Chakra, adattamento
occidentale del termine sanscrito traslitterato come cakra
(in scrittura devanāgarī चक्र),
indica una "ruota", un "disco" o un "cerchio".
Il suo significato nelle tradizioni
religiose dell'India va a coprire due ambiti principali:
quello di un "cerchio" o
di un "diagramma" mistico, nozione sovrapponibile a quello
dello yantra o del maṇḍala;
quello inerente allo yoga e
alla medicina ayurvedica traendo origine dalle tradizioni tantriche,
sia dell'induismo sia del buddhismo; nell'accezione più comune è
usualmente reso anche con "centro", per indicare quegli
elementi del corpo sottile nei quali è ritenuta risiedere latente
l'energia divina.
Il chakra è anche uno degli
attributi di Viṣṇu: si tratta di un disco che egli usualmente
stringe in una delle mani e rappresenta il potere divino. Variamente
raffigurato, con raggi o fiamme che ne fuoriescono, è attributo
anche di altre divinità, come Durga e Skanda, per esempio. Il chakra
di Viṣṇu, detto anche Sudarśana ("bello a vedersi"),
è altresì oggetto di culto, al punto di essere spesso personificato
col nome di Chakrapurusha.
In ambito tantrico con chakra si
intende anche il "circolo" di culto tantrico, l'insieme dei
membri locali di una specifica tradizione. All'interno di questo
chakra, i seguaci si pongono al di fuori delle regole sociali
e di casta. Vi sono ammesse anche le donne, cosa invero non possibile
presso i culti vedici.
Alcune medicine alternative, per
esempio la cristalloterapia, fanno riferimento alla nozione del
chakra sebbene non vi sia alcuna evidenza scientifica circa la
loro esistenza.
Chakra come diagramma mistico: maṇḍala, yantra e cakra
Nell'ambito del primo significato,
ossia quello di "diagramma mistico", va rilevato che
nell'importante testo Maṇḍalas and Yantras in the Hindu
Traditions curato dall'indologo austriaco Gudrun Bühnemann, con
i contributi di Hélène Brunner, Michael W. Meister, André Padoux,
Marion Rastelli e Judit Törzsök, pubblicato nel 2003 nella Brill’s
Indological Library e citato come unica integrazione bibliografica
alla voce Maṇḍala nella seconda edizione della
Encyclopedia of Religion a firma di Peter Gaeffke, lo studioso
austriaco dedica il capitolo Maṇḍala, yantra and cakra: some
observations a una accurata disamina di tutta la letteratura per
individuare i confini semantici di questi termini sanscriti.
Dapprima Bühnemann osserva che «i
termini cakra e yantra sono utilizzati a volte come sinonimi di
maṇḍala, e tutti e tre questi termini sono spesso tradotti in
modo indiscriminato come "diagrammi (mistici)"». In
effetti, nota l'indologo austriaco, tutti e tre i termini si
sovrappongono nell'indicare dei disegni geometrici e sia gli studiosi
occidentali che gli stessi testi sanscriti più tardi finiscono per
usarli come sinonimi.
Dopo un'attenta disamina dei
contraddittori tentativi di definizione classificatoria presentati in
tutta la letteratura (tra gli altri vengono esaminate le proposte di
Stella Kramrisch, Gösta Liebert, Giuseppe Tucci, Louis Renou, Jean
Filliozat, Mircea Eliade, T. A. Gopinatha Rao, Ronald M. Bernier,
Heinrich Zimmer, Peter Gaeffke, John Woodroffe, S. Shankanarayanan,
Philipp H. Pott e Anne Vergati) Bühnemann conclude che: «Non è
possibile riassumere tutti i tentativi di definire "maṇḍala",
"yantra" e "cakra" nella letteratura. L'uso e le
funzioni di questi termini sono complessi e sarà impossibile
arrivare a una definizione universalmente valida. Dovrebbe essere
necessario studiare approfonditamente l'uso dei termini nei testi dei
diversi sistemi religiosi e nei diversi periodi storici per
determinare come i termini siano stati impiegati dai differenti
autori e come l'uso di questi termini è cambiato nel tempo».
Il chakra
nello yoga
Nello Haṭha Yoga i chakra sono
interpretati come tappe del percorso ascensionale che Kuṇḍalinī
attraversa nel corpo dell'adepto una volta ridestata grazie a
pratiche e riti opportuni. Oggi si preferisce chiamare Kuṇḍalinī
Yoga l'aspetto dello Haṭha Yoga che fa riferimento principalmente
alle pratiche interessate al kuṇḍalinī, e quindi al ruolo
e significato dei chakra. I testi classici sono la Gheraṇḍa
Saṃhitā, la Haṭhayogapradīpkā e la Śiva
Saṃhitā; essi fanno comunque riferimento a numerosi Tantra
di epoca ben anteriore.
Man mano che Kuṇḍalinī sale, i
chakra verrebbero
attivati, lasciando quindi sperimentare all'adepto stati psicofisici
via via differenti.
«Esperienze mistiche e
fenomeni significativi si succedono rapidamente via via che i
centri corrispondenti vengono toccati e che l'energia kuṇḍalinī
invade tutta la persona dello yogin. Quando essa riempie
interamente il corpo, la felicità è totale, ma finché si limita
a un centro, la via non è libera, e si producono alcuni
fenomeni.»
|
(Silburn 1997,
pp. 111-112)
|
Il fine principale attribuito a questi
riti e pratiche propri dell'induismo (tantrico e non) non è
l'acquisizione di poteri straordinari, ma è e resta sempre la
liberazione (mokṣa), intesa come affrancamento dal ciclo
delle rinascite (saṃsāra); un fine salvifico dunque,
soteriologico, e non di ordine pratico, utilitaristico, anche se poi
nei testi si fa anche menzione dei "poteri" (vibhūti
o siddhi) che sarebbe possibile conseguire.
Secondo la visione tantrica shivaita,
di cui il Kuṇḍalinī Yoga fa parte, nell'emanare il mondo,
Paramaśiva, la Realtà Assoluta, si è espanso generando quella
pluralità che noi chiamiamo mondo, nella sua accezione più vasta.
Perché ciò fosse possibile Egli si è autolimitato, dando così
luogo al tempo, allo spazio, alla materia, al dualismo, alla
causalità, e di conseguenza, al saṃsāra. Queste
autolimitazioni sono rese possibili grazie al śakti, la Sua
stessa energia, di cui Kuṇḍalinī non è altro che un aspetto,
appunto quello presente nel corpo umano. Kuṇḍalinī che ascende
dal primo all'ultimo chakra segue quindi, al livello del
microcosmo umano, il percorso inverso a quello di emanazione cosmica.
È la potenza di Paramaśiva che ricongiungendosi in Śiva medesimo,
consente di liberarsi delle limitazioni che hanno consentito ciò che
è manifesto, il mondo, trasmigrazione compresa. Il termine yoga,
ricordiamo, vuole significare "unione": unione del Dio e
della Sua energia, di Śiva e Śakti, Śakti che "riposava"
nel primo chakra come Kuṇḍalinī (o Kuṇḍalinī-śakti).
Questa energia quiescente è immaginata
e simboleggiata come un serpente che giace arrotolato su se stesso:
kuṇḍalinī significa infatti "arrotolata",
"ricurva". L'attivazione è visualizzata dal serpente che
si drizza come all'improvviso, liberando calore e permettendo ad
altre energie sopite, ai "soffi" altrimenti bloccati
(prāṇa), di circolare. I chakra sono immaginati come
fiori di loto (padma) variamente colorati che sbocciano in
tutta la loro bellezza, liberando potenzialità celate.
«Kundalini è insieme un
serpente, un'energia intima e una dea: l'esoterismo del linguaggio
crepuscolare risiede in questa simultaneità di significati in una
stessa parola.»
|
(Jean Varenne 2008, p. 174) |
Nei testi i chakra sono
variamente descritti e anche raffigurati con molti particolari.
Ognuno di questi elementi ha una valenza simbolica precisa, con
riferimenti sia al processo di emanazione del cosmo, sia a quello di
riassorbimento in esso.
Il simbolo prevalente per i chakra
è quello del fiore di loto, rappresentato come osservato dall'alto e
coi suoi petali aperti e variamente colorati. Il numero dei petali e
il relativo colore varia a seconda del chakra. Su ogni petalo
è riportato un grafema dell'alfabeto sanscrito, la "lingua
perfetta", perché ogni cosa nel mondo ha un nome grazie a
questi suoni. All'interno del fiore è generalmente riportato uno
yantra, ossia un diagramma simbolico che è in relazione con un
elemento costitutivo del cosmo (tattva). Troviamo inoltre un
mantra scritto in caratteri devanāgarī, anch'esso in
relazione col tattva, il suo suono generatore; e una divinità
che lo presiede. Sono spesso altresì raffigurate altre divinità,
deputate a presiedere quel determinato chakra. Completano la
rappresentazione iconografica lo yoni, rappresentato con un
triangolo con la punta verso il basso, e il liṅga, simboli
di Śakti e Śiva rispettivamente, i due poli del divino: il
trascendente e l'immanenente, la luce e il suo riflesso, l'essere e
il divenire, il maschile e il femminile.
Mātṛkācakra
Nelle tradizioni tantriche del Kashmir
la mātṛkā-cakra ("ruota delle madri") è
l'emissione dei fonemi dell'alfabeto sanscrito a partire
dall'Assoluto, in questo caso Paramaśiva, lo Shiva Assoluto, o più
semplicemente Anuttara ("senza niente sopra").
Riassumendo, secondo il filosofo indiano Kṣemarāja le sedici
vocali rappresentano l'articolazione della Coscienza Assoluta nelle
sue potenze; le venticinque consonanti occlusive da K a M
il dispiegamento del Cammino impuro; le quattro semivocali le Corazze
(da Y a V); le tre sibilanti e l'aspirata il
dispiegamento del Cammino puro; KṢ, il cinquantesimo fonema,
è infine simbolo dell'intera emissione fonica, il "seme della
sommità", formato dalla prima e ultima consonante, la S,
che nell'unione da dentale diventa retroflessa. Questa emissione è
invero, secondo queste tradizioni, solo un'angolazione differente
dalla quale si può vedere il processo di emanazione
dell'Assoluto.
Ritroviamo i cinquanta fonemi in
scrittura devanāgarī sui petali dei chakra principali, proprio a
simboleggiare questa emissione che, quando interpretata in senso
inverso, dal primo all'ultimo chakra, diventa simbolo di
ricongiungimento con l'Assoluto. I fonemi sono detti madri perché,
essendo forme foniche della potenza divina, sono personificabili come
altrettante divinità femminili. Di queste sono composti i mantra e
le scritture sacre dei Veda.
Il corpo sottile e i chakra: origini e contesti
Secondo lo storico delle religioni
britannico Gavin Flood, il testo più antico nel quale è descritto
il sistema dei sei chakra, quello attualmente più diffuso, è
il Kubjikāmata Tantra: testi precedenti menzionano infatti un
numero differente di chakra variamente e differentemente
collocati nel corpo sottile. La tradizione tantrica alla quale questo
testo appartiene è la cosiddetta tradizione kaula occidentale,
risalente all'XI secolo e.v. e originaria dell'Himalaya occidentale,
probabilmente nel Kashmir, e attestata con certezza nel XII secolo in
Nepal. Kubjikā, la Dea "gobba", o "curva", è
associata con Kuṇḍalinī, l'"attorcigliata", quella
forma del potere divino che ordinariamente giace quiescente nel corpo
in corrispondenza del primo chakra. Così la Śiva Saṃhitā,
un testo del XVI-XVIII secolo:
«Tra l'ano e l'organo
virile si trova il centro di base, il Mūlādhāra, che è come
una matrice, uno yoni (organo femminile). Là è la
'radice' a forma di bulbo ed è là che si trova l'energia
fondamentale Kuṇḍalinī avvolta tre volte e mezza su se
stessa. Come un serpente, essa circonda il punto di partenza delle
tre arterie principali tenendosi in bocca la coda proprio davanti
all'apertura dell'arteria centrale.»
|
(Śiva Saṃhitā 5, 75-76; citato in Alain
Daniélou, Śiva e Dioniso, traduzione di Augusto Menzio, Ubaldini
Editore, 1980, p. 131) |
Le "arterie" cui il testo fa
riferimento sono le nadi (trascrizione di nāḍī), termine
traducibile con "tubo", "canale", per indicare
qui condotti simili a quelli nei quali scorre il sangue o la linfa.
Le tre "arterie" principali sono: la suṣumnā, il
canale centrale, dritto e verticale; iḍā e piṅgalā,
due canali situati alla sinistra e alla destra della suṣumnā.
Nāḍī e chakra,
insieme ad altri componenti quali il prāṇa ("respiro"
o "energia vitale"), i vāyu ("soffi",
"venti") e i bindu ("punti"), sono i
principali componenti anatomici di quello che nella letteratura
contemporanea è noto come "corpo sottile": l'energia
vitale vi scorre attraverso i canali sotto forma di soffi, mentre
l'energia divina si trova latente nei centri. L'accademico francese
André Padoux fa notare che il termine "corpo sottile" è
invero improprio, perché si presta a essere confuso con il corpo
trasmigrante, il sukṣmaśarīra, che letteralmente sta
proprio per "corpo sottile". Egli, come altri studiosi
contemporanei, preferisce usare il termine "corpo yogico".
Così si esprime l'accademico statunitense David Gordon White:
«Cruciale per il processo di iniziazione [tantrica]
è la nozione che all'interno del microcosmo umano, o protocosmo,
esiste un corpo yogico, sottile, che è la replica del macrocosmo
universale, divino, o metacosmo. [...] Questo corpo, che comprende
canali energetici (nadi), centri (cakra), punti e soffi, è esso
stesso un mandala. Se fosse possibile viderlo dall'alto, il canale
centrale verticale del corpo sottile, che media la dinamica
bipolare (e sessualmente identificata) interiore del divino,
apparirebbe come il centro del mandala, coi vari cakra allineati
lungo il canale nella forma di altrettanti cerchi concentrici, o
ruote, o fiori di loto irradianti verso l'esterno dal loro stesso
centro. Spesso, ognuno di questi raggi o petali di cakra hanno
associati divinità maschili e femminili, così come fonemi e
grafemi dell'alfabeto sanscrito.»
|
(David Gordon
White, Introduction;
in Tantra in practice,
a cura di David Gordon White, Princeton University Press, 2000,
pp. 14-15)
|
Il corpo yogico (o sottile),
fondamentale in quasi tutte le pratiche meditative e rituali
tantriche, è una struttura ovviamente immateriale, inaccessibile ai
sensi, che l'adepto crea immaginandola, visualizzandola. Il tāntrika,
l'adepto, costruisce così, con queste pratiche, un corpo complesso
nel quale coesistono il corpo grosso (quello fisico che si riceve
alla nascita) e il corpo sottile: è il corpo di un "uomo-dio",
concetto nucleare nel tantra, ma di concezione ben anteriore.
Questa coesistenza ha fatto sì che
spesso, soprattutto in epoca più recente, si sia tentato di
localizzare all'interno del corpo grosso elementi che sono invece
peculiari del corpo sottile, localizzazione ipotizzata reale e non
immaginale, dando così luogo a confusioni e indebite
interpretazioni. L'esempio più eclatante è l'identificazione dei
chakra coi plessi nervosi, identificazione che sembra ormai
corrente:
«Ma è sufficiente leggere
attentamente i testi per rendersi conto che si tratta di
esperienze transfisiologiche, che tutti questi "centri"
rappresentano degli "stati yoga", inaccessibili senza
una ascesi spirituale.»
|
(Eliade 2010,
p. 223)
|
Così l'indologo tedesco Georg
Feuerstein sintetizza:
«I sistemi dei cakra
sono giusto questo: modelli della realtà pensati per assistere il
tāntrika nel suo travagliato percorso interiore dal
Molteplice all'Uno.»
|
(Georg Feuerstein, Tantra.
The Path of Ecstasy, Shambhala
publications, 1998, p. 150) |
I
chakra restano elementi fisicamente non individuabili né
sperimentabili al di fuori del contesto in cui hanno valenza:
«Queste ruote non sono
affatto centri fisiologici e statici del corpo grossolano, ma
centri di forza che appartengono al corpo sottile, centri che solo
lo yogin, nel corso della manifestazione della kuṇḍalinī,
localizza con altrettanta precisione che se appartenessero al
corpo.»
|
(Silburn 1997,
p. 55)
|
I sette chakra principali nell'induismo
Nella letteratura orientale è possibile riscontrare molteplici
descrizioni del corpo sottile, e di conseguenza anche del sistema dei
chakra , in relazione alle differenti collocazioni,
visualizzazioni e funzioni:
«Nei fatti non esiste un
sistema dei cakra che si possa definire standard. Ogni
scuola, e alle volte ogni maestro di ogni singola scuola, ha avuto
il proprio sistema di cakra .»
|
(David Gordon White, Kiss
of the Yogini, The University of Chicago
Press, 2003, p. 222) |
Le descrizioni più note del sistema
dei chakra nella letteratura accademica e in quella divulgativa
contemporanee risalgono a quelle diffuse dall'orientalista britannico
Sir John Woodroffe, magistrato britannico presso la Corte suprema del
Bengala, appassionato di tantrismo che con lo pseudonimo di Arthur
Avalon pubblicò nel 1919 un testo su questo argomento, Il potere
del serpente. Egli aveva parzialmente tradotto e commentato un
testo delle tradizioni tantriche, lo Ṣatcakranirūpaṇa. Il
testo di Avalon e lo Ṣatcakranirūpaṇa rappresentano ancor
oggi le principali fonti di diffusione in Occidente di questi
concetti. A questi si rifanno, ad esempio, il summenzionato David
Gordon White, accademico statunitense, lo storico delle religioni
rumeno Mircea Eliade, l'indologo francese Jean Varenne.
Nel trattato sono presentati i sette
chakra principali, e di ognuno di questi riportati la
collocazione nel corpo sottile; gli yantra, i bījamantra
e le divinità associati; i rapporti e le corrispondenze con gli
elementi del cosmo.
I chakra: mūlādhāracakra
Situato alla base della colonna
vertebrale, tra l'ano e gli organi genitali esterni nella zona del
plesso coccigeo, è rappresentato da un loto cremisi con quattro
petali riportanti i fonemi dell'alfabeto sanscrito in scrittura
devanāgarī व, श,
ष, स
(nella traslitterazione IAST rispettivamente: "v",
"ś", "ṣ", "s"). Un quadrato giallo è
situato nel centro del loto, a sua volta recante in mezzo un
triangolo dalla punta rivolta verso il basso. Il quadrato è simbolo
dell'elemento grosso Terra (pṛthivī), il triangolo della
vagina (yoni). È in relazione con l'elemento sottile Odore
(gandha). Il mantra associato è LAṂ (लं),
la divinità Brahma.
«La Terra è un quadrato, /
di colore giallo / e il suo mantra è LAM. // Là risiede Brahma,
/ con quattro braccia, quattro volti, / splendenti come l'oro.»
|
(Yogatattva Upaniṣad, 86 e segg.; citato
in Varenne 2008, p. 197) |
All'interno del triangolo è posto un
liṅga, e avvolto intorno a esso come un serpente è
Kuṇḍalinī, che con la propria bocca ostruisce l'apertura
sommitale del liṅga, la "porta di Brahman", e
quindi l'accesso alla suṣumṇā, la via principale di
risalita di Kuṇḍalinī.
II chakra: svādhiṣṭhānacakra
Lo svādhiṣṭhāna è situato
alla base dell'organo genitale, nella zona corrispondente al plesso
sacrale. Rappresentato da un loto a sei petali di colore vermiglio
riportanti i fonemi ब, भ,
म, य,
र, ल
(rispettivamente: "b", "bh", "m",
"y", "r", "l"), ha nel suo interno una
mezzaluna bianca.
«Un altro Fiore di Loto è
posto dentro la Sushumna alla radice dei genitali, ed è un
bellissimo fiore vermiglio. Sui suoi sei petali vi sono le lettere
da Ba a Purandara con sovrapposto Bindu, del lucente color del
lampo. Dentro di esso vi è la bianca, splendente, acquea regione
di Varuna, a forma di mezzaluna, e là, seduto su una Makara, vi è
il Bija "Vam", immacolato e bianco come la luna
d'autunno.»
|
(Ṣatcakranirūpaṇa, vv.
14-15; citato in Avalon 1987) |
Il mantra associato è VAṂ
(वं), mentre la divinità è
Vishnu. È in relazione con l'elemento grosso Acqua (ap) e con
l'elemento sottile Sapore (rasa).
III chakra: maṇipūracakra
Si trova nella regione del plesso
epigastrico, all'altezza dell'ombelico. Il loto è di colore blu e ha
dieci petali, associati ai fonemi ड,
ढ, ण,
त, थ,
द, ध,
न, प,
फ (rispettivamente traslitterati
come: "ḍ", "ḍh", "ṇ", "t",
"th", "d", "dh", "n", "p",
"ph"). Al centro del loto è un triangolo rosso. È
relazionato con l'elemento grosso Fuoco (tejas).
Il mantra associato è RAṂ
(रं), la divinità è Rudra.
IV chakra: anāhatacakra
Questo chakra è situato nella
regione del plesso cardiaco. Il loto ha dodici petali dorati ed è di
colore rosso. I fonemi sono क, ख,
ग, घ,ङ,
च, छ,
ज, झ,
ञ, ट,
ठ (nella traslitterazione IAST
rispettivamente: "k", "kh", "g", "gh",
"ṅ", "c", "ch", "j", "jh",
"ñ", "ṭ", "ṭh"). Il mantra
associato è YAṂ (यं),
la divinità è Agni o Ishvara.
Anāhatacakra è in relazione
con l'elemento grosso Aria (vāyu) e con l'elemento sottile
Tatto (sparśa).
Nell'interno del loto due triangoli
equilateri di colore grigio si sovrappongono a formare un esagramma,
che a sua volta include un liṅga risplendente.
V chakra: viśuddhacakra
Il chakra è situato al livello
del plesso laringeo. Il loto è di colore blu con 16 petali
rosso-cenere, e i fonemi riportati nei petali sono le vocali अ,
आ, इ,
ई,उ,
ऊ, ऋ,
ॠ, ऌ,
ॡ, ए,
ऐ, ओ,
औ, più il visarga अः
e l'anusvāra अं (nella
traslitterazione IAST rispettivamente: "a", "ā",
"i", "ī", "u", "ū", "ṛ",
"ṝ", "ḷ", "ḹ", "e",
"ai", "o", "au", "ḥ", "ṃ").
Il mantra associato è HAṂ (हं),
Shiva la divinità, nel suo aspetto Sadashiva, Shiva l'eterno.
All'interno dello spazio blu è collocato un cerchio di colore
bianco che racchiude un elefante.
VI chakra: ājñācakra
Il sesto
chakra è collocato fra le due sopracciglia, nel plesso
cavernoso. Il loto che lo rappresenta è bianco con due petali che
recano iscritti i fonemi
ह e
क्ष
(traslitterati come "h" e "kṣ"). Nel
loto trova posto un triangolo con all'interno un
liṅga,
entrambi di colore bianco. Non è associato ad alcun elemento,
essendo in numero di cinque sia gli elementi grossi sia quelli
sottili. Il mantra associato è
Oṃ (
ॐ),
la divinità ancora Shiva nel suo aspetto Paramashiva, Shiva il
supremo.
«Il Fiore di Loto
denominato Ajna è simile alla Luna. Sui suoi due petali vi sono
le lettere Ha e Ksha, che sono pure bianche e ne accrescono la
bellezza. Esso risplende con la gloria di Dhyana. All’interno di
esso v'è la Shakti Hakini, le cui sei facce son come molte lune.
Ella ha sei braccia con una delle quali regge un libro, altre due
sono alzate nel gesto di scacciare la paura e di accordare favori,
e nelle altre ha un teschio, un tamburello ed un rosario. La sua
mente è pura.»
|
(Ṣatcakranirūpaṇa, v. 32; citato in
Avalon 1987) |
VII chakra: sahasrāracakra
Posto sopra la testa, è raffigurato
con un loto rovesciato e munito di mille petali (sahasrā vuol
dire appunto "mille"), dove mille è il risultato di 50x20:
i cinquanta fonemi dell'alfabeto sanscrito ripetuti venti volte. Al
centro del fiore è una luna piena che racchiude un triangolo.
Sahasrāracakra non è associato ad alcun mantra, né ad
alcuna divinità, ma:
«Gli Shaiva lo chiamano la
dimora di Shiva; i Vaishnava lo chiamano Parama Purusha; altri
ancora lo chiamano luogo di Hari-Hara. Coloro che sono colmi di
entusiasmo per i Piedi di Loto della Devi lo chiamano eccellente
dimora della Devi; ed altri gran saggi lo chiamano luogo puro di
Prakriti-Purusha.»
|
(Ṣatcakranirūpaṇa, v. 44;
citato in Avalon 1987) |
È qui, in questo chakra , che
l'adepto sperimenta l'unione col divino, la liberazione, il samādhi:
«E là, nel Sahasrara, la
divina Shakti / prende il suo piacere, senza tregua, / in unione
sol Signore!»
|
(Yogakuṇḍalinī Upaniṣad,
86 e segg.; citato in Varenne 2008, p. 201) |
Chakra |
zona corrispondente nel corpo |
Colore dei petali |
Elemento grosso |
Elemento sottile |
Bījamantra |
Divinità maschile |
Divinità femminile
|
Muladhara |
plesso coccigeo |
cremisi |
Terra |
Odore |
LAṂ |
Brahma |
Ḍākinī
|
Svadhisthana |
plesso sacrale |
vermiglio |
Acqua |
Sapore |
VAṂ |
Viṣṇu |
Rākinī
|
Manipura |
plesso epigastrico |
blu |
Fuoco |
Forma |
RAṂ |
Rudra |
Lākinī
|
Anahata |
plesso cardiaco |
giallo |
Aria |
Tatto |
YAṂ |
Īśvara |
Kakinī
|
Visuddha |
plesso laringeo |
rosso cenere |
Etere |
Suono |
HAṂ |
Sadaśiva |
Śākinī
|
Ajna |
plesso cavernoso |
bianco |
--- |
--- |
KSHAM |
Paramaśiva |
Hākinī
|
Sahasrara |
sommità del capo |
--- |
--- |
--- |
OM |
--- |
---
|
Altre descrizioni del sistema dei chakra
Nella letteratura tradizionale esistono
altri sistemi di chakra , in relazione sia alle tradizioni sia
ai testi. Nella tradizione della Śrīvidyā si contano nove chakra
principali. Il Kaulajñānanirṇaya ne descrive invece
undici.
Rispetto al sistema sopra presentato,
cioè quello dello Ṣatcakranirūpaṇa, nella gran parte
delle tradizioni tantriche sono usati altri nomi per indicare gli
stessi chakra , col settimo situato non sulla sommità del
capo, bensì circa dodici dita sopra di questo: si tratta dello
dvādaśānta.
Dvādaśānta vuol dire appunto
"fine delle dodici dita".
I
chakra nello shivaismo kashmiro
I sistemi dei chakra trovano le
loro prime descrizioni nei testi delle tradizioni del Kaula,
tradizioni religiose tantriche per lo più sviluppatesi nell'India
del nord, nel Kashmir e regioni adiacenti. Queste tradizioni hanno
origini non facilmente identificabili, si tratta infatti di
tradizioni popolari che probabilmente hanno le loro radici in epoche
molto lontane, e che sono state tenute in vita al margine del mondo
vedico, per poi fiorire in epoche più recenti e produrre testi.
Più che come loti (padma), in
queste tradizioni i chakra vengono visti come "ruote"
pronte a girare, o vibrare, quando le energie divine le attivano.
Distanti circa tre pugni di mano l'uno dall'altro, il Trika, una
scuola religiosa derivata dalla tradizione del Kaula detta
Pūrva-āmnāya ("tradizione orientale"), descrive cinque
chakra:
La prima lettera dell'alfabeto
sanscrito in scrittura devanagari, la "A", con il segno del
visarga, i due punti. "A" è l'Assoluto, il visarga
la Sua energia quiescente, la śaktikuṇḍalinī. I due
punti del visarga si trovano in equilibrio apparente: non appena uno
prevale, l'altro si nasconde: sono i movimenti di emissione e di
riassorbimento in Śiva.
Qui, normalmente inerte, giace
l'energia divina sotto forma di kuṇḍalinī inferiore
(adhaḥkuṇḍalinī); o anche śaktikuṇḍalinī,
termine che si può rendere con "energia arrotolata", cioè
non ancora dispiegata, quiescente. In questo stadio, che è quello
dell'uomo ordinario, costui confonde la sua vera natura col proprio
corpo grossolano. Quando risvegliata, śaktikuṇḍalinī può
diventare prāṇakuṇḍalinī, "energia dei soffi
vitali", e circolare così nel corpo sottile dello yogin (e far
vibrare le altre ruote). Il fine è il ritorno alla fonte di
emissione di ogni cosa, Paramaśiva, l'Assoluto. A tale scopo
prāṇakuṇḍalinī deve ancora compiere un altro passo,
diventare parakuṇḍalinī, "energia assoluta".
Quando parakuṇḍalinī si fonderà con Śiva nello
dvādaśānta, tutto sarà tornato nello stadio
indifferenziato prima dell'emissione del cosmo. Questo dinamismo
incessante fra l'assoluto e l'immanente, fra l'emissione del cosmo e
il suo riassorbimento nel corpo sottile dello yogin, fra l'essere e
il divenire, è una qualità essenziale dell'Assoluto nelle
tradizioni non dualiste del Kashmir. È anche nota come spanda,
"vibrazione", fisicamente sperimentabile dall'adepto non
appena egli riesce a dirigere correttamente la prāṇakuṇḍalinī.
È situata all'altezza dell'ombelico, e
da questo si irradiano le dieci nāḍī più importanti del
corpo sottile.
Si trova all'altezza del cuore
(ḥrdaya), ed è un importante centro di mescolamento e
diffusione dei soffi vitali.
Posto alla base del collo, nella parte
interna della gola, è ritenuto un centro di purificazione.
È posto fra le due sopracciglia.
Quando lo yogin riesce a colmare di energia questa ruota, egli è
pronto per abbandonare ogni dualismo fra sé e il mondo, ogni legame
col divenire delle cose: è pronto cioè per il samādhi: non
gli resta che proiettare fuori dal corpo l'energia, oltre la sommità
del capo. Invero, questo stadio è raggiunto assai raramente.
Quest'ultimo non è considerato un
chakra , in quanto non appartiene a tutti ma soltanto a chi ha
realizzato l'unione cosmica, si è cioè completamente identificato
con l'Assoluto, Ṡiva, divenendo un liberato in vita. Il dvādaśānta
è situato fuori dal corpo, dodici dita al di sopra della testa, ove
effonde in continuazione beatitudine.
I chakra
secondari
Il secondo gruppo per importanza è composto da
chakra
minori che si troverebbero nei polpastrelli, al centro del palmo
delle mani, in alcune aree dei piedi, nella lingua o altrove. Il
terzo gruppo è composto da un numero praticamente incalcolabile di
chakra di dimensioni piccole e minuscole; infatti, in ogni
punto in cui si incontrano almeno due linee energetiche, anche
infinitesimali, si troverebbe un
chakra .
I
chakra nella visione occidentale
In Occidente la dottrina dei chakra
deve la sua diffusione principalmente alla traduzione di un testo
indiano, lo Ṣatcakranirūpaṇa, a opera dell'orientalista
britannico Sir John Woodroffe, alias Arthur Avalon, nel suo The
Serpent Power (1919). Il testo di Woodroffe è al centro de La
psicologia del Kundalini-yoga. Seminario tenuto nel 1932 da Jung.
L'aspetto forse più interessante dell'interpretazione junghiana è
il tentativo di correlare un simile fenomeno a ciò che oggi la
psichiatria definirebbe disturbo da somatizzazione, in cui però la
psicosomatica prevale sul somatopsichico.
Il vescovo e chiaroveggente C. W.
Leadbeater, pubblicò un libro contenente i propri studi e le proprie
osservazioni relative ai centri di forza nel testo The Chakras
(1927).
Rudolf Steiner, fondatore
dell'Antroposofia, parla dello sviluppo dei chakra nel libro
Initiation and Its Results (1909), fornendo istruzioni
progressive per lo sviluppo di tali centri di forza.
Aspetto
e significato dei chakra
A partire dagli anni sessanta con la
diffusione dei movimenti new Age si sono affermate diverse nozioni
riguardanti l'aspetto e il significato dei chakra. I sette chakra
principali dell'essere umano, ad esempio, sarebbero stati associati
rispettivamente a uno dei colori dell'arcobaleno. Secondo tali
credenze, ognuno di questi chakra ruoterebbe in un senso alternativo
rispetto a quello precedente e a quello successivo situati lungo la
linea verticale che va dalla testa all'addome. Quelli che nell'uomo
girano in senso orario, inoltre, girerebbero in senso antiorario
nella donna, e viceversa. Queste concezioni tuttavia sono state
giudicate infondate nell'ambito della medicina esoterica, secondo la
quale i colori dei chakra in realtà variano da persona a persona, e
anche la dimensione e il senso di rotazione sono variabili. Il loro
aspetto ricorda quello di un fiore perché presentano delle piccole
protuberanze simili a dei petali, e sono suddivisi in tracce
concentriche e settori longitudinali.
Anche se la nozione dei chakra
appartiene alla tradizione indiana, la loro funzione è stata
associata dalla medicina esoterica al lavoro svolto dai meridiani,
ossia i canali di energia noti alla medicina tradizionale cinese, che
hanno natura essenzialmente elettrica e si occupano di assorbire dal
cibo e dall'aria inspirata quel tipo di energia conosciuta in India
come prana, la più vicina al livello materiale. La funzione dei
sette chakra principali non è quella di assorbire il prana, come
erroneamente si reputa, ma di svolgere una funzione di controllo sui
suddetti meridiani. Essi appartengono inoltre a un tipo di energia
superiore, che essi trasformano e trasmettono a un livello inferiore,
fornendo alla persona le vibrazioni necessarie alla costruzione della
sua dimensione psichica. Il lavoro dei chakra principali consiste
cioè nel processo di formazione di pensieri e sentimenti funzionali
alla crescita spirituale. I chakra secondari invece si limitano
soltanto alla raccolta e fuoriuscita dell'energia dei meridiani.
Ognuno dei diversi corpi esoterici
dell'uomo sarebbe dotato di chakra principali, i quali si ripetono a
ogni livello fungendo così da collegamento. Sotto il centro del
vortice di ogni chakra si diparte infatti uno stelo posteriore, con
cui viene trasmessa l'energia ad esempio dal corpo astrale a quello
eterico. Accanto a questa funzione di assimilazione passiva
propriamente yin, ne esiste un'altra di tipo yang,
costituita da un secondo stelo da cui viceversa fuoriesce l'energia
non elaborata. A differenza dell'opinione secondo cui i diversi
chakra sarebbero alternativamente l'uno yin, l'altro yang,
ognuno dei sette chakra principali possederebbe quindi funzioni sia
yin sia yang. Il canale di entrata si trova nei punti
già noti situati sulla parte anteriore del corpo umano, quelli di
uscita invece sulla parte posteriore, cioè sulla schiena e sulla
nuca.
Nel dettaglio, ogni singolo chakra si
occupa dunque di un particolare aspetto psichico, a cui è associata
sul piano corporeo una ghiandola ormonale:
Il primo chakra, detto anche della
radice, attiene alla volontà di sopravvivenza e alla
soddisfazione degli istinti primari, come il mangiare, il dormire, e
l'aspetto meramente fisico della sessualità finalizzato alla
riproduzione. Sul piano corporeo esso corrisponde ai surreni, la cui
parte midollare secerne gli ormoni adrenalina e noradrenalina,
mentre quella della corteccia gli ormoni cortisoidi. Essi
garantiscono l'adattabilità nelle situazioni di pericolo e la
capacità di adattamento a sforzi particolarmente intensi.
Il secondo chakra, detto sacrale
o sessuale, è maggiormente in relazione con la sessualità e
con la sua componente emotiva, ma anche con la creatività, il senso
della bellezza, e l'autostima. Sul piano fisico corrisponde alle
ghiandole germinali, che influenzano lo sviluppo dei caratteri
sessuali.
Il terzo chakra, detto ombelicale,
situato nella zona del plesso solare, attiene al desiderio di potere
e alla volontà di manipolare il mondo per trovare il proprio posto
nella società. Per la sua capacità di assimilare e riadattare
quello che la vita propone, esso è collegato alle funzioni
digestive e in particolare col pancreas, ghiandola esocrina che
contiene anche delle cellule endocrine, responsabili della
produzione di insulina e glucagone.
Il quarto chakra, detto del
cuore, è associato all'amore e alla capacità di amare
incondizionatamente. Esso è leggermente spostato verso sinistra
rispetto agli altri chakra situati lungo la verticale che va dal
capo all'addome. La ghiandola a cui corrisponderebbe è il cuore,
che può essere inteso in effetti come organo endocrino,
responsabile della produzione dell'ormone atriale natiuretico
(atrial naturetic factor, abbreviato in ANF), sul quale
tuttavia non c'è ancora una letteratura medica. Secondo altre
opinioni, il chakra del cuore corrisponderebbe alla ghiandola del
timo, anche se questa non si trova propriamente in corrispondenza di
esso e tende inoltre a perdere la sua influenza superata la pubertà.
Il quinto chakra, detto della
gola, attiene alla capacità di comunicare e alle
svariate forme di espressione come la musica, la danza, l'arte, e in
generale col ritmo. Sul piano fisico corrisponde alla tiroide, che
scandisce il tempo interno della crescita e del metabolismo.
Il sesto chakra, detto della
fronte, riguarda la capacità di comprendere la realtà
vibratoria sovrasensibile, ed è quindi in relazione con le facoltà
di intuizione e di visione delle entità normalmente non
percepibili. A esso è collegato in effetti anche il cosiddetto
terzo occhio. A livello fisico corrisponde all'ipofisi, che esercita
un'influenza su tutte le altre ghiandole endocrine.
Il settimo chakra, detto della
corona, è ritenuto la sede dell'illuminazione in cui l'Io
individuale si congiunge con quello cosmico universale, determinando
le esperienze mistiche di pace e beatitudine. A livello corporeo è
associato all'epifisi, la cosiddetta ghiandola pineale, la cui
funzione, non ancora del tutto chiarita, sembra in relazione con la
capacità di adattamento ai ritmi del giorno e della notte, e in
generale con i processi di crescita e invecchiamento.
La terapia dei chakra si è rivelata
utile nei casi resistenti a forme di cura dei meridiani come
l'agopuntura, tuttavia la loro manipolazione fine a se stessa, a
scopi meramente evolutivi, senza una lunga e adeguata preparazione,
può comportare stati repentini di autocoscienza che il corpo non è
in grado di sostenere determinando gravi disfunzioni fisiche, anche
letali, a cui la medicina tradizionale non può fare fronte.
Particolarmente pericoloso è il risveglio di Kundalini, una forza
incontrollabile che soltanto gli
yogi più esperti decidono di
ridestare per lo più al termine della loro vita.
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