I cinesi sono aperti, facili da conoscere, anche se ruvidi e spesso a nostro vedere invadenti. I giapponesi sono un enigma, anche per chi li conosce bene.
In Cina le strade hanno un nome, le case numeri, I quartieri sono strutturati in modo simile al nostro attorno ad una piazza. Niente piazze in Giappone. Entri in casa (fatta in muratura, non in legno) e trovi i pavimenti, sedie e tavoli. In Giappone nessuna di queste cose esiste. Quando mangi in Cina almeno riesci ad identificare quello che hai nel piatto. In Giappone il più delle volte ti domandi cosa diavolo sarà mai quello che ti viene offerto. Qualcuno avrà mangiato penso quella gelatina trasparente che giapponesi chiamano Konnyaku. Cosa è questo? Carne, pesce, verdura? Il sacchetto che si vede al centro? Di cosa è fatto? Se maggna?
Per molti versi, insomma, la Cina è più simile all’Italia che al Giappone. Ha strutture di potere riconoscibili. Nel caso del Giappone non è così. Non ho mai letto una spiegazione convincente del perché il Partito Liberaldemocratico sia al potere quasi ininterrottamente dagli anni ’50. L’esperienza mi insegna che in questi casi la ragione sta nella tradizione giapponese, non in fattori economici o politici contemporanei.
In Giappone trovi un popolo e una civiltà caratterizzati dall’isolamento. Le pialle tagliano quando le tiri e non quando le spingi (come le seghe del resto).
Il paese, nel bene nel male, si è sviluppato sempre a modo suo. Ha un sistema religioso unico basato su due religioni non solo completamente diverse ma incompatibili che si sono ciononostante parzialmente fuse. Parla una lingua del tutto differente da quelle di tutti i paesi che la circondano, salva la Corea.
I guerrieri giapponesi sono giustamente famosi per la loro ferocia ed efficienza. Però facciamo attenzione ad un dettaglio. Salvo due o tre brevi episodi in Corea, il bushi giapponese ha sempre combattuto guerre civili, uccidendo altri giapponesi.
La testa che il samurai agita è di un altro giapponese. Paragonateli agli uomini d’affari occhialuti che vedete nell’industria e politica del Giappone.
Dal di fuori i giapponesi appaiono monolitici ma così non è. Nonostante siano per certi versi anche troppo fieri del loro paese, il loro senso della nazione e della sua sovranità è incompleto ed immaturo. Chi è interessato può leggere The Enigma of Japanese Power di Karel van Wolferen, che parla diffusamente dell’argomento.
La ragione per cui il senso di nazione dei giapponesi lascia desiderare è il fatto che ritengono di dovere fedeltà al proprio clan prima che al proprio paese. In altri termini, per alcuni versi la società giapponese è ancora tribale, con le conseguenze prevedibili. Hōjō Masako, moglie del primo shōgun Minamoto no Yoritomo, è uno splendido esempio. Madre di due figli, li sacrificò alle ambizioni del proprio clan con una decisione che non deve esserle stata facile. Ma il clan viene prima di tutto, anche di te stesso, se necessario.
La “unificazione” del paese attuata da Tokugawa Ieyasu nel 1600 vincendo a Sekigahara portò a termine circa 100 anni di guerra civile ininterrotta. Questa unificazione e pacificazione, importante come era, era però solo solo parziale. Un passo in avanti, ma non la meta. I Tokugawa infatti regnavano con la pura superiorità militare sugli altri signori feudali—daimyo—che avevano in teoria più o meno il loro stesso status. I Tokugawa erano primi inter pares
Che la /-, e non il diritto, fosse alla base del sistema, in altri termini, che la violenza fosse necessaria per puntellare un governo centrale non avvertito come legittimo, è facile da dimostrare. Tutti i daimyo assoggettati dai Tokugawa dovevano o essere ostaggi a Edo (il vecchio nome di Tokyo) o farsi sostituire (come ostaggio) da un parente stretto.
Poco è cambiato. Sostituite ai Tokugawa il Partito Liberaldemocratico, ai rappresentanti delle province a Tokyo ai daimyo ed otterrete la situazione attuale.
Lo shogunato era una soluzione tribale, che non aveva neppure in sé meccanismi di rinnovo o trasferimento del potere.
Nel Giappone di oggi le cose funzionano ancora—solo in parte—così. Uno che lavora per il giornale Yomiuri Shinbun non legge che lo Yomiuri. L’azienda per cui si lavora è il suo clan e va posta al di sopra della famiglia e degli interessi personali. Un altro esempio sono i ministeri del governo, famosi per combattersi a vicenda, anziché collaborare. Ciascuno è un clan a sé e non deve obbedienza e nessuno. Il vecchio sistema sopravvive, ma molto attenuato. La pace sociale è indispensabile per uno sviluppo lineare, e l’indebolimento del tribalismo che vediamo in Giappone oggi era indispensabile ed inevitabile. Nei quaranta anni che ho passato in questo paese questo indebolimento è continuato, ma non è ancora arrivato alla meta.
Questo paese è così diverso che parlarne in lingua diversa dal giapponese è in sé problematico. Parole grosse? No. Parole banali come casa, famiglia, antenati nascondono insidie inaspettate.
In Giappone si scrive in un modo inaudito. Si usano contemporaneamente un alfabeto, quello romano, due sillabari da quasi 50 simboli ciascuno usati in modo a dir poco eccentrico (per esempio la durata di una consonante non viene indicata con un carattere apposito ma col carattere tsu ツ più piccolo del normale. Niente spazi, niente maiuscole e minuscole) ed infine da migliaia di caratteri cinesi.
I giapponesi sono un popolo paradossale. Sembrano diversi, ma sono molto più diversi di quanto noi pensiamo. È possibile vivere in questo paese per decenni ed ignorarne caratteristiche fondamentali. Parlo anche di me stesso. Un esempio? La maggior parte degli stranieri non sa che l’imperatore non è e non è mai stato un capo politico ma religioso. Sarebbe in caso più vicino al papa che a Cesare, ma meglio ancora non è fare paragoni, perché il Figlio del Cielo è qualcosa di più. Ho scritto in proposito, rimando a quegli scritti. In breve, la figura del Figlio del Cielo è legata, come tutto il resto, al culto degli antenati, un’altra delle cose che il 99.9% degli stranieri residenti in questo paese o non conosce o non comprende veramente. E anche qui parlo anche per me.
I giapponesi vengono spesso creduti automi. In realtà sono profondamente emotivi. Un atleta giapponese, sia maschio che femmina, di solito quando vince piange.
In Giappone le cose parlano. Si fanno funerali per fotografie, bambole e pennelli. Gli specchi sono oggetto di culto ed è comune a trovarli in un santuario Shinto, ma al tempo stesso sono temuti. Ancor oggi le ragazze volgono gli specchi verso il basso quando non li usano. Ciò viene fatto per due ragioni. Primo, proteggere la superficie dello specchio da abrasion. Secondo, evitare che dallo specchio esca … cosa? Chissà. Meglio non scoprirlo.
In Italia, come in tutta l’Europa e
gli Stati Uniti, ha avuto un certo successo un libro di Marie Kondo
sull’economia domestica che contiene frasi come questa.
“Non
mettete nello stesso cassetto mutande e calzini. Tutti noi preferiamo
stare con i nostri simili ed i calzini non sono diversi.” I calzini
hanno dunque una vita sociale?
“Non mettete i calzini uno sopra l’altro. A voi piacerebbe essere l’ultimo di una pila, in fondo ad un cassetto, senza aria e senza luce?”Marie è convinta anche che sia necessario toccare le cose per riceverne quella che chiama “energia”. In Giappone il suo punto di vista, decisamente animista, è normale.
La gente tratta le macchine come se
fossero bambini. Un termine comune per”macchina” è kono ko
(この子), letteralmente
“questo bambino.”
Negli uffici si dicono cose come “Questo
bambino (una stampante a laser) ha lavorato tutto il giorno oggi.
Lascialo riposare.”
Si potrebbe pensare sia solo un modo di dire, ma nessuno parla mai di comprare un’automobile mentre sta guidando la macchina che vuole sostituire. Sarebbe pericoloso, si dice.
Molti europei, anche specialisti, parlano di “spiritualità giapponese”. Il termine mi prende alla sprovvista perché, lungi dal pensare che il senso della vita stia in quanto non si vede, i giapponesi sono convinti che quanto non si vede sia identico a quanto si vede. Lo spirituale non esiste. Esistono esseri visibili ed esseri invisibili, che è molto diverso.
Vendono cibo per bambole, si chiama hina arare. Lo vedete in questa foto fatta a casa di una amica. Solo simbolico? Può darsi, ma allora dovete spiegarmi perché tante persone, mia moglie compresa, ha paura delle bambole. Mia moglie si è rifiutata più di una volta di andare a vedere mostre di bambole. Ci sono templi buddisti che faanno funerali alle bambole. Spesso le bambole, prima di venire gettate, vengono bendate perché non possano tornare indietro.
I giapponesi hanno il terrore degli spettri. Con tutto ciò questo è un paese ultramoderno e la terza economia del mondo.Per mettere le cose in prospettiva, il Giappone e la Cina hanno economie di dimensioni paragonabili, ma il Giappone ha circa un decimo della popolazione cinese.
Con tutta la sua tendenza per la magia, gli spettri ed i sortilegi i giapponesi sono padroni supremi ed incontrastati della materia. Ancora oggi gli artigiani giapponesi, ad esempio i calzolai, dominano le fasce alte del mercato.
Fino a qualche tempo fa a Hokkaido una azienda era la sola a produrre lingotti in acciaio da 500 tonnellate monolitici che svuotava ricavandone gusci per reattori nucleari. Alla sua porta arrivavano stati sovrani e aspettavano il loro turno, come tutti.
La storia del Giappone è altrettanto straordinaria. Maciamo Hay ha determinato di recente che tutti i daimyo discendevano per un verso o per l’altro dall’imperatore. Potreste quindi aspettarvi che venisse trattato bene, ma questo non è il caso. Essere imperatori non era un mestiere invidiabile e la mortalità nella famiglia imperiale era sempre superiore a quella solita. L’imperatore era vittima, più che autore, della politica.
Si mormora, ma non si sa per certo, che la famiglia imperiale non abbia il diritto di fare libero uso e di possedere telefoni. Non troverei strano se così fosse. Fra l’altro, la dinastia di imperatori attualmente al trono è illegittima perché installata con la violenza dallo shōgun Ashikaga Takauji, e nessuno trova nulla da ridire. L’imperatore, all’estero simbolo del militarismo giapponese, è un uomo che ha dedicato la sua vita all’antimilitarismo.
POLITEISMO
Mi accorgo di ripetere sempre le stesse cose, ma questo è perché mi sembrano le più importanti e le più trascurate dagli stranieri. Chi si inteessa di buddismo giapponese e ignora queste cose lo fa a suo rischio e pericolo.
Vorrei ricordare che sono un autodidatta e non ho alcuna pretesa se non quella di aprire una via ed avviare un discorso. Mi basterebbe sapere di aver messo una pulce in qualche orecchio.
Un aspetto interessantissimo del Giappone è il suo politeismo. Capire come funziona aiuta a comprendere non solo il Giappone ma molte altre cose, la storia romana inclusa.
La visione del mondo dei giapponesi credo sia questa.
Il postulato fondamentale è che ESISTE SOLO UN MONDO, QUELLO CHE ABITIAMO. NIENTE ALTRO. Il concetto non è ragionato, ma istintualmente preso per valido.
Un corpo morto ed uno vivo sono due cose molto diverse. La persona che ora è morta poco fa dormiva. Qualcosa di essenziale è venuto a mancare, ma il corpo è indistinguibile da prima. Quello che è venuto a mancare è invisibile, Ma non di meno anche troppo reale. L’esperienza della morte ci rivela quindi che parte del mondo materiale è invisibile.
A questo punto ci sono due spiegazioni, ed i giapponesi le adottano ambedue anche se sono mutualmente esclusive. Ambedue partono dal presupposto che il mondo è solo materiale e che il nostro è l’unico mondo che esiste.Non esiste trascendenza.
La prima afferma che la natura è
animata da una forza semplice che pervade ogni cosa. Non è una forza
spirituale ma fisica. Si chiamava un tempo musuhi, ora i miei amici
la chiamano energi, letto energhi, dal. tedesco energie, ma è la
stessa cosa. Questa energia è visibile nel mondo naturale dove si
manifesta nei vari fenomeni. Una famosa definizione dei kami, gli
spiriti giapponesi, dice che tutto quanto colpisce, stupisce,
spaventa o commuove è un kami. Può sembrare una definizione
straonrdinaria, ma invece è molto comune in tutto il mondo. La
energi animava temporaneamente i corpi, poi tornava alla
natura.
Questo punto di vista non è scomparso, anzi.
Quello che vedete è un kamidana, un santuario tenuto in casa ed abitato da kami. Quali kami?- Non hanno un nome, né un numero. Sono una quantità non umana e non definita.
Perché incorporeo, un kami ha bisogno di un corpo da occupare, di solito un solo oggetto che gli dà un minimo di definizione. In cucina ad esempio esiste il kami di una pentola, di un’altra, del riso, di ciascuna delle sedie e così via. Non solo non sono umani, ma non sono neppure umanoidi.
Il buddismo poi ha portato il concetto di kami antropomorfo. Questo è molto simile ad un dio romano. E’ stato solo in Giappone che ho capito quanto negativo sia chiamare gli dei romani e quello cristiano con lo stesso nome, perché questo preclude la comprensione degli dei romani. Scusate la goffaggine, ma non è semplice spiegare queste cose con vocabolario inadeguato. Userò la parola latina deus per definire un dio politeista. Un deus non ha natura divina nel senso cristiano. Fa parte del nostro mondo, mangia, beve, dorme, è in tutto e per tutto come noi, solo che ha un potere particolare che a noi può interessare o meno. Quali deus sono importanti e quali no dipende da te. Se sei un contadino, il deus della pioggia ti interessa, quello del fuoco no. Se fossi un fabbro sarebbe vero il contrario. Un deus che non interessa a nessuno può venire ignorato.
Quando il rapporto fra te ed il deus si altera, arrivano avvisaglie sotto forma di problemi. Allora si va al tempio, a fare un’offerta. Se tutto va bene, l’equilibrio ritorna.
Notare che la morale non ha alcun posto in questo modo di vedere le cose. Quello che si cerca è l’armonia col mondo materiale, non il miglioramento della propria anima, che non esiste. I giapponesi hanno sempre avuto problemi ad immaginare un aldilà.
Supponi che io abbia problemi con un concorrente e questo mi querela e vince. Il suo deus tutelare sis è dimostrato più forte del mio. Mi conviene quindi seguire il suo deus, abbandonando il mio.
Ora ripensiamo alla storia romana. Le conversioni in massa barbare non possono che essere state conversioni di questo tipo. Questo spiega la loro velocità e sincerità. Il prezzo da pagare però è la sopravvivenza del paganesimo in forme come i santi e la madonna, madre ma vergine.
Un esempio concreto lo troviamo in Corea, dove da quasi zero in pochi decenni i cristiani sono diventati la religione dominante. I cristiani coreani fanno uso di sciamani e praticano il culto degli antenati. La loro è una conversione politeista.
Questi concetti sono utilissimi per chi vive in Giappone perché spiegano così tanto del comportamento dei suoi abitanti. La energi in sé non è né buona né cattiva. Se fa morire un tuo nemico è positiva, se lo fa arricchire a tue spese il contrario. Sta a te guidarla.
Il mondo diviene molto complesso e difficile da gestire. La sicurezza che abbiamo noi di sapere dove stiano, come stiano le cose materiali non esiste. Le leggi della natura hanno tutte eccezioni. Questa intera visione del mondo richiede i miracoli e le eccezioni alle leggi della natura.
La morale sorge separatamente, per motivi ovvi. Nessuna società può fare a meno di norme morali che poi sono sempre le stesse. Sorgono spontaneamente dovunque perché necessarie. In Giappone, come in altri paesi tribali, la morale si applicava del tutto solo ai membri del tuo clan.
Gli antenati giapponesi nascono da una
coincidenza straordinaria.
La coltivazione del riso è molto
redditizia ma richiede doti tecniche e quindi classi sociali numerose
e variate. La sua introduzione quindi comporta il diversificarsi
della società e il suo dividersi in gruppi.
Contemporaneamente
all’introduzione del riso, e quindi alla nascita dei clan, il
Giappone arrivò il buddismo col concetto di deus antropomorfi.
Dall’incontro delle due cose nacquero i clan giapponesi basati sul
culto degli antenati.
La mia interpretazione di questo evento è la seguente. I deus buddisti hanno dato all’animismo un modello per la costruzione di antenati semidivini.
La credenza che i morti fossero null’altro che vivi che hanno perso il corpo, comune già da prima, si sposò col concetto di dio antropomorfo, dando vita ai kami tutelari della famiglia, che hanno lasciato un marchio indelebile sulla storia del paese. La storia del Giappone è una storia di clan.
Ma se l’interazione fra coltivazione del riso e l’arrivo del buddismo ha causato lo svilupparsi del clan, se i clan sono la causa principale della disintegrazione del Giappone e dei 1200 anni di continua violenza fra clan prima della seconda riunificazione del 1602, ne consegue che la sanguinosissima storia del GIappone ha una sua causa fondamentale nel buddismo.
CONCLUSIONE
Nel periodo fra il 250 ed il 538 DC il Giappone si unifica per la prima volta ed inizia subito a disintegrarsi. La cosa credo sia dovuta al verificarsi accidentale e contemporaneo di tre eventi, che interagiscono producendo risultati non osservabili altrove. Avverto che sono idee mie. In grassetto le affermazioni che ritengo probabili ma che non posso provare (per ora).
La prima è l’introduzione della coltivazione del riso. Il riso produce molto di più per unità di superficie di altre granaglie, ma richiede tecnologie avanzate e diverse per la costruzione di canali, chiuse, terrazzamenti, ecc. Le società che lo adottano quindi si diversificano, con conseguenti stress che si fanno sentire a lungo.
Il secondo fattore è che in Giappone esistevano già gli embrioni del culto degli antenati ma mancava l’idea del kami antropomorfo che permettesse di divinizzare gli antenati. I kami a quel punto erano forze non umane. Mancava anche un sistema di scrittura che permettesse tabelle dinastiche precise e quindi che consentisse al culto degli antenati di evolversi ed approfondirsi. Il buddismo ha portato tutte e due, permettendo a clan mutualmente ostili (perché basati sul culto degli antenati che pone l’enfasi sul sangue) di dominare il paese, causandone il disintegrarsi e producendo le tensioni che poco alla volta hanno portato all’emergere di una classe guerriera. Questa classeha finito col prendere il controllo dell’economia. Le tensioni hanno avuto il loro apice nei 120 anni precedenti la battaglia di Sekigahara del 1600.
Una volta unificato sotto i Tokugawa, il Giappone era pronto a qualsiasi cosa pur di evitare altre guerre. Nonostante fosse una tetra dittatura ed uno stato di polizia, alla popolazione stava bene perché manteneva la pace nel paese.
La riforma della famiglia, l’ordine confuciano imposto da Tokugawa, l’apertura del paese dovuta all’arrivo dell’Ammiraglio Perry e la sconfitta nel 1945 hanno poi prodotto l’eclisse del Giappone tradizionale e l’emergere del Giappone moderno.