lunedì 2 giugno 2014

Bartitsu

Un fotomontaggio di tecniche di autodifesa del bartitsu, con al centro il ritratto di Edward William Barton-Wright


Il bartitsu è un'arte marziale eclettica ed un metodo di autodifesa, sviluppato originariamente in Inghilterra, ideato da Edward William Barton-Wright, durante gli anni 1898–1902.
Nel 1901 venne citata (con il nome di baritsu) da Sir Arthur Conan Doyle, autore dei racconti polizieschi di Sherlock Holmes.
Sebbene non praticato per la maggior parte del XX secolo, il bartitsu ha conosciuto una rinascita negli anni 2000.

Storia

Nel 1898, Edward William Barton-Wright, un ingegnere britannico che aveva trascorso i tre anni precedenti vivendo nell'Impero del Giappone, ritornò in Inghilterra e annunciò la creazione di "una nuova arte di autodifesa". Quest'arte, egli sosteneva, combinava i migliori elementi di una gamma di stili di combattimento in un tutto unificato, che aveva chiamato bartitsu. La parola era una combinazione del suo cognome e di "jujitsu", e Barton-Wright affermava che ciò significava "autodifesa in tutte le sue forme".
Come spiegato in dettaglio in una serie di articoli che Barton-Wright scrisse per il Pearson's Magazine tra il 1899 ed il 1901, il bartitsu era tratto in gran parte dalla scuola Shinden Fudo del koryū ("classico") jujutsu e dal Kodokan judo, entrambi i quali aveva studiato mentre risiedeva in Giappone. Quando si affermò a Londra, l'arte si espanse per incorporare tecniche di combattimento delle scuole di Jūjutsu Tenjin Shinyō, Fusen e Daito, come anche il pugilato britannico, lo schwingen svizzero, la savate francese e uno stile difensivo con la canne (combattimento con il bastone) sviluppato dallo svizzero Pierre Vigny. Il bartitsu comprendeva anche un sistema completo di allenamento di cultura fisica.
Nel 1902, Barton-Wright scrisse:

«Nel bartitsu è compreso il pugilato, ovvero l'uso del pugno come mezzo contundente, l'uso dei piedi sia in senso offensivo che difensivo, e l'uso del bastone come mezzo di autodifesa. Judo e jujitsu, che erano stili segreti di lotta giapponese, si potrebbero definire azione ravvicinata applicata all'autodifesa.
Al fine di assicurare per quanto possibile l'immunità contro le ferite in attacchi codardi o zuffe, devono capire il pugilato per apprezzare completamente il pericolo e la rapidità di un colpo ben diretto, e le particolari parti del corpo che erano attaccate scientificamente. Lo stesso, naturalmente, valeva per l'uso del piede o del bastone.
Il judo ed il jujitsu non erano pensati come mezzi primari di attacco o di difesa contro un pugile o un uomo che vi prende a calci, ma dovevano essere usati solo dopo essere giunti a distanza ravvicinata, e per arrivare a distanza ravvicinata era assolutamente necessario capire il pugilato e l'uso del piede.»

La nascita del Bartitsu Club

Tra il 1899 ed il 1902, Barton-Wright iniziò a pubblicizzare la sua arte attraverso articoli per riviste, interviste ed una serie di dimostrazioni o "assalti d'armi" in varie sedi pubbliche a Londra. Fondò una scuola chiamata Accademia del Bartitsu di Armi e Cultura Fisica (Bartitsu Academy of Arms and Physical Culture), nota informalmente come Bartitsu Club, che era ubicata al n. 67b di Shaftesbury Avenue a Soho. In un articolo per il Sandow's Magazine of Physical Culture vol. 6, (gennaio 1901), la giornalista Mary Nugent descrisse il Bartitsu Club come "... un'enorme sala sotterranea, muri di piastrelle bianche tutte scintillanti e luce elettrica, con 'campioni' che vi si aggirano come tigri."
Attraverso la corrispondenza con il professor Jigoro Kano, il fondatore del Kodokan Judo, e altri contatti in Giappone, Barton-Wright prese accordi affinché i praticanti giapponesi di jujitsu K. Tani, S. Yamamoto e il diciannovenne Yukio Tani venissero a Londra e fungessero da istruttori presso il Bartitsu Club. K. Tani e Yamamoto ritornarono presto in Giappone, ma Yukio Tani rimase e fu in breve raggiunto da un altro giovane jujitsuka, Sadakazu Uyenishi. Il maestro d'armi svizzero Pierre Vigny ed il lottatore Armand Cherpillod furono anch'essi impiegati come insegnanti presso il Club. Oltre ad insegnare ai Londinesi benestanti, essi avevano il compito di esibirsi in dimostrazioni e di disputare incontri di sfida contro lottatori che rappresentavano altri stili di combattimento. Inoltre, il Club divenne il quartier generale di un gruppo di antiquari della scherma guidati dal capitano Alfred Hutton e funse come loro base per sperimentare le tecniche della scherma tradizionale, che insegnavano ai membri più importanti del teatro londinese per usarla nei combattimenti di scena.
A metà del 1901, le discipline del bartitsu si ampliarono ulteriormente, includendo esercizi di respirazione sotto l'insegnamento della signorina Emil Behnke.
Oltre alla palestra per il combattimento, il Bartitsu Club comprendeva un salone ben attrezzato, equipaggiato con un'ampia gamma di macchine per l'elettroterapia.
Il Club era organizzato sul modello del circolo sportivo vittoriano; gli aspiranti membri presentavano le loro domande di ammissione ad un comitato, che in un determinato momento incluse sia il capitano Alfred Hutton, il primo a promuovere la riscoperta della scherma tradizionale in Inghilterra, che il colonnello George Malcolm Fox, ex Ispettore Generale del Corpo di addestramento dell'Esercito britannico.
Il Bartitsu Club annoverava tra i suoi membri Sir Cosmo Duff-Gordon, che doveva più tardi diventare famoso come uno dei pochi maschi adulti sopravvissuti all'affondamento del RMS Titanic, nonché il capitano F.C. Laing del 12° Fanteria Bengalese, che scrisse in seguito un articolo sulle tecniche di lotta con il bastone del bartitsu, pubblicato sul Journal of the United Service Institution of India. Altri membri del Club comprendevano i capitani Ernest George Stenson Cooke e Frank Herbert Whittow, entrambi membri della Scuola d'Armi della Brigata Fucilieri di Londra, sotto la direzione del capitano Hutton; e William Henry Grenfell, 1º barone di Desborough, campione di scherma e uomo politico.
Barton-Wright in seguito riferì che, durante questo periodo, aveva sfidato e sconfitto sette uomini più possenti nel giro di tre minuti come parte di una dimostrazione di bartitsu che aveva tenuto a St. James's Hall. Disse che questa impresa gli fece ottenere un'adesione al prestigioso ed esclusivo Bath Club e anche un invito reale per comparire dinanzi ad Edoardo, principe di Galles. Sfortunatamente, Barton-Wright subì poi una ferita alla mano, a causa o di una zuffa in un viottolo di campagna del Kent o di un incidente di bicicletta, che gli impedì di comparire dinanzi al Principe.

I supposti propositi di autodifesa

Non è chiaro se Barton-Wright abbia mai messo a punto un corso di studi formale per il bartitsu come metodo di autodifesa. Egli incoraggiava i membri del Bartitsu Club a studiare ciascuno dei quattro principali stili di combattimento corpo a corpo insegnati al Club, ciascuno dei quali corrispondeva, in senso generale, ad una diversa "gamma" di combattimento individuale. Lo scopo era di padroneggiare ogni stile abbastanza bene da poterlo usare contro gli altri, se necessario. Questo processo era simile al concetto moderno di "allenamento incrociato" (cross-training).
Basandosi sugli scritti di Barton-Wright su questo tema, i ricercatori contemporanei ritengono che il bartitsu ponesse maggiore enfasi sul sistema di lotta con il bastone di Vigny alla distanza per colpire e sul jujitsu (e, secondariamente, sullo stile "onnicomprensivo" della lotta libera europea) alla distanza per afferrare. I metodi della savate e del pugilato erano usati per il passaggio tra queste due distanze, o come mezzo di prima risposta se chi si difendeva non era armato con un bastone da passeggio. Anche questi sport erano praticati così che gli studenti di bartitsu potessero imparare a difendersi contro di essi attraverso l'uso del jujitsu e della lotta col bastone di Vigny. Si dice che Barton-Wright abbia modificato le tecniche sia del pugilato che della savate a fini di autodifesa, distinti dall'allenamento accademico o ginnico o dalla competizione sportiva.
Secondo l'intervistatrice Mary Nugent, Barton-Wright istituì un insolito sistema pedagogico, mediante il quale agli studenti si richiedeva anzitutto di frequentare sessioni private di allenamento prima di permettere loro di unirsi alle lezioni di gruppo. È evidente che le lezioni di bartitsu includevano esercizi predefiniti, da usare specialmente per provare quelle tecniche che erano troppo pericolose per essere eseguite a piena velocità o a pieno contatto, oltre che negli incontri di allenamento libero e di scherma.
Molte tecniche di autodifesa e sequenze di allenamento del bartitsu furono registrate dallo stesso Barton-Wright nella sua serie di articoli per il Pearson's Magazine. I dettagli specifici di altre esercitazioni di allenamento nella lotta col bastone del bartitsu furono registrati nell'articolo del capitano Laing.

Il declino

Malgrado il suo entusiasmo, sembra che Barton-Wright sia stato un mediocre promotore e la fama dei suoi soci e del loro jujitsu oscurò rapidamente quella del bartitsu. Verso il 1903, il Bartitsu Club aveva chiuso le sue porte per l'ultima volta; l'ex membro del Club Percy Longhurst suggerì in seguito l'ipotesi che le quote di iscrizione e di insegnamento fossero state troppo alte.
La maggior parte degli ex dipendenti di Barton-Wright, compresi i jujitsuka Yukio Tani e Sadakazu Uyenishi e l'esperto svizzero di autodifesa Pierre Vigny, fondarono le proprie palestre di sport di autodifesa e di combattimento a Londra. Dopo aver rotto con Barton-Wright, presumibilmente a causa di una lite e di una zuffa, Tani continuò anche il suo lavoro come lottatore professionista di music-hall sotto la scaltra gestione di William Bankier, artista che si esibiva in dimostrazioni di forza nonché editore di riviste che andava sotto il nome d'arte di "Apollo". Gli sforzi promozionali di Bankier contribuirono ad innescare una moda internazionale per il jujitsu, che comprendeva la pubblicazione di numerosi libri ed articoli di riviste, oltre alla fondazione di scuole di jujitsu in tutto il mondo occidentale. Questa moda durò fino all'inizio della Prima guerra mondiale e servì ad introdurre il jujitsu nella cultura popolare occidentale.
Sebbene vi siano state voci che Barton-Wright abbia continuato a sviluppare ed insegnare la sua arte marziale almeno fino agli anni 1920, essa non tornò mai più in auge.

Il rinnovato interesse e la "rinascita" degli anni 2000

Nel 2001, il sito web Electronic Journals of Martial Arts and Sciences (EJMAS) cominciò a ripubblicare molti degli articoli per riviste di Barton-Wright che erano stati scoperti negli archivi della British Library dallo storico Richard Bowen. Quasi immediatamente gli articoli su "Autodifesa con un bastone da passeggio" (Self Defence with a Walking Stick) attrassero un piccolo seguito di culto e le illustrazioni furono riprodotte, spesso con didascalie umoristiche od altre modifiche, su numerosi altri siti.
Nel 2002, fu creata un'associazione internazionale di entusiasti del bartitsu, conosciuta come la Bartitsu Society, per fare ricerche e poi per far rinascere la "Nuova arte di autodifesa" di E.W. Barton-Wright. La Bartitsu Society divide le ricerche sul bartitsu in due campi collegati, quelli del bartitsu canonico (le sequenze di autodifesa che furono illustrate in dettaglio da Barton-Wright e dai suoi assistenti nel 1899-1902) e del neo-bartitsu (interpretazioni moderne, personalizzate, tratte specialmente dai manuali di allenamento prodotti da ex istruttori del Bartitsu Club e dai loro studenti fra il 1905 ed i primi anni 1920). Accanto a questo filone principale, la ricerca ha sviluppato interessi collaterali per fenomeni sociali quali le bande di strada a cavallo fra il XIX ed il XX secolo, l'addestramento marziale del movimento militante delle suffragette, e lo studio delle arti marziali come parte della storia sociale vittoriana ed edoardiana. La Bartitsu Society comunica attraverso un gruppo email fondato dall'autore Will Thomas e singoli membri offrono occasionalmente seminari pratici delle tecniche di lotta del bartitsu.
Nell'agosto 2005, la Society pubblicò un libro, The Bartitsu Compendium ("Il compendio del bartitsu"), curato da Tony Wolf. Il Compendium illustra in dettaglio la storia completa di quest'arte marziale nonché un corso tecnico di studio del bartitsu canonico.
Il secondo volume, pubblicato nell'agosto 2008, comprendeva risorse per il neo-bartitsu tratte sia dagli scritti dello stesso Barton-Wright che dal corpus dei manuali di autodifesa prodotti dai suoi colleghi e dai loro studenti, compresi Yukio Tani, William Garrud, H.G. Lang, Jean Joseph-Renaud e R.G. Allanson-Winn.
Articoli su vari aspetti del bartitsu sono stati pubblicati su giornali (tutti in lingua inglese) tra i quali "Classical Fighting Arts", "Western Martial Arts Illustrated", "The Chap", "History Today" e "Clarkesworld Magazine".
Nel settembre 2006, un membro della Bartitsu Society, Kirk Lawson, mise in commercio un DVD intitolato Bartitsu - the Martial Art of Sherlock Holmes ("Bartitsu - L'arte marziale di Sherlock Holmes"), che è una presentazione delle tecniche del bartitsu secondo la dimostrazione fatta al Cumann Bhata Western Martial Arts Seminar nella primavera 2006.
Nell'ottobre 2006, la Bartitsu Society lanciò il sito Bartitsu.org, che include informazioni sulla storia, la teoria e la pratica dell'arte marziale di Barton-Wright.
Nel luglio 2008, Kirk Lawson, il già citato membro della Bartitsu Society, annunciò ufficialmente il primo corso attivo di addestramento al bartitsu/neo-bartitsu presso il suo club, il Cumann Bhata Dayton. Nell'agosto 2009 la Bartitsu Society annunciò la realizzazione di un documentario integrale su E.W. Barton-Wright e le sue arti di autodifesa.
Gli incassi delle vendite del Bartitsu Compendium, del Bartitsu Compendium II e del DVD Martial Art of Sherlock Holmes sono stati destinati alla creazione di un monumento per E.W. Barton-Wright.
Circoli e gruppi di appassionati di bartitsu sul modello della Bartitsu Society sono stati creati in varie nazioni. In Italia, è attivo il Bartitsu Club Italia, fondato da Paolo Paparella, Ran Arthur Braun e Angelica A. Pedatella in collaborazione con Tony Wolf. Anche il sito del club (Bartitsu.it) contiene varie informazioni e materiali sulla storia di quest'arte marziale, nonché sui corsi e le iniziative ad esso dedicate.

Caratteristiche ed influenza

Il bartitsu fu la prima arte marziale ad aver deliberatamente combinato stili di lotta asiatici ed europei allo scopo di affrontare i problemi dell'autodifesa civile/urbana in una "società disarmata". In questo, Barton-Wright anticipò l'approccio del Jeet Kune Do di Bruce Lee di oltre settant'anni. Una filosofia simile di eclettismo pragmatico fu adottata da altri specialisti europei di autodifesa degli inizi del XX secolo, inclusi Percy Longhurst, William Garrud e Jean Joseph-Renaud, che avevano tutti studiato con ex istruttori del Bartitsu Club.
Bill Underwood, William E. Fairbairn ed altri, incaricati di sviluppare sistemi di combattimento ravvicinato ad uso delle truppe alleate durante la Seconda guerra mondiale, misero ugualmente a punto sistemi di combattimento corpo a corpo di tipo pratico ed interculturale. Underwood aveva effettivamente studiato il jujitsu con Yukio Tani ed un altro jujitsuka, Taro Miyake, a Londra durante il primo decennio del XX secolo. I sistemi fondati da Underwood, Fairbairn e dai loro contemporanei divennero la base per la maggior parte dell'addestramento al combattimento ravvicinato delle forze armate e della polizia in tutto il mondo occidentale durante il XX secolo.
E.W. Barton-Wright è ricordato anche come un promotore pionieristico delle gare di arti marziali miste o AMM, nelle quali esperti di diversi stili di lotta competono in base a regole comuni. I campioni di Barton-Wright, compresi Yukio Tani, Sadakazu Uyenishi e il lottatore svizzero di schwingen Armand Cherpillod, godettero di notevole successo in queste gare, che anticiparono di cento anni il fenomeno delle AMM degli anni 1990.
Il Bartitsu Club fu tra le prime scuole del suo tipo in Europa ad offrire lezioni specializzate di autodifesa femminile, una pratica adottata dopo la chiusura del Club da parte di studentesse di Yukio Tani e Sadakazu Uyenishi, fra le quali Edith Margaret Garrud ed Emily Watts. La signorina Garrud fondò il proprio dojo (scuola) di jujitsu a Londra ed insegnò l'arte anche ai membri del movimento militante delle suffragette, creando un'iniziale associazione tra l'allenamento all'autodifesa e la filosofia politica del femminismo.


Il "Baritsu" nella letteratura

Sherlock Holmes e Moriarty combattono ne L'ultima avventura.



Il bartitsu avrebbe potuto essere completamente dimenticato se non fosse stato per una casuale menzione da parte di Sir Arthur Conan Doyle in uno dei suoi racconti polizieschi di Sherlock Holmes. Verso gli anni 1890, Conan Doyle si era stancato di narrare le avventure di Sherlock Holmes. Lo aveva in effetti definitivamente eliminato nel suo racconto del 1893, L'ultima avventura, in cui Holmes apparentemente moriva precipitando da una cascata durante una lotta con il suo arcinemico, il professor Moriarty.
Tuttavia, talmente clamorosa era la richiesta del pubblico per il ritorno dell'immaginario detective, che Conan Doyle alla fine capitolò e resuscitò Holmes per un'altra storia, L'avventura della casa vuota, nel 1901. Così lo stesso Holmes spiegò la sua apparentemente miracolosa sopravvivenza:


«Quando raggiunsi l'estremità ero in trappola. Non estrasse un'arma, ma si scagliò contro di me e mi avvinghiò con le sue lunghe braccia. Sapeva che la sua partita era persa, ed era soltanto ansioso di vendicarsi su di me. Vacillammo insieme sul bordo della cascata. Io avevo, tuttavia, qualche nozione di baritsu, ovvero il sistema di lotta giapponese, che mi è stato più di una volta assai utile. Scivolai attraverso la sua presa, ed egli con un orribile grido scalciò furiosamente per alcuni secondi ed artigliò l'aria con entrambe le mani. Ma con tutti i suoi sforzi non riuscì a trovare l'equilibrio e andò giù. Con il viso oltre il bordo lo vidi cadere per un lungo tratto. Poi colpì una roccia, rimbalzò e cadde in acqua con un tonfo.»


In realtà, il "baritsu" non esisteva al di fuori delle pagine delle edizioni inglesi de L'avventura della casa vuota. È possibile che Conan Doyle, il quale, come E.W. Barton-Wright, stava scrivendo per il Pearson’s Magazine alla fine degli anni 1890, avesse vagamente sentito parlare del bartitsu e che abbia semplicemente ricordato o capito male il termine; potrebbe anche essere stato un errore tipografico o una preoccupazione per il diritto d'autore. Si dovrebbe inoltre notare che il servizio di un giornale su una dimostrazione di bartitsu a Londra, pubblicato nel 1900, aveva ugualmente scritto male il nome in baritsu.
Questa confusione di nomi persisté per gran parte del XX secolo, con gli entusiasti di Holmes che si interrogavano sull'identità del baritsu. Fu solo negli anni 1990 che studiosi come Y. Hirayama, J. Hall, Richard Bowen e James Webb furono in grado di identificare con certezza l'arte marziale di Sherlock Holmes.


Nella cultura di massa

  • Il "baritsu" di Conan Doyle ebbe una vita propria durante lo scorso XX secolo, e fu debitamente annotato che eroi immaginari come Doc Savage e The Shadow erano stati iniziati ai suoi misteri; per questi ultimi due personaggi, si stabilì che conoscevano il baritsu in un incrocio narrativo (crossover) della DC Comics che fu poi ripreso nel film del 1937 The Shadow Strikes. Il baritsu fu incorporato anche nelle regole di parecchi giochi di ruolo ambientati durante le ere vittoriana ed edoardiana.
  • Con riferimento diretto alla descrizione fatta da Conan Doyle di Sherlock Holmes come esperto di "baritsu" (vedi sezione precedente), il bartitsu è utilizzato nel film del 2009 Sherlock Holmes, con Robert Downey Jr. nel ruolo del leggendario detective.
  • Nell'albo San Francisco del fumetto Tex Angelo, aiutante nella palestra di Lefty Potrero dall'aria distinta e apparentemente innocua, viene presentato come uno specialista di savate, che ha perfezionato aggiungendo tecniche di lotta personali. Tuttavia, durante l'irruzione in un locale della malavita, Angelo dà sfoggio delle sue abilità mettendo fuori combattimento un avversario con due colpi del suo bastone da passeggio, il che fa pensare che sia in realtà un esperto di bartitsu.
  • Nel film Librarian 3 - La maledizione del calice di Giuda il protagonista Flynn Carsen dopo averne fatta menzione, ne mette in atto alcune tecniche.

domenica 1 giugno 2014

Kihon




Il kihon, nel karate, è l'insieme delle tecniche fondamentali.
In italiano potremmo tradurlo con le parole "basilare" o "rudimenti". La parola kihon è composta da due sezioni: Ki (fondamenta o radici) e Hon (base). Visualizzando gli ideogrammi delle due sezioni si nota che Ki è formato da due parti, una che simboleggia la terra e l'altra rappresenta l'inizio; Hon, invece, mostra un albero le cui radici sono rivolte verso il basso. La parola Kihon ha dunque il significato della necessità di porre delle solide fondamenta, delle profonde radici per poter costruire qualche cosa di duraturo. Nella cultura giapponese viene data molta importanza alla preparazione prima di mettere mano a qualunque progetto ed è importante essere padroni delle basi di qualunque disciplina, prima di progredire in essa.
Come in qualsiasi altra disciplina, anche nel karate, senza una perfetta padronanza degli esercizi di base, non è possibile progredire e raggiungere notevoli livelli di pratica. Le basi del karate, i primi esercizi insegnati all'allievo, portano a imparare il corretto uso del proprio corpo, sia esso in movimento o statico.
Il Kihon, quindi, è la forma di allenamento base, di parata o di attacco, su cui si basa il Karate.
Nella pratica del kihon si impara a migliorare la propria resistenza e a ottenere una maggiore rapidità nell'esecuzione; aiuta anche a rafforzare lo spirito combattivo e l'allievo apprende come gestire le "armi" naturali del corpo.
Un elemento importante del karate è il kime.
Il kime, nella pratica del Karate, può essere definito come "focalizzazione della massima potenza esplosiva del colpo" in un punto stabilito. Lo studio e la corretta comprensione di ogni singola tecnica, da parte dell'allievo, dovranno trovare quindi il loro naturale coronamento nello sviluppo del kime, conferendo ad ogni attacco e ad ogni parata la massima incisività, potenza e pulizia. Nessun praticante di Karate, dunque, può aspirare a progredire verso i gradi superiori della disciplina se non è in grado di applicare un buon kime durante l'esecuzione delle tecniche. Lo stesso principio si applica, a maggior ragione, nelle manifestazioni agonistiche, nelle quali il kime è uno degli elementi fondamentali di valutazione dell'atleta.



sabato 31 maggio 2014

Scherma tradizionale

La scherma tradizionale, scherma antica o scherma storica è la ricostruzione dei sistemi sviluppatisi prima della codifica sportiva della scherma (ovvero dell'uso sistematizzato di una spada o altra arma), sulla base della documentazione storica rimasta, dei sistemi tradizionali ancora conservati e della verifica in simulazione di combattimento.
Non va confusa con la scherma teatrale e coreografica, che sono genericamente ispirate ai sistemi effettivamente esistiti, molto diverse dalla moderna scherma sportiva agonistica che ha perso il senso dell'uso dell'arma come se fosse vera ed affilata.


Etimologia

Il termine originario è Scrima, o Scrimia, poi Schermo. L'etimologia palesa la funzione prevalentemente difensiva di quest'arte il cui scopo è il colpire senza essere colpiti.

Storia

Il manoscritto MS I.33, datato circa al 1290, mostra scherma con spada e brocchiero.

L'uso della spada, la prima arma inventata con il solo scopo di uccidere altri esseri umani, è molto antico. Le prime fonti che accennano a particolari tecniche risultano fin dal periodo romano, ma è nel tardo Medioevo che appaiono i primi trattati scritti da Maestri d'Arme veri e propri. In Italia, i più famosi Maestri che ci hanno lasciato testimonianza dei loro insegnamenti sono Fiore dei Liberi (Flos Duellatorum - Ferrara - 1410 circa) e Filippo Vadi (De arte gladiatoria dimicandi - Urbino - 1485 circa). In questo periodo, che per l'Italia è da considerarsi già rinascimento delle arti e delle scienze (e la scherma è considerata come una di esse), il combattimento è particolarmente legato all'utilizzo di spade a due mani, daghe, lance, azze, bastoni e lotta a mani nude. Dal '500, con il graduale affermarsi dell'arma da fuoco sui campi di battaglia la spada diventa più un'arma da difesa personale o da uso civile che non da guerra. In questo periodo la spada viene spesso accompagnata da una seconda lama più corta da impugnarsi con l'altra mano, spesso chiamata daga o pugnale da duello, oppure accompagnata da armi difensive quali piccoli scudi (brocchieri e targhe), scudi più grandi (rotelle e targoni) oppure semplici mantelli (cappe). La scherma diventa nel primo '500 espressione di arte e scienza senza precedenti. Con i suoi grandi Maestri (Achille Marozzo o Antonio Manciolino giusto per citarne alcuni), l'Italia diventa punto di riferimento europeo anche per quest'arte. L'origine aristocratica della scherma, in cui l'utilizzo di armi secondarie viene gradualmente limitato da motivi etici e di etichetta, porta a una progressiva codifica della disciplina. In essa diventano preponderanti sempre più i colpi di punta, decisamente più letali dei tradizionali colpi di taglio. È per l'appunto dopo il 1600 che la vecchia spada da lato (detta così poiché di uso civile da portare alla cintura) si trasforma nella spada da lato a striscia o semplicemente "striscia". L'evoluzione dell'arma porta ad un cambiamento delle tecniche: ormai si usa per lo più la spada sola o la spada ed il pugnale; ancora per tutto il 1600 l'Italia produce notevoli Maestri, quali Ridolfo Capoferro da Cagli.
Nei secoli successivi, la scherma si allontana sempre più dai casi di combattimento reale, perdendo d'importanza la dottrina d'uso principale: la sopravvivenza in un combattimento in steccato, in Duello "alla macchia" o in caso di aggressione in strada. La scherma diventa gradualmente un passatempo da gentiluomini, che vedono nel circolo di scherma anche una sorta di club per ritrovarsi. Nell'800 questo cambiamento generalizzato della scherma porta alla scomparsa di Maestri che possano insegnare efficacemente quest'arte in condizioni di combattimento reale. Per tale motivo gli ambienti militari delle potenze dominanti del tempo, cominciano a ricercare fuori dai propri territori, persone in grado di insegnare il combattimento con la sciabola ai propri ufficiali. Ad ogni modo, anche nel '900 gli schermidori Italiani di spada erano rinomati proprio per la loro esperienza e pratica nell'uso della spada da duello, sebbene le tecniche originali di scherma antica, la quale sfrutta combinazione di colpi di taglio e colpi di punta, risultavano ormai non più praticate.


«Da quando i Goti introdussero il costume del duello, l'arte della difesa divenne uno studio necessario: venne codificata da determinate regole e vennero create accademie che istruissero i giovani alla pratica. I moderni hanno adottato lo spadino a discapito delle armi antiche, cosa che ha portato allo sviluppo di una nuova forma di difesa, distintasi con l'appellativo di Scherma, che figura a pieno titolo quale parte dell’educazione di una persona di rango, garantendole maggior forza di corpo, propriocettività, grazia, agilità, indirizzo, mettendolo parimenti nella condizione di portare a compimento con maggior facilità altre forme d’esercizio.»
(Tremamondo, Angelo (1763), L'Ecole des Armes, avec l'explication générale des principales attitudes et positions concernant l'escrime, prefazione.)


Scherma tradizionale come arte marziale moderna

Le tecniche di scherma antica, al giorno d'oggi, vengono riproposte grazie allo studio degli scritti che i Maestri del tempo ci hanno lasciato o, in taluni casi, recuperando quanto è rimasto in ambiti non collegati al mondo della Scherma Sportiva. Si possono così scoprire le peculiarità di un'arte marziale occidentale, che ha trovato in Italia un terreno particolarmente fertile per svilupparsi ed accrescersi al punto da poter essere considerata a pieno titolo l'Arte marziale Italiana. Un'Arte che si fonda sul principio del "toccare senza essere toccati" e su oltre sette secoli di storia codificati nelle decine di Trattati d'Arme fino ad oggi recuperati.
Numerose sono le associazioni sportive dilettantistiche che organizzano corsi dedicati a questa attività, sebbene in Italia non esista alcuna federazione nazionale di praticanti di scherma antica. La FIJLKAM (Federazione Italiana Judo Lotta Karate Arti Marziali) sembra essere orientata principalmente alle arti marziali a mani libere, per cui non possiede al suo interno un settore dedicato alla scherma occidentale. Mentre la FIS (Federazione Italiana Scherma) sta ultimamente aprendo i propri orizzonti cercando di regolamentare l'aspetto più sportivo di questa pratica. In contrapposizione alle Federazioni Nazionali sportive altre organizzazioni di carattere promozionale riconosciute dal CONI (in particolare UISP e CSEN) hanno organizzato propri settori in cui la pratica della scherma antica è ben sviluppata.


Terminologia e dettagli

Nel '900 era uso distinguere la scherma praticata al circolo sportivo e la scherma da duello, normalmente al primo sangue, rispettivamente con "scherma da pedana" e "scherma da terreno".
Oggigiorno, nel linguaggio comune sono oramai diventati pressoché equivalenti i seguenti termini, anche se ne esistono diverse interpretazioni:
scherma tradizionale
indicante le tecniche schermistiche tramandateci attraverso la tradizione orale o scritta;
scherma antica (in contrapposizione al termine "scherma moderna" sinonimo di scherma sportiva)
indicante la scherma non più praticata in tempi odierni; termine già ritrovabile nei primi anni del Novecento al tempo in riferimento alla scherma precedente il XIX secolo,
scherma storica
indicante le tecniche schermistiche relative ad un determinato periodo storico non contemporaneo (es. scherma storica rinascimentale, scherma storica trecentesca, ecc.).
Lo studio di queste discipline può essere orientato verso l'analisi e la ricostruzione da documentazione scritta oppure verso la sperimentazione diretta con repliche delle armi originali.
Mentre la pratica in combattimento libero, data la relativa pericolosità della stessa, può essere eseguita in sicurezza riconducendola ad una delle seguenti categorie:
contatto leggero (light contact o in controllo)
in genere eseguito con repliche in metallo prive delle caratteristiche lesive (taglio e punta), in cui la sicurezza è garantita dal controllo del colpo e si pratica al fine di migliorare la tecnica schermistica;
contatto pieno (full contact)
in genere eseguito con repliche in materiale non lesivo (acciaio leggero e flessibile, legno, rattan, bambù) ed opportune protezioni per il corpo, in cui lo scopo principale è simulare nella migliore maniera possibile le condizioni di uno scontro reale.
Negli ultimi anni si sta diffondendo una terza categoria, ispirata alle rivisitazioni hollywoodiane del medioevo europeo. Tale disciplina, spesso sovrapposta alla rievocazione storica, consiste in scontri fra contendenti in armatura completa dotati di repliche di spade rigide e fortemente smussate (minimo 3 mm di superficie di impatto). Pur presentando a volte colpi applicati con notevole forza, per ragioni di sicurezza vengono banditi determinati colpi o atteggiamenti, presenti invece nel contatto pieno. La presenza di pesanti protezioni passive in metallo consente ai combattenti di non prestare particolare attenzione al controllo del colpo, cosa invece fondamentale nel contatto leggero.


Armi

Le armi che possono far parte della disciplina di scherma antica sono le seguenti:
  • Spada a una mano e mezza e Spada a due mani
  • Spada a una mano, usata da sola o accompagnata da
    • Daga o Pugnale
    • Scudo piccolo (Brocchiero, Targa)
    • Scudo grande (Targone, Rotella)
    • Cappa
    • Altra Spada a una mano
  • Daga o Pugnale solo
  • Lancia e altre Armi inastate
  • Ascia, Azza, Mazza e altre armi da botta
  • Lotta e Lotta in Arme
  • Bastone
    • a una mano (bastoncello, da passeggio, provvidente, ecc.)
    • a due mani

Trattati di Scherma

Bartolommeo Bertolini: "Trattato di sciabola" - 1842

Giordano Rossi: "Scherma di Spada e Sciabola - Manuale teorico-pratico" - 1885

venerdì 30 maggio 2014

Escrima





Una serie di armi da addestramento usate nelle scuole di Escrima. Sono presenti un bastone imbottito, un bastone in rattan, un pugnale d'allenamento in legno e tre diversi coltelli d'allenamento in acciaio.
Escrima o Eskrima è un antico sistema di combattimento filippino, conosciuto anche come Kali o Arnis de Mano, o ancora come FMA (Filipino Martial Arts).
Le tecniche di base insegnate sono estremamente semplificate. In un breve addestramento, con poco tempo a disposizione per allenarsi, solo le tecniche più semplici sono quelle che realmente possono essere usate con efficacia in battaglia. Questo permise agli abitanti delle tribù indigene, senza alcun addestramento militare, di potersi difendere da altre tribù o addirittura dall'aggressione di eserciti stranieri. A causa di questo primo approccio, l'Escrima può sembrare erroneamente un'arte marziale molto semplice da imparare.

Storia

"Escrima" in lingua filippina Tagalog ha lo stesso significato dello spagnolo "esgrima", ovvero "scherma". Il primo contatto storico del mondo occidentale con l'Escrima si ha nell'epoca delle prime conquiste coloniali che seguirono alle esplorazioni dei "nuovi mondi" scoperti dai grandi navigatori agli inizi del Cinquecento. Quando i "conquistadores" spagnoli arrivarono nelle Filippine, trovarono ad aspettarli tribù belligeranti che usavano armi tradizionali per difendersi. Ferdinando Magellano, in particolare, venne ucciso nella battaglia di Mactan del 1521 dal re Lapu-Lapu: è lo stesso Pigafetta, che descrive nel suo diario di viaggio come gli indigeni uccisero Magellano con lance e con un "gran terciado (che è come una scimitarra, ma più grosso)". Dopo la conquista, gli spagnoli bandirono l'arte marziale indigena (che però rimase nascosta nelle danze e nei rituali popolari) sostituendola con la scherma spagnola. Il kali moderno risente ancora adesso dell'infuenza spagnola.
Molti ritengono che l'origine dell'Escrima si trovi nelle arti marziali indonesiane, che hanno le loro radici nel Kun Tao e nel Silat. Il Kun Tao (letteralmente la via del pugno) non è altro che una delle evoluzioni che ha avuto il Ch'uan Fa (conosciuto in occidente ed a Hong Kong con il termine Kung fu e nella Cina moderna come Wu-shu), mentre il Silat deriva dai movimenti adottati dalle arti marziali della penisola indiana e della popolazione araba che si insediò in Indonesia verso il XIII secolo. Del resto, a partire dal XIV secolo iniziò l'insediamento di popolazioni musulmane anche nel sud delle Filippine, invasione che si fermò con l'arrivo degli spagnoli: ancora oggi le isole meridionali dell'arcipelago filippino sono abitate dalla popolazione "moros" musulmana.
In realtà, gli innumerevoli stili delle arti marziali filippine hanno assorbito tecniche e schemi motori da qualsiasi arte marziale portata dai vari conquistatori delle Filippine che si sono succeduti nel corso della storia: indiani, arabi, spagnoli (con accompagnamento di portoghesi ed italiani), americani, giapponesi.

Escrima oggi

Negli ultimi anni è cresciuto l'interesse per le arti marziali meno diffuse, provenienti da diverse culture di tutto il mondo, incluso Escrima, Capoeira, Savate, Muay Thai ed altre. Ritenuta la migliore arte per imparare ad usare i coltelli ed a difendersi da essi, Escrima ha attirato persone non necessariamente interessate al suo aspetto culturale. Come conseguenza, molti sistemi di Escrima sono stati modificati, per renderli più "vendibili" ad un pubblico esteso. L'infuenza di altre arti marziali asiatiche sul modo di proporsi "sul mercato", ha portato ad una enfatizzazione del trapping, del controllo e del disarmo, focalizzandosi sull'aspetto dell'autodifesa. D'altra parte, il Kali-Arnis-Escrima non si è evoluto in senso sportivo come altre arti marziali (soprattutto giapponesi e cinesi), mantenendo una certa impronta guerriera dovuta alla sua origine (l'uso delle armi ne è insieme la causa e la diretta conseguenza).
I moderni metodi di allenamento tendono a curare meno il "footwork" e le tecniche di piede (che peraltro vengono assimilate con gli esercizi come veniva fatto anche anticamente) e le posizioni basse del corpo (che comunque erano adottate da non molti stili di Arnis/Escrima) soffermandosi sempre di più su tecniche dirette, maggiormente adatte ad essere imparate da chi non ha la possibilità di dedicare moltissimo tempo a queste discipline e che possono sembrare più efficaci, soprattutto in contesti in cui è richiesta una reazione immediata che non abbia avuto la necessità di anni e anni d'allenamento per essere acquisita.
Un altro campo in cui la disciplina si sta espandendo è il sincretismo con le tradizioni di scherma Europea, medioevale e rinascimentale, direzione in cui la sta sviluppando Master Bill Newman, allievo diretto di Latosa ed ora responsabile WTO per l'Escrima, così come sta approfondendo analogie e similutudini tra Kali-Arnis-Escrima e scherma rinascimentale italiana anche il Maestro Maurizio Maltese (uno dei quattro soci fondatori dell'AKEA prima, e fondatore dell'ISAM poi).

Polemiche

Non è raro veder praticare Escrima insieme ad arti marziali cinesi come Kempo e soprattutto Wing Chun nonché Jeet Kune Do. Nelle Filippine molti maestri di Escrima ormai praticano come sistemi a mani nude anche discipline giapponesi come il Karate o lo Judo. Pochi sono quelli che, depositari della tradizione, ancora conservano l'arsenale disarmato autoctono originale. I collegamenti con l'Occidente si devono a Dan Inosanto. Fu proprio grazie a quest'ultimo che l'Escrima venne diffusa e conosciuta in tutto il mondo. Merito di Inosanto, infatti, è quello di aver dato senso, logica e didattica ad un'arte marziale (o meglio ad un corpus di arti marziali) altamente carente in tal senso. Le Arti marziali filippine, infatti, in quanto sistemi familiari, non possedevano una progressione didattica né una struttura ben definita e coerente di tecniche. I promotori di questo tipo di allenamento sostengono che le arti siano davvero simili in moltissimi aspetti, e negli altri siano complementari. Nel Wing Tsun (principalmente in quello della scuola EBMAS) l'escrima Serrada della scuola di Renè Latosa rappresenta il completamento dell'area del combattimento armato (nel Wing Tsun le armi tradizionali sono i coltelli a farfalla e il bastone lungo) inoltre è perfettamente armonica con molti principi dell'arte, quali il Dinamismo rivolto verso l'avversario, l'importanza di trovarsi offline, il sistema di spostamenti sul Triangolo per maggior sicurezza durante l'esecuzione delle tecniche, lo studio dell'uso del corpo e l'attenzione sensibile alle pressioni avversarie. È anche vero che in America, l'Escrima è ritenuta da molti più affascinante e facile da proporre insieme alle arti marziali asiatiche e questo spiega, in parte, il proliferare di stili e sottostili la cui reale efficacia e praticità è stata messa a volte in discussione.

Aspetti Tecnici

Armi

Un "Bolo" è il machete utilizzato nelle Filippine

La particolarità che più colpisce dell'Escrima è che si comincia lo studio dell'arte marziale imparando subito ad usare le armi. Successivamente si passa al combattimento a mani nude applicando le tecniche, le famiglie di movimento e le tattiche di combattimento apprese con le armi. Tutte le altre arti marziali cominciano sviluppando l'abilità nel combattimento a mani nude, per anni, prima di passare eventualmente alle armi. Questa particolarità delle FMA, è giustificata dal fatto che per imparare il combattimento a mani nude si usano gli stessi esercizi del combattimento armato, ponendo nella memoria fisica il fulcro di tutto l'addestramento. Secondo i maestri filippini, avere la disponibilità di un'arma pone in vantaggio durante un combattimento, inoltre, durante l'apprendimento dei movimenti e delle tecniche, utilizzare un'arma focalizza l'attenzione e velocizza i movimenti: doti che diventano utili anche nello scontro disarmato ed indispensabili in caso si fronteggiasse a mano nuda un avversario armato. Un'altra opinione di questi maestri, è che non ci si riesce a difendere da certe armi (ad esempio il coltello) se non si conosce a propria volta come usarle. Quando non si ha un'arma a disposizione (anche di fortuna), il corpo stesso deve diventare un'arma!
Balisong

L'arma più comunemente utilizzata per cominciare l'apprendimento dell'Escrima è il bastone in rattan (chiamato "olisi", "yantok" o "baton" o "baston" a seconda dello stile), lungo all'incirca quanto il braccio del praticante, con una lunghezza che può variare dai 45 ai 70 cm. Altri bastoni usati per l'allenamento possono essere fatti con legni più duri e resistenti del rattan. Si usano anche bastoni d'alluminio o realizzati in plastiche molto resistenti. In molti sistemi si comincia con l'imparare il combattimento con due armi, che possono essere due bastoni, due coltelli o un bastone e un coltello (sistema chiamato "espada y daga"). Altre armi tradizionali possono essere il bastone lungo, il bastone da pugno (pocket stick), la lancia, lo scudo, la frusta e il nunchaku, oltre alle classiche armi da taglio filippine di medie dimensioni accomunate a quelle malesi: bolo (è praticamente un machete), kampilan (arma da taglio con lama rastremata verso l'impugnatura), barong (arma da taglio con lama a foglia leggermente curvata all'interno) e kriss (arma da taglio con lama serpeggiante che esiste di varie dimensioni, dalle maggiori che equivalgono a quelle di una spada a quelle inferiori simili a quelle di un pugnale), solo per citarne alcune.


Concetti tecnici di base

Il primo concetto tecnico su cui si fonda il Kali-Arnis-Escrima è utilizzare gli stessi movimenti usati per il maneggio di un'arma anche per il maneggio di armi diverse e per effettuare tecniche a mano nuda. Infatti, osservando attentamente le dimostrazioni tecniche di vari maestri ed istruttori di Escrima, si vede la quasi identica esecuzione della stessa tecnica, sia eseguita con un bastone che a mano nuda: vi sono solo piccoli aggiustamenti per adeguarsi a distanze di combattimento diverse e per sfruttare al meglio le differenti potenzialità offerte dalla mano prensile rispetto all'arma inerte.
Altro concetto tipico dell'Escrima, che si differenzia da altre arti marziali e che si ritrova solo nella scherma (e parzialmente nel Wing Chun), è la "numerazione degli angoli": gli attacchi vengono portati seguendo particolari traiettorie che comunque rientrano in "zone" che delimitano la figura umana del bersaglio. Per comprendere questo concetto, occorre immaginare la figura umana dell'avversario divisa perfettamente a metà da una linea verticale che attraversa tutto il corpo dalla estremità superiore della testa fino al pavimento: questa divide il bersaglio in due parti (destra e sinistra). A livello dell'ombelico, la figura viene di nuovo divisa in due parti da una linea parallela al terreno: il bersaglio a questo punto, è diviso in due ulteriori zone (alto e basso, oltre alla parte mediana corrispondente alla linea stessa). A prescindere dal tipo di colpo (di punta o di taglio, ascendente o discendente...), ogni attacco rientrerà in una delle quattro zone delimitate dalla linea verticale e da quella orizzontale. Conseguentemente, i filippini hanno creato un sistema di numerazione che identifica queste zone e l'allievo che impara le difese dai vari attacchi, impara anche a gestire allo stesso modo qualsiasi tipo di colpo portato in una determinata zona. Gli stili di Kali-Arnis-Escrima sono tanti, ma tutti hanno questi quattro angoli (che diventano cinque considerando anche quello costituito dagli attacchi portati direttamente sulla linea centrale verticale) iniziali in comune: a seconda della scuola, questi angoli possono aumentare tramite ulteriori differenziazioni e distinguo in 7, 12, 15, 24 o più angoli.
Una ulteriore differenza che esiste tra arti marziali di origine cino-giapponese e l'Escrima, è quella costituita dall'enfasi con la quale si predilige l'insegnamento delle tecniche tramite l'esecuzione di "routines" assieme ad un compagno, composte da esercizi ciclici, costituiti a loro volta dalla successione delle varie tecniche fino a quel momento imparate e da ulteriori esercizi che spingono l'allievo a "sperimentare" tecniche aggiuntive e variazioni, da applicare su uno schema ciclico fisso al fine di imparare ad adeguarsi alle mutevoli condizioni di un combattimento, aumentando la propria "sensibilità" e la capacità di applicare tecniche d'opportunità. Questi esercizi, che non hanno nulla a che fare con le "forme" presenti in altre discipline, sono chiamati "Abesedario", "Sumbrada" o "Sombrada", "Hubud", "Corridas", "Tapi-Tapi", "Palis", "Contrada", "Seguida" e con tanti altri nomi, a seconda dello stile e del particolare ambito del combattimento per lo studio del quale si rivolgono (a lunga, media o breve distanza).

Non solo armi

Nonostante il Kali-Arnis-Escrima sia conosciuto soprattutto per l'uso delle armi (soprattutto armi bianche da taglio e da percussione), in quest'arte esiste anche un vasto repertorio tecnico nel campo del combattimento a mano nuda che copre sia lo scontro tra opponenti disarmati, sia la difesa disarmata da attacco armato, rendendolo uno dei sistemi di combattimento più completi nell'ambito delle arti marziali.
Tale bagaglio tecnico viene comunemente chiamato "Pangamut" e si compone di tre aspetti.
Il primo è conosciuto come "Panantukan" e riguarda l'arte di colpire e difendersi utilizzando gli arti superiori: pugni, colpi di gomito, di avambraccio o con la mano aperta sono l'arsenale di tecniche utilizzate in quella che in occidente è chiamata anche "Boxe filippina". Oltre ai colpi, sono ovviamente previste anche tutte le tecniche "difensive", quali le "parate" (composte da "deviazioni", "blocchi", "opposizioni" e "assorbimenti") e le posture del corpo e delle braccia atte a consentire un attacco rimanendo protetti da eventuali reazioni dell'avversario. Anche a mano nuda vengono utilizzati movimenti ed approcci tattici derivati dalle tecniche studiate con l'impiego delle armi come, ad esempio, il movimento "sinawalli" (che deriva dall'utilizzo di due armi di uguale lunghezza, una per mano) o il "gunting" (che prevede, in fase difensiva, la distruzione dell'arto avversario, armato o meno, che sta portando l'attacco), nonché gli "spostamenti sul triangolo".
Il secondo aspetto riguarda i modi di colpire con gli arti inferiori e viene chiamato "Sikaran" (ma anche con altri nomi a seconda dello stile e dell'area di provenienza di quest'ultimo, come "Sipa" o "Pananjackman"), contemplando l'uso di calci e colpi di ginocchio. Anche in questo caso, si studiano gli utilizzi degli arti sia per l'attacco che per la difesa, applicando anche qui il concetto di gunting. I calci previsti nelle arti marziali filippine possono essere di qualunque tipo, per quanto siano quasi sempre preferiti i calci "bassi": calci portati ad un'altezza superiore all'inguine, dai filippini sono considerati pericolosi per chi li effettua, in quanto si prestano a pronte e decisive reazioni da parte dell'avversario, quali una presa della gamba calciante con conseguente sbilanciamento e proiezione, oppure un contro-calcio che colpisce una qualsiasi delle numerose zone lasciate esposte nel calciare (gamba d'appoggio, inguine o la stessa gamba calciante secondo gli schemi previsti applicando il "gunting") o, peggio ancora, la ferita (anche grave) della gamba calciante se l'avversario è armato di arma da taglio o da "botta": certamente non si vedranno mai combattenti che praticano arti marziali filippine cercare di "disarmare" un attaccante armato di coltello o di "machete" con un calcio alla mano armata.
L'ultimo aspetto è il cosiddetto "Dumog" (o "Buno", secondo gli stili) che comprende genericamente la "lotta", ovvero le tecniche di "controllo", di "sbilanciamento", di "proiezione" e soprattutto le "leve", le quali rivestono una particolare importanza in questa arte marziale per il loro utilizzo anche nelle tecniche di disarmo.
Anche nel campo del Pangamut, si privilegiano esercizi in coppia che sviluppano la "sensibilità" e che sono la variante a mano nuda dei rispettivi esercizi eseguiti anche a mano armata, soprattutto Hubud-Lubud e Sumbrada.


L'aspetto sportivo

Seppur meno diffuso rispetto a molte altre arti marziali (che fanno ormai dell'agonismo il loro scopo principale) a partire dalla fine degli anni ottanta anche nelle arti marziali filippine si sono sviluppate delle competizioni sportive (molte scuole tuttavia preferiscono dedicarsi solo alla pratica per autodifesa). Tre sono i tipi di competizione: combattimento con bastone singolo e doppio; Anyo (forme). Dal 1986 l'Eskrima sportiva nelle Filippine è regolata dalla Arnis Philippines che è membro del locale Comitato Olimpico. A livello internazionale l'attività sportiva fa capo alla IAF (International Arnis Federation, in filippino Arnis Pederasyong International - ARPI). In Italia a rappresentare la IAF, organizzando i campionati italiani e selezionando la squadra per i mondiali (che si svolgono con cadenza biennale negli anni pari) è la Società Sportiva Versus che si avvale dell'apporto di alcuni maestri filippini residenti nel nostro paese.

giovedì 29 maggio 2014

Bando kickboxing


Bando kickboxing (dilettanti)


Bando kickboxing è la forma modernizzata e sportiva del lethwei, soprannominata in Europa "pugilato birmana a quattro armi". Nata in America del Nord all'inizio degli anni '60, questo tipo di scherma dei piedi e dei pugni inguantati in un ring ha dato vita, negli USA degli anni '70, a varie forme di full contact e di kickboxing. Esistono, in competizione, due forme di combattimento: il "bando kickboxing controllato" (light contact) dove i colpi sono trattenuti perfettamente, e il "Bando kickboxing di pieno-contatto" dove i colpi sono portati a piena potenza, destinato agli adulti più esperti. Secondo le età ed il livello tecnico, le regole e le condizioni di competizione sono variabili: in particolare cambiano le tecniche autorizzate e proibite, il tempo di combattimento, il tipo di superficie di combattimento (tappeto o ring) e il portamento di certe protezioni (casco, plastron (pettorina), gambali, pantofole, etc.).

mercoledì 28 maggio 2014

Street Fighting



Un tipico esempio di Street Fight


La rissa da strada o street fighting è un termine usato per definire un tipo di combattimento corpo a corpo illegale che avviene in un luogo pubblico, fra due o più individui o gruppi di persone.

Caratteristiche

Il termine denota un tipo di combattimento generico, che solitamente implica che i combattenti non siano combattenti marziali professionisti o artisti. La rissa per strada come attività reale è relativamente infrequente.
Lo street fighting è anche inteso come arte marziale, o meglio, insieme di varie tecniche di arti marziali diverse con lo scopo di raggiungere il proprio obiettivo nel modo più semplice e veloce. Simile al Krav Maga,o al Jeet Kune Do, lo street fighting si sta diffondendo anche come addestramento per forze speciali degli eserciti e corpi di polizia in tutto il mondo.

Conseguenze penali

Ogni forma di violenza può generare una azione legale: violenze domestiche, sul posto di lavoro eccetera possono avere diverse conseguenze di carattere penale, come ad esempio nel caso di lesioni personali. La rissa di strada è organizzata e messa in atto anche per causare disordine civile di un certo livello ed a una certa scala, ed i tumulti relativi possono essere perseguiti anche con l'accusa di cospirazione e terrorismo.













martedì 27 maggio 2014

Il kendo

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Il kendo (剣道 kendō) è un'arte marziale giapponese, evolutasi dalle tecniche di combattimento con la katana anticamente utilizzate dai samurai nel kenjutsu. Kendō significa letteralmente "La via ( ) della spada ( ken)".

 

Storia

Kendo, "Il cammino della spada", esprime l'essenza delle arti di combattimento giapponesi. Dal suo primo governo, durante il periodo Kamakura (1185-1233), l'utilizzo della spada, insieme all'equitazione e il tiro con l'arco, sono stati tra i maggiori interessi nella preparazione militare dei diversi clan che si contendevano il territorio. Il kendo si sviluppò sotto una forte influenza del buddismo zen, per cui il samurai sentiva l'indifferenza della propria vita nel bel mezzo della battaglia, la quale era considerata necessaria per la vittoria nei combattimenti individuali (si veda il concetto buddista della realtà illusoria della vita e della morte). A partire da quei tempi molti guerrieri sono stati rappresentati nella pratica del kendo, gli stessi che costituirono le prime scuole tra cui Itto-Ryu (scuola della spada unica) e il Muto (scuola senza spada).Oggi al posto delle katane si usano delle spade di legno i bokken per i 'kata' mentre per gli esercizi comuni si usa lo shinai (composto di quattro stecche di bambù)e si indossa una robusta armatura (bogu). Concetti come il Mushin o "mente vuota" sono diffusi dal buddismo zen e sono l'essenza del kendo. Fudoshin o "mente impassibile" sono concetti attribuiti al dio Fudo Myo-Ō (Acala), uno dei cinque "re della luce" nel buddismo shingon. Nel 1920, la Dai Nippon Butoku Kai (大日本武徳会, l'organizzazione promotrice della fondazione giapponese di arti marziali) ne ha cambiato nome da gekiken (撃剣, spada che colpisce) in kendo.


Praticanti

I praticanti di kendo sono chiamati kendōka (剣道家), letteralmente "chi pratica kendo", oppure kenshi (剣士), "spadaccino/schermidore".


Equipaggiamento e vestiario

Il kendo si pratica indossando un abbigliamento in stile tradizionale giapponese ed un'armatura protettiva (防具 bōgu) e usando una o, meno comunemente due, shinai (竹刀 shinai).

Equipaggiamento

Lo shinai è una rappresentazione della vera spada giapponese (katana) ed è formato da quattro stecche di bamboo tenute insieme da parti in pelle. Si utilizza anche una variante moderna dello shinai realizzata in fibra di carbonio rinforzata da strati di resina.
Nella pratica dei kata si utilizza anche una spada di legno massiccio, in giapponese bokutō (木刀) - spesso chiamato bokken (木剣) dagli occidentali.
I colpi sono portati sia con il lato (la lama) che con la punta dello shinai o del bokutō.
Il bōgu (防具) (ovvero l'armatura) protegge specifiche parti del corpo che fanno da bersaglio ai vari colpi: la testa, i polsi ed i fianchi. La testa è protetta da un elmo "stilizzato" chiamato men (), con una griglia metallica detta men-gane (面金) a protezione della faccia, una parte di spessi strati di pelle e tessuto a protezione della gola (tsuki-dare (突垂れ)) e dei lembi di tessuto imbottito a protezione delle spalle e di parte del collo (men-dare (面垂れ)). Gli avambracci, i polsi e le mani sono protetti da guanti di tessuto imbattivo chiamati kote (小手). Il torso è protetto da un corpetto chiamato dō () mentre il punto vita e la zona inguinale sono protetti dal tare (垂れ), costituito da dei lembi di tessuto posti in verticale. La parte centrale del tare è generalmente coperta da una sorta di etichetta, in giapponese zekken (ゼッケン) o nafuda (名札 なふだ), che riporta il nome del praticante ed il Dojo (o la Nazione) a cui appartiene. Il tare non rappresenta un possibile bersaglio ma è solamente una protezione da colpi accidentali ed errati.


Vestiario

L'abbigliamento indossato sotto il bōgu comprende una giacca chiamata kendogi (剣道着) - o keikogi (稽古着) - e l'hakama (), una sorta di ampia gonna-pantalone.
Un asciugamano di cotone detto tenugui (手拭い) viene avvolto intorno alle testa, sotto il men, per assorbire il sudore e fare in modo che il men venga calzato comodamente.


Principi del kendo

Nel 1975 la All Japan Kendo Federation (AJKF) - in Giapponese Zen Nihon Kendō Renmei (全日本剣道連盟) (ZNKR), abbreviato in Zen Ken Ren (全剣連) - ha sviluppato e pubblicato un documento intitolato "The Concept of Kendo" in cui si stabilisce il Principio del Kendo ed un altro intitolato "The Purpose of Practicing Kendo" che definisce lo Scopo della Pratica del Kendo."




«Il principio del kendo
Il Principio del Kendo è la ricerca della perfezione come essere umano attraverso l’esercizio dei principi della katana.

Lo scopo della pratica del Kendo

Lo scopo della pratica del Kendo è:
Formare la mente ed il corpo
Coltivare uno spirito forte
E, attraverso un addestramento corretto e severo,
Sforzarsi di progredire nell’arte del Kendo,
Tenere in considerazione la cortesia e l’onore,
Associarsi agli altri con sincerità
E ricercare per sempre il perfezionamento di se stessi.
In questo modo si sarà capaci di:
Amare il proprio paese e la società,
Contribuire allo sviluppo della cultura
E di promuovere la pace e la prosperità tra i popoli.
»




Atteggiamento mentale dell'insegnamento del kendo

Nel 2007 la All Japan Kendo Federation ha descritto l'atteggiamento mentale dell'insegnamento del kendo:


«Il significato dello Shinai
Per la corretta trasmissione e lo sviluppo del Kendo, è necessario sforzarsi di insegnare il modo corretto di trattare lo shinai secondo i principi della spada.
Kendo è una Via in cui l'individuo coltiva la propria mente (il sé) tendendo al shin-ki-ryoku-itchi (unificazione della mente, dello spirito e della tecnica) utilizzando lo shinai. La "spada-shinai" non deve essere solo diretta ad un avversario, ma anche a se stessi. Pertanto, l'obiettivo principale dell'insegnamento è quello di favorire l'unificazione della mente, corpo e shinai attraverso l'allenamento di questa disciplina.
»


Reiho – etichetta
«Nell'istruire, occorre porre l'accento sull'Etichetta per incoraggiare il rispetto per l'altro e coltivare le persone con un carattere dignitoso e umano.
Anche in competizioni ufficiali, si sottolinea l'importanza sostenere l'Etichetta nel Kendo. L'enfasi principale deve quindi essere posta su istruzione secondo lo spirito e le forme di Reiho (Etichetta) in modo che il praticante possa sviluppare un atteggiamento modesto verso la vita, e realizzare l'ideale di koken-chiai (il desiderio di raggiungere la comprensione reciproca e il miglioramento dell'umanità attraverso il Kendo).»


Kendo per tutta la vita

{{Citazione| Mentre vengono istruiti, gli studenti dovrebbero essere incoraggiati ad applicarsi pienamente alla cura dei temi della sicurezza e della salute e di dedicarsi allo sviluppo del loro carattere per tutta la vita.
Kendo è uno "stile di vita" che le generazioni successive possono imparare insieme. L'obiettivo primario dell'istruzione del Kendo è quello di incoraggiare i praticanti alla scoperta e definizione della propria Via nella vita attraverso la formazione nelle tecniche di Kendo. In questo modo il praticante sarà in grado di sviluppare una ricca visione della vita ed in grado di mettere in pratica la cultura del Kendo, beneficiando in tal modo dal suo valore nella propria vita quotidiana attraverso una maggiore vigoria sociale.



Regole

Si pratica indossando un'armatura (bogu) costituita da men (a copertura di testa, viso, spalle, gola), (corpetto rigido), tare (intorno ai fianchi), kote (guanti rigidi), tenogui (fazzoletto che viene legato alla testa prima di indossare il men). La classica sciabola (katana) è stata sostituita dal bokutō (detto anche bokken), usato solo per una serie di dieci esercizi, i kata, che racchiudono l'essenza del kendō, e dallo shinai, una spada costituita da quattro listelli di bambù uniti dal manico di pelle (tsuka), che è usata per il combattimento vero e proprio (jigeiko).
Complessi sono gli influssi religiosi e le tradizioni giapponesi nella pratica e nella gestualità: il kendō non è visto come una tecnica di combattimento, ma come un percorso di crescita personale; in questo senso, si dice che il kendōka (colui che pratica il kendō) deve essere grato al compagno che lo colpisce perché gli mostra i suoi punti deboli, e deve colpire con spirito di generosità.
La pratica si svolge all'interno di un dōjō, un'ampia stanza con pavimento ricoperto di parquet; solitamente si inizia e finisce sempre con il triplice saluto (al dōjō, ai compagni e al maestro) e vi è un breve riscaldamento che coinvolge tutte le catene muscolari. Si passa poi ai suburi, cinque esercizi di riscaldamento con lo shinai: nell'ordine, praticato normalmente joge-suburi, naname-suburi-ritenuto parte integrante di joge-suburi-, zenshin-men, zenshin-kotai-men, zenshin-kotai-sayu-men e choyaku-men (o aya-suburi). Poi si passa allo studio delle tecniche vere e proprie per poi, alla fine, passare alla pratica del ji-geiko: ji-geiko non va praticato come shiai, ma cercando di esprimere un kendo di qualità, senza agonismo e ricerca ossessiva del punto.
In un combattimento agonistico ("shiai"), è lecito colpire a men, kote, o tsuki (gola), e la vittoria è data al primo che realizza due colpi convalidati dagli arbitri (ippon), in numero di tre, che assegnano i colpi secondo la filosofia del ki-ken-tai-icchi (気剣体一致): spirito, spada e corpo devono essere nel colpo un tutt'uno armonico affinché questo possa essere considerato valido. Allo scopo di valutare la presenza del ki, dello spirito, nel colpo, è stata introdotta la regola che impone a chi colpisce il kiai, un grido che esprima spirito e concentrazione, al momento del colpo.



Gradi nel Kendo

Come avviene in molte altre arti marziali, l'avanzamento tecnico nella pratica del kendo è misurato con un sistema di gradi a cui, per i gradi più elevati, può essere aggiunto un riconoscimento onorifico.

Dan e Kyu

Il sistema di gradi è diviso in ( kyū) e ( dan) , creato nel 1883, è utilizzato per indicare il grado di abilità. Esistono 10 livelli di dan da primo dan (初段 sho-dan) al decimo dan (十段 jū-dan) e, generalmente, vi sono invece 6 livelli di kyu sotto il primo dan. La numerazione dei kyu è inversa: il primo kyu (一級 ikkyū) è quello immediatamente al di sotto del primo dan e il sesto kyu (六級 rokkyū) è il grado più basso. Non vi è alcuna differenza di abbigliamento tra i vari livelli.
I candidati devono sostenere il proprio esame di fronte ad una commissione la cui composizione dipende dal grado da esaminare. La tabella seguente riporta i criteri di formazione della commissioni adottati dalla Confederazione Italiana Kendo (CIK).
esame di qualifica esaminatori numero quorum per la promozione
1º kyu 4° dan o superiori 5 approvato da un minimo di 3
1º dan 4° dan o superiori 5 approvato da un minimo di 3
2º dan 5° dan o superiori 5 approvato da un minimo di 3
3º dan 5° dan o superiori 5 approvato da un minimo di 3
4º dan 6° dan o superiori 6 approvato da un minimo di 4
5º dan 7° dan o superiori 6 approvato da un minimo di 4
6º dan 7° dan o superiori 6 approvato da un minimo di 4
7º dan 7° dan o superiori 6 approvato da un minimo di 4
Il programma dell'esame varia a seconda del grado da conseguire. La tabella sintetizza quello che avviene in Italia.
esame di programma
1º kyu kirikaeshi, gigeiko, kata
1º dan kirikaeshi, gigeiko, kata e test scritto
da 2° a 5º dan gigeiko, kata e test scritto
6º e 7º dan gigeiko, kata
I requisiti per accedere agli esami di dan sono riportati nella tabella seguente:
grado requisito di grado requisito d'età
1° dan (初段 sho-dan) 1-kyū Minimo 14 anni
2° dan (二段 ni-dan) Minimo 1 anno dal conseguimento del 1º dan
3° dan (三段 san-dan) Minimo 2 anno dal conseguimento del 2º dan
4° dan (四段 shi-dan) Minimo 3 anno dal conseguimento del 3º dan
5° dan (五段 go-dan) Minimo 4 anno dal conseguimento del 4º dan
6° dan (六段 roku-dan) Minimo 5 anno dal conseguimento del 5º dan
7° dan (七段 nana-dan) Minimo 6 anno dal conseguimento del 6º dan
8° dan (八段 hachi-dan) Minimo 10 anni dal conseguimento del 7º dan Minimo 46 anni
L'ottavo dan è oggi il grado più alto raggiungibile dal momento che la AJKF, e di conseguenza la IKF, non attribuisce più i gradi di nono dan (九段 kyū-dan) e decimo dan (十段 jū-dan). Si dice che l'esame per l'ottavo dan di kendo sia uno dei più difficili esami in generale (se non il più difficile): in Giappone su un numero medio annuale di circa 1500 praticanti del 7° dan che tentano di raggiungere l'8° si registra una percentuale di successi minore dell'1%. Per poter far parte della giuria di un esame per l'ottavo dan è necessario essere 8° dan da almeno 15 anni.

Shogo

Lo shōgō (称号) è un riconoscimento che può essere assegnato ai dan superiori. Vi sono tre diversi livelli: renshi (錬士), kyōshi (教士), and hanshi (範士). Il titolo è indicato prima del grado di dan, per esempio (錬士六段 renshi roku-dan).
La tabella riporta le condizioni per lo shogo definite dalla AJKF - ogni federazione nazionale può definire dei propri criteri.


Shogo Grado richiesto Condizioni
renshi (錬士) 6º dan Aver conseguito il 6° dan da almeno 1 anno, superare uno screening da parte della federazione, ricevere una raccomandazione dal presidente dell'organizzazione regionale ed infine superare un esame teorico.
kyōshi (教士) renshi 7º dan Aver conseguito il 7° dan da almeno 2 anno, superare uno screening da parte della federazione, ricevere una raccomandazione dal presidente dell'organizzazione regionale ed infine superare un esame teorico.
hanshi (範士) kyōshi 8-dan Aver conseguito l'8° dan da almeno 8 anno, superare uno screening da parte della federazione, ricevere una raccomandazione dal presidente dell'organizzazione regionale e dal presidente nazionale ed infine superare un esame teorico.

Competizioni

Vi sono campionati italiani, europei e mondiali (l'ultimo campionato mondiale è stato disputato a Novara, in Italia, nel maggio 2012), ma il kendo non è sport olimpico, poiché la federazione giapponese non ha ancora preso decisioni in tal senso: tuttavia alcune federazioni spingono perché il kendo diventi sport olimpico. Il kendō, insieme allo iaidō e al jōdō afferisce alla Zen Nippon Kendō Renmei (全日本剣道連盟-ZNKR), associazione giapponese che ne promuove lo sviluppo a livello mondiale. L'attuale campione del mondo a livello individuale è il giapponese Susumu Takanabe. A squadre è campione il Giappone.

Il kendo in Italia

In Italia il kendo è promosso da due federazioni indipendenti ed antagoniste: la Confederazione Italiana Kendo (CIK) - l'unica riconosciuta dalla European Kendo Federation (EKF) e dalla International Kendo Federation (IKF) - e la Federazione Italiana Kendo (FIK). Nel 1980 la Federazione Italiana Kendo (FIK), viene riconosciuta quale Disciplina Sportiva Associata (DSA) nella Federazione Italiana Scherma (FIS).In FIS, la Federazione Italiana Kendo, ha militato sino al marzo 2003.
Il kendo in Italia a tutt' oggi, non ha ancora un riconoscimento del CONI.

lunedì 26 maggio 2014

Dojo

Un dojo in cui si pratica il Kendō


Dōjō (道場), comunemente traslitterato come dojo, è un termine giapponese che indica il luogo ove si svolgono gli allenamenti alle arti marziali. Etimologicamente significa luogo () dove si segue la via (). In origine il termine, ereditato dalla tradizione buddhista cinese, indicava il luogo in cui il Buddha ottenne il risveglio e per estensione i luoghi deputati alla pratica religiosa nei templi buddhisti. Il termine venne poi adottato nel mondo militare e nella pratica del Bujutsu, che durante il periodo Tokugawa fu influenzata dalla tradizione Zen, perciò è a tutt'oggi diffuso nell'ambiente delle arti marziali.
Nel budō è lo spazio in cui si svolge l'allenamento ma è anche simbolo della profondità del rapporto che il praticante instaura con l'arte marziale; tale ultimo aspetto è proprio della cultura buddhista cinese e giapponese, che individua il dojo quale luogo dell'isolamento e della meditazione.
I dojo erano spesso piccoli locali situati nelle vicinanze di un tempio o di un castello, ai margini delle foreste, in modo tale che i segreti delle tecniche venissero più facilmente preservati. Con la diffusione delle arti marziali sorsero numerosi dojo che venivano in molti casi considerati da maestri e praticanti una seconda casa; abbelliti con lavori di calligrafia e oggetti artistici preparati dagli stessi allievi, essi eprimevano appieno l'atmosfera di dignità che vi regnava; talvolta su di una parete veniva posto uno scrigno, simbolo che il dojo era dedicato ai più alti valori e alle virtù del Do, non soltanto all'esercizio fisico. In altri dojo si trovavano gli altari detti kamiza (sede degli Dei), riferiti non a divinità ma al ricordo di un grande maestro defunto. Il dojo rappresenta un luogo di meditazione, concentrazione, apprendimento, amicizia e rispetto, è il simbolo della Via dell'arte marziale.
In Occidente questo termine viene impropriamente tradotto in palestra ed inteso unicamente come spazio per l'allenamento, mentre nella cultura orientale il dojo è il luogo nel quale si può raggiungere, seguendo la Via, la perfetta unità tra zen (mente) e ken (corpo) e, quindi, il perfetto equilibrio psicofisico, massima realizzazione della propria individualità. Il dojo è la scuola del sensei (maestro): egli ne rappresenta il vertice e sue sono le direttive e le norme di buon andamento della stessa; oltre al maestro ci sono altri insegnanti, suoi allievi, ed i senpai (allievi anziani di grado) che svolgono un importante ruolo: il loro comportamento quotidiano rappresenta l'esempio che deve guidare gli altri praticanti; quando un sempai non si cura del proprio comportamento diventa un danno per tutta la scuola.
Nessun allievo avanzato prende dal dojo più di quanto esso non dia a sua volta: il dojo non è semplice spazio ma anche immagine di un atteggiamento, i dojo della Via si differenziano in questo aspetto dai normali spazi sportivi: l'esercizio fisico può anche essere il medesimo ma è la ricerca del giusto atteggiamento che consente di progredire. L'allievo entra nel dojo e deve lasciare alle spalle tutti i problemi della quotidianità, purificarsi la mente e concentrarsi sull'allenamento per superare i propri limiti e le proprie insiscurezze, in un costante confronto con sé stesso.
Il dojo è come una piccola società, con regole ben precise che devono essere rispettate. Quando gli allievi indossano il keikogi diventano tutti uguali; la loro condizione sociale o professionale viene lasciata negli spogliatoi, per il maestro essi sono tutti sullo stesso piano. Si apprende con le tecniche una serie di norme, che vanno dalla cura della persona e del keikogi (che mostra solo l'emblema della scuola), al fatto di non urlare, non sporcare, non fumare, non portare orecchini od altri abbellimenti (per evitare di ferirsi o di ferire), al fatto di comportarsi educatamente sino all'acquisizione dell'etica dell'arte marziale che discende da quella arcaico-feudale dei samurai: il Bushidō o Via del guerriero.
Il coraggio, la gentilezza, il reciproco aiuto, il rispetto di se stessi e degli altri sono dettami che entrano a far parte del bagaglio culturale dell'allievo. Nel dojo non si usa la violenza: non per nulla le arti marziali enfatizzano la forza mentale e non quella fisica, condannata prima o poi ad affievolirsi.
Si entra e si esce dal dojo inchinandosi: un segno di rispetto verso l'arte del ringraziamento per tutto ciò che di valido essa ha offerto. Anticamente nel dojo veniva eseguito il rito del soji (pulizia): gli allievi, usando scope e strofinacci, pulivano l'ambiente, lasciandolo in ordine per i successivi allenamenti. Tale gesto è il simbolo della purificazione del corpo e della mente: i praticanti si preparano ad affrontare il mondo esterno con umiltà, dote necessaria per apprendere e per insegnare l'arte marziale.