domenica 9 ottobre 2016

Forme del taijiquan

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Una forma (套路 in cinese, trascritta come Tao Lu in pinyin) del Taijiquan è una sequenza di movimenti tra loro collegati per formare un esercizio continuo. Può essere anche interpretata come un combattimento contro le ombre e la sua pratica è utile sia per esercitare l'aspetto marziale della disciplina sia i movimenti del Qi gong.
Ogni stile ha forme proprie che ne mettono in evidenza le specificità.

Taijiquan stile Chen

Lo stile Chen, il più antico del Taijiquan, ha sia forme da eseguire a mani nude sia con armi.

Forme a mani nude

Le due forme Lao Jia (antica intelaiatura) sono le più antiche del taijiquan. Definite da Chen Changxin, fondatore dello stile Chen, sono alla base anche di forme dello stile Yang:
  1. Lao Jia Yi Lu (antica intelaiatura, prima forma) di 75 movimenti soprattutto di tipo Yin che Yang, il fajing (forza, esplosione di energia) è parte della forma e per nulla elemento secondario
  2. Lao Jia Er Lu (antica intelaiatura seconda forma), nota anche come Lao Jia Pao Chui (antica intelaiatura, pugno cannone), di 43 posizioni pone particolare accento sul fajing con improvvisi cambi di direzione che ne rendono faticosa l'esecuzione
queste sono state ammodernate in epoca recente dal maestro Chen Fake con l'aggiunta di nuovi movimenti e sono note come Xin Jia
  1. Xin Jia Yi Lu (nuova intelaiatura, prima forma) di 83 posizioni
  2. Xin Jia Er Lu (nuova intelaiatura, seconda forma) o Xin Jia Pao Chui (nuova intelaiatura, pugno cannone) di 71 posizioni
Oltre a queste, ne sono state definite altre più brevi pensate per venire incontro alle esigenze di praticanti che possono concedere allo studio della disciplina solo un tempo limitato:
  • la forma di 11 posizioni del maestro Limin Yue
  • la forma di 13 posizioni del maestro Zhu Tiancai
  • la forma di 18 posizioni del maestro Chen Zhenglei;
  • la forma di 19 posizioni del maestro Chen Xiaowang;
  • la forma di 24 posizioni del maestro Feng Zhi Qiang
  • la forma di 38 posizioni ancora del maestro Chen Xiaowang

Forme con armi

Le armi utilizzate nelle forme dello stile chen del taijiquan sono sciabola (Dao), spada (Jian), lancia ed alabarda:
  • Forma del ventaglio
  • Chen Shi Taiji Quan Dan Dao (Forma della sciabola)
  • Chen Shi Taiji Quan Dan Jian (Forma della spada) di 23 posizioni
  • Chén Shì Tàijí Dān Jiàn Forma della spada di 49 posizioni
  • Li Hua Qiang (Lancia del fiore di pero) di 72 posizioni
  • Bai Yuan Gun (Bastone della Scimmia Bianca) di 3, 8 e 13 posizioni
  • Chen Shi Taiji Quan Shuang Dao (Forma della doppia sciabola)
  • Chen Shi Taiji Quan Shuang Jian (Forma della doppia spada)
  • Chun Jiu Da Dao (Alabarda della primavera e dell'autunno) di 30 posizioni



Taijiquan stile Yang

Forme a mani nude

  • forma Yang di 8 posizioni standard (八式简化太極)
  • forma Yang di 10 posizioni
  • forma Yang di 12 posizioni
  • Taijiquan famiglia Yang forma 13
  • Taijiquan famiglia Yang forma 16
  • forma Yang di 16 posizioni standard (十六式简化太極拳)
  • forma Yang di 24 posizioni standard (二十四式简化太極拳) codificata nel 1956 su iniziativa del Comitato per lo sport della Repubblica Popolare Cinese
  • forma Yang di 37 posizioni
  • forma Yang di 40 posizioni da competizione (四十式傳统竞赛套路)
  • forma Yang di 42 posizioni
  • forma Yang di 43 posizioni
  • forma Yang di 46 posizioni da competizione
  • forma Yang di 48 posizioni (综合48式太極拳)
  • Taijiquan famiglia Yang forma 49
  • forma Yang di 88 posizioni
  • Taijiquan famiglia Yang forma 103
  • forma Yang di 108 posizioni detta anche originale, anche se modificata da Yang Chengfu (傳统108 式太極拳)
Da precisare che solamente le forme 13, 16, 49 e 103 sono proprie della Famiglia Yang, mentre le altre sono state create esternamente ed ispirate allo stile tradizionale della Famiglia.

Forme con armi

  • forma Yang di 13 posizioni standard con la sciabola
  • Taijiquan famiglia Yang forma con la sciabola 13 mosse
  • forma Yang di 16 posizioni standard con la spada
  • forma Yang di 16 posizioni combinata standard con l'alabarda
  • forma Yang di 32 posizioni con la spada (三十二式简化太極劍)
  • forma Yang di 54 posizioni con la spada
  • forma Yang di 64 (Stile Kuang Ping)
  • Taijiquan famiglia Yang forma con la spada 67 movimenti (Yang Zhenduo)
Anche qui, solamente le forme 13 della sciabola e 67 della spada sono proprie dello stile della Famiglia Yang, mentre le altre sono state create esternamente.

taijiquan stile Fu

  • forma Fu breve di 36 posizioni
  • forma Fu avanzata di 53 posizioni
  • forma Fu di 56 posizioni con la spada
  • forma Fu di 67 posizioni
  • forma Fu di 105 posizioni

taijiquan stile Sun

  • forma Sun breve di 35 posizioni
  • forma Sun moderne di 40 posizioni
  • forma Sun tradizionale di 42 posizioni
  • forma Sun da competizione di 73 posizioni
  • forma Sun lunga di 97/98 posizioni

taijiquan stile Wu

  • forma Wu da competizione di 46 posizioni
  • forma Wu breve di 49 posizioni
  • forma Wu da competizione di 54 posizioni
  • forma Wu antica di 81 posizioni
  • forma Wu lunga di 96 posizioni
  • forma Wu lunga di 108 posizioni



Forme Combinate

elenco di forme costruite prendendo posizioni originarie di stili diversi
  • forma combinata di 32 posizioni
  • forma combinata da competizione di 42 posizioni
  • forma combinata di 48 (in uso fino alla definizione di quella da 42)
  • forma combinata di 66 posizioni (citata in alcuni testi antichi, ma andata perduta)
  • forma combinata di 67 posizioni

sabato 8 ottobre 2016

De Ashi Barai

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La tecnica di Judo chiamata De Ashi Barai (出足払), conosciuta anche come Deashi Harai, è la prima delle 8 tecniche del Dai Ikkyo.Tecnica con l'uso prevalente delle gamba (ashi-waza). La mossa consiste nel levare la gamba d'appoggio avanzata con una falciata del piede repentina e secca con la coordinazione del movimento delle braccia.
Infatti la traduzione del nome della tecnica è Spazzata sulla gamba(piede) avanzata. Questa è una delle prime mosse che vengono insegnate agli allievi. Il suo gruppo, denominato Dai Ikkyo, è il primo dei 5 gruppi del Go kyo del 1895.


venerdì 7 ottobre 2016

Dou-maru

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La Dou-Maru o Dō-Maru (胴丸) è la una delle tipologie "classiche" di corazza giapponese, in uso prima dell'introduzione nel Sol Levante delle armi da fuoco occidentali.
Composta da un insieme di cuoio, metallo laccato e stoffa (fond. seta) in quantità variabili, veniva allacciata sul lato destro del guerriero. Apparato difensivo leggero, veniva utilizzato per gli scontri appiedati.

giovedì 6 ottobre 2016

Dou

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La Dou o è la corazza tipica dell'armatura giapponese.
Composta da un insieme di cuoio, metallo laccato e stoffa (fond. seta) in quantità variabili, si divide in due tipologie fondamentali:
  • corazze classiche, sviluppate nel medioevo nipponico vero e proprio e costituite da lamine kozane: corazze leggere per i fantaccini (dō-maru e haramaki-dō) e corazza pesante ō-yoroi per i cavalieri; e
  • corazze moderne, sviluppate dagli armorari nipponici dopo il contatto con gli europei (fond. portoghesi) e costituite da piastre di ferro (ita-mono) variamente assemblate.

Storia

I giapponesi cominciarono a produrre armature da modelli cinesi/coreani nel I secolo. Nel IV secolo, la produzione di elementi aggiuntivi alla panoplia (fond. elmi) diede alle armature nipponiche una propria peculiarità stilistica. Le armature di questa fase "primitiva" (anche detta "pre-samurai"), costituite da semplici pezzi di ferro collegati tra loro da strisce di cuoio, furono la tankō (armatura a lastra), indossata dai fantaccini, e la keikō dei cavalieri.
Durante il Periodo Heian (794-1185) venne codificato il modello della corazza pettorale () composta da lamelle, di piccole dimensioni (hon-kozane), o lamine, di grandi dimensioni (hon-iyozane), in metallo/cuoio, interconnesse tra loro da rivetti, lacci o cotta di maglia, ricoperte di lacca per garantire maggior resistenza alle intemperie.
Nel corso del XVI secolo ("Periodo del commercio Nanban"), gli scambi commerciali tra giapponesi ed occidentali (fond. portoghesi) misero a disposizione degli armorari nipponici corazze europee ed elmetti di tipo morione che vennero integrati nelle panoplie dei più ricchi samurai per permettere ai guerrieri di opporsi alla diffusione nel Sol Levante dell'archibugio, introdotto dai portoghesi nel 1543 e subito adottato dai daymio per i loro eserciti con il nome di tanegashima-teppō (lett. "bastone di fuoco di Tanegashima"). Queste nuove armature "ibride" presero appunto il nome di tameshi-gusoku, lett. "[armatura] testata contro le pallottole".
Parallelamente, i continui scontri tra i daymio del Periodo Sengoku aumentare la domanda di armi ed armature al punto da promuovere la produzione di corazze di bassa qualità, soprattutto per armare la milizia degli ashigaru. In questo contestò originò anche una nuova tipologia d'armatura, la tatami gusoku, la cui componente centrale era il tatami dō.

Tipologia

  • Corazze classiche
    • Dō-maru - corazza leggera con allacciamento sul lato del corpo;
    • Haramaki-dō - corazza leggera con allacciamento sulla schiena;
    • Ō-yoroi - corazza pesante con allacciamento sul lato del corpo tramite un pezzo a sé (waidate).
Le corazze leggere erano utilizzate principalmente dai samurai meno abbienti o dai guerrieri più ricchi e potenti che, dovendo combattere appiedati, preferivano una corazza di non eccessivo ingombro. La corazza ō-yoroi era utilizzata dai ricchi cavalieri.
  • Corazze moderne
...

Costruzione

Nella tradizione oplologica nipponica, la corazza, in quanto elemento fondamentale della panoplia, definisce la tipologia di armatura. Un'armatura con una corazza tipo hotoke dō sarà dunque chiamata hotoke dō gusoku, mentre un'armatura con corazza tipo karuta tatami dō sarà chiamata karuta tatami dō gusoku.

Kozane dō

La corazza samurai "classica", in uso prima dell'introduzione delle armi da fuoco, era di tipo lamellare: kozane è appunto il nome della lamella.

Kiritsuke kozane dō

Corazza di tipo laminare, lett. "Corazza finto-lamellare".

Tosei dō

Corazza moderna, composta da piastre di metallo (ita-mono), entrata in uso dopo la diffusione delle armi da fuoco occidentali.

mercoledì 5 ottobre 2016

Yoseikan budo

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Lo Yoseikan Budo (養正館武道) è un'arte marziale giapponese che nasce dalla sintesi delle esperienze di Hiroo Mochizuki, figlio del maestro Minoru Mochizuki, allievo a sua volta dei maestri Jigoro Kano (Jūdō) e Morihei Ueshiba (aikido).

Nome

La disciplina prende il nome dall'edificio Yoseikan (trad. YO=Insegnare SEI=Rettitudine KAN=Casa BU=Guerra DO=Via quindi complessivamente "La casa che insegna con rettitudine la via del guerriero"), il dojo personale di Mochizuki padre, in cui le varie discipline erano insegnate separatamente, sebbene la ricerca di Mochizuki avesse portato ad evidenziarne i tratti comuni e la creazione di alcune forme, tra l'altro erano preservati i sutemi waza di Gyokushin Ryu disciplina non insegnata nella sua interezza allo Yoseikan.

Caratteristiche

Il figlio Hiroo iniziato in giovane età alle arti marziali dal padre, con un'accurata opera di sincretismo fonde le varie discipline in un'unica arte a cui dà il nome del dojo paterno seguito dalla parola Budo per indicare la completezza dell'arte.
Lo Yoseikan Budo è un'arte marziale dalle forti connotazioni tradizionali: propone infatti un ritorno alla multidisciplinarità delle scuole di combattimento classiche del medioevo giapponese, dove il giovane guerriero veniva addestrato in tutte le tecniche necessarie al combattimento sul campo di battaglia: dal combattimento con armi lunghe, quali lo yari o la naginata, alla scherma, al combattimento corpo a corpo a mani nude o con armi corte, dall'equitazione al tiro con l'arco.
Contemporaneamente a questa sua attenzione per la formazione di un guerriero come era inteso dalla tradizione classica giapponese, lo Yoseikan Budo accetta il tempo ed il contesto in cui si colloca attualmente, fornendo a coloro che lo praticano -e soprattutto agli istruttori ed ai maestri- stimoli per un continuo arricchimento psicofisico e culturale, invitandoli continuamente mediante corsi specifici, seminari e stage a mantenere sempre viva e desta l'attenzione verso il mondo che li circonda, promuovendo l'arricchimento personale ed il miglioramento della salute fisica e mentale.
La pratica dello Yoseikan Budo contempla sia il combattimento a mani nude che quello armato. Il combattimento a mani nude è sviluppato mediante l'insegnamento di tecniche su tutte le distanze (lunga, media e lotta a terra) comprendenti: colpi (atemi) portati con tutto l'arsenale del corpo (calci, pugni, colpi di mano, gomito, ginocchio e testa), proiezioni (tipiche delle scuole di Jūdō e jujutsu), leve articolari (tipiche delle scuole aiki), immobilizzazioni e strangolamenti sia in piedi sia al suolo. Il combattimento con le armi trae le proprie origini dalle scuole classiche di scherma giapponese (katori shinto ryu) e prevede l'uso di armi lunghe (yari, naginata, bō) della spada (katana) e di armi corte (tanbō sia singolo che doppio, coltello, nunchaku, tonfa, sai).
Inoltre per permettere di esercitarsi nel combattimento oltre all'uso delle protezioni (caschetto con visiera, guantoni, conchiglia, paraseno per le ragazze, paratibie e parapiedi), è stato introdotto l'uso di armi sportive, quali il tschobo (katana), tanbo (bastone medio) e konbo (tantò), che ripropongono le dimensioni dei corrispettivi reali ma sono rivestite da una leggera imbottitura che le rende pressoché innocue.
Nel suo percorso di formazione lo Yoseikan, tenendo conto delle nuove metodologie didattiche, contempla l'uso di forme miste con uso di tecniche a corpo libero associate a tecniche di arma per migliorare lo studio della distanze e dei tempi. Al fine inoltre di fornire un adeguato allenamento cardiovascolare, è stato introdotto l'uso di forme musicali per allenare la routine tecnica in maniera aerobica e ritmica.
Lo scopo dello Yoseikan budo è pertanto quello di formare un “guerriero universale” capace di usare qualsiasi arma, a qualsiasi distanza, in qualsiasi situazione, e di adattarsi agli eventi senza farsi travolgere, trovando l'armonia in sé e con l'avversario e favorendone la realizzazione. Lo Yoseikan Budo vuole essere la ricerca del “ceppo comune” che attraversa tutte le arti marziali mediante la riscoperta dei movimenti chiave che gestiscono il corpo umano, come l’onda shock che ne è la caratteristica indiscussa.

martedì 4 ottobre 2016

Ryū

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Ryū era storicamente un'istituzione di tipo feudale creata dai vari clan oppure dall'iniziato di un daimyō, allo scopo di insegnare le arti marziali ai samurai del proprio clan.
Ryū (il cui carattere kanji è ) viene tradotto con "scuola" o "stile" (da intendersi come una corrente di pensiero), basti infatti pensare a come moltissimi stili di karate o di altre arti marziali in genere, adottino il suffisso -ryu nel loro nome.
Come accade a molte parole giapponesi, queste hanno più possibili traduzioni, difatti ryuu viene anche tradotto come lo "scorrere di un fiume". Questo concetto però, contrariamente a quanto sembra, non si discosta dalla traduzione di "scuola/stile", anzi queste due traduzioni vanno di pari passo, in quanto si intende che le conoscenze di un'arte marziale, all'interno di una scuola, si tramandano di generazione in generazione e scorrono fino ad arrivare ai giorni nostri.

lunedì 3 ottobre 2016

Kubera

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Kubera o Kuvera (sanscrito कुबेर) è una delle divinità indiane. Egli è conosciuto anche come Dhanapati, ovvero il dio della ricchezza. Durante il periodo vedico questo essere mitologico dall'aspetto di un nano era considerato una figura demoniaca, e comandava tutte le creature che si celavano nel buio, nell'Atharvaveda (uno dei quattro Veda), infatti, egli è il signore delle creature del buio e figlio del dio Vaisravana; nel Shatapatha Brahmana, invece, egli è descritto come il signore dei ladri e di tutti i criminali. Fu soltanto con l'introduzione dell'induismo e con il suo consolidamento che Kubera divenne una divinità benevola, e addirittura uno degli otto guardiani del mondo. Nell'olimpo induista egli è raffigurato a cavallo del suo carro magico, Pushpak, con il quale solca i cieli facendo piovere sui poveri oro ed altre ricchezze. Secondo la versione induista, quando Brahma era intento a creare l'universo, gli cadde dal viso un granello di pietra, che si trasformò in un essere che elesse a custode dei tesori nascosti nel sottosuolo. Una seconda versione vuole che Kubera, ancora in veste di capo dei demoni, entrasse nel tempio di Śiva per derubarlo, quando la sua candela si spense, dopo numerosi tentativi di riaccenderla, ci riuscì, e lo stesso dio Siva, nel vedere tanta perseveranza lo premiò facendolo assurgere al rango di essere divino.
Secondo la storia visse per un certo tempo in un palazzo che Brahma fece costruire per i demoni, che questi ultimi avevano abbandonato. Tornati per riprenderne possesso, inviarono con l'inganno al padre di Kubera una vergine-demone, di nome Kaikesi, che lo sedusse e con il quale concepì i tre fratellastri di Kubera, Ravana, Kumbhakarna e Vibhishana. È a causa di Ravana, divenuto invincibile grazie all'intervento di Brahma, a capo di un esercito di demoni, che Kubera viene infine sconfitto e cacciato da Lanka. Recatosi al cospetto di Brahma in persona, Kubera chiede una nuova dimora che il dio fece costruire apposta per lui ad opera dell'architetto degli dei Vishvakarman, sul sacro monte di Kailash, nella catena montuosa dell'Himalaya.
Nelle raffigurazioni, Kubera ha 4 mani in cui tiene un melograno, un sacco di danaro, una clava e un recipiente d'acqua. Egli è spesso seduto su una base di loto, con al fianco il suo animale preferito, la mangusta, che sputa continuamente monete d'oro. Caratteristica peculiare di Kubera, è il magico carro, Pushpak, fatto costruire per ordine di Brahma da Vishvakarman, per soccorrere questo dio goffo e obeso; questo carro è così immenso da poter contenere una intera città. Quando suo fratellastro Ravana cercò di rapire Sītā, consorte di Rama, egli rubò il carro di Kubera e lo usò per la sua malefatta narrata nel celebre poema epico Ramayana. In qualità di tesoriere divino, Kubera è custode dei nove Nidhi, o tesori ineffabili che custodisce in una sontuosa città, Alakapuri, situata nel leggendario monte Mandara, menzionato nei Purana. Nel suo compito di custode dei tesori del mondo, Kubera è aiutato dai mitici Kinnara, esseri celestiali di sesso maschile, e dalle loro corrispondenti femminili, le Kinnoris.




domenica 2 ottobre 2016

Difesa attiva

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Difesa attiva è un termine usato negli sport da combattimento per indicare una attività volta a bloccare l'offensiva dell'avversario e utilizzarla a proprio favore, diversamente dalla difesa "classica", il cui unico scopo è quello di difendere. Per esempio, "A" blocca il suo avversario ("B") che si avvicina con un colpo di arresto. Nella difesa classica, "A" avrebbe semplicemente parato o evitato il colpo di "B".
Come l'aggettivo indica, la difesa si traduce in una attività diretta all'offensiva dell'avversario. Utilizzando questo tipo di tecnica, si fa in modo che l'offensiva dell'avversario arrechi il minor danno possibile e si utilizza l'attività dell'avversario per completare un contrattacco efficace.
Il primo obiettivo è limitare i danni e i traumatismi possibili durante la difesa: parata "assorbente" (assorbimento di colpo) e deviazione dell'arma di attacco.
Il secondo obiettivo è prendere vantaggio dell'attacco dell'avversario.
Sono previste due modalità:
  • Una difesa che permette di completare un contrattacco. Per esempio, assorbire il colpo e contrattaccare o deviare l'arma e squilibrare l'avversario allo stesso tempo per contrattaccare vantaggiosamente,
  • Una difesa che permette di attaccare, in altre parole passare all'offensiva durante l'iniziativa dell'avversario, o nell'avanzamento dell'opponente o nel suo attacco propriamente detto. In questo caso, la strategia è simile al contracolpo. Per esempio, disturbare l'avversario nell'avvicinarsi o nello sviluppo del suo attacco, con aiuto di un colpo nell'asse diretta.

sabato 1 ottobre 2016

Dori waza

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Nelle arti marziali, le prese dell'avversario sono delle tecniche di combattimento per lo più usate nel judo, nel jujutsu e nell'aikido, anche se poi sono state adottate da molte altre arti marziali. Le prese dell'avversario vengono chiamate Dori Waza o Tori Waza e servono per afferrarlo con la possibilità poi di sferrare altri colpi, oppure di proiettarlo a terra (Nage waza), oppure di applicare qualche tecnica di controllo (katame waza). Le tecniche di presa sono molte e vengono chiamate con il nome della parte afferrata, seguita dalla parola dori o tori (es.: presa alla gamba=Ashi dori/tori). Ecco un elenco delle prese più comuni:
  • Ashi dori: presa ad una gamba
  • Eri dori: presa al bavero della giacca
  • Tsukami (o Zukami) dori: presa che tira verso di sé (di solito si afferrano le braccia)
  • Kami dori: presa ai capelli
  • Hiji/Enpi dori: presa al gomito
  • Kata dori: presa alla spalla
  • Kakuto dori (o Tekubi dori o Kote dori): presa al polso
  • Kubi dori: presa al collo
  • Mune dori: presa al petto
  • Sode/Sote dori: presa alla manica
  • Sokumen dori: presa di lato
  • Ude dori: presa ad un braccio

venerdì 30 settembre 2016

Yoshin Ryu

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Yōshin-ryū (楊心流) ("La scuola dello Spirito del Salice") è un nome comune a diverse tradizioni di Arti Marziali fondate in Giappone nel periodo Edo. La più popolare e nota fu la linea Yōshin-ryū fondata dal medico Akiyama Shirōbei Yoshitoki a Nagasaki nel 1632. Il lignaggio Yōshin-ryū di Akiyama è forse il più influente stile di jujutsu in Giappone. Verso la fine del periodo Edo infatti, la scuola di Akiyama e correnti derivate erano diffuse in buona parte del Giappone e in epoca Meiji lo Yōshin-ryū fu importato anche in Europa e Stati Uniti.


Curriculum

Il lignaggio Akiyama del Yōshin-ryū è famoso per un curriculum che contiene anche kyūshojutsu (急所術) e atemi (percussione in punti vitali) e lo sviluppo dell'energia interna, insegnamenti che potrebbero avere un'origine cinese. Si ritiene che alcuni di questi insegnamenti siano poi stati assorbiti da tradizioni derivate o da altri stili di jujutsu. In realtà l'unica scuola della linea Akiyama che sopravvive ancora oggi è la Yōshin-ryū naginata di Hiroshima guidata da Koyama Takako, tuttavia la scuola in passato fu molto prolifica e ha influenzato profondamente altri stili oggi esistenti.



Derivati

Tra le scuole derivate dall'Akiyama Yōshin-ryū jujutsu si possono ricordare:
Danzan ryu, Shin Yoshin ryu, Shin Shin ryu, Sakkatsu Yoshin ryu, Shin no Shindo ryu, Tenjin Shin'yō-ryū, Shindō Yōshin-ryū, Takamura ha Shindo Yoshin ryu, Wado-ryū (scuola moderna di Jujutsu Kenpo/Karate basata sullo Shindō Yōshin-ryū), Ryushin Katchu ryu, Ito ha Shinyo ryu, Kurama Yoshin ryu, Kodokan Judo.



Takagi Yoshin ryu e Hontai Yoshin ryu

Le scuole Takagi Yoshin Ryu e Hontai Yoshin ryu non sono a rigore lignaggi Yōshin-ryū ma si ritiene discendano da un'altra tradizione molto nota, il Takenouchi-ryū che a sua volta deriva da una tradizione molto antica tipicamente giapponese. Sebbene questi stili sembrino in parte influenzati dallo Yōshin-ryū, non vi sono documenti che dimostrino relazioni accertate.
Queste due correnti sono note anche con i seguenti nomi:
Hontai Yoshin ryu, Takagi ryu, Hontai Takagi Yoshin ryu, Takagi Hontai Yoshin ryu, Kukishin ryu, and Minaki Den Kukishin ryu.
Una scuola che deriva dal Takagi ryu è il Shingetsu Muso Yanagi ryu.

giovedì 29 settembre 2016

Aditī

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(SA)
«aditir dyaur aditir antarikṣam aditir mātā sa pitā sa putraḥ
viśve devā aditiḥ pañca janā aditir jātam aditir janitvam»
(IT)
«Aditi è il firmamento, Aditi è l'atmosfera, Aditi è la madre, è il padre, è il figlio, Aditi è tutti gli Dei, Aditi è le cinque razze degli uomini, Aditi è ciò che è già nato, Aditi è ciò che deve ancora nascere.»
(Ṛgveda, I, 89,10)



Aditī (devanāgarī अदिति, il cui significato è "priva di limiti/vincoli") è una divinità della religione vedica e da qui passata al più recente Induismo.

La Dea madre

La sua figura è quella della Madre di tutte le forme esistenti, degli dèi e degli esseri viventi, oltre ad aver generato un gruppo di divinità collegate alla luce denominate Āditya.
Il Ṛgveda (VIII,25,3; VIII,10,3e83; VIII,4,79) indica in Aditī la madre di Mitra, Varuṇa e Aryaman, mentre nel IV,25,3 del medesimo testo è madre di tutti gli Āditya.
Nel Mahābhārata appare invece come paredra di Kaśyapa da cui generò Viṣṇu e Indra.
Nel Viṣṇu Purāṇa fu Kaśyapa a dividere il feto di Aditī in dodici parti da cui nacquero i dodici Āditya.


mercoledì 28 settembre 2016

Tokonoma

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Un tokonoma (床の間) è una piccola alcova rialzata presente nelle washitsu, la stanza in stile tradizionale Giapponese con tatami per pavimento, dove solitamente sono appese le pergamene giapponesi, dette emakimono. Anche Ikebana e/o bonsai appaiono spesso in esse. I tokonoma e gli elementi che lo compongono sono componenti essenziali dell'architettura d'interni tipica giapponese. I Tokonoma apparvero durante il Periodo Muromachi (XIV secolo - XVI secolo).
Quando si fanno accomodare gli ospiti nella washitsu (solitamente una stanza apposita tra le stanze in stile occidentale), la corretta etichetta giapponese vuole che l'ospite più importante le sia seduto d'innanzi, dandole le spalle. Questo per modestia; in quanto all'ospitante non è dato mostrare il contenuto del tokonoma all'ospite, quindi non è necessario fare in modo che lui lo veda durante il convivio.
È molto scortese entrare nel tokonoma.
L'architetto americano Frank Lloyd Wright, influenzato dall'architettura giapponese, lo ha paragonato al caminetto, facendone la controparte occidentale.

martedì 27 settembre 2016

Fukushima Masanori

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Fukushima Masanori (福島 正則; 1561 – 1624) è stato un generale giapponese e un daimyō, al servizio dei Tokugawa.
Ostile a Ishida Mitsunari simpatizzò subito per Ieyasu Tokugawa; Ishida con un pretesto bruciò il castello di Masanori; durante la battaglia di Sekigahara sferrò il primo attacco alle truppe di Ukita rimanendo in prima linea per tutto il tempo. Vinta la battaglia e catturato Ishida, Masanori ebbe l'onore e il piacere di decapitare l'odiato daimyo a Kyoto insieme ad Anko e Konishi.
Possedeva una delle tre grandi lance del Giappone: Nihongo, o Nippongo (日本号). Usata un tempo nel Palazzo Imperiale, la Nihongo è stata poi posseduta da Masanori Fukushima, per poi passare in mano a Tahei Mori. È stata recuperata, restaurata ed ora si trova al The Fukuoka City Museum.

lunedì 26 settembre 2016

Wabi-cha

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«Ci si dovrebbe rendere conto che la Via del tè è solo bollire l'acqua, preparare il tè e berlo.»
(Sen no Rikyū, 千利休, 1522-1591)



Wabi-cha (侘茶) è lo stile della Cerimonia del tè giapponese praticata secondo gli insegnamenti dei monaci buddhisti zen Murata Shukō (村田珠光, 1423-1502), Takeno Jōō (武野紹鴎, 1502-1555), e Sen no Rikyū (千利休, 1522-1591).
Essa si caratterizza per la semplicità e la sobrietà del rito e per il suo stretto collegamento agli insegnamenti buddhisti.
Il fondamento della concezione wabi () della Cerimonia del tè è già presente fin dall'opera di Murata Shukō quando egli evidenziava come "uno splendido cavallo si manifesta meglio in un'umile capanna che in una sontuosa stalla". Secondo lo studioso giapponese Masao Shoshin Ichishima la metafora di Murata Shukō è evidente: il meraviglioso cavallo rappresenta la "mente originaria" (giapp. hongaku, 本覺) mentre l'umile capanna di paglia indica la "stanza del tè" (Chashitsu, 茶室 soprattutto nel suo stile yojouhan 四畳半). La sobria e semplice bellezza wabi si oppone dunque alla bellezza sontuosa, denominata in giapponese basara (伐折羅, tale termine deriva dal sanscrito vajra che in quella lingua indica il diamante) di cui lo shogun Toyotomi Hideyoshi (豊臣秀吉, 1536-1598) fu per lungo tempo propugnatore.
Murata Shukō riprendeva questa sua particolare concezione della Cerimonia del tè proprio dalle dottrine buddhiste enunciate, nel II secolo, dal maestro indiano Nāgārjuna.
Nel Mahāprajñāpāramitā-śāstra (Commentario al Mahāprajñāpāramitā-sūtra, 大智度論 pinyin: Dà zhìdù lùn, giapp. Daichidoron, T.D. 1509, 25.57c-756b, opera attribuita a Nāgārjuna e tradotta da Kumārajīva in 100 fascicoli. Conservato nel Shìjīnglùnbu) si legge:
«I saggi conoscono la loro soddisfazione per mezzo di piccoli desideri. La terra del Buddha è piena di gemme preziose che ricoprono tremila grandi mondi. Da dove derivano tali gemme preziose? Quando i buddha e i saggi soddisfano le loro menti con un desiderio minimo, allora tali gemme si manifestano per loro»
(Mahāprajñāpāramitā-śāstra 大智度論, T.D. 1509, 25.57c-756b)



L'ideale del Shōyuku Chisoku (少欲知足)

La dottrina del "desiderio minimo" (sanscrito: alpecchatā, cinese 少欲 shǎoyù, giapp. shōyoku, tib. 'dod pa chung ngu) che porta ad una piena soddisfazione (知足, cin. zhīzú, giapp. chisoku), verrà ripresa dal nipote di Sen no Rikyū, Jakuan Sotaku nel suo Zencharoku (禅茶録, scritto nel 1826 ma su una tradizione orale ben più antica) con la dottrina Shōyuku Chisoku (la soddisfazione si conosce attraverso piccoli desideri). Ovvero non bisogna cercare il "desiderio" perfetto attraverso le "gemme" ma attraverso la realizzazione di piccoli desideri le "gemme" si manifestano.
Kobori Enshu (小堀遠州, 1579-1647) chiese al suo maestro Furuta Oribe (古田織部, o Furuta Shigenari, 古田重然, 1545-1615, già allievo di Sen no Rikyū ), come dovesse essere un giardino in stile wabi. Furuta Oribe rispose con una poesia:
«La luna di sera,
un lago appena visibile
attraverso gli alberi.»
(Furuta Oribe)



Secondo il principio del Shōyuku Chisoku l'autentica bellezza non può essere scorta nella piena visuale, ciò impedisce di scorgere la propria mente-cuore meravigliosa se questa viene disturbata da tutto ciò che si presenta.

Il wabi-cha e il Sutra del Loto

Il Zencharoku affronta anche un altro tema importante, sottinteso nella Cerimonia del tè, secondo il wabi-cha: incorporare l'essenza dei suoi insegnamenti attraverso la pratica concreta della "Via del tè" (Chado) e non attraverso la loro comprensione teorica o dottrinaria.
L'insegnamento di questa pratica concreta, la "Via del tè", avviene esclusivamente per mezzo di un rapporto diretto tra il maestro del tè e il suo discepolo, relazione denominata in giapponese con il termine kuden (口傳, cinese kǒu chuán o anche 口訣 giapp. kuketsu, cin. kǒu jué) e che ha origine nella trasmissione orale dell'insegnamento buddhista (Dharma).
L'insegnamento kuden avviene con l'utilizzo dei "mezzi abili" (giapponese hōben, dal sanscrito उपाय upāya, cinese 方便 fāngbiàn) da parte del maestro. A tal proposito, il Zencharoku cita espressamente il terzo capitolo del Sutra del Loto (giapp. 妙法蓮華經 Myōhō Renge Kyō), con la narrazione della parabola della Casa in fiamme dove il maestro del tè rappresenta il padre che vuole salvare i figli che si intrattengono in giochi all'interno di una casa incendiata.