sabato 11 marzo 2017

Yijinjing

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Yijinjing (易筋经; in Wade-Giles I Chin Ching; traducibile come Classico del Cambiamento dei Tendini o dei Muscoli) è un termine delle arti marziali cinesi con cui viene indicato un manuale di esercizi di Qigong e l'insieme degli esercizi salutistici stessi descritti in quel testo.

Storia

Sull'origine dell'Yijinjing vengono tramandate molte storie. Quella più diffusa ne attribuisce la compilazione a Bodhidharma e ne fa un elemento basilare per la formazione dello Shaolinquan. Secondo questa leggenda Bodhidharma arrivò nel Tempio Shaolin e trovò i monaci in cattive condizioni di salute e di forma, perciò insegnò un sistema di esercizi detti Yijinjing per ovviare a queste condizioni. In seguito egli consegnò al suo successore Huike due testi: l'Yijinjing ed il Xisuijing (洗髓经, classico del lavaggio del midollo). Dei due solo il primo è giunto fino ai giorni nostri. Questa tradizione è ritenuta inattendibile da numerosi storici delle arti marziali cinesi, come Tang Hao, Xu Zhen e Matsuda Ryuchi. Questi storici hanno analizzato l'Yijinjing e basano la loro convinzione sulle incongruenze che compaiono nelle due introduzioni al testo, una attribuita a Li Jing, un generale dell'epoca della dinastia Tang, che l'avrebbe scritta nel 628, l'altra attribuita a Niu Gao, un generale dell'epoca della dinastia Song. Esattamente è l'introduzione di “Li Jing” che racconta che Bodhidharma ha fondato lo Shaolinquan e che riferisce che ciò accadeva il decimo anno del periodo Taihe dell'imperatore Xiaoming degli Wei del nord. In realtà il periodo Taihe è quello dell'imperatore Xiaowen e nel decimo anno di quel periodo (487) secondo le ricostruzioni storiche il Tempio Shaolin non esisteva e sarebbe stato edificato ben 10 anni dopo. Secondo Matsuda Ryuchi si può testimoniare sicuramente dell'esistenza dell'Yijinjing solo a partire dal 1827.
Matsuda spiega anche che non si trovano testi sullo Shaolinquan antecedenti al 1900 che attribuiscano questi esercizi a Bodhidharma. Lin Boyuan attribuisce l'Yijinjing al prete Taoista Zining nel 1624. Per alcuni l'Yijinjing sarebbe il risultato di una sintesi di due altri famosi esercizi di Qigong, il Shiba Luohan Shou ed il Baduanjin; secondo un'altra tradizione essi deriverebbero dal lavoro dei contadini nei campi.

Yijinjing 12 figure

Dell'Yijinjing esistono moltissime varianti spesso differenti tra loro per numero di esercizi e per nomenclatura. Quello che segue è un Yijinjing in 12 figure. I nomi italiani sono presi da “Qi Gong” di Carlo Moiraghi ed i corrispettivi cinesi da “Zhongguo chuantong wushu shi”.
Nomi descritti in “Qi Gong” di Carlo Moiraghi
Corrispettivo in ideogrammi e Pinyin
1 Wei Tuo offre l'asta
韦参献杵第一式 Wei can xian chu diyi shi
2 Wei Tuo offre l'asta
韦参献杵第二式 Wei can xian chu dier shi
3 Wei Tuo offre l'asta
韦参献杵第三式 Wei can xian chu disan shi
4 Sostenere il cielo raccogliere le stelle
摘星换斗式 Zhai xing huan dou shi
5 Tirare a sé le code di nove buoi
倒拽九牛尾式 Dao zhuai jiu niuwei shi
6 Sfoderare gli artigli ed aprire le ali
击爪亮翅式 Ji zhao liangchi shi
7 Nove demoni sfoderano i pugnali
九鬼拔马刀式 Jiu gui ba madao shi
8 Sollevare 3 piatti da terra
三盘落地式 San pan luodi shi
9 Il drago azzurro allunga le zampe
青龙探爪式 Qinglong tan zhao shi
10 Tigre acquattata balza sulla preda
卧虎扑食式 Wohu pushi shi
11 Profondo inchino
打躬式 Dagong shi
12 Dimenare la coda
掉尾式 Diaowei shi





venerdì 10 marzo 2017

Taijitu

La versione più comune del Taijitu.



Il Taijitu (太極圖, 太极图, tàijítú, T'ai Chi T'u) è un famoso simbolo della cultura cinese e in particolare della religione taoista e filosofia confuciana. Rappresenta il concetto di yin e yang e l'unione dei due principi in opposizione. Il termine stesso Taijitu, si riferisce a tutti gli schemi e i diagrammi che rappresentano questi due principi. A differenza di come è percepito dal punto di vista occidentale ed in accordo col significato di Taiji, ovvero "trave maestra", grande importanza è data al centro del simbolo, che solitamente non è evidenziato, e cioè nel punto in cui gli opposti si uniscono.
Wu Jianquan, un famoso maestro di arti marziali cinesi, descrisse in questo modo il nome della pratica marziale Taijiquan all'inizio del XX secolo:
«Molte persone hanno offerto differenti analisi del termine Taijiquan. Alcuni hanno detto: "Taiji viene dall'equilibrio di yin e yang. In termini dell'arte di attacco e difesa, nel contesto dei mutamenti del pieno e del vuoto, una persona è, al proprio interno, costantemente latente e esteriormente inespressiva finché yin e yang non vengono divisi". Altri affermano: "In ogni istante il Taijiquan è basato su cerchi, sull'opposizione di principi, proprio come la figura del Taijitu. Quindi, è chiamato Taijiquan". Entrambe le spiegazioni sono valide, in particolare la seconda che risulta più chiara.»



giovedì 9 marzo 2017

Seppuku

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Seppuku (切腹) è un termine giapponese che indica un rituale per il suicidio in uso tra i samurai.
In Occidente viene usata più spesso la parola harakiri (腹切り). La motivazione di questa apparente discrepanza tra l'uso di seppuku e harakiri è chiarita qui di seguito.

Vocabolario ed etimologia

Il seppuku è anche conosciuto come harakiri (腹切り, "taglio del ventre") ed è scritto con lo stesso kanji di seppuku, ma in ordine inverso con un okurigana. In giapponese il termine più formale seppuku, una lettura cinese on'yomi, è usato di solito nella lingua scritta, mentre harakiri, una lettura kun'yomi, è utilizzato nella lingua parlata. Ross nota che:
«Di norma, si considera "hara-kiri" come un termine di uso volgare, ma si tratta di un malinteso. Hara-kiri è la lettura giapponese Kun-yomi dei caratteri; poiché divenne uso comune preferire la lettura cinese negli annunci ufficiali, negli scritti si impose l'uso del termine seppuku. Quindi, hara-kiri è un termine del registro parlato, mentre seppuku è un termine del registro scritto per indicare lo stesso atto.»
(Christopher Ross, Mishima's Sword, p.68)
La pratica di fare seppuku alla morte del proprio signore, nota come oibara (追腹 o 追い腹, il kun'yomi o lettura giapponese) o tsuifuku (追腹, lo on'yomi o lettura cinese), segue un rituale simile.

La tradizione

Il seppuku veniva eseguito, secondo un rituale rigidamente codificato, come espiazione di una colpa commessa o come mezzo per sfuggire ad una morte disonorevole per mano dei nemici. Un elemento fondamentale per la comprensione di questo rituale è il seguente: si riteneva che il ventre fosse la sede dell'anima, e pertanto il significato simbolico era quello di mostrare agli astanti la propria anima priva di colpe in tutta la sua purezza.
Il primo atto di seppuku di cui si abbia traccia fu compiuto da Minamoto no Yorimasa durante la battaglia di Uji nel 1180.
Alcune volte praticato volontariamente per svariati motivi, durante il periodo Edo (1603 – 1867) divenne una condanna a morte che non comportava disonore. Infatti il condannato, vista la sua posizione nella casta militare, non veniva giustiziato ma invitato o costretto a togliersi da solo la vita praticandosi con un pugnale una ferita profonda all'addome di una gravità tale da provocarne la morte.

Il rituale

Il taglio doveva essere eseguito da sinistra verso destra e poi verso l'alto. La posizione doveva essere quella classica giapponese detta seiza cioè in ginocchio con le punte dei piedi rivolte all'indietro; ciò aveva anche la funzione d'impedire che il corpo cadesse all'indietro, infatti il guerriero doveva morire sempre cadendo onorevolmente in avanti. Per preservare ancora di più l'onore del samurai, un fidato compagno, chiamato kaishakunin, previa promessa all'amico, decapitava il samurai appena egli si era inferto la ferita all'addome, per fare in modo che il dolore non gli sfigurasse il volto.
La decapitazione (kaishaku) richiedeva eccezionale abilità e infatti il kaishakunin era l'amico più abile nel maneggio della spada. Un errore derivante da poca abilità o emozione avrebbe infatti causato notevoli ulteriori sofferenze.
Il più noto caso di seppuku collettivo è quello dei "Quarantasette Rōnin", celebrato nel dramma Chushingura, mentre il più recente è quello dello scrittore Yukio Mishima avvenuto nel 1970. In quest'ultimo caso il kaishakunin Masakatsu Morita, in preda all'emozione, sbagliò ripetutamente il colpo di grazia. Intervenne quindi Hiroyasu Koga che decapitò lo scrittore.
Una delle descrizioni più accurate di un seppuku è quella contenuta nel libro Tales of old Japan (1871) di Algernon Bertram Mitford, ripresa in seguito da Inazo Nitobe nel suo libro Bushidō, l'anima del Giappone (1899). Mitford fu testimone oculare del seppuku eseguito da Taki Zenzaburo, un samurai che, nel febbraio 1868, aveva dato l'ordine di sparare sugli stranieri a Kobe e, assuntasi la completa responsabilità del fatto, si era dato la morte con l'antico rituale. La testimonianza è di particolare interesse proprio perché resa da un occidentale che descrive una cerimonia, così lontana dalla sua cultura, con grande realismo.
Anche all'interno di un libro di Mishima, Cavalli in fuga, sono contenute numerose descrizioni di seppuku compiute da alcuni samurai che tentano una insurrezione per restaurare l'ordine tradizionale in Giappone e reintegrare nella pienezza del proprio potere l'Imperatore.
Nel 1889, con la costituzione Meiji, venne abolito come forma di punizione. Un caso celebre fu quello dell'anziano ex-daimyō Nogi Maresuke che si suicidò nel 1912 alla notizia della morte dell'imperatore. Casi di seppuku si ebbero al termine della seconda guerra mondiale tra quegli ufficiali, spesso provenienti dalla casta dei samurai, che non accettarono la resa del Giappone.
Con il nome di Jigai, il seppuku era previsto, nella tradizione della casta dei samurai, anche per le donne; in questo caso il taglio non avveniva al ventre bensì alla gola dopo essersi legate i piedi per non assumere posizioni scomposte durante l'agonia. Anche di ciò è presente una descrizione nel citato libro di Mishima, Cavalli in fuga.
L'arma usata poteva essere il tantō (coltello), anche se più spesso, soprattutto sul campo di battaglia, la scelta ricadeva sul wakizashi, detto anche guardiano dell'onore, la seconda lama (più corta) che era portata di diritto dai soli samurai.

Casi famosi

Una lista di persone che hanno effettuato un seppuku, in ordine cronologico
  • Minamoto no Tametomo (1139–1170)
  • Minamoto no Yorimasa (1106–1180)
  • Minamoto no Yoshitsune (1159–1189)
  • Ashikaga Mochiuji (1398–1439)
  • Azai Nagamasa (1545–1573)
  • Oda Nobunaga (1534–1582)
  • Takeda Katsuyori (1546–1582)
  • Shibata Katsuie (1522–1583)
  • Hōjō Ujimasa (1538–1590)
  • Sen no Rikyū (1522–1591)
  • Torii Mototada (1539–1600)
  • Quarantasei delle Quarantasette Ronin (1703)
  • Watanabe Kazan (1793–1841)
  • Tanaka Shinbei (1832–1863)
  • Takechi Hanpeita (1829–1865)
  • Yamanami Keisuke (1833–1865)
  • Byakkotai (gruppo di giovani samurai) (1868)
  • Saigō Takamori (1828–1877)
  • Nogi Maresuke (1849–1912) e Nogi Shizuko (1859–1912)
  • Chujiro Hayashi (1879–1940)
  • Kunio Nakagawa (1898–1944)
  • Korechika Anami (1887–1945)
  • Takijirō Ōnishi (1891–1945)
  • Isamu Chō (1895–1945)
  • Mitsuru Ushijima (1887–1945)
  • Yukio Mishima (1925–1970)
  • Isao Inokuma (1938–2001)

mercoledì 8 marzo 2017

Shifu

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Shifu (師傅 o anche 師父 (semplificato: 师傅, 师父); Pinyin: shīfu, Cantonese: si fu) è un termine cinese per indicare un maestro (o insegnante). Il carattere (semplificato: ) significa “insegnante” mentre i caratteri e significano rispettivamente “tutore” e “padre”. Entrambi questi caratteri sono pronunciati allo stesso modo in Mandarino ed in Cantonese creando spesso ambiguità.
Il termine shifu sembra essere una variante locale utilizzata prevalentemente nel Sud della Cina. In putonghua shifu è un appellativo informale usato anche per rivolgersi a persone non conosciute, in genere uomini. Il termine è inoltre utilizzato come titolo per persone che svolgono lavori manuali e di manutenzione (ad esempio un meccanico) come a voler mostrare una sorta di rispetto da parte del parlante verso l'abilità acquisita in un certo campo dall'interlocutore (notare che in questo caso parliamo del termine shīfu scritto 師傅). Un caso analogo si riscontra anche in italiano quando, con un'espressione dialettale, ci si appella a qualcuno (similmente a sopra) chiamandolo informalmente "capo" o "dottore".
Generalmente invece, professionisti impegnati in carriere più erudite quali quella di dottore, avvocato, eccetera, vengono molto di rado chiamati shifu. Stesso discorso per professori ed insegnanti accademici in generale. Per tutti questi casi, eccetto che per professioni con un titolo specifico come ad esempio dottore in medicina, si usa spesso il termine 老師 lǎoshī, insegnante (pronuncia Cantonese lou si).

Utilizzo del termine Shifu nelle arti marziali

Tradizionalmente, nelle arti marziali cinesi, il termine era utilizzato per manifestare rispetto nei confronti del proprio maestro. Il suo uso indicava come il rapporto tra maestro ed allievo fosse considerato molto simile al rapporto tra padre e figlio (non a caso infatti qui si parla di shifu scritto 师父, con il carattere , di padre).
C'è da dire, tuttavia, che in putonghua e specie nella Cina del nord, il termine usato per rivolgersi al proprio insegnante di arti marziali è lo stesso usato per rivolgersi a qualsiasi altro maestro di un'altra disciplina, ovvero 老師 lǎoshī.
Uno studente di arti marziali si può rivolgere al proprio insegnante usando il termine shifu solo dopo essere stato "accettato formalmente" da quest'ultimo ed esserne quindi divenuto un discepolo. L'espressione "accettato formalmente" sta ad indicare che si è svolta una cerimonia molto importante tra insegnante ed allievo nota col nome di 拜師, Baishi (semplificato: 拜师). Tramite questa cerimonia lo studente viene accettato dal maestro come suo discepolo e ne diventa quindi un allievo diretto (徒弟, túdì) entrando così a far parte della genealogia dello stile praticato. Di conseguenza, se in futuro il discepolo in questione deciderà di insegnare tale disciplina ed accetterà degli allievi diretti, diventerà per questi ultimi uno shifu dando via ad un nuovo ciclo, e così via.
Per quanto concerne il panorama delle arti marziali cinesi in Italia dunque, se ci si vuole appellare al proprio insegnante usando un termine cinese, sarebbe corretto usare lǎoshī. Inoltre, nel caso che la cerimonia bàishī non sia conosciuta e quindi tantomeno praticata, nell'ambito di tali arti marziali sarebbe meglio eliminare o quantomeno limitare l'uso del termine shifu (o sifu) così da evitare ogni possibile ambiguità e talvolta l'uso di un termine che risulta di fatto scorretto.













martedì 7 marzo 2017

Kaishakunin

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Un kaishakunin (giapponese: 介錯人) è una persona incaricata di fare da secondo durante il seppuku, il suicidio rituale giapponese: è suo compito, nella fattispecie, il kaishaku, ovvero la decapitazione del suicida durante l'agonia.
Oltre al bisogno oggettivo di risparmiare al suicida le immani sofferenze dello sventramento, il ruolo del kaishakunin trae origine dalla volontà di evitare il disonore di cui si macchia il morente e chi lo osserva, soprattutto durante gli spasmi che accompagnano il suicida alla morte. Proprio per questa ragione la presenza di un secondo è prevista e raccomandata a chi compie il gesto per una questione di onore, e non per chi si toglie la vita perché vinto dalla vergogna o dalla disgrazia. Per esempio, un signore della guerra sconfitto in battaglia che decida di compiere seppuku ha diritto a un secondo per lasciarsi morire in modo rispettoso, mentre un samurai a cui viene richiesto di uccidersi per qualche crimine, magari perché con le sue azioni ha gettato la disgrazia sul proprio clan, avrà il dovere di togliersi la vita col massimo delle sofferenze.
L'ultimo kaishakunin della storia di cui si abbia notizia fu Hiroyasu Koga, che decapitò il romanziere Yukio Mishima quando questi fece seppuku, nel novembre 1970.

Il rituale

Tuttora conservato nei kata dello Iaido moderno, il rituale del kaishaku ha piccole variazioni tra le diverse scuole di scherma giapponesi, ma tutte devono seguire alcuni punti comuni a tutte:
  • Il kaishakunin si siede nella posizione di seiza o rimane in piedi, alla sinistra del samurai in procinto di compiere il seppuku, sufficientemente lontano da mantenere ogni principio di prudenza ma sufficientemente vicino da consentire alla propria katana di raggiungere l'obiettivo. Se è seduto, il kaishakunin si siederà lentamente, prima sulle proprie ginocchia, poi alzandosi sul proprio piede destro mentre estrae lentamente la spada dal fodero, e, silenziosamente, infine si alzerà, tenendo sempre bene a mente che il tekki, l'avversario, non è un nemico – bensì un compagno samurai. Se il kaishakunin si trova già in piedi, estrarrà la sua katana con la massima lentezza e la massima silenziosità. In entrambi i casi, dopo che la katana sarà stata estratta dal saya, il kaishakunin la alzerà con la mano destra, e aspetterà l'inizio del seppuku. Alcuni stili moderni di Iaido stabiliscono che in questa posizione di attesa il kaishakunin debba indietreggiare lentamente col piede destro, tenendo la spada dietro la testa parallelamente alla linea del suolo e sorreggendola con la mano destra, e la mano sinistra sul saya (il fodero), in posizione sayabiki; altri stili prevedono che la katana debba rimanere verticale, parallela al corpo, tenuta con la mano destra, e che la sinistra debba rimanere sul fianco, mentre il kaishakunin terrà i piedi uniti. In ogni caso, il kaishakunin terrà costantemente lo sguardo sul samurai che compie il seppuku, aspettando che questi esegua il taglio (kiri) attraverso il proprio addome (hara).
  • Quando il samurai suicida si sarà inferto la ferita mortale, e dopo che avrà estratto la lama tantō dal proprio ventre, il kaishakunin farà un lieve passo in avanti, lasciando cadere la lama della propria katana direttamente sul retro del collo del morente. Appena prima che la lama tocchi il collo del compagno, il kaishakunin afferra l'elsa (tsuka) con entrambe le mani per vincere la resistenza iniziale del collo alla lama, e conferire potenza e precisione al taglio verticale (kiritsuke). Il taglio della testa non deve essere completo, ma deve terminare appena prima di recidere completamente il collo del samurai: la tradizione detta infatti che un samurai che perda completamente (e letteralmente) la propria testa sia oggetto di disonore e disgrazia. Di conseguenza, il taglio finale dev'essere tale da superare di poco la profondità del collo, uccidendo di colpo il samurai, ma senza menomarlo. L'azione doveva essere eseguita con un singolo movimento di affondo e ritiro della katana (dakikubi).
  • Quando il corpo del samurai cade a terra, il kaishakunin, sempre pervaso dal lento e silenzioso stile che lo ha contraddistinto prima e dopo l'uso dell'arma, scrollerà la lama dal sangue (chiburi) e la riporrà nel saya (noto), mentre si genufletterà di fronte al cadavere. Il kaishakunin resterà qualche istante davanti al cadavere, in segno di grande rispetto per il samurai che ha compiuto il suicidio rituale, per poi alzarsi e inchinarsi (rei) davanti al suo corpo.

lunedì 6 marzo 2017

Qinna

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Qinna (擒拿 afferrare e tenere) è un termine delle arti marziali cinesi che indica l'insieme di tecniche di presa e di controllo delle articolazioni, di colpi e di lussazioni. Lungo il corso dei secoli si sono sommate numerosissime tecniche: le leve articolari (拿骨 Nagu), le prese alla gola, le prese ai muscoli ed ai tendini (拿筋 Najin) e la pressione dei punti vitali (拿穴 Naxue) o Dianxue (点穴). Alcuni stili come l'Yingzhaoquan ed il Baguazhang sono particolarmente specializzati in queste tecniche. L'utilizzo dei Qinna da parte dei corpi di polizia e dell'esercito ha contribuito a farne oggi una disciplina indipendente. Particolarmente famoso per le sue conoscenze in questo campo fu il maestro Han Qingtang.  

domenica 5 marzo 2017

Yoshinkan

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Aikido Yoshinkan (合気道 養神館 Aikidō Yōshinkan lett. "Aikido Cultivating the Spirit School") è uno stile di aikido fondato da Gozo Shioda (1915–1994) dopo la Seconda guerra mondiale. Lo Yoshinkan Aikido è spesso chiamato lo stile "duro" dell'aikido in quanto i metodi di allenamento sono il risultato del periodo estenuante nel quale Shioda fu allievo di Morihei Ueshiba prima della guerra. Lo stile Yoshinkan è attualmente la seconda più grande organizzazione mondiale di aikido.

Corso Senshusei

Nel 1990, Gozo Shioda fondò l'International Yoshinkai Aikido Federation (IYAF) per facilitare l'insegnamento dell'aikido Yoshinkan al di fuori del Giappone. Oggi, entrambe: la All Japan Yoshinkan Aikido Federation e la IYAF sono guidate dall'attuale capo dello stile Yasuhisa Shioda, il figlio del fondatore. Sotto di lui, l'Honbu dojo Yoshinkan, localizzato a Shinjuku Tokyo, esegue ogni anno un corso intensivo della durata di 11 mesi chiamato Corso Senshusei derivato dal corso utilizzato per addestrare la Tokyo Metropolitan Riot Police. Il libro Angry White Pyjamas di Robert Twigger è basato sull'esperienze dell'autore durante il corso.