Seppuku (切腹)
è un termine giapponese che indica un rituale per il suicidio in uso
tra i samurai.
In Occidente viene usata più spesso la
parola harakiri (腹切り).
La motivazione di questa apparente discrepanza tra l'uso di seppuku
e harakiri è chiarita qui di seguito.
Vocabolario ed etimologia
Il seppuku è anche conosciuto come
harakiri (腹切り,
"taglio del ventre") ed è scritto con lo stesso kanji di
seppuku, ma in ordine inverso con un okurigana. In giapponese
il termine più formale seppuku, una lettura cinese on'yomi,
è usato di solito nella lingua scritta, mentre harakiri, una
lettura kun'yomi, è utilizzato nella lingua parlata. Ross
nota che:
«Di norma, si considera "hara-kiri" come un termine di uso volgare, ma si tratta di un malinteso. Hara-kiri è la lettura giapponese Kun-yomi dei caratteri; poiché divenne uso comune preferire la lettura cinese negli annunci ufficiali, negli scritti si impose l'uso del termine seppuku. Quindi, hara-kiri è un termine del registro parlato, mentre seppuku è un termine del registro scritto per indicare lo stesso atto.» |
(Christopher
Ross, Mishima's Sword,
p.68)
|
La pratica di fare seppuku alla morte
del proprio signore, nota come oibara (追腹
o 追い腹, il kun'yomi
o lettura giapponese) o tsuifuku (追腹,
lo on'yomi o lettura cinese), segue un rituale simile.
La tradizione
Il seppuku veniva eseguito, secondo un
rituale rigidamente codificato, come espiazione di una colpa commessa
o come mezzo per sfuggire ad una morte disonorevole per mano dei
nemici. Un elemento fondamentale per la comprensione di questo
rituale è il seguente: si riteneva che il ventre fosse la sede
dell'anima, e pertanto il significato simbolico era quello di
mostrare agli astanti la propria anima priva di colpe in tutta la sua
purezza.
Il primo atto di seppuku di cui si
abbia traccia fu compiuto da Minamoto no Yorimasa durante la
battaglia di Uji nel 1180.
Alcune volte praticato volontariamente
per svariati motivi, durante il periodo Edo (1603 – 1867) divenne
una condanna a morte che non comportava disonore. Infatti il
condannato, vista la sua posizione nella casta militare, non veniva
giustiziato ma invitato o costretto a togliersi da solo la vita
praticandosi con un pugnale una ferita profonda all'addome di una
gravità tale da provocarne la morte.
Il rituale
Il taglio doveva essere eseguito da
sinistra verso destra e poi verso l'alto. La posizione doveva essere
quella classica giapponese detta seiza cioè in ginocchio con
le punte dei piedi rivolte all'indietro; ciò aveva anche la funzione
d'impedire che il corpo cadesse all'indietro, infatti il guerriero
doveva morire sempre cadendo onorevolmente in avanti. Per preservare
ancora di più l'onore del samurai, un fidato compagno, chiamato
kaishakunin, previa promessa all'amico, decapitava il samurai
appena egli si era inferto la ferita all'addome, per fare in modo che
il dolore non gli sfigurasse il volto.
La decapitazione (kaishaku) richiedeva
eccezionale abilità e infatti il kaishakunin era l'amico più
abile nel maneggio della spada. Un errore derivante da poca abilità
o emozione avrebbe infatti causato notevoli ulteriori sofferenze.
Il più noto caso di seppuku
collettivo è quello dei "Quarantasette Rōnin", celebrato
nel dramma Chushingura, mentre il più recente è quello dello
scrittore Yukio Mishima avvenuto nel 1970. In quest'ultimo caso il
kaishakunin Masakatsu Morita, in preda all'emozione, sbagliò
ripetutamente il colpo di grazia. Intervenne quindi Hiroyasu Koga che
decapitò lo scrittore.
Una delle descrizioni più accurate di
un seppuku è quella contenuta nel libro Tales of old Japan
(1871) di Algernon Bertram Mitford, ripresa in seguito da Inazo
Nitobe nel suo libro Bushidō, l'anima del Giappone
(1899). Mitford fu testimone oculare del seppuku eseguito da
Taki Zenzaburo, un samurai che, nel febbraio 1868, aveva dato
l'ordine di sparare sugli stranieri a Kobe e, assuntasi la completa
responsabilità del fatto, si era dato la morte con l'antico rituale.
La testimonianza è di particolare interesse proprio perché resa da
un occidentale che descrive una cerimonia, così lontana dalla sua
cultura, con grande realismo.
Anche all'interno di un libro di
Mishima, Cavalli in fuga, sono contenute numerose descrizioni
di seppuku compiute da alcuni samurai che tentano una insurrezione
per restaurare l'ordine tradizionale in Giappone e reintegrare nella
pienezza del proprio potere l'Imperatore.
Nel 1889, con la costituzione Meiji,
venne abolito come forma di punizione. Un caso celebre fu quello
dell'anziano ex-daimyō Nogi Maresuke che si suicidò nel 1912 alla
notizia della morte dell'imperatore. Casi di seppuku si ebbero
al termine della seconda guerra mondiale tra quegli ufficiali, spesso
provenienti dalla casta dei samurai, che non accettarono la resa del
Giappone.
Con il nome di Jigai, il seppuku era
previsto, nella tradizione della casta dei samurai, anche per le
donne; in questo caso il taglio non avveniva al ventre bensì alla
gola dopo essersi legate i piedi per non assumere posizioni scomposte
durante l'agonia. Anche di ciò è presente una descrizione nel
citato libro di Mishima, Cavalli in fuga.
L'arma usata poteva essere il tantō
(coltello), anche se più spesso, soprattutto sul campo di battaglia,
la scelta ricadeva sul wakizashi, detto anche guardiano
dell'onore, la seconda lama (più corta) che era portata di
diritto dai soli samurai.
Casi famosi
Una lista di persone che hanno
effettuato un seppuku, in ordine cronologico
- Minamoto no Tametomo (1139–1170)
- Minamoto no Yorimasa (1106–1180)
- Minamoto no Yoshitsune (1159–1189)
- Ashikaga Mochiuji (1398–1439)
- Azai Nagamasa (1545–1573)
- Oda Nobunaga (1534–1582)
- Takeda Katsuyori (1546–1582)
- Shibata Katsuie (1522–1583)
- Hōjō Ujimasa (1538–1590)
- Sen no Rikyū (1522–1591)
- Torii Mototada (1539–1600)
- Quarantasei delle Quarantasette Ronin (1703)
- Watanabe Kazan (1793–1841)
- Tanaka Shinbei (1832–1863)
- Takechi Hanpeita (1829–1865)
- Yamanami Keisuke (1833–1865)
- Byakkotai (gruppo di giovani samurai) (1868)
- Saigō Takamori (1828–1877)
- Nogi Maresuke (1849–1912) e Nogi Shizuko (1859–1912)
- Chujiro Hayashi (1879–1940)
- Kunio Nakagawa (1898–1944)
- Korechika Anami (1887–1945)
- Takijirō Ōnishi (1891–1945)
- Isamu Chō (1895–1945)
- Mitsuru Ushijima (1887–1945)
- Yukio Mishima (1925–1970)
- Isao Inokuma (1938–2001)
Nessun commento:
Posta un commento