in modo da potergli
esibire tutte le sue ricchezze. Śiva sorrise e gli disse: "Non
posso venire, ma puoi invitare mio figlio Ganesha. Ti avverto che è
un vorace mangiatore!". Per nulla preoccupato, Kubera si
sentiva pronto a soddisfare con la sua opulenza anche una fame
insaziabile come quella di Ganesha. Prese con sé il piccolo figlio
di Śiva e lo portò nella sua città; lì gli offrì un bagno
cerimoniale e lo rivestì di abiti sontuosi. Dopo questi riti
iniziali, iniziò il grande banchetto. Mentre la servitù di Kubera
si impegnava al massimo per servire tutte le portate, il piccolo
Ganesha si mise a mangiare, mangiare e mangiare... Il suo appetito
non si arrestò neppure dopo aver divorato i piatti destinati agli
altri ospiti; non c'era nemmeno il tempo di sostituire una portata
all'altra, che Ganesha aveva già divorato tutto e, con segni di
impazienza, attendeva nuovo cibo. Divorato tutto quanto era stato
preparato, Ganesha prese a mangiare decorazioni, suppellettili,
mobili, lampadari... Atterrito, Kubera si prostrò davanti al piccolo
onnivoro e lo supplicò di risparmiargli il resto del palazzo.
"Ho fame. Se non mi dài altro da mangiare, divorerò anche te!", disse a Kubera. Questi, disperato, si precipitò sul monte Kailasa per chiedere a Śiva un rimedio urgente. Il Signore gli diede allora una manciata di riso abbrustolito, dicendo che quello l'avrebbe saziato; Ganesha aveva già ingurgitato quasi tutta la città, quando Kubera gli donò umilmente il riso. Con quel cibo, finalmente Ganesha si saziò e si calmò.
"Ho fame. Se non mi dài altro da mangiare, divorerò anche te!", disse a Kubera. Questi, disperato, si precipitò sul monte Kailasa per chiedere a Śiva un rimedio urgente. Il Signore gli diede allora una manciata di riso abbrustolito, dicendo che quello l'avrebbe saziato; Ganesha aveva già ingurgitato quasi tutta la città, quando Kubera gli donò umilmente il riso. Con quel cibo, finalmente Ganesha si saziò e si calmò.
Devozione alla Madre
Una volta, da bambino, il piccolo
Ganesha stava giocando con un gatto e inavvertitamente lo ferì.
Quando tornò a casa, trovò la madre Parvati dolorante e ferita; le
chiese come si fosse fatta male, ed ella rispose che la
responsabilità non era di altri se non dello stesso Ganesha.
Sorpreso, egli le domandò quando questo fosse successo. Parvati
spiegò che, in quanto "Energia Divina" (o Shakti), Lei è
immanente in tutti gli esseri; quando Ganesha ferì il gatto, anche
Parvati fu ferita. Ganesha si rese conto che tutte le donne erano
unicamente manifestazioni di sua Madre, e decise di non sposarsi. Fu
così che rimase un Brahmachari, ovvero "celibe a vita";
ma d'altronde, non avendo desideri, Ganesha non sentiva alcuna
necessità di avere delle mogli o dei figli.
Ganesha è anche definito Omkara o
Aumkara, ovvero "avente la forma della Oṃ (o Aum)".
Infatti, la forma del suo corpo ricalca il contorno della lettera
sanscrita che indica il celeberrimo Bija Mantra; per questo Ganesha è
considerato l'incarnazione del Cosmo intero, Colui che sta alla base
di tutto ciò che è manifesto (Vishvadhara, Jagadoddhara).
I nomi di Ganesha
Come per tutte le altre Murti induiste,
anche Ganesha è invocato attraverso innumerevoli appellativi che si
riferiscono ai suoi attributi e caratteristiche.
Alcuni di essi:
Alcuni di essi:
- Ganapathi, Conduttore delle schiere celesti (Gana)
- Gananatha, Signore delle schiere celesti
- Gananayaka, Maestro di tutti gli esseri
- Omkaresha o Omkareshvara, Signore la cui forma è Oṃ
- Gajavadana, Signore dalla testa di elefante
- Gajanana, Signore dal volto di elefante
- Vinayaka, Colui al di sopra del quale non esistono Maestri
- Vighneshvara, Signore degli ostacoli
- Vighna Vinashaka, Distruttore degli ostacoli
- Vishvadhara o Jagadoddhara, Colui che regge l'Universo
- Vishvanatha o Jagannatha, Signore dell'Universo
- Mushika Vahana, Colui che cavalca il topo
- Lambodhara, dal grosso ventre
- Vakratunda, dalla proboscide ricurva
- Ekadanta, dall'unica zanna
- Shupakarna, dalle larghe orecchie
- Pillaiyar
Un'altra murti molto amata è quella di Bala Gajanana o Bala Ganesha (lett. piccolo Ganesha o Ganesha bambino), in cui un giovanissimo Ganesha dalla piccola proboscide e dai grandi occhi viene raffigurato in braccio ai Genitori Divini, oppure mentre abbraccia dolcemente il Lingam, simbolo di Śiva.
I Festival ed il culto di Ganesha
Nell'India del sud, si festeggia
un'importante festività in onore di Ganesha. Anche se è
particolarmente popolare nello stato del Maharashtra, la si esegue in
tutta l'India. Si celebra in dieci giorni, cominciando da Vinayaka
Chaturti. Fu introdotta da Balgangadhar Tilak come mezzo per
promuovere sentimenti nazionalistici quando l'India era occupata
dagli Inglesi. Questo festival si celebra e culmina nel giorno di
Ananta Chaturdashi quando la murti di Shri Ganesha è immersa nella
più vicina riserva d'acqua: a Bombay la murti viene immersa nel Mare
Arabico, a Pune nel fiume Mula-Mutha, mentre in varie città indiane
del nord e dell'est, come Kolkata, le murti sono immerse nel sacro
fiume Gange.
Le rappresentazioni di Ganesha si
basano su simbolismi religiosi antichi migliaia di anni che culminano
nella figura di una divinità dalla testa di elefante. In India le
statue sono espressioni di significati simbolici e quindi non sono
mai state spacciate come repliche esatte di una figura
vivente. Ganesha non è visto come un'entità fisica, ma come
un più elevato essere spirituale e le murti (rappresentazioni
scultoree) hanno la funzione di simboleggiare la divinità come
figura ideale. L'errore più comune per la concezione
giudaico-cristiana occidentale è scambiare il concetto di murti
con quello di idolo (culto ad oggetti fine agli oggetti di per
sé stessi); c'è una profonda differenza tra i due, poiché presso
la filosofia induista le murti sono punti di focalizzazione simbolica
attraverso i quali è possibile raggiungere la Divinità. Per questa
ragione si intraprende l'immersione delle murti di Ganesha nei fiumi
più vicini, poiché questo simboleggia il fatto che esse permettono
una comprensione solo temporanea di un Essere superiore; questa
concezione è pertanto opposta a quella di idolo, che
tradizionalmente indica il culto ad un oggetto per l'oggetto stesso,
considerato divino.
Il culto di Ganesha in Giappone è
stato datato all'anno 806.
La rinascita della popolarità
Recentemente, si è verificata una
rinascita del culto di Ganesha e si è sviluppato un interesse sempre
crescente verso questa divinità nel mondo occidentale, in seguito ad
una "inondazione" di presunti miracoli: secondo la rivista
Hinduism Today ed il libro Ganesha, Remover of Obstacles (di
Manuela Dunn Mascetti), il 21 settembre 1995 le statue di Ganesha in
India avrebbero cominciato spontaneamente a bere latte, ogni volta
che un cucchiaio veniva posto davanti alla bocca di ogni statua per
onorare il Dio-elefante. È riportato che il fenomeno si allargò e
si verificò anche in altri luoghi, da New Delhi a New York, Canada,
Mauritius, Kenya, Australia, Bangladesh, Malaysia, Regno Unito,
Danimarca, Sri Lanka, Nepal, Hong Kong, Trinidad, Grenada e Italia.
Questi avvenimenti furono considerati miracolosi da molte persone, e
vennero interpretati come un ricordo della giocosità di Ganesha, del
suo amore per i giochi e gli scherzi.
Ganesha nella cultura di massa
- Nel noto cartone animato I Simpson, Ganesha è una delle divinità venerate dal negoziante indiano Apu con una statuetta nel suo market. Durante il matrimonio di Apu, Homer si traveste da Lord Ganesha per impedire le nozze, venendo però scoperto a causa della sua goffaggine (Tu non sei Ganesha, Ganesha è aggraziato!, esclamerà un ospite del matrimonio).
- Ganesha è il nome di un personaggio della serie di videogiochi picchiaduro Bloody Roar, avente la capacità di assumere le sembianze di un elefante.
- Ganesha è un personaggio giocabile nel MOBA Smite.
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