I termini ikiryō,
o shōryō,
seirei,
ikisudama
(生霊,
lett. "fantasma vivente", "eidolon"), nelle
credenze popolari e nella fiction giapponesi, si riferiscono ad uno
spirito che lascia il corpo di una persona vivente e va a
perseguitare altre persone o luoghi, a volte a grande distanza. I
termini sono usati in contrasto a shiryō,
che si riferisce invece allo spirito di un defunto.
Introduzione
Il credo popolare che lo spirito umano
(o anima) possa allontanarsi dal corpo ha origini antiche, con
testimonianze dirette ed esperienze (infestazioni, possessioni,
esperienze extracorporee) riportate in testi aneddotici e di fiction.
Si dice che gli spiriti vendicativi (怨霊
onryō) dei vivi possano infliggere maledizioni
(祟りtatari)
all'oggetto della loro ira vendicativa trasformandosi in ikiryō.
Si ritiene che nel caso in cui il perpetratore provi un sufficiente
rancore, la sua anima (o parte di questa) lasci il corpo, apparendo
alla vittima per maledirla o farle del male, un concetto non tanto
dissimile dal malocchio. Si trovano notizie di ikiryō anche
nelle scritture Buddhiste, dove sono descritti come "spiriti
viventi" che, se fatti infuriare, possono lanciare maledizioni,
anche poco prima della loro morte. Si crede inoltre che la
possessione sia un altro mezzo con il quale gli ikiryō possono fare
del male, con la persona posseduta ignara del processo. Tuttavia,
secondo la mitologia, l'ikiryō non agisce necessariamente per
astio o vendetta; ci sono infatti racconti di ikiryō che non
serbano rancore o non rappresentano una reale minaccia. Tra gli
esempi attestati, a volte lo spirito può lasciare il corpo (spesso
subito prima della morte) per manifestare la propria presenza ai
propri cari, amici e/o conoscenti.
Storia
L'ikiryō, in questo caso
denominato ikimitama, fa la sua comparsa in un diario del
periodo Muromachi, il Chikanaga kyōki (親長卿記),
scritto da Fujiwara no Chikanaga (1419-1497) dopo il suo ritorno alla
capitale nel 1470. Il testo narra di una festività shintoista
chiamata ikimitama no matsuri, dedicata alla venerazione degli
spiriti viventi. La cerimonia, secondo il diario, è svolta da uno
dei figli dell'Imperatore nel ventunesimo giorno del settimo mese del
1476, anno ottavo dell'era Bunmei (1469-1487). Nella sua opera del
1702 Nenzan kibun (年山紀聞)
Andō Tameaki si riferisce a questo passaggio del diario, scrivendo
che si deve trattare di una cerimonia dedicata alla venerazione degli
ikimitama dei genitori, fratelli e sorelle maggiori del figlio
dell'Imperatore, tutti in vita. Scrive inoltre che la cerimonia ha
origini più antiche dell'era Bunmei, e affonda le proprie radici
nella venerazione degli spiriti dei defunti, gli stessi venerati in
occorrenza dell'Obon.
Sempre in riferimento alla stessa
cerimonia, Washio Takayasu racconta nel proprio diario Nisuiki (二水記)
che una celebrazione fu svolta dai principi Imperiali e da dignitari
di corte nel 1517, anno quattordicesimo dell'era Eishō (1504-1520),
scegliendo un giorno di buon auspicio dall'ottavo al tredicesimo del
settimo mese. Tanikawa Kotosuga (1706-1796) in un passaggio della sua
opera Wakun no shiori (和詩栞)
indica come ulteriore riferimento il Shiki monogatari (四季物語,
"Racconti delle quattro stagioni"), scritto nel XII secolo
dal famoso Kamo Chōmei, nel quale si parlerebbe della stessa
cerimonia nel settimo mese, descrivendola come una delle più
importanti festività dedicate agli spiriti e alle offerte a loro
dedicate (tamamatsuri), anche più importante di quelle di
fine anno. Tanikawa inoltre aggiunge che la festività ikimitama-e
del proprio periodo (il XVIII secolo) deriva direttamente da quella
descritta da Kamo Chōmei, e che in origine il cibo dato in offerta
alle anime dei propri genitori in vita prendeva il nome di ikimitama.
È interessante notare che l'unica differenza tra il nome della
festività e quello del cibo offerto è nella scrittura, composta da
kanji (gli ideogrammi giapponesi) diversi, rispettivamente 生霊
e 生見玉 o 生身玉.
Nel Kokushi daijiten (國史大辭典),
un'enciclopedia della storia giapponese scritta nel 1908, si citano
queste tre grafie più una quarta (生御靈).
L'autore della voce scrive anche che il rituale si basa sulle
scritture del sūtra buddhista Avalambana o Ullambana, ha
origini incerte ma risale a tempi più antichi in cui veniva
celebrato dal popolo, e solo in seguito dalla corte.
Nel diario del XV secolo Chikamoto
nikki (親元日記) compare per
la prima volta come festival della classe militare nel settimo mese
degli anni 1465, 1473 e 1481, mentre lo troviamo a corte prima nel
1476 grazie al diario Chikanaga kyōki citato in precedenza, quindi
nel 1495, di nuovo citato in un diario.
Il rito, inizialmente svolto dal popolo
che faceva visita al luogo in cui era celebrato, si trasforma in
seguito in un ricevimento su invito. Nel giorno designato, le dame
vestite di seta sottile ricevono una coppa di vino, e successivamente
gli uomini vengono chiamati a svolgere la cerimonia con sei o sette
coppe di vino. Da altre testimonianze si ricava che la cerimonia
variava a seconda delle corti e dei palazzi in cui era svolta, e che
solitamente includeva un banchetto e diversi doni.
Nel sūtra buddhista Avalambana
si trovano le radici della cerimonia: è scritto infatti come Buddha
ordini che nel settimo mese cibo e bevande gli debbano essere offerte
dai figli per il bene dei propri genitori, per assicurare loro la
rinascita in un paradiso di felicità perfetta. Passando attraverso
il culto degli antenati, molto forte in Giappone, questa scrittura è
poi stata reinterpretata come offerta agli spiriti degli stessi
genitori ancora in vita, e spiega i doni e il banchetto presenti nel
rito.
Letteratura classica
Nella letteratura classica, nel Genji
monogatari (ca. 1000-1010) si narra di un noto episodio di ikisudama
(la lettura più arcaica del termine ikiryō) che emerge
dall'amante di Genji, la Dama Rokujō, e tormenta la moglie incinta
di Genji Aoi no Ue, causandone la morte per parto. Questo spirito è
anche ritratto in Aoi no Ue, l'opera di teatro Nō che narra la
stessa trama. Dopo la sua morte, la Dama Rokujō diventa un onryō
e continua a tormentare le successive consorti di Genji, Murasaki e
Onna-sannomiya.
Nel periodo Heian, un'anima umana che
lascia un corpo e se ne allontana è descritta dal verbo classico
akugaru, che significa allontanarsi. Nel Genji monogatari, il
turbato Kashiwagi teme che la sua anima possa vagare (akugaru),
e richiede che alcuni rituali siano eseguiti sul suo corpo per
fermare questo processo nel caso in cui si verificasse.
Si ipotizza che la prima comparsa
dell'ikisudama della dama Rokujō sia nel capitolo intitolato
a Yūgao, fiamma del principe Genji che attira il rancore dell'altra
dama sua amante. Durante l'unica notte che Yūgao e Genji passano
insieme, la donna comincia a stare male e muore quasi subito dopo
senza nessun motivo apparente, scatenando in Genji l'ansia che essa
sia stata posseduta da uno spirito malvagio.
In seguito la dama Rokujō,
continuamente trascurata da Genji, viene umiliata pubblicamente
durante una parata dai servitori di un'altra dama, la sposa di Genji
Aoi, a cui è intitolato il capitolo. Questo evento scatena
nuovamente il suo ikiryō (contro la sua stessa volontà), che
tormenterà e ucciderà Aoi durante il parto. Gli attacchi di cui
soffre Aoi sono riconosciuti come opera di uno spirito vivente
appartenente a Rokujō dopo che questa parla attraverso Aoi,
esprimendosi con una voce che non le appartiene. Rokujō nel
frattempo sogna di percuotere una donna e si rende conto con orrore
del delitto commesso.
L'antologia medievale Konjaku
monogatarishū contiene la storia breve di "Racconto di un
ikisudama della Provincia di Afumi, che venne nella capitale e
uccise un uomo". Nell'episodio, un cittadino comune incontra una
nobildonna e le fa da guida fino alla casa di un Vice Ministro degli
Affari Pubblici (民部大夫
Minbu-no-taifū) nella capitale. La guida ignora che
sta conducendo l'ikiryō di una donna al marito che l'ha
trascurata. Arrivati alla casa la dama scompare, nonostante i
cancelli siano chiusi. Dall'interno della dimora provengono urla e
lamenti. La mattina seguente la guida viene a sapere che il padrone
di casa si era lamentato del fatto che l'ikiryō della moglie
fosse presente e gli causasse malattia, ed era morto poco dopo. La
guida in seguito va alla ricerca della casa della dama nella
provincia di Afumi, anche chiamata Ōmi. Lì la donna parla al
protagonista attraverso un paravento, riconoscendogli i servigi del
giorno prima e dandogli grandi quantità di seta in dono.
L'ikiryō può anche possedere
l'oggetto della sua infatuazione, quindi non un suo rivale o nemico.
In "Lo spirito Matsutōya", un racconto che è riportato
come tratto da eventi realmente accaduti durante l'anno 14 o 15
dell'era Kyōhō (1729-1730), un mercante di Kyōto di nome Matsutōya
Tokubei (松任屋徳兵衛) ha
un figlio adolescente di nome Matsunosuke posseduto dagli spiriti di
due donne che lo amano, e che gli tormentano la coscienza. A volte lo
si trova sospeso a mezz'aria, mentre conversa come se le due ragazze
fossero lì presenti, le parole dei due ikiryō pronunciate da
lui stesso. Alla fine la famiglia cerca aiuto da Zōkai, un rinomato
sacerdote. Il sacerdote riesce in seguito a succedere nell'esorcismo
e cura la condizione del ragazzo, ma ormai le voci a riguardo si sono
diffuse.
La raccolta di racconti horror kaidan
Sorori Monogatari (曾呂利物語)
(pubblicata nel terzo anno dell'era Kanbun, o 1663) include la storia
di una donna il cui ikiryō assume la forma della propria
testa tagliata, un tipo di yōkai conosciuto anche come
nukekubi. Una notte, un uomo che viaggia verso Kyōto arriva
ad un luogo di nome Sawaya a Kita-no-shō nella provincia di Echizen
(ora Fukui), dove pensa per errore di aver visto una gallina volare
dalla base di una torre di pietra nelle vicinanze fin sulla strada.
La gallina immaginata è in realtà (o si è trasformata in) una
vivace testa mozzata di donna. Quando la testa gli sorride, lui la
attacca con una spada, e la insegue fino ad una dimora nella capitale
della provincia. Dentro la casa, la casalinga si sveglia da un incubo
in cui era inseguita da un uomo che brandiva una spada. La testa
vagante rappresenta, secondo il titolo del racconto, i mōnen
(妄念) della donna, ovvero i
suoi pensieri ribelli e le sue ossessioni. La donna in seguito si fa
monaca per scontare i propri peccati. Il titolo della storia è
"Storia di mōnen di una donna che si perdono e vagano"
(女のまうねんまよひありく事).
Leggende del folklore
Spiriti regionali di persone prossime alla morte
Avvistamenti di ikiryō
appartenenti a coloro la cui morte è imminente sono attestati in
tutto il Giappone. Sono molte le storie di spiriti che si
materializzano (o manifestano la loro presenza in altri modi) ai
propri cari, come per esempio i famigliari più stretti. Coloro che
ricevono la visita hanno una premonizione metafisica della morte
della persona in questione, prima che arrivino notizie concrete del
suo decesso.
Molti dei termini locali per definire
gli ikiryō sono stati raccolti da Kunio Yanagita e dalla sua
scuola di folklore. Tra questi, i termini tobi-damashi o
omokage, shininbō sono usati nella Prefettura di
Ishikawa in casi isolati, ma non sono utilizzati frequentemente in
altre zone.
Nella tradizione del Distretto di
Nishitsugaru della Prefettura di Aomori, le anime delle persone
prossime alla morte sono chiamate amabito, e si crede che si
allontanino dal corpo e vaghino, a volte producendo un suono simile
ad una porta che si apre.
Secondo Yanagita, tobi-damashi
(飛びだまし) è il termine
equivalente usato nel Distretto di Senboku, nella Prefettura di
Akita. Yanagita definisce il termine come l'abilità posseduta da
certi individui di attraversare il mondo sotto forma di ikiryō.
Si afferma che tali individui abbiano il controllo volontario di
questa loro abilità, diversamente da coloro che sono in grado di
prendere questa forma solo vicino alla morte.
Nel Distretto di Kazuno nella
Prefettura di Akita, un'anima che fa visita alle proprie conoscenze è
chiamata omokage (面影),
ovvero "reminiscenza, traccia", e assume la forma di un
essere umano in vita, nel senso che ha piedi e produce un rumore di
passi, diversamente dall'immagine tradizionale del fantasma in
Giappone, che è senza gambe e piedi.
Yanagita in Tōno monogatari shūi
scrive che nella regione di Tōno nella Prefettura di Iwate "i
pensieri dei morti o dei vivi si fondono in una forma che cammina, e
appare all'occhio umano come un'illusione che in questa regione è
chiamata omaku." Un esempio di questa credenza è quello
che racconta di un'attraente ragazza di 16 o 17 anni, gravemente
malata di "male da freddo" (傷寒
shōkan, probabilmente febbre tifoide). La ragazza
viene vista vagare nel cantiere di ricostruzione del tempio Kōganji
a Tsujibuchi nei giorni precedenti la sua morte.
Nel Distretto di Kashima a Ishikawa
nella Penisola di Noto, un folklorista ha attestato il credo negli
shininbō (死人坊),
che si dice appaiano due o tre giorni prima della morte di qualcuno,
il quale viene avvistato mentre va a visitare il danna-dera
(il tempio di famiglia, anche detto bodaiji). Si crede che il
tempio sia il luogo di riposo definitivo dello spirito, il quale vi
trova il suo posto tra gli antenati.
Anime sotto forma di fiammelle
Ci sono casi in cui l'ikiryō
appare come un'anima sotto forma di fiammella fluttuante, una sorta
di fuoco fatuo (o luce atmosferica fantasma) conosciuto in Giappone
come hitodama o hidama. Tuttavia, non è inusuale
associare questo tipo di fiamma all'anima di una persona vicina alla
morte, visto il concetto tradizionale per cui l'anima si allontana
dal corpo per un breve periodo (solitamente di qualche giorno) prima
o dopo la morte. Di conseguenza, le fiammelle pre-morte nelle opere
che trattano di fantasmi potrebbero non essere classificate come casi
di ikiryō , ma associate al fenomeno degli hitodama.
Lo studioso di folklore Ensuke Konno descrive casi di oggetti di
colore giallastro iridescente simili a palloncini che fluttuano,
presentandoli come presagi di morte. I residenti di Aomori nel
Distretto di Shimokita chiamano questi fenomeni tamashi (タマシ),
"anime", lo stesso termine di uso comune da parte della
popolazione locale della frazione di Komena, nel comune di Ōhata. Si
dice che un bambino sia morto in ospedale a causa delle ferite
sostenute in una caduta da un ponte in bicicletta il 2 Aprile 1963
dopo aver visto una di queste luci mentre si dirigeva verso il Monte
Osore.
Un caso di hitodama considerato
da un folklorista come appartenente al discorso sugli ikiryō
si trova nel Tōno monogatari e ricorda da vicino il racconto della
testa di donna dal Sorori monogatari menzionato in precedenza, in
quanto l'individuo che ha assistito all'apparizione dell'anima l'ha
seguita senza sosta fino a trovare il proprietario dell'anima, il
quale ha poi affermato di aver vissuto l'intero avvenimento in sogno.
L'individuo lavorava all'ufficio comunale di Tōno, e una notte
riferì di aver visto un hidama emergere da una stalla e
"svolazzare" all'interno dell'entrata all'edificio.
Dichiarò di averlo inseguito con una scopa, e averlo intrappolato
sotto un lavandino. Poco dopo fu chiamato di fretta a visitare lo zio
in punto di morte, ma si assicurò prima di liberare la palla di
fuoco. Venne presto a sapere che suo zio era appena morto, ma questo
tornò in vita brevemente per accusarlo di averlo inseguito con una
scopa e catturato. Allo stesso modo, gli archivi folkloristici di
Umedoi, nella Prefettura di Mie (ora parte di Inabe), riportano
l'episodio di un gruppo di uomini che, a notte fonda, videro e
inseguirono una palla di fuoco fino ad un magazzino di sake,
svegliando una domestica che dormiva all'interno. Questa più tardi
dichiarò di "essere stata inseguita da tanti uomini ed essere
fuggita" per trovare riparo nel magazzino.
Ikiryō come malattia
Durante il periodo Edo vi era la
credenza in una condizione detta rikonbyō (離魂病),
"malattia da separazione dell'anima", per la quale l'anima
non solo si separa dal corpo, ma assume la forma e apparenza di chi
ne soffre. La condizione era anche conosciuta come "malattia
dell'ombra" (影の病,
kage no yamai, scritto anche カゲノワズライ,
kage-no-wazurai).
Questa malattia è trattata come caso
di ikiryō da Konno nel suo capitolo sull'argomento. L'esempio
è quello di Yūji Kita, perseguitato dal kage no yamai per
tre generazioni in successione, episodio riportato nelle Ōshu
banashi (奥州波奈志,
Storie dell'estremo nord) di Tadano Makuzu.
Il sosia identico potrebbe essere visto
da chi soffre della malattia o da altri, ed essere classificato come
un fenomeno di doppelgänger. Altri hanno riferito esperienze
extra-corporee nelle quali la loro coscienza abita l'ikiryō
in modo che essi vedano il proprio corpo senza vita.
Attività o fenomeni simili
L'ushi no koku mairi (丑の刻参り)
ovvero "visita nell'ora del bue" è un rituale per cui chi
pianta un chiodo in un albero sacro nell'ora del bue (dall'una alle
tre di notte) diventa un oni, e con i poteri acquisiti scaglia
maledizioni e sfortune sul proprio rivale. Nonostante gli ikiryō
siano generalmente spiriti di umani che lasciano il corpo
inconsciamente, anche azioni quali lo svolgimento di rituali magici e
il tormento intenzionale di un obbiettivo possono essere interpretati
come forme di ikiryō. Allo stesso modo, nella Prefettura di
Okinawa, svolgere un rituale magico con l'intenzione di diventare
ikiryō è definito ichijama.