giovedì 20 aprile 2017

Miyamoto Musashi

Miyamoto Musashi brandisce due bokken (spade di legno)






Miyamoto Musashi (宮本武蔵; Miyamoto, 1584 – Higo, 19 maggio 1645) è stato un militare e scrittore giapponese, considerato il più grande spadaccino della storia nel suo paese.

Biografia

Nato nel villaggio Miyamoto nella provincia di Harima, fu istruito all'uso delle armi dal padre Munisai, che era uno spadaccino riconosciuto dallo shogun, mentre al suo sviluppo spirituale contribuì anche il monaco zen Takuan Soho amico di Yagyu Munemori, famoso maestro di spada. A 13 anni ebbe il suo primo duello mortale.
A 16 anni partecipò e si batté nell'epica Battaglia di Sekigahara (1600) per la fazione sconfitta, quella dei daimyō dell'ovest. Sopravvissuto al massacro di migliaia di guerrieri e all'inseguimento da parte dei nemici, Musashi cominciò un vagabondaggio per il Giappone alla ricerca di avventure e di affermazione personale.
Dopo quell'esperienza che lo segnò profondamente, visse diversi anni in totale eremitaggio nelle foreste più impervie, dedicandosi esclusivamente all'affinamento delle tecniche marziali.
Vagò fino ai 29 anni, battendosi per sessanta volte ottenendo sempre la vittoria, anche quando si trovò a combattere contro più avversari contemporaneamente o contro maestri di arti marziali, come i samurai della famiglia Yoshioka, famosi per la loro scuola di spada a Kyōto.



Miyamoto Musashi trafigge un nue ()



Il suo duello più celebre fu quello combattuto contro Kojirō Sasaki, detto Ganryu, nel 1612, sull'isola di Funa-jima. Il duello ebbe così tanta rinomanza che ora quest'isola porta il nome di Ganryu-jima.
Miyamoto vinse il duello con un singolo, ma formidabile colpo mortale, portato sulla testa dell'avversario con un bokken ricavato dal remo della barca che l'aveva portato a Funa-jima. Miyamoto si avvicinò all'avversario, scendendo dalla barca, con l'acqua che gli arrivava poco al di sotto delle ginocchia. Il bokken ricavato dal remo era stato appositamente intagliato nel remo per renderlo più lungo di uno normale e Musashi ne immerse la punta nell'acqua, per nasconderne la lunghezza agli occhi dell'avversario. In questo modo il samurai riuscì a sorprendere Kojiro ed a sconfiggerlo. Come viene riportato su "Il libro dei cinque anelli" (Go Rin No Sho), Miyamoto con un solo unico micidiale colpo spaccò la testa di "Ganryu".
I dati biografici sono incerti, ma tradizionalmente si ritiene vero che Musashi non abbia mai perso un incontro, nonostante contrapponesse spesso un bokken alla katana dell'avversario (si tenga sempre in mente che il bushido, il codice d'onore dei samurai, imponeva allo sconfitto in un duello di suicidarsi).
La sua mancanza di puntualità negli appuntamenti era leggendaria, ma va precisato che la mancanza di puntualità ai duelli faceva parte di una precisa strategia psicologica che Musashi adottava (mai ripetendola più di una o due volte con avversari che ne erano a conoscenza), allo scopo di togliere fiducia all'avversario e di fargli perdere calma e concentrazione. Infatti nel suo più famoso duello contro Kojiro tardò al punto che fu mandato un emissario dello sfidato a prenderlo, il quale lo trovò che ancora dormiva. Musashi si alzò e fece colazione con tutta calma. Quando Kojiro lo scorse arrivare in barca, calmo e per di più armato solo di un bokken, perse la calma al punto di corrergli incontro nell'acqua gettando via il fodero della sua katana. Musashi lo apostrofò dicendogli che in quello stato aveva già perso. Egli era un innovatore nella strategia di lotta psicologica, nello studio della personalità e delle debolezze dell'avversario e nelle tattiche comportamentali per sfruttarle. Strategia pressoché sconosciuta fino ad allora, tra i samurai.
A 50 anni si ritirò per dedicarsi allo studio, alla letteratura e ad altre discipline risultando un maestro in molte di esse come, ad esempio, nella pittura, nella calligrafia e nell'arte della forgiatura delle tsuba, le tipiche guardie delle spade che spesso risultavano vere e proprie opere d'arte, tanto che diede il proprio nome a un modello divenuto poi tradizionale.
Morì in età avanzata, probabilmente per un tumore allo stomaco, in un periodo storico del Giappone in cui la vita media si attestava intorno ai 40 anni.
La leggenda vuole che al suo funerale un fortissimo tuono scosse tutti i presenti alla cerimonia e il commento dei più fu "è lo spirito di Musashi che lascia il corpo".

Personalità e leggenda

La vita di Musashi viene spesso confusa con le leggende nate su di lui nei secoli dopo la sua morte. I documenti relativi la sua biografia sono frammentari e molti sono andati perduti.
Per i suoi biografi è "relativamente" semplice ripercorrere la sua vita fino al duello con Kojiro, mentre è più difficile trovare fonti certe su quel che fece dopo. Si trovano invece sufficienti notizie sulla sua vecchiaia. Di certo si sa che era un pittore, e qualche sua opera è rimasta. Ha lasciato tre opere scritte, il più famoso dei quali è il Libro dei cinque anelli, arrivato a noi grazie ai suoi allievi, e dedicato a uno di questi ultimi. Alla sua morte Musashi aveva almeno tremila studenti che studiavano sotto di lui, oppure sotto la guida di suoi allievi diretti; ancora oggi in Giappone ci sono molte scuole che derivano dalla sua. Altra leggenda afferma che sia stato educato dal monaco Takuan: tuttavia non è stato così, dato che i due non sono mai entrati in contatto.
Sul duello più famoso che vinse contro Kojiro esiste un forte dibattito tra gli storici. Qualcuno insinua che a vincere sia stato Kojiro, detto Ganryu: l'isola dove venne tenuto il duello oggi si chiama Ganryujima e in molti trovano strano che al luogo dell'incontro venga dato il nome del perdente. Ganryujima significa in giapponese "l'isola di Ganryu", nome che tuttavia più probabilmente deriva dalla versione abbreviata del più lungo toponimo "l'isola dove è morto Ganryu" o 'l'isola della morte di Ganryu". Sono comunque assolutamente preponderanti gli scritti che danno Musashi vincitore, così come tutta la tradizione e le leggende successive all'evento.
Qualcun altro invece afferma che la vittoria di Musashi è certa, ma che forse Kojiro "Ganryu" non venne ucciso dal leggendario avversario. In un testo scritto da un testimone dell'incontro si racconta che Kojiro non morì, ma rimase svenuto e quando si riprese venne ucciso da alcuni uomini appartenenti alla famiglia rivale di quella che "sponsorizzava" Kojiro. Infatti questo duello era stato organizzato da due famiglie che si contendevano il potere politico nella zona. Musashi era il campione di una e Kojiro dell'altra. Comunque Musashi dopo questo duello si ritirerà dalla vita di ronin in cerca di sfide e non cercherà più scontri singoli. Se li farà saranno altri a sfidarlo. Probabilmente il duello rappresentò comunque una svolta nella vita di Musashi, volente o meno. Se, come sembra, ci furono fini politici dietro lo scontro, Musashi forse capì che il singolo non può nulla nelle trame ordite dai potenti nella società. Forse questo gli fece diminuire l'interesse per lo scontro singolo ed aumentare quello per lo scontro di massa e lo studio della strategia applicata alle battaglie tra eserciti.
Le più forti critiche verso di lui nacquero perché uccise in un duello un esponente della scuola Yoshioka che era solo un adolescente di tredici anni. Va però detto che l'esponente della Yoshioka in quell'occasione non era solo, ma scortato da molte decine di samurai, e ricordato anche che Musashi stesso vinse un duello a 13 anni. Comunque Musashi aveva già ucciso, in due precedenti duelli, i fratelli maggiori del piccolo Yoshioka. Il terzo scontro fu deciso dagli allievi della Yoshioka che cercavano per fini personali di salvare l'onore della scuola.
Certamente a contribuire a notizie fuorvianti su Musashi è stato il romanzo di Eiji Yoshikawa, ritratto di un'epoca e anche del personaggio di Musashi, anche se con chiare invenzioni biografiche, dettate probabilmente da esigenze narrative.
Si sa che non si sposò, ma adottò tre figli, l'ultimo dei quali in tarda età. Uno si suicidò alla morte del suo signore, secondo le regole del tempo. Musashi non riuscì a diventare maestro di spada per lo shogun, dato che un altro samurai venne scelto al suo posto. Musashi comunque trovò un signore a cui offrire i suoi servigi.
In vecchiaia, diede diverse dimostrazioni della sua abilità. Non uccideva più gli avversari, e li fronteggiava sempre con un bokken. Solo in una occasione uccise un uomo, ma questi morì sbattendo la testa dopo che Musashi lo ebbe spinto con il corpo contro un muro dopo aver evitato un fendente. Si dice fosse mancino, e abile nel lancio dei coltelli. In età matura partecipò per il suo signore a delle battaglie, che lo videro vincitore. Per lui la strategia che si mette in pratica per un singolo individuo si può utilizzare anche per molti. L'originale del Libro dei cinque anelli è andato perduto. Musashi stesso chiese a due allievi di bruciarlo. Uno lo trascrisse e l'altro lo imparò a memoria, lasciandone pertanto traccia.

I nomi

Nell'introduzione del suo libro si presenta col nome di Shinmen Takezo Musashi no Kami Fujiwara no Genshin che ha la seguente origine: Takezo è il nome proprio da adulto (al compimento dei 13 anni); Shinmen è il nome del clan di cui il nonno di Takezo era vassallo; Musashi no kami è un titolo onorifico che significa approssimativamente "governatore della provincia Musashi", anche se di fatto non corrisponde al vero; Fujiwara no Genshin significa "saggio della famiglia Fujiwara", altro titolo onorifico che aveva lo scopo di creare un legame (pretestuoso) col Clan Fujiwara, secondo per importanza solo alla famiglia imperiale, acquisendone in prestigio. Titoli simili venivano assegnati ai non nobili.
Il nome con cui è noto oggi, Miyamoto Musashi, gli è stato probabilmente dato dal monaco Takuan Soho basandosi sul nome del villaggio di cui era originario (Miyamoto) e della lettura cinese (Musashi) dei caratteri di Takezo, il suo nome.
Infine, l'appellativo Kensei, con cui spesso viene identificato, significa "saggio o maestro della spada", in riconoscimento della sua incredibile abilità guerriera.



Opere

La sua opera più nota Il libro dei cinque anelli (五輪の書 Go Rin no Sho), conosciuto anche come Il libro degli elementi o Il libro dei cinque elementi, è la sintesi di tutta la sua esperienza. L'opera è divisa in cinque parti, con riferimento agli elementi costitutivi dell'universo secondo la cultura Taoista: terra, acqua, fuoco, aria e vuoto.
Il libro della Terra tratta in generale l'arte della spada; quello dell'Acqua descrive specificamente le tecniche della scuola fondata dall'autore; quello del Fuoco le tecniche di combattimento; quello dell'Aria le tecniche delle altre scuole; il libro del Vuoto, l'ultimo, espone le conclusioni filosofiche dell'insegnamento: una volta raggiunto l'apice della tecnica si devono dimenticare le regole e agire con la più grande e spontanea istintività. L'insegnamento è in linea con le massime della filosofia zen. L'ultimo scritto di Musashi è il Dokkōdō, un breve elenco di precetti composto il 12 maggio 1645, una settimana prima della sua morte.

Scuola

Hyoho Niten Ichi Ryu, scuola di spada fondata dallo stesso Musashi.

Dottrina strategica

Nella sua componente più esoterica, la dottrina strategica comprende una trattazione delle varie armi e del loro utilizzo e un'esposizione della varie posture del corpo e dei vari modi di colpire l'avversario. Musashi non espone mai la propria dottrina in maniera esplicita: pure nelle sezioni più "tecniche" l'importanza del non-detto travalica quella dell'esposizione formale. D'altra parte lo stesso autore del Gorin no Sho afferma di non aver mai avuto un maestro: il vero stratega deve apprendere da solo i fondamenti della strategia, attraverso poche fondamentali linee guida.
Uno dei concetti fondamentali del Musashi è l'uso delle due spade. All'epoca dei samurai un guerriero (bushi) aveva due spade alla cintura: la katana (spada lunga) e la wakizashi (spada corta). Morire con una di queste armi ancora nel fodero significava non aver fatto tutto il possibile per vincere. Questo è ovviamente contrario all'etica del samurai: nel Niten si raccomanda dunque di imparare ad utilizzare tutte e due le spade in combattimento.
Altro importante concetto è il non fare affidamento solo sull'equipaggiamento. Certe scuole di scherma dell'epoca insegnavano l'utilizzo di un particolare tipo di arma, magari una spada più lunga del normale, e come trarre vantaggio da queste. Un vero stratega, ammonisce Musashi, conosce pregi e difetti di ogni singola arma, ma non si limita ad usarne solo una: una spada lunga ad esempio può essere inutile negli spazi stretti. L'eccessiva specializzazione porta all'estinzione, e l'eccessiva fiducia nel mezzo porta alla sconfitta.
Per quanto riguarda la parte "tecnica", il Niten considera le posizioni di guardia basilari, assumendo la guardia classica (chudan) come centro dell'azione. Raccomanda altresì di non affidarsi solo a questo: le varie posizioni del corpo devono rispondere alle necessità del momento, così come non esiste un solo modo di muovere i piedi o di portare un fendente.
Anche per quanto riguarda i fendenti, Musashi resta sul vago: la spada si impugna (come nel kendo) con una presa forte delle ultime due dita di ogni mano. Nel portare un fendente l'unica preoccupazione deve essere: tagliare il nemico. Il Niten tratta in maniera abbastanza "fumosa" vari tipi di colpi e fendenti, senza mai curarsi di spiegare la tecnica del colpo nel dettaglio, Musashi preferisce focalizzare l'attenzione sulla percezione mentale di ogni colpo. Quindi si avrà il "fendente che va proprio a segno", il "fendente fuoco e pietre", il fendente "foglie rosse", ecc... Più della tecnica in sé, traspare nel Niten una caratteristica fondamentale: il colpo, quale che esso sia, deve essere scagliato in una sola unità di tempo, e deve andare a segno nella propria mente, prima che nell'avversario. Il ritmo dei fendenti e delle parate è importante: chi non conosce il ritmo di un duello, chi non sa colpire nell'unità di tempo giusta, anche se in possesso di grande forza ed impareggiabile tecnica verrà sconfitto.
In effetti, più che una scuola di scherma, il Niten Ichiryu è una dottrina filosofica: essere sempre pronti a cambiare ed adattarsi, come l'acqua si adatta al contenitore. Lo stratega non è solo colui che impone il proprio metodo e il proprio ritmo al duello, ma anche e soprattutto chi sa leggere la situazione, valutare velocemente i punti di forza e debolezza, cambiare la situazione in proprio favore e - fondamentale - vincere.
Addentrandosi attraverso il Gorin no Sho nella dottrina del Niten si scopre il fondamento della scuola: il vuoto. Sia la postura, che la camminata, che il colpire con un fendente devono sottostare alla regola del vuoto. Colpire, sì, ma senza l'intenzione di colpire. Colpire con la mente vuota. Il concetto di vuoto nel Niten, ma anche nelle altre discipline orientali, è molto diverso da quello occidentale. Il vuoto è l'assenza di forma, di intenzione, di evidenza. Colpire senza l'intenzione, avere una posizione non evidente, una forma-senza forma, questo è il fondamento del Niten Ichiryu. Solo attraverso la mente vuota, avverte Musashi, è possibile trovare la Via.



mercoledì 19 aprile 2017

Hyoho Niten Ichi Ryu

Miyamoto Musashi



Hyōhō Niten Ichi-ryū (兵法二天一流), può essere tradotto in “Scuola della strategia dei due Cieli in uno”. Si tratta di una koryū, ovvero una scuola tradizionale giapponese di spada, fondata dal celebre Miyamoto Musashi. Conosciuta principalmente per la pratica a due spade, questa scuola in realtà insegna in egual misura l'uso della spada lunga, corta e del bastone lungo. Musashi la chiamò Niten Ichi (二天一, “Due cieli in uno”) o Nitō Ichi (二刀一, “Due sciabole in una”) ed è conosciuta come “scuola di Kenjutsu”.

Origine

Questa scuola è stata fondata da Miyamoto Musashi, celebre samurai del XVII secolo, e come testimonianza della sua eredità ne conserva gelosamente il bokken il quale viene passato da caposcuola in caposcuola.

La trasmissione

La stirpe dei maestri

La trasmissione dell'insegnamento e i segreti della scuola sono stati nei secoli custoditi dai seguenti maestri:
  1. Shinmen Miyamoto Musashi-No-Kami Fujiwara no Genshin
  2. Terao Kyumanosuke Nobuyuki (il 2° nome può essere letto « Motomenosuke »)
  3. Terao Goemon Katsuyuki
  4. Yoshida Josetsu Masahiro
  5. Santo Hikozaemon Kyohide
  6. Santo Hanbe Kiyoaki
  7. Santo Shinjuro Kiyotake
  8. Aoki Kikuo Hisakatsu
  9. Kiyonaga Tadanao Masami
  10. Imai Masayuki Nobukatsu
  11. Iwami Toshio Harukatsu
  12. Kajiya Takanori



La scuola oggi


Itto Seiho



Kajiya Takanori soke è l'attuale caposcuola e rappresenta la 12ª generazione della linea di trasmissione sopra elencata. Iwami soke insegna in Giappone al Kokura, Kitakyushu. Lo Hyoho Niten Ichi Ryu è presente anche al di fuori del Giappone: è praticata in parecchi paesi d'Europa (in particolare in Francia) e nel continente nord americano. Come accade nelle koryu, solo il caposcuola ('soke'), ha il potere di trasmettere l'insegnamento e decidere chi designare come insegnanti per dirigere il keiko (allenamento) nei differenti dojo esistenti in Giappone e all'estero. L'organizzazione dell'antica tradizione marziale è infatti di tipo piramidale, con il vertice rappresentato da colui che detiene il titolo di soke (caposcuola). Esso ha massimo potere decisionale e il suo insegnamento è il solo ad essere rappresentativo dell'intera scuola seguito, in ordine di importanza e competenze, da coloro che hanno ricevuto il titolo di menkyo kaiden e menkyo. Il concetto di trasmissione dell'insegnamento su cui si basa questa scuola può essere riassunto con la seguente metafora: "travasare dell'acqua da un bicchiere all'altro, senza che nessuna goccia sia persa". Come per tutte le koryu, quindi, nessuna conoscenza può essere divulgata senza l'autorizzazione del soke. In tal modo si crea un legame diretto tra ogni dojo e l'Hombu Dojo (dojo centrale) del soke.

Funzionamento della « koryu »

Hyoho Niten Ichi Ryu è considerato dal Nihon Kobudo Kyokai, l'associazione dei kobudo giapponesi, come il ramo principale delle differenti scuole che in Giappone si proclamano dirette discendenti dell'insegnamento di Miyamoto Musashi. Questa scuola si basa sul modello delle koryu che differisce da quello dei gendaï budo per le seguenti caratteristiche:
  1. un grande maestro riceve la totalità dell'insegnamento dalla generazione precedente e lo trasmette alla generazione successiva.
  2. solo il grande maestro conosce la totalità dell'insegnamento e le condizioni che ne permettono la sua trasmissione.
  3. solo il grande maestro può concedere l'autorizzazione ad insegnare, ovvero assegnare i titoli di menkyo e menkyo kaiden. Allo stesso modo può concedere l'autorizzazione ad insegnare nel caso in cui i dojo si trovino all'estero (Europa, Nordamerica) e in tal senso Iwami soke ha designato dei responsabili per ogni paese.
  4. qualsiasi persona che professi un insegnamento interpretato liberamente si oppone all'essenza di una koryu. Bisogna tenere presente che l'interpretazione nasce solo da una conoscenza totale dell'insegnamento e questa conoscenza è posseduta esclusivamente dal grande maestro.
  5. ogni attività d'insegnamento che non si riferisca nominalmente e direttamente al grande maestro della Hyoho Niten Ichi Ryu nella persona del suo 11º successore, Iwami soke, o ad un ramo secondario della linea di trasmissione è considerata estranea alla realtà delle koryu e del kenjutsu.

Insegnamento della scuola

Come tutte le Koryu, la Hyoho Niten Ichi Ryu insegna attraverso i seiho (kata) e tale metodo di insegnamento non prevede combattimenti né competizioni. La parola 'Seiho' significa letteralmente «condurre l'energia». La pratica si svolge due: l'allievo più anziano fa la parte di chi attacca (Uchidachi) mentre l'altro, meno esperto, si difende (Shidachi). Il tutto eseguendo dei movimenti ben codificati.
Elenco dei seiho:
  1. Tachi o Itto Seiho: 12 tecniche con il dachi, la spada lunga. Nella pratica comune l'esercizio si fa col bokken (spada di legno).
  2. Kodachi Seiho: 7 tecniche con il kodachi, la spada corta.
  3. Nito Seiho: 5 tecniche con il dachi ed il kodachi, una spada lunga e una corta, che corrispondono ai 5 seiho del "libro dell'acqua" contenuto ne "Il libro dei cinque anelli". L'esercizio si fa con i bokken.
  4. Bōjutsu: 20 seiho con il bo, il bastone lungo.
Esistono anche altri tipi d'insegnamento che non sono però accessibili a tutti. L'insegnamento è basato sulla trasmissione orale della corretta lettura del Gorin no sho e poiché il giapponese antico non ha punteggiatura, la lettura può dare luogo a diverse interpretazioni.
I seiho sono insegnati in relazione al grado di conoscenza dell'allievo:
  • Shoden: Itto Seiho
  • Chuden: Kodachi Seiho
  • Okuden: Nito Seiho
  • Menkyo: Bojutsu
  • Menkyo Kaiden: tutto il cursus del ryū e una comprensione profonda degli insegnamenti del fondatore
Esiste anche una forma di kendo chiamato nito kendo, kendo a due spade, ispirato a Miyamoto Musashi ma che non conserva alcuna relazione con la Hyoho Niten Ichi Ryu infatti, come si è detto, nelle koryu non c'è combattimento. Il "kendo" è una "via marziale" giovane poiché nata dopo la Restaurazione Meiji (1868) ovvero 267 anni dopo la morte di Miyamoto Musashi.

Attrezzatura

La Hyoho Niten Ichi Ryu insegna agli allievi l'uso di due particolari armi che testimoniano la filosofia di Musashi tanto quanto i suoi seiho: il bokken (spada di legno) e lo shoto bokken (spada corta di legno).

Criteri di ammissione

La scuola è aperta ad allievi provenienti da ogni parte del mondo senza restrizioni, anche se i criteri di ammissione sono rigorosi e selettivi. In particolare si richiede all'allievo una pratica regolare ed un rispetto delle regole del dojo. Anche se ogni dojo ha le sue regole ce n'è una comune a tutti che consiste nell'impedire che si verifichino situazioni di pericolo causate dalla disattenzione o dalla presunzione dell'allievo. In generale quindi non è accettata la mancanza di assiduità nella pratica e tantomeno una condotta irrispettosa.

Localizzazione dei dojo


Monumento : "Seishin Chokudo", Kokura, Kitakyushu.



Il Hombu Dojo (dojo centrale in Giappone) si trova a Kokura nel Kyushu ed è diretto da Iwami Toshio Harukatsu soke. L'insegnamento è aperto a tutti, giapponesi e non. Per far parte di una koryu si deve essere accettati dal soke e si devono comprendere i doveri dell'essere allievo. Al di fuori del Giappone la scuola è presente in Canada, Finlandia, Francia, Germania, Ungheria, Italia, Paesi Bassi, Regno Unito, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Slovenia, Romania, USA. Per aprire un dojo di Hyoho Niten Ichi Ryu è obbligatorio il consenso da parte del soke.
Una volta all'anno in Europa viene organizzato uno stage internazionale con la partecipazione di Iwami soke, permettendo così l'incontro degli allievi di tutti i dojo.


martedì 18 aprile 2017

Koryū

Risultati immagini per Koryū

Koryū (古流) è una parola giapponese che si traduce in "antica scuola" o "antica tradizione" soprattutto nel contesto delle arti tradizionali giapponesi (arti marziali, artigianato) che risalgono a prima della modernizzazione (Meiji).
In particolare l'espressione Koryū Bujutsu si usa per definire tutte quelle scuole di arti marziali la cui fondazione è precedente alla restaurazione Meiji (dall'imperatore omonimo 1862-1912) che vide la nascita del moderno Budo (jūdō, aikidō, kendō, iaidō, ecc.)
Ogni Koryū aveva le sue peculiarità (ryūgi) fortemente legate ai clan samurai del feudalesimo giapponese.
Quasi tutti prevedevano lo studio sia di tecniche armate e sia di tecniche a mani nude.
Tra i Koryu (stimati in oltre 800) i più importanti furono:
  • Araki-ryu kogusoku
  • Asayama Ichiden-ryu heiho
  • Daito-ryu aikijujutsu
  • Higo Ko-ryu naginatajutsu
  • Hokushin Itto-ryu kenjutsu
  • Hontai Yoshin-ryu jujutsu
  • Hozoin-ryu Takada-ha sojutsu
  • Hyoho Niten Ichi Ryu kenjutsu
  • Isshin-ryu kusarigamajutsu
  • Kage-ryu battojutsu
  • Kashima Shinden Jikishinkage ryu kenjutsu
  • Kashima Shinryu kenjutsu
  • Kashima Shinto-ryu kenjutsu
  • Katayama Hoki-ryu iaijutsu
  • Kogen Itto-ryu kenjutsu
  • Kurama-ryu kenjutsu
  • Maniwa Nen-ryu kenjutsu
  • Mizoguchi-ha Itto-ryu kenjutsu
  • Mugai-ryu iaijutsu
  • Muso Jikiden Eishin-ryu iaijutsu
  • Muso Shinden-ryu iaijutsu
  • Ono-ha Itto-ryu kenjutsu
  • Owari Kan-ryu sojutsu
  • Sekiguchi Shinshin-ryu jujutsu
  • Shingyoto-ryu kenjutsu
  • Shinmuso Hayashizaki-ryu battojutsu
  • Shinto Muso-ryu jojutsu
  • Shojitsu Kenri Kataichi-ryu battojutsu
  • Sosuishitsu-ryu jujutsu
  • Suio-ryu kenjutsu
  • Takenouchi-ryu jujutsu
  • Tamiya-ryu iaijutsu
  • Tatsumi-ryu heiho
  • Tendo-ryu naginatajutsu
  • Tenjin Shinyo-ryu jujutsu
  • Tennen Rishin Ryū kenjutsu
  • Tenshin Shoden Katori shinto ryu heiho
  • Toda-ha Buko-ryu naginatajutsu
  • Toyama-ryu battojutsu
  • Uchida-ryu tanjojutsu
  • Yagyu Seigo-ryu battojutsu
  • Yagyu Shingan-ryu taijutsu
  • Yagyu Shinkage-ryu hyoho
  • Yoshin-ryu naginatajutsu


lunedì 17 aprile 2017

Saitō Musashibō Benkei

Risultati immagini per Saitō Musashibō Benkei



Saitō Musashibō Benkei (西塔 武蔵坊 弁慶), meglio conosciuto semplicemente come Benkei (弁慶), (1155 – 15 giugno 1189) è stato un monaco buddhista e militare giapponese.

Biografia

La sua storia è stata tramandata nella leggenda e nella tradizione popolare, soprattutto attraverso il teatro Nō e Kabuki, ed è ormai impossibile distinguere la verità storica dal mito.

L'infanzia

Le varie tradizioni pervenuteci descrivono la nascita di Benkei nei modi più disparati. Secondo una suo padre era a capo di un tempio e avrebbe stuprato sua madre, la figlia di un fabbro. Secondo un'altra sarebbe stato figlio di un kami. Molto spesso viene descritto con tratti demoniaci, un bambino mostruoso con capelli scompigliati e lunghi denti aguzzi. Secondo una tradizione da bambino venne soprannominato Oniwaka (鬼若 "bambino oni").
Entrò in monastero in tenera età, e viaggiò molto tra i vari monasteri buddhisti del Giappone antico. In questo periodo, i monasteri erano anche importanti centri di amministrazione e cultura, e soprattutto delle vere e proprie potenze politiche e militari. Come molti altri monaci, scelse di ricevere un addestramento militare e di diventare un sōhei, un monaco combattente. Fu probabilmente addestrato nell'uso della naginata, che molte tradizioni gli attribuiscono come arma.
A diciassette anni, pare che fosse robusto e alto più di due metri: a quest'età lasciò il monastero e si unì agli yamabushi, i monaci itineranti di montagna, e indossò il loro caratteristico mantello nero, nel quale è ritratto in molte stampe giapponesi.

Lo scontro sul ponte di Gojo


Lo scontro sul ponte di Gojo, in un dipinto di Utagawa Kuniyoshi (1798-1861).



Ad un certo punto della sua vita, Benkei si appostò sul ponte di Gojo (五条大橋 Gojō-ōhashi), a Kyoto, dove sfidava a duello chiunque volesse attraversarlo, e dopo aver vinto gli sottraeva la propria arma. Secondo una tradizione, egli aveva chiesto a Kokaji Munenabu, un famoso armaiolo, di costruirgli un'armatura, e questi aveva accettato a patto che Benkei gli portasse mille spade. Sarebbe arrivato a collezionarne novecentonovantanove quando il giovane Yoshitsune Minamoto attraversò il ponte. Sconfitto in duello per la prima volta, e da un avversario molto più giovane (aveva quattro anni in meno) e fisicamente più debole di lui, Benkei gli giurò eterna fedeltà e lo seguì. Yoshitsune era l'ultimo figlio del signore della guerra Minamoto no Yoshitomo.
Al fianco del suo signore Yoshitsune, Benkei combatté la guerra Genpei contro il clan Taira. Le gesta di Yoshitsune e Benkei sono raccontate in toni epici, e a Yoshitsune le tradizioni popolari attribuiscono il merito della gran parte delle vittorie del clan Minamoto, e in particolare nella battaglia di Dan-no-ura.

La famosa morte in piedi

Dopo il trionfo sui Taira, secondo le leggende Yoritomo, il fratello maggiore di Yoshitsune, vide la fama di Yoshitsune come una minaccia, e diede ordine di ucciderlo. Nei due anni che seguirono, Benkei e Yoshitsune dovettero fuggire dagli uomini di Yoritomo, e furono infine circondati nel castello di Koromogawa. Mentre Yoshitsune si ritirava all'interno per compiere seppuku, Benkei tenne impegnati gli assalitori sul ponte d'ingresso al castello. Fu bersagliato di frecce, e in molti attraversarono il ponte per combatterlo, ma Benkei ebbe ragione di tutti. I soldati cominciarono ad avere paura di affrontarlo, ed aspettarono dall'altra parte del ponte che egli cedesse sotto il peso delle ferite subite.
Quando infine gli uomini attraversarono di nuovo il ponte, scoprirono che Benkei era già morto da qualche tempo, ma che non aveva cessato di rimanere nella sua posizione, consentendo così al suo signore di guadagnare il tempo necessario. Questo episodio è noto come la "Morte in piedi di Benkei" (弁慶の立往生 Benkei no Tachi Ōjō).





domenica 16 aprile 2017

Kami

Amaterasu, uno dei kami centrali della fede shintoista



Kami () è la parola giapponese indicante gli oggetti di venerazione nella fede shintoista. Sebbene la parola sia talvolta tradotta con "dio" o "divinità", i teologi shintoisti specificano che tale tipo di traduzione può causare un grave fraintendimento del termine. In alcune circostanze, come Izanagi e Izanami, i kami sono identificati come vere e proprie divinità, simili agli dei dell'antica Grecia o dell'antica Roma. In altri casi invece, come il fenomeno della crescita, gli oggetti naturali, gli spiriti che dimorano negli alberi, o forze della natura, tradurre kami con "dio" o "divinità" sarebbe una errata interpretazione.
Limitatamente all'uso nello Shintoismo, la parola è un'onorificenza per spiriti nobili e sacri, che implica un senso di rispetto o adorazione per la loro virtù e autorità. Dal momento che tutti gli esseri (viventi e non) possiedono tali spiriti, l'essere umano (come d'altra parte ogni altro essere) potrebbe essere considerato un kami o un kami potenziale. Tuttavia, poiché i giapponesi non usano mai un'onorificenza per riferirsi a sé medesimi o ad un membro di un gruppo cui appartengono, non è abitudine riferirsi ad un normale essere umano col termine kami.
Poiché il giapponese normalmente non distingue il numero (singolare/plurale/duale) nei nomi, non è talora chiaro se kami si riferisca ad una singola entità o ad entità multiple. Quando è assolutamente necessario un concetto di pluralità, viene usato il termine kami-gami (神々), che è una ripetizione della stessa parola (kami diventa gami per eufonia). A volte ci si riferisce a kami "femminili" col termine megami (女神). Si dice poi spesso che ci sono Yaoyorozu-no-kami (八百万の神), ossia "otto-milioni-di-kami"; in giapponese, questo numero spesso porta con sé il concetto di infinito (come già avveniva per la simbologia ebraica e cristiana circa il numero 7).

I kami nella credenza shintoista

Kami sono i fondamentali oggetti di venerazione per la fede shintoista. Lo Shintoismo nacque come una delle varie antiche religioni popolari animistiche del Giappone, e divenne una religione unificata a seguito delle influenze di altre religioni portate in Giappone dall'estero. Conseguentemente, la natura di ciò che può essere chiamato kami è molto estesa ed abbraccia molti differenti concetti e fenomeni.
Alcuni degli oggetti o fenomeni designati come kami sono qualità della crescita, fertilità e riproduzione; fenomeni naturali come vento e tuono; "esseri" naturali come il Sole, le montagne, i fiumi, gli alberi e le rocce; alcuni animali (come la volpe e il tanuki, il cane procione); e spiriti ancestrali. Fra questi possono essere annoverati, per esempio, gli spiriti degli antenati della famiglia imperiale giapponese, ma anche degli antenati di nobili famiglie così come degli antenati della gente comune.
Ma ci sono anche altri spiriti denominati kami. Ad esempio, gli spiriti guardiani della patria, della casa e delle virtù; spiriti di eroi giapponesi, di uomini di azioni o virtù fuori del comune, e di coloro che hanno contribuito alla civilizzazione, alla cultura ed al benessere dell'umanità; di coloro che sono morti per la patria o per la comunità (vedi: santuario Yasukuni); e di quanti sono morti pietosamente. Bisogna notare però che possono essere considerati kami nello Shinto non soltanto gli spiriti superiori all'uomo, ma anche quegli spiriti che suscitano un sentimento di pietà o che sono ritenuti deboli.
Il concetto di kami è stato mutato e raffinato fin dall'antichità, anche se nulla di ciò che era considerato kami dallo Shintoismo "antico" è ancora considerato kami in quello "moderno" (dove lo Shintoismo "moderno" comincia da quando venne formalizzato in una religione unificata sotto l'influsso di religioni straniere come il Buddhismo). Anche per quanto riguarda lo Shintoismo "moderno" , comunque, non ci sono criteri chiaramente definiti per cosa debba o meno essere venerato come kami. La differenza fra lo Shintoismo "moderno" e le antiche religioni animistiche del Giappone è fondamentalmente un raffinamento del concetto di kami, più che una differenza in termini di definizioni.
Nelle antiche religioni animistiche, i kami erano concepiti semplicemente come le divine forze della natura. I cultori della religione nel Giappone antico veneravano le creature della natura che ispiravano un particolare senso di bellezza e potere, come le cascate, le montagne, le rocce, gli animali, gli alberi, le erbe e persino le risaie. Credevano fermamente che gli spiriti o i kami meritassero rispetto.
Sebbene questi arcaici concetti siano ancora presenti, nello Shintoismo "moderno" molti sacerdoti considerano i kami anche come spiriti antropomorfi, con nobiltà e autorità. Fra questi vi sono anche figure mitologiche come Amaterasu, la dea solare del pantheon shintoista. Anche se questi kami possono essere considerati delle divinità, non sono ritenuti onnipotenti né onniscienti. Nel mito di Amaterasu, per esempio, si dice che la dea non era in grado di vedere gli eventi del mondo umano. E per vedere il futuro doveva praticare rituali divinatori.
I kami possedevano tradizionalmente due "anime", una gentile (nigi-mitama) ed una aggressiva (ara-mitama). Questa forma di kami, umana ma potente, era ancora divisa in amutsu-kami ("divinità" del mondo ultraterreno) e in kunitsu-kami ("divinità" del mondo terreno). Un kami si comporterebbe in modo diverso in base a quale "anima" si trova come soggetto in un preciso momento. In molti modi, ciò rappresentava gli improvvisi mutamenti della natura e spiegherebbe perché c'erano kami per ogni evento meteorologico e non: neve, pioggia, tifoni, inondazioni, lampi e vulcani.
Gli antenati di una particolare famiglia possono anche essere venerati come kami. In questo senso, questi kami erano venerati a causa dei loro poteri benefici, per una qualità o un valore particolare. Molti altari (hokora) furono eretti in onore di questo tipo di kami, che erano regionali. In molti casi, quindi, i morti possono essere divinizzati; un esempio di ciò è il kami Tenjin, che fu Sugawara no Michizane (845-903) in vita.
Nella sua trasmissione radio del 1946 Ningen sengen, l'Imperatore Hirohito dichiarò di non essere un akitsumikami (kami terreno, manifesto). Tuttavia, dopo questa dichiarazione, Hirohito chiese il permesso alle forze occupanti statunitensi di venerare i suoi antenati e, una volta ottenuto il permesso, venerò Amaterasu, che implicava dunque che egli fosse di discendenza divina: secondo la tradizione, infatti, tutti gli imperatori del Giappone discendono dal primo imperatore Jimmu (660 a.C.), che i devoti credono discendesse a sua volta da questa dea.



sabato 15 aprile 2017

Tengu

Elefante che cattura un tengu volante di Utagawa Kuniyoshi



I tengu (天狗) sono un tipo di creature fantastiche della iconografia popolare giapponese, a volte considerati kami e a volte yōkai. Sono spesso associati ad altre creature fantastiche, gli oni.

Aspetto e varianti

I tengu assumono varie forme, ma generalmente sono rappresentati come uomini-uccello, dotati di un lungo naso prominente o addirittura di becco, con ali sulla testa e capelli spesso rossi; quelli meno potenti, karasu tengu (烏天狗), kotengu (小天狗) o konohatengu (木の葉天狗) sono ritratti come più simili agli uccelli. La faccia può essere rossa, verde o nera, e le loro orecchie e capelli sono generalmente umani; sono dotati di ali che battono rapidamente come quelle di un colibrì; ali e coda sono piumate, e talvolta lo è tutto il corpo. Possono portare un pastorale buddhista con anelli in cima detto shakujo, che serve a combattere o a difendersi dalla magia oscura.
Gli yamabushi tengu (山伏天狗), ōtengu (大天狗) o daitengu sono più umani dei loro cugini karasu: sono alti con pelle e faccia rossa, ma hanno un naso incredibilmente lungo. Spesso sono usati nelle storie per parodiare il buddhismo; portano un bastone () o un martellino. Anche loro talvolta hanno caratteristiche aviarie, come ali o un mantello di piume; secondo alcune leggende hanno dei ventagli hauchiwa, fatti con piume o foglie di Aralia japonica, e li usano per controllare la lunghezza del naso o scatenare fortissime raffiche di vento.
Dei tengu atipici sono il guhin, simile a un cane, e lo shibatengu, simile a un kappa.
I tengu possono trasformarsi in animali (uccello, volpe, o cane procione - nota che questi ultimi due sono a loro volta capaci di fare lo stesso: vedi kitsune e tanuki) o esseri umani, anche se generalmente mantengono alcune caratteristiche del loro aspetto, come un naso particolarmente lungo o una costituzione simile ad un uccello.
I tengu sono quasi sempre ritratti vestiti come eremiti di montagna (yamabushi), monaci buddhisti o sacerdoti shintoisti. Anche se sono dotati di ali e possono volare, generalmente sono anche in grado di teletrasportarsi magicamente.

Abitudini

I tengu abitano le montagne del Giappone, e preferiscono fitte foreste di pini e crittomerie; sono specialmente associati ai monti Takao e Kurama. La terra dei tengu è anche chiamata Tengudō, che può corrispondere ad una locazione geografica, una parte di un regno demoniaco, o semplicemente un nome per ogni accampamento di tengu.
Le leggende spesso descrivono la società dei tengu come gerarchica: i karasu fungono da servi e messaggeri degli yamabushi, e in capo a tutti c'è un re dai capelli bianchi, Sōjōbō, che vivrebbe sul monte Kurama. Inoltre, molte aree del Giappone si dicono infestate da tengu con altri nomi, spesso anche venerati nei templi. Sebbene siano sempre raffigurati come maschi, i tengu depongono uova.
I konoha-tengu sono associati a Sarutahiko, il dio Shintō degli incroci, dei sentieri e del superamento degli ostacoli; l'associazione nasce probabilmente dal lungo naso del dio simile ad una proboscide. Secondo altri studiosi però i tengu deriverebbero dal dio Susanoo; le loro caratteristiche aviarie li avvicinano inoltre anche ai garuda della mitologia buddhista.
I tengu sono creature capricciose, e le leggende li descrivono a volte benevoli e a volte malvagi; talvolta si divertono a giocare scherzi pesanti, come appiccare fuochi a foreste o porte di templi, o addirittura mangiare le persone (molto raro). I tengu amano camuffarsi da viandanti umani, assumendo forme amichevoli, come eremiti itineranti; dopo aver guadagnato la fiducia della vittima (nelle leggende spesso monaci buddhisti), i tengu ci giocano, ad esempio facendola volare o immergendola in un'illusione, che sono esperti a creare. Oppure, i tengu la rapiscono, pratica nota come kami kakushi o tengu kakushi — rapimento divino o da tengu. Le vittime spesso si svegliano molto lontano senza alcuna memoria del tempo trascorso; le sparizioni di bambini sono spesso attribuite ai tengu, soprattutto se sono poi ritrovati in stato confusionale. I tengu possono anche comunicare con gli umani per telepatia, e sono talvolta accusati di possessione demoniaca o controllo della mente. Grazie ai loro scherzi malvagi, la gente talvolta lascia loro delle offerte (generalmente riso o pasta di fagioli), per ingraziarseli.

Kurama-dera, un tempio tra le montagne di Kyōto



I tengu sono orgogliosi, vendicativi, facili all'ira, particolarmente intolleranti verso gli arroganti, i blasfemi, coloro che abusano del loro potere e della loro conoscenza per tornaconto personale, e coloro che arrecano danno alle foreste in cui essi abitano; questa particolarità li spinge a provocare monaci e sacerdoti, e in epoca antica samurai (secondo alcune tradizioni gli arroganti si reincarnano in tengu). Talvolta gli si attribuisce un istinto politico, e si immischiano negli affari dell'umanità per impedirle di diventare troppo potente o pericolosa. Nonostante la loro intolleranza verso questo attributo, i tengu sono noti per essere egoisti, da cui la locuzione tengu ni naru ("diventare un tengu"), cioè fare il vanitoso; in almeno una leggenda si afferma che i tengu che si comportano altruisticamente possono reincarnarsi in esseri umani.
I tengu non sono immortali, ma un tengu gravemente ferito può trasformarsi in un uccello (spesso corvo o rapace) e volare via. I tengu sono esperti di arti marziali, tattica, e ottimi armaioli: talvolta insegnano parte del loro sapere ad esseri umani, ad esempio l'eroe Minamoto no Yoshitsune imparò il kenjutsu (tirar di scherma con la katana) dal re dei tengu, Sōjōbō. In realtà non è necessario che lo studente incontri il tengu di persona, perché il tengu può insegnare nei sogni. La maschera nera indossata dai ninja è chiamata tengu-gui proprio per l'associazione dei tengu con il combattimento.

Origini

Il mito dei tengu è stato probabilmente importato dalla Cina: il loro nome è scritto con gli stessi kanji del cinese Tiangou (天狗, Tiāngǒu, letteralmente ""cane del cielo""), il nome di Sirio nell'astrologia cinese, e forse il nome dato a una meteora dalla coda di cane che precipitò in Cina nel VI secolo a.C. Di fatto, in Cina si sviluppò un'intera classe di demoni di montagna chiamati tiangou, molto simili ai tengu giapponesi nel loro comportamento maligno; questi tiangou furono probabilmente introdotti in Giappone dai primi buddhisti nel VI-VII secolo, e lì si fusero con gli spiriti indigeni dello Shinto. Le prime leggende di tengu parlano solo dei karasu, quasi invariabilmente maligni; diventano sempre più umanoidi col passare del tempo, e anche meno malvagi. I tengu simili a monaci sono quelli più spesso rappresentati nell'arte, ma questa è una delle varianti più recenti, probabilmente nata dalla fusione di storie di yamabushi dotati di poteri magici e di tengu di montagna.
Durante l'epoca feudale giapponese, la corruzione dilagò tra il clero buddhista; fu durante questo periodo che i tengu cominciarono a punire i blasfemi, e questa associazione li rese i protagonisti ideali per gli autori del periodo Kamakura che volevano criticare in sicurezza i vizi del clero; i monaci di montagna (yamabushi) erano visti dal popolo come un baluardo alla corruzione, e questo spiega come i tengu assunsero il loro attuale aspetto yamabushi.
Durante il periodo Edo, i mercanti olandesi erano gli unici europei a cui era consentito entrare in Giappone, ed è stato suggerito che i tengu yamabushi, con occhi grandi e nasi lunghi, possano aver avuto origine dai contadini che pensavano che quegli stranieri dall'aspetto inconsueto fossero mostri travestiti. Alla fine dell'epoca Edo, ufficiali governativi affiggevano avvisi in cui intimavano ai tengu di lasciare la zona prima di ogni visita dello shogun.
Una favola molto nota parla di due tengu seduti in cima ad una montagna che possono estendere il loro naso a grandi distanze, seguendo gli allettanti odori provenienti dal villaggio sottostante. Un gran numero di storie prevede un ventaglio, ricevuto in dono o comprato da un tengu, sventolando il quale è possibile cambiare la lunghezza del proprio o dell'altrui naso, magicamente ma non permanentemente.



Yamabushi Tengu




venerdì 14 aprile 2017

Sun Tzu

Immagine correlata


Sun Tzu (孫子; 孙子, Pinyin: Sūnzǐ; Wade-Giles: Sun Tzu; nato Sūn Wǔ (孫武), zì: Chángqīng (長卿); 544 a.C. – 496 a.C.) è stato un generale e filosofo cinese, vissuto probabilmente fra il VI e il V secolo a.C.. A lui si attribuisce uno dei più importanti trattati di strategia militare di tutti i tempi, L'arte della guerra (孫子兵法, Sūnzǐ Bīngfǎ, ).


Biografia

Tra i vari biografi di Sun Tzu sussiste una certa discordanza per il luogo di nascita. Gli Annali delle primavere e degli autunni collocano i natali di Sun Tzu nello stato di Qi, nella Cina settentrionale, mentre le Memorie storiche di Sima Qian riportano che Sun Tzu era nativo di Wu. Ciò malgrado, ambedue le fonti sono concordi nell'affermare che Sun Tzu nacque nel tardo periodo delle primavere e degli autunni, cioè tra il 722 e il 481 a.C., e che lavorava alle dipendenze del re Helü come consigliere militare, aiutandolo nella conquista dello stato di Chu: In seguito alla presunta partecipazione ad un complotto, Sun Tzu venne sospettato di tradimento e pertanto fu sottoposto all'evirazione e mandato in esilio: si pensa che fu proprio durante l'allontanamento della patria che egli abbia scritto l'Arte della Guerra, il testo di strategia più antico pervenutoci al quale il suo nome è indissolubilmente legato. Il luogo e la data della sua morte restano invece ignoti.



Statua di Sun Tzu a Yurihama, nella prefettura di Tottori, in Giappone



Scarsissime sono quindi le notizie biografiche di Sun Tzu: ci rimane, tuttavia, un curioso aneddoto narratoci sempre da Sima Qian, che riportiamo di seguito. Prima di ingaggiare Sun Tzu come consigliere militare, il re di Wu volle testare le sue doti chiedendogli se le sue capacità strategiche potessero applicarsi anche alle donne; lo stratega, pertanto, accettò di dargliene dimostrazione usando le centottanta concubine del re. Sun Tzu divise quindi le donne in due gruppi e pose a capo di ciascun gruppo le due favorite del re. Poi spiegò ai due gruppi le regole da seguire: agli ordini di Sun Tzu, le donne avrebbero dovuto girarsi tutte nella direzione indicata. Al rullo dei tamburi ordinò quindi alla donne di voltarsi a destra, ma queste cominciarono a ridere e non obbedirono. Sun Tzu disse allora: «Se le regole non sono chiare e gli ordini non vengono compresi, la colpa è del generale». Spiegò quindi ancora una volta le regole, quindi, al rullo dei tamburi, ordinò alle donne di voltarsi a sinistra. Ancora una volta le donne scoppiarono a ridere e non obbedirono. Sun Tzu disse allora: «Se le regole non sono chiare e gli ordini non vengono compresi, la colpa è del generale; se, invece, le regole sono chiare, e tuttavia gli ordini non vengono eseguiti, allora la colpa è degli ufficiali». Diede quindi l'ordine di decapitare le due favorite. Il re, che aveva seguito le manovre dall'alto del suo padiglione, gli ordinò di fermare l'esecuzione dicendosi convinto dell'abilità di Sun Tzu nel condurre le truppe, ma questi rispose che, nelle sue vesti di generale, vi erano ordini del re che poteva non seguire. Le due donne furono dunque giustiziate, e le favorite immediatamente inferiori per rango furono messe al comando dei due gruppi. Questa volta le donne obbedirono agli ordini senza indugio. A questo punto Sun Tzu disse al re che le sue truppe erano pronte e ben istruite, e che avrebbero obbedito a qualsiasi suo ordine, invitandolo a passarle in rassegna. Ma il re lo congedò senza farlo e Sunzi allora commentò: «Il re ama le belle parole, ma non sa metterle in pratica»: fu proprio in questo modo, racconta Sima Qian, che Sun Tzu riuscì a dare prova delle sue teorie militari e a venire assunto al servizio regio.
A partire dal dodicesimo secolo numerosi studiosi iniziarono a contestare l'effettiva esistenza storica di Sun Tzu, per il motivo che egli non è menzionato nello Zuo Zhuan, cronaca cinese in forma narrativa che parla delle più note personalità vissute nel periodo delle primavere e degli autunni. Assai dibattuta è anche la paternità dell'Arte della guerra, da attribuire secondo gli scettici non a Sun Tzu bensì ad altri strateghi militari, quali Wu Zixu, Sun Bin, un autore anonimo, o altri. Analogamente, l'unica battaglia storicamente attribuita a Sun Tzu, quella di Boju, non riporta il suo nome tra i vari combattenti. Molti storici moderni hanno anche presunti anacronismi fra il periodo in cui tradizionalmente sarebbe vissuto Sunzi e la cultura militare del suo tempo; l'ampiezza delle armate menzionate nel testo e la loro organizzazione, gli accenni all'impiego della balestra, entrata in uso verso la fine del V secolo a.C., i riferimenti alla teoria dei Cinque Elementi e certi usi linguistici, secondo queste interpretazioni, sposterebbero la datazione dell'Arte della guerra tra il 400-320 a.C., nel Periodo dei regni combattenti.

L'arte della guerra



Copia su bambù dell'Arte della guerra, trascritta sotto l'imperatore Qianlong




Il testo L'arte della guerra (Sūnzǐ Bīngfǎ, 孫子兵法) non è un'opera letteraria, bensì un manuale militare contenente regole su come condurre una guerra vittoriosa nell'antica Cina.
In caso di guerra l'importante è vincere e vince solo chi sa pianificare in modo che quando si scende in campo si ottenga il massimo profitto nel minor tempo possibile, meglio se senza combattere o col minimo di perdite. La pianificazione deve avvenire in un contesto variabile, con pronte reazioni ai cambiamenti di situazione che portino a rapidi aggiustamenti dei piani e la disposizione tattica, anche applicando manovre irregolari ed imprevedibili ed avvalendosi di stratagemmi per dare al nemico informazioni sbagliate che lo inducano a valutazioni ingannevoli. Sun Tzu, tradizionalmente ritenuto uno dei maggiori promotori della «strategia indiretta», definisce assai nitidamente i rapporti tra guerra e politica, tracciando un percorso che verrà successivamente seguito da Niccolò Machiavelli e Carl von Clausewitz: egli, infatti, ritiene la guerra subordinata al dominio della politica, essendo uno degli strumenti utilizzati dallo Stato per raggiungere i propri scopi. Fondamentale, in tal senso, è l'utilizzo dell'astuzia più che della forza, oltre che in particolare della conoscenza dell'avversario. È opinione di Sun Tzu, infatti, che «combattere e vincere cento battaglie non è prova di suprema eccellenza: la suprema abilità consiste nel piegare la resistenza (volontà) del nemico senza combattere» e, ancora, che «l'abilità del comandante consiste nel piegare le forze del nemico senza alcun combattimento, nell'impadronirsi delle città senza assalirle, nel conquistare lo Stato nemico senza lunghe operazioni militari».
Dopo la sua pubblicazione, l'Arte della guerra ha esercitato una fortissima e ininterrotta influenza, attraverso i secoli e i millenni, sulla strategia militare. L'Esercito degli Stati Uniti ha incluso l'Arte della guerra fra le opere che devono essere presenti nelle biblioteche delle singole unità, per la formazione continua del personale. Le teorie esposte nell'Arte della guerra, oltre ad essere considerate ancora attuali da molti moderni strateghi militari, hanno trovato applicazioni anche in altri campi, soprattutto in quello delle strategie manageriali, che attingono ad esse per modelli di comportamento da adottare nelle situazioni competitive.


giovedì 13 aprile 2017

Kyudo

Kyudoka al Tempio Meiji
Il Kyudo (弓道), ovvero letteralmente la via dell'arco, è un'arte marziale giapponese.


Descrizione

Per secoli, l'arco e le frecce furono utilizzati in Giappone sia come armi che come strumenti rituali e cerimoniali, secondo una prassi tipica di molti altri popoli. Una delle caratteristiche peculiari dell'arcieria giapponese è la tipologia dell'arco utilizzato, lo Yumi, che presenta una forma asimmetrica in cui la parte superiore rispetto all'impugnatura è più lunga della parte inferiore.
Conosciuta prima come kyujutsu e solo più tardi come kyudo, l'arte era pienamente sviluppata con un complesso sistema di pratiche e di tecniche, una varietà inizialmente ampia di stili, che in seguito si ridusse a pochi stili principali che differivano fra loro prevalentemente in base alla provenienza regionale, al collegamento con uno specifico orientamento filosofico-religioso e ad una maggiore enfasi posta su alcuni aspetti del tiro. Questi stili, che si possono definire "antichi", sono giunti sino ai nostri giorni, ed è su questa base che, a partire dall'epoca Meiji, analogamente a quanto avvenuto per altre arti del Budo giapponese, si è avviata l'elaborazione di una forma unitaria che rappresenta lo standard praticato dall'All Nippon Kyudo Federation nonché dall'International Kyudo Federation, la federazione internazionale di Kyudo. Tale standard, formulato grazie al lavoro congiunto di maestri appartenenti alle scuole antiche, permette ad arcieri che praticano stili diversi di tirare insieme.
Nel Giappone feudale, i campi per il tiro con l'arco, all'aperto od al chiuso per l'esercitazione al bersaglio, si trovavano nella casa centrale di tutti i più importanti clan militari. Oggi si pratica in specifici dojo, per il tiro a 28 metri, perlopiù inseriti in club o strutture scolastiche.
L'arco e la spada lunga erano le armi dei nobili e loro vassalli e samurai; i soldati comuni usavano la lancia e la spada corta.
Il programma d'addestramento degli arcieri era basato sui ripetuti tentativi di colpire bersagli fissi e mobili stando in piedi e a cavallo. L'addestramento a cavallo, naturalmente, era più aristocratico, sia per carattere sia per tradizione, dell'addestramento a piedi: richiedeva una gran coordinazione, per controllare un cavallo al galoppo, mentre simultaneamente si scagliava una freccia dopo l'altra contro una serie di bersagli diversi che potevano essere fissi o in movimento.
L'abilità dimostrata dai guerrieri nell'uso di un certo arco indusse gli storici cinesi a chiamare i giapponesi "il popolo del lungo arco". Si trattava dell'arco da guerra per eccellenza, il daikyu, usato dai guerrieri a cavallo o a piedi. Aveva una lunghezza che andava dai due metri e venti ai due e quaranta, ma ve n'erano anche di lunghi due metri e settanta.
Come in ogni arte tradizionale, la praticità funzionale del tiro con l'arco giapponese, così come storicamente espressa nel suo uso militare, è perfettamente integrato con le sue valenze estetiche, rituali, simboliche e sapienziali.
Nelle competizioni promosse dalla International Kyudo Federation, il merito discende da una valutazione che combina l'efficacia del tiro, la corretta esecuzione dei movimenti e delle posizioni di base (Kihontai) e l'assenza di attaccamento nel colpire il bersaglio.