venerdì 13 aprile 2018

Il "kihon"

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Il "kihon"
(ki=energia; hon=base)
I kihon sono l’esecuzione di tecniche di difesa, attacco, parata e contrattacco di mani e piedi effettuate nel vuoto o con un compagno secondo degli schemi prestabiliti.
I kihon servono al karateka per raggiungere un elevato grado di automatismo e creare degli schemi mentali per i vari movimenti i quali daranno i propri risultati nell'allenamento del "kumite" (combattimento libero) oppure in una situazione reale di aggressione, quando l'ultima e unica possibilità che resta per proteggersi è usare le tecniche (waza) contro un avversario.
Il karateka deve saper dare una giusta efficacia al movimento e alla tecnica sia a vuoto che con un compagno, fondendo corpo e mente in un'unica essenza fino ad arrivare in uno stato di concentrazione e astrazione.
Un altro fattore di notevole importanza nella pratica del kihon è l’autocontrollo.
In altre parole la capacità da parte del karateka di controllare la tecnica in ogni sua parte e forma.
Controllare significa padroneggiare la tecnica al fine di renderla perfetta in ogni suo movimento.
La padronanza e la sicurezza nell'esecuzione a cui il praticante giungerà con l'allenamento, gli permetteranno di poter praticare il kumite con un compagno senza rischiare di ferirsi o ferire.
Mentre in una situazione reale di aggressione, l'autocontrollo nell'esecuzione delle tecniche gli consentirà di avere la giusta precisione nel colpire l'avversario senza procurargli danni ingenti.
In altre parole, lo spirito della via del karate (karate-do) è quello di mettere fuori combattimento l'avversario senza infierire più del necessario.
Ogni karateka deve essere consapevole del fatto che conosce le tecniche di un'arte marziale che, se usata male a causa di un allenamento poco onesto o con poca concentrazione, può causare seri danni. 

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giovedì 12 aprile 2018

“Il combattimento: la biologia del combattimento umano“

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Il combattimento rappresenta l'insuccesso dell'intimidazione. Se i segnali di minaccia non riescono ad appianare una disputa, allora è possibile che si ricorra alle misure estreme e il conflitto può svilupparsi in un vero attacco fisico. Ciò è rarissimo nelle società umane, che sono in alto grado non-violente, malgrado quanto si suol dire in contrario, e ciò per una profonda ragione biologica. Ogni volta che un individuo ne attacca fisicamente un altro, vi è rischio che entrambi siano feriti. Per quanto superiore possa essere l'attaccante, non ha alcuna garanzia di uscirne illeso. Infatti il suo avversario, per quanto più debole  può esplodere con furia disperata in selvagge azioni difensive, ognuna delle quali potrebbe infliggergli un danno durevole. Per questa ragione le minacce sono di gran lunga più comuni del combattimento nella vita sociale ordinaria. In effetti, le lotte corpo a corpo e senza armi sono cosi rare, da renderne difficile l'osservazione.
La maggior parte della gente trae le sue informazioni dalle risse stilizzate che si vedono al cinema o alla televisione. Ma, in confronto ai veri combattimenti, quegli incontri cosi virili, con l'eroe e il malvagio che si picchiano a turno, sono poco più di un balletto. I movimenti reali vengono rallentati ed esagerati in maniera speciale per aumentarne l'impatto visivo, proprio come nella danza si esagerano gli ordinari movimenti del corpo. Ma in una vera rissa. per esempio in un bar, una volta che il combattimento è scoppiato, tutto avviene con molta più rapidità. L'attaccante esplode all'improvviso in una fulminea serie di pugni e calci; ad ogni azione ne segue rapidamente un'altra, per bloccare qualunque contrattacco.
La vittima può reagire in tre modi: arretrare, tentando di mettersi fuori portata. proteggere il proprio corpo come meglio può, oppure afferrare l'attaccante e trasformare l'attacco in uno stretto corpo a corpo. Se arretra, fugge o si protegge, l'altro può frenarsi presto, avendo raggiunto pienamente il suo scopo in pochi secondi. Ma se contrattacca. allora la sequenza del corpo a corpo. in cui nessuno dei due ha la meglio sull'altro, può prolungarsi per un certo tempo. spesso a terra, con i due che, oltre a scambiarsi colpi e a contorcersi strettamente uniti, spesso si strappano i capelli, si graffiano, tirano calci e persino si mordono. ("i veri combattimenti di strada contrastano in maniera nettissima con le stilizzate scene di rissa che vediamo nei film di Hollywood. Invece di scambiarsi soprattutto pugni alla mascella è più probabile che i combattenti rotolino allacciati al suolo, senza che l'uno o l'altro prenda decisamente il sopravvento"). Nella stilizzata rissa cinematografica, l'eroe comincia sovente il suo attacco con un singolo,  poderoso pugno alla mascella. che viene effettuato con un ampio movimento del braccio e non è immediatamente seguito da un secondo colpo. Sotto quasi tutti i rispetti questa è un'assurdità, come modello d'attacco dell'animale umano. Il movimento ampio del braccio lascerebbe all'avversario tutto il tempo di evitare il pugno, che,  per la sua forza e la sua portata. lascerebbe inoltre l'attaccante sbilanciato e vulnerabile. Anche la pausa dopo il colpo sarebbe fatale e la lentezza dell'attacco disastrosa. La lotta cinematografica continua poi con una serie di colpi più o meno alternati - una volta l'eroe, una volta il malvagio -, e l'intero processo si svolge come al rallentatore, in paragone a un combattimento reale. Quando una rissa o uno scontro di piazza si presentano nella vita vera, i combattenti sono spesso circondati da spettatori che sperimentano un forte conflitto tra il desiderio di assistere all'azione e quello di allontanarsene.
Il risultato è un ritmico ondeggiare della folla, a seconda che i contendenti si avvicinino o si allontanino da questo o quel settore: mentre uno si spinge avanti, l'altro si ritrae, come quando si disturba un branco di pesci. Poi, quando il combattimento si fa meno furioso, la folla svolge un ruolo nuovo. frapponendosi tra i contendenti momentaneamente separati: azione che può essere sfruttata dall'uno o dall'altro per sottrarsi alla lotta. Ancora una volta, sono la velocità e la brevità del combattimento disarmato che spiegano la relativa passività degli astanti e le accuse che si rivolgono loro per non aver impedito la rissa sono di solito ingiustificate.
Il combattimento dei bambini molto piccoli segue un modello analogo. Fra di essi le dispute hanno quasi sempre per oggetto la proprietà. Un bambino tenta di impadronirsi di un oggetto che appartiene a un altro. Si assiste allora a un rapido scontro e tutto è finito, con uno in possesso dell'oggetto e l'altro urlante e paonazzo. L'attacco può comprendere il dar spinte, calciare, mordere e tirare i capelli, ma l'azione più comune è il colpo dall'alto al basso, con la parte inferiore del pugno che colpisce il corpo dell'avversario, mentre l'azione comincia con il braccio rigidamente
piegato al gomito e sollevato verticalmente sopra la testa.. Da questa posizione, il colpo viene sferrato con tutta la forza verso il basso, su qualunque parte del corpo dell'altro bambino sia alla portata dell'attaccante. Questa azione sembra tipica dei bambini di tutto il mondo e può benissimo essere un modello di attacco innato nella nostra specie. Inoltre è interessante notare che più tardi, quando si sono apprese altre, più specializzate forme di attacco, il colpo dall'alto al basso ricompare nelle situazioni di scontro «informale». Le fotografie dei disordini di piazza. per esempio, mostrano quasi sempre questo tipo di colpo come forma predominante di attacco.
 Nell'adulto, naturalmente. esso è reso molto più pericoloso dall'uso di mazze e bastoni.
I dimostranti picchiano i poliziotti e i poliziotti picchiano i dimostranti allo stesso identico modo: facendo piovere colpi sui crani degli avversari. Sembra proprio un caso di « ritorno al primitivo», in termini di movimenti d 'attacco, perché vi sarebbero molti altri colpi più lesivi, da sferrare frontalmente invece che dall'alto. Un colpo diritto al viso, al tronco o ai genitali con un'arma appuntita farebbe senza dubbio più danno di uno sul cranio con un'arma ottusa, eppure queste forme «avanzate», culturalmente apprese, sono stranamente assenti da questi scontri informali.
Menzionando le armi, siamo entrati in un'area del comportamento aggressivo che è esclusivamente umana e crea alla nostra specie particolari problemi. Il corpo dell'uomo manca di qualunque arma biologica particolarmente letale, come artigli, zanne, corna, aculei, ghiandole che secernono veleno o pesanti mascelle. In confronto a molti altri animali, bene equipaggiati da questo punto di vista, l'essere umano è debolissimo, incapace, se deve combattere nudo corpo a corpo, di infliggere ferite letali (se non con un enorme sforzo fisico). Ma quando paragoniamo il primitivo combattente disarmato con il suo equivalente moderno, carico d'armi, risulta chiaro che abbiamo da tempo distanziato tutte le altre specie, quanto a capacità di uccidere. Ma, inventando armi di nostra fabbricazione, abbiamo prodotto numerosi mutamenti, tanto cruciali quanto catastrofici, nelle nostre azioni di combattimento.

1. Abbiamo costantemente aumentato la capacità lesiva dei nostri attacchi.
Aggiungendo all'assalto fisico prima corpi contundenti, poi strumenti acuminati, poi aggeggi esplosivi, abbiamo reso ogni nostro attacco, nel corso dei secoli, potenzialmente più letale.
Invece di sottomettere gli avversari, come gli altri animali, noi li uccidiamo.

2. Data l'artificialità delle nuove armi, abbiamo introdotto la possibilità dell'unilateralità nell'attacco fisico.
Non vi è più garanzia che entrambi gli avversari siano ugualmente ben equipaggiati. Quando due tigri combattono, esse hanno nei loro artigli mezzi di offesa che mancano agli esseri umani nel combattimento disarmato, ma tutte le tigri possiedono queste armi e ciò crea fra i combattenti un equilibrio inibitore. Nel combattimento umano armato, invece, si può facilmente verificare una situazione di enorme ineguaglianza: le armi superiori di cui uno dispone eliminano il timore della rivalsa, togliendo alla sua furia ogni inibizione.

3. L'efficienza sempre maggiore delle armi artificiali significa che per sferrare un attacco lesivo occorre uno sforzo sempre minore.
Invece di essere coinvolto nella violenza del combattimento disarmato, che richiede un grande sforzo muscolare, il moderno portatore d'armi deve effettuare soltanto la piccola, delicata operazione di piegare un indice, per spedire una pallottola nel corpo dell'avversario. Non c'è esaurimento fisico in un atto del genere, nessun intimo contatto con il corpo del nemico. Strettamente parlando, uccidere un uomo con un'arma da fuoco non è nemmeno un'azione violenta. L'effetto è violento, naturalmente, ma l'azione è tanto delicata quanto sollevare una tazzina di caffè. Questa mancanza di sforzo fisico lo rende un atto molto più facile da effettuare, aumentando ancora la probabilità che l'attacco abbia luogo.

4. La portata entro la quale le nostre armi possono operare con successo è costantemente aumentata.
Questa progressione ha avuto inizio quando abbiamo cominciato a lanciare un oggetto. invece di usarlo per colpire. Con l'invenzione delle frecce, le nostre armi a punta hanno potuto raggiungere il nemico a distanze ancora maggiori. La scoperta della polvere da sparo rappresentò un altro balzo in avanti: ora i proiettili potevano uccidere un nemico cosi lontano da non poterne distinguere i particolari. Ciò ha aggiunto al combattimento un elemento impersonale. eliminando ogni possibilità di segnali di sottomissione. Cosi le comuni inibizioni animali della lotta corpo a corpo sono state drasticamente ridotte.



5. Infine, la potenza delle armi a distanza è aumentata al punto che possiamo uccidere non uno, ma un gran numero di nemici in una frazione di secondo.
L'uso di bombe, lasciate cadere dal cielo o depositate con una spoletta a tempo, e l'introduzione della guerra chimica hanno portato all'estremo la spersonalizzazione e la disibinizione del combattimento. Le azioni dei combattenti sono ora del tutto non-violente - di solito basta premere un bottone, il che è ancora più delicato del tirare un grilletto - e, ancora una volta, sono effettuate da una tale distanza e con tale rapidità da eliminare completamente i consueti freni e controlli animali. Insieme, questi cinque fattori hanno trasformato il combattimento umano da un attacco violento, mirante alla sconfitta dell'avversario, a un atto delicato, mirante alla sua distruzione; dal picchiare e dominare un rivale, al disintegrare una moltitudine di invisibili estranei. Per fortuna, tuttavia, l'ultima fase di questo capitolo del progresso umano ha infine prodotto per suo conto una nuova inibizione. Con gli ordigni nucleari, siamo tornati allo stadio in cui l'attaccante può aver ragione di temere per la propria salvezza, poiché la potenza di queste armi è tale, che chi schiaccia il bottone ha molta probabilità di andare in fumo con tutti gli altri, in un olocausto globale. In altre parole, il potenziale distruttivo di queste bombe è cosi grande, che ha efficacemente rimpicciolito il mondo e ridotto le dispute internazionali a scaramucce circoscritte. Ancora una volta, l'impulso ad attaccare comporta l'immediato insorgere di un'acuta paura nell'attaccante, come avveniva nel combattimento disarmato. Tuttavia, questa nuova svolta nella storia del combattimento umano non elimina completamente la possibilità di un conflitto nucleare. Ne riduce soltanto la probabilità.
Una particolarità della condotta umana che ha sempre complicato la convivenza inter-gruppi non è l'aggressività della specie, ma, paradossalmente, la grande inclinazione dell'uomo all'amicizia. Questo senso di lealtà verso il gruppo ha ripetutamente portato ad attacchi, non contro un nemico, ma a sostegno di un compagno. E' questo spirito cooperativo che ha reso possibile trasformare il combattimento personale, limitato, in guerra di bande e la guerra di bande in sciovinismo militare. Le forze d'assalto organizzate non possono operare su una base personale. Esse richiedono disciplina e fedeltà alla causa, cioè due qualità che non hanno intrinsecamente nulla a che fare con il combattimento umano, ma hanno avuto origine nel gruppo di maschi cacciatori, dove la sopravvivenza dipendeva dalla lealtà al «circolo», e poi, sviluppandosi la civiltà e progredendo la tecnologia, sono state sempre più sfruttate nel nuovo contesto militare. La combinazione della tendenza alla cooperazione di gruppo e della spersonalizzazione dell'attacco, tipiche della condizione umana moderna, significa che saremo sempre suscettibili di pressioni da parte di capi spietati, che ci sproneranno a combattere per le loro cause. Essi non ci chiederanno di uccidere con le nostre mani nude, o di esercitare un grande sforzo per dare la morte, o di farlo a distanza ravvicinata, in modo che possiamo vedere le espressioni delle nostre vittime mentre le attacchiamo. Ma ci chiederanno di uccidere per aiutare i nostri compagni, che soffriranno orribili patimenti se non andremo in loro soccorso. L'argomento ha funzionato cosi spesso e così bene che, tragicamente. continuerà senza dubbio a farlo anche in futuro. La nostra unica difesa contro di esso consiste nel chiederci se abbiamo qualche motivo di attrito personale verso gli individui che dovremmo uccidere e se il «gruppo» che ci viene richiesto di sostenere sia davvero il nostro gruppo tribale, o non invece un artificiale gruppo «nazionale». composto da un miscuglio di molte « tribù» interconnesse, alcune delle quali traggono origine dal nostro nuovo cosiddetto nemico. Soltanto riprendendo a considerare il combattimento come una forma estrema di conflitto personale, ossia quello che era in origine, avremo qualche speranza di sfuggire all'incontrollata brutalità dei campi di battaglia umani, tornando alla moderazione del combattimento animale.

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mercoledì 11 aprile 2018

Il potere delle armi, allenarsi con le armi

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Sono lì, a metà del tatami, la mia spada di legno, il bokken, stretto tra i pugni. Serrare questa spada di legno, un’antenna rizzata a percepire emozioni e movimento, dà una sensazione strana.
Dall’altro lato, dietro il suo bokken, il mio compagno, il mio avversario, mi guarda a sua volta. Posso sentire l’energia che scocca tra le punte delle armi, come la scintilla tra due elettrodi.
Le armi, una spada di legno, lunghi bastoni, il veloce nunchaku, dei tonfa o altro ancora, non importa, si genera un potente flusso di forza, si sente tutta l’azione ad un più alto livello.
La pratica con le armi promuove ed impone una dimensione di attenzione, dei movimenti più sottili rispetto alla tecnica del corpo.
Chiamo "tecnica del corpo" il sistema di combattimento con uso di colpi (pugni, calci) ed azioni di controllo (proiezione, leve, strangolamenti, etc..)
Un ottimo esempio, del lavoro con le armi, i suoi risultati e benefici, si può osservare nelle complesse sequenze di kata a coppie, con la spada, con i bastoni lunghi Bo e Jo. Non tanto la perfezione assoluta, la pulizia maniacale dei movimenti, che si deve conseguire, quanto la coscienza del combattimento reale
che vi è contenuto, la sua logica di scherma e i suoi principi.
In poche parole è il momento selvaggio dello scontro, da realizzare mantenendo la sottile padronanza delle possibilità offerte da un’arma rispetto ad un'altra, con i suoi pregi e i suoi difetti.
Si esamini invece il combattimento disarmato, che offre condizioni diverse.
La prima, occorrerà obiettivamente riconoscerlo, è il vantaggio di chi pesa di più, in questo campo le dimensioni fisiche contano di più. Poi, a mani nude, uno sbaglio non comporta automaticamente danni irrimediabili. E’ possibile colpire ed essere colpiti senza che le possibilità di vittoria cambino per l’uno o per
l’altro. Per esempio, un’azione come una schivata di cortissima misura, un colpo dell’avversario che ci striscia addosso senza danni, consentendo un contrattacco ravvicinato e potente, avviene spesso ed è anche tecnicamente valido: questo non è possibile se sono impegnate delle armi. A mani nude, i combattenti esperti sono portati a sottovalutare la possibilità di offesa dell’altro, l’esperto porterà i suoi attacchi, sicuro di poter controllare anche una risposta violenta, di assorbire il colpo, di ammortizzare la caduta, netraulizzare una presa. Confida nella sua dote per addolcire e deviare un impatto improvviso, per trasformarlo in una strisciata, in una spinta.
Ma nelle armi non esiste la distinzione di massa e peso tra i combattenti, piccoli e grandi hanno tutti le stesse possibilità. Un colpo che striscia addosso, che va quasi a vuoto, è sempre un colpo che fa un danno. Per questo l’attenzione, deve venire sublimata, portata fino a più nuovi e più alti limiti, dove si sentono perfino i movimenti sottili dell’anima dell’altro, in tutte le loro sfumature.
Ne ho sempre ricevuto l’impressione di uno spettacolo inimitabile. Un uomo si muove insieme al suo avversario e la rappresentazione diventa lotta per la vita. L’aria è elettrica, l’azione si svolge in un alternarsi di scatti e di pause, dettate dall’occasione e dalle possibilità reali.
Non appare più una ripetizione di una forma già esistente e prestabilita, ma semplice realtà. Occorre riconoscere bene questa situazione, è quanto avviene negli scontri. Questi scenari possono sembrare naturali al lettore, che può facilmente immaginare la scena di un Kata a coppie, dove esiste la materializzazione dell’avversario e i due contendenti/esecutori si affrontano come delle fiere selvagge. Un’atmosfera ruggente e carica di tensione che può stupire chi non ha mai visto qesti scontri a due. Eguale tensione esiste nei Kata a singolo, soprattutto in quelli di Iai, dove l’estrazione della lama, la spada, esprime bene la concentrazione e la "minaccia": la Katana sibila tagliando l’aria e nei Kiai si esprime l’urlo della "tigre interiore".
Ognuno può essere un testimone, osservare e rendersene conto, rivedere le esperienze personali, gli allenamenti mai abbastanza lunghi, cambiare se stessi ed il proprio modo di essere, di percepire le cose. Molto cambia dopo aver compiuto anche pochi passi nella via del combattimento con le armi. Non sono poteri soprannaturali o doti paranormali, arcani segreti, solo la capacità sempre più alta di sfruttare ogni risorsa del proprio corpo.
Immaginate i cinque sensi acutizzati al massimo, i muscoli pronti a scattare, eppure rilassati, la mente chiara e ben posizionata nell’azione, nessuna incertezza, nessuna certezza, solo adattabilità. L’evoluzione dell’azione è seguita passo passo, in modo fluido, la decisione spontanea, ogni variazione immediata. Un grosso atleta, temibile combattente a mani nude, non darà mai la
stessa impressione di pericolo di uno smilzo principiante che agita scompostamente una lama.
Quando ci si avvicina ad un’arma per la prima volta, sia un bastone, un bokken, un nunchaku o altro, magari usando le versioni morbide da gara, la mente è volta solo alla volontà di colpire, ad ottenere la supremazia, si sente la violenza dello scontro.
Sorpassata la prima eccitazione, ci si rende conto di non partecipare ad un gioco, a chi colpisce prima e di più, ma a dei duelli simulati dove la posta in gioco è una vita simbolica: un tocco anche leggero, nella realtà, significa dolore e ferita. Allora inizia una ricerca che ha come scopo l’acutizzazione dei sensi o, meglio, il loro pieno sfruttamento, si cerca di comprendere il funzionamento della tecnica sicura, l’influenza della respirazione, la concentrazione. Si capiscono alcuni detti dei Samurai e di antichi Maestri. Adesso si lavora veramente per accrescere il proprio potenziale.
Un simile studio è una Ricerca, come un viaggio, si parte e si va sempre avanti, la casa è sempre in fondo alla via, si apprende a volta con fatica, a volte con facilità, in molto tempo o in un attimo.
Nel nostro caso, due esperienze apparentemente opposte, combattere con le armi e a mani nude, si fondono.
Comunicano la realtà e come sfruttare al massimo tutte le nostre risorse.
Intanto, in mezzo al tatami si combatte e si ascolta se stessi, il sussurro sottile delle impressioni, delle sensazioni. Capire la strada giusta nei labirinti dell’azione, dove la tecnica personale non riesce più a seguire lo svolgersi del combattimento, a volte soluzioni di ripiego, a volte vere azioni magistrali, cercando un progresso, ponendosi domande.
L’arma ti scava dentro, ti pone di fronte te stesso, la tua immagine può farti paura, e devi vincere la sconfitta che ti porti dentro, l’indulgenza nelle fragilità.
Quando ho iniziato, a volte si ha qualche esperienza delle armi di Okinawa, Tonfa, Bo, Sai, Nunchaku. Pochi movimenti rubati da film, libri, dimostrazioni. Vedere il Maestro fa rendere conto della vera profondità tecnica, un’altra dimensione, molto più vasta di quanto si immagina, per l’esistenza di principi strategici fondamentali, per le tattiche complesse da realizzare.
Nella progressione dell’allenamento vengono posti nelle mani il Tanto, coltello corto, il Tanbo, bastone medio, e il bokken, che rappresenta la spada.
Si apprende le distanze di uso di ognuna di queste armi.
Il coltello è un prolungamento del braccio, un lungo dito tagliente e perforante, mentre il corpo si muove ad un ritmo elettrico, l’azione è continua, taglio dopo taglio. E’ velocità unita all’intuizione, prudenza e rischio, tempo dilatato, movimenti improvvisi di gambe, agili.
Il bastone medio è l’arma universale, un terzo braccio sottile e duro, può colpire di punta, percuotere ed agganciare, fare proiezioni, leve, strangolamenti. Il suo uso varia di continuo, pause e complesse combinazioni di più colpi e mulinelli, parate opponendo, seguento o agganciando.
La Spada, anche nella forma più umile dei lignei bokken, è la regina. Ha un fascino a cui nessuno può sfuggire. Impugnarla dà una dimensione diversa, il tempo antico, i modi per combattere. Dopo anche poco di pratica si comprende la sua semplice e spietata efficacia, appaiono subito ridicoli certi racconti di combattimenti a mani nude o con armi povere contro provetti spadaccini.
La spada giapponese, come quella occidentale, ha un tale patrimonio di studio e di tecnica alle spalle, che usarla è come studiare un classico e creare del nuovo allo stesso tempo.
Quando poi queste armi iniziarono ad entrarmi dentro, vennero i bastoni lunghi, il Bo e il Jo. Un maneggio più lento ma estremamente potente, fatto di trappole tese all’avversario, e finte nelle finte, attacchi così pesanti che anche se parati bloccano l’azione. E poi ricominciare con i Nunchaku e i Tonfa, impegnandoli nel combattimento contro la Spada, capire che il minimo passo falso, un qualsiasi errore di strategia, portava alla vittoria senza appello
 della Spada. Si doveva rimanere in bilico, finché non si creava un’apertura nella guardia della Spada. Solo allora era possibile avere un attimo fuggente di cui approfittare, l’unico che poteva portare alla vittoria.
I ragazzi, i giovani nuovi allievi, che vengono in palestra ad informarsi per i corsi, spesso non capiscono lo studio delle armi, ma dopo poca pratica ne comprendono il valore e si gettano con maggior entusiasmo negli studi della disciplina.
La somma di tutte queste esperienze porta alla conclusione che lo studio delle armi tradizionali delle Arti Marziali migliora indiscutibilmente i livelli della pratica. Sia quella con le stesse armi che quella a mani nude. Per una comprensione reale del combattimento universale.

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martedì 10 aprile 2018

Ci si può difendere in strada usando le Arti Marziali?

Incredibile! Il 97% delle arti marziali è inutile nella difesa ...





Cosa si rischia? Che vuol dire Legittima Difesa?"
Partiamo dicendo che i presupposti essenziali della legittima difesa sono:

1. L'aggressione ingiusta
2. La reazione legittima
L'aggressione ingiusta deve concretarsi nel pericolo attuale di un'offesa che, se non neutralizzata tempestivamente, sfocia nella lesione di un diritto. L'attualità del pericolo postula una minaccia in corso al momento della reazione ovvero una minaccia o offesa imminenti, così da non consentire all'aggredito di rivolgersi alla tutela degli organi dello Stato. Tale stato si protrae fino a quando l'azione dell'aggressore diretta alla lesione del bene non si esaurisca.
Considerate che la condotta offensiva può consistere anche in un comportamento non violento (come l'ingiuria) ed anche in una omissione. a condotta aggressiva deve minacciare un diritto.
La Legittima difesa è ammessa infatti nei confronti di tutti i diritti personali e patrimoniali.
Anche questi ultimi possono essere difesi con atti violenti, purché sussista la necessaria proporzione.
In applicazione di tale principio si è *esclusa* la legittima difesa:
1. Nel caso di *rissa*
2. In tutti i casi in cui il soggetto, più che a difendersi, mira *anche* e principalmente, a offendere l'avversario.
E' anche vero che si può dichiarare ammissibile l'esimente ex-art.52 c.p.: il pericolo di una violenza più grave e più pericolosa di quella propria del tipo di colluttazione o di quella preventivata può, infatti, far sorgere uno stato di legittima difesa; così potrà invocare l'esimente chi, partecipando
ad una rissa senza armi o strumenti contundenti, si veda poi minacciato da un coltello e sia costretto per difendersi a farne uso anch'egli. "Involontarietà" del pericolo non significa sempre e necessariamente il non aver dato causa ad esso. La Cassazione ha deciso infatti di non concedere l'esimente della LD (Legittima difesa) a colui che abbia utilizzato la situazione di fatto (anche se non causata da lui) per offendere e difendersi dando un contributo decisivo al crearsi di un rischio attuale per se e per gli altri, al quale anch'egli liberamente si espone; allo stesso modo non è applicabile la LD per chi, intervenuto per reagire all'altrui offesa, abbia partecipato alla colluttazione con pari e contrapposta violenza a quella degli avversari, manifestando una volontà di sopraffazione e ritorsione.
La reazione è legittima quando:
1. E' necessaria, nel senso che non sia possibile evitare altrimenti l'offesa al diritto proprio od altrui. Consideriamo che la fuga è ritenuta un mezzo di reazione, anche se, per non incoraggiare i delinquenti ed imporre viltà algi onesti, la legge, in caso di difesa evitando la fuga, accerta la necessità della reazione operando in concreto, tenendo conto delle circostanze del caso. Per questo è sempre legittima la difesa di un militare che devono salvaguardare l'onore della divisa.
2. La difesa deve essere proporzionata all'offesa. Non si capisce bene se la proporzione debba essere tra il male minacciato e quello inflitto o fra i mezzi a disposizione dell'aggredito e quelli usati effettivamente.
L'offesa minacciata deve essere ingiusta nel senso che non deve essere autorizzata dall'ordinamento. Quindi vale il ricorso anche quando proviene da incapaci di intendere e di volere. Debbono considerarsi non giuste anche le offese arrecate in caso di legittima difesa  o in eccesso di legittima difesa* come nel caso in cui uno minacci di dare o dia uno schiaffo e si veda aggredito con un coltello. Inoltre il pericolo non deve essere determinato volontariamente da chi invoca la legittima difesa. Ingiusta è infatti l'offesa che non si è concorso a determinare.

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lunedì 9 aprile 2018

Il codice del guerriero bodybuilder

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Il bodybuilding non ha solo una psicologia ma anche una morale, usando una metafora, esso non ha solo una testa ma anche un cuore.
Il seguente codice è una sfida ... perchè non ogni bodybuilder è un guerriero, e molti ne sono veramente lontani. Il codice non va accettato ciecamente ma sviluppato ...



1 - I guerrieri sono persone disciplinate e dedite all'eccellenza.
I guerrieri sono dediti al bodybuilding e gli danno una priorità nella loro vita quotidiana. Non hanno paura di sognare o di aspirare a qualcosa ma fanno in modo di incanalare questi sogni in obiettivi e fini specifici, appropriati e raggiungibili.

2 - I guerrieri sono persone positive.
I guerrieri sanno che nell'affrontare una situazione hanno solo due possibilità: essere positivi o essere negativi. Essi scelgono di essere positivi, di costruirsi realisticamente e avvicinarsi ad ogni situazione con l'attitudine del "posso farcela". I guerrieri esercitano un controllo attivo sulle proprie esistenze credendo in se stessi. Essi sanno di non dover essere solo positivi, ma di dover anche far trasudare la loro positività. Il pensare bene deve andare in coppia con l'agire bene.

3 - I guerrieri vedono gli allenamenti come campi di prova personali.
I guerrieri si avvicinano al proprio allenamento come gli antichi guerrieri si avvicinavano alle loro battaglie, con la differenza che i moderni guerrieri non combattono contro nessuno. Essi non combattono neanche contro i pesi. Il loro obiettivo è unirsi ai pesi per diventare il meglio che possono. La loro sfida è
combattere contro paure, dubbi e insicurezze. I guerrieri del bodybuilding sono persone con degli obiettivi che si concentrano interamente e creativamente sui compiti a portata di mano. Si concentrano nel fare correttamente serie e ripetizioni. Essi avvertono un interiore senso di soddisfazione nell'allenarsi bene.

4 - I guerrieri sono perseveranti.
Essi sanno che devono allenarsi alla lunga. I guerrieri valutano ed amano persino il loro sforzo e la loro lotta. Sopportano il disagio sapendo che quello è proprio il momento in cui stanno ampliando se stessi fisicamente e mentalmente. Spingono continuamente se stessi verso le proprie frontiere di crescita e sviluppo. I guerrieri accettano i fallimenti ed imparano dalle proprie delusioni per migliorarsi in quello che fanno. I guerrieri desiderano sempre imparare ed ampliare se stessi. Essi sono coinvolti nel pumping iron per "la vita".

5 - I guerrieri vivono una vita equilibrata.
I guerrieri sanno che per fare allenamenti produttivi devono avere ordine negli altri ambiti della vita. Essi hanno integrato il loro credo e la loro pratica in ogni area delle loro esistenze e di conseguenza sono non contraddittori e congruenti. Hanno imparato ad aggirare le proprie funzioni sociali per dare attenzione a tutto, mantenendo un ritmo complessivo. Essere un guerriero significa esserlo in ogni aspetto della propria vita.

6 - Infine, i guerrieri servono il prossimo.
Essi capiscono che parte del loro dovere è dare qualcosa in cambio aiutando il prossimo. Insegnano ed assistono gli altri così che gli altri possano massimizzare i propri progressi. Insomma, i guerrieri servono da modelli affinché i bodybuilders novizi e intermedi diventino anch'essi guerrieri. Spartendo continuamente con gli altri la loro conoscenza ed esperienza, i guerrieri fanno anche avanzare lo sport che amano.

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domenica 8 aprile 2018

LO STILE DELLA FAMIGLIA HUNG

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"L'Hung Gar è per uomini forti o che forti vogliono diventare".
Questo motto e' l'emblema di questo stile che rappresenta ancora oggi uno dei metodi di Kung Fu più duri e più completi.
Basato sullo studio degli animali Shaolin in particolare della Tigre e della Gru, lo stile si compone di forme a mano nuda e forme con le armi tipiche.
Fra le forme a mano nuda importanti sono:

1) MUI FA KUNE (Il fiore di prugno)
2) KUNG JEE FOK FU KUNE (L'unione della energia e movimento di tigre)
3) WU DIP CHEUNG (Le ali della farfalla)
4) FU HOK SHEUNG YING (La doppia via della tigre e della gru)
5) LAU GAR KUNE (Stile della Famiglia LAU)
6) SAP YING KUNE (i 10 metodi che raggruppano i 5 elementi e i 5 animali)
7) TIT SIN KUNE (Pugno del filo di ferro)
8) MG YING KUNE (Forma dei 5 metodi)
Poi si distingue la SAP JUET SAU che è una breve forma che raccoglie le 10 tecniche mortali dello stile.

Nell'Hung Gar si utilizzano molte armi, fra esse ricordiamo:

1) Spada curva (DAO )
2) Spada dritta (KIM )
3) Alabarda (KWAN DAO )
4) Coltelli a farfalla (WU DIP DAO )
5) Bastone della scimmia (MALAU KWAN )
6) Bastone a punta (KWAN )
7) Catena
8) Forcone (SAN CHA)
9) Lancia classica (CHEON)
10) Grande bastone (TA KWAN).

Dopo l'incendio che distrusse il monastero Shaolin nella regione di Henan, i monaci custodi dei segreti del Kung Fu che conferì loro l'invincibilità, fuggirono e si rifugiarono a sud, nel monastero della regione del Fujian.
In quel tempo, inizio del 1700, Hung Nei Kwun, un mercante di thè, ebbe degli scontri con dei nobili funzionari dell'attuale governo Qing (Ching), che lo costrinsero a fuggire e a chiedere ospitalità al monastero. L'impegno e il talento dimostrato da Hung furono notevoli tanto che Ti Sin Sin decise di allenarlo e istruirlo personalmente sullo stile Shaolin della Tigre.
Dopo un asilo di diversi anni gli fu riconosciuto il titolo di migliore discepolo "esterno". La pace però non durò a lungo e l'esercito di Qing, attaccò anche il monastero del Fujian.
Hung Nei Kwun era molto legato al suo Maestro Ti Sin Sin e decise, nonostante l'abate avesse oltre 80 anni, di portarlo con se nel tentativo di salvarsi e trovarono riparo presso un monastero in Canton.
Qui trascorsero altri anni durante i quali Hung Nei Kwun maturò il pensiero di essere moralmente obbligato ad insegnare il Kung Fu per combattere la tirannia dei despoti e degli invasori.
Quando il governo rilasciò la libertà di insegnamento del Kung Fu per addestrare i soldati del proprio esercito, Hung Nei Kwun chiese di poter lasciare il monastero al fine di insegnare il suo sapere.
Hung codificò la forma Kung Jee Fok Fu e unendo al suo stile lo studio dello stile della Gru, che gli fu tramandato dalla moglie Fong Wing Chun nipote di Fong Sai Yuk, uno dei monaci scampati alla distruzione del monastero. Creò così un nuovo stile di combattimento che divulgò e che prese il nome "Hung Gar Kune", cioè "stile della famiglia Hung". Questo stile riscontrò un grande successo tanto che insieme a stili di altre famiglie come Choy Gar, Li Gar, Mo Gar e Lau Gar (dal quale venne influenzato al punto che in seguito venne inserita la forma LAU GAR nelle forme dello stile per onorare appunto l'amicizia con la famiglia LAU), è diventato uno tra i più famosi e caratteristici del Sud della Cina.
Uno dei discepoli più importanti di Hung Nei Kwun fu Lok A Choy, monaco grande esperto di Wai Qi Gong, o Qi Gong esterno, già allievo di Ti Sin Sin che però, essendo troppo vecchio, lo mandò da Hung Nei Kwun.
Lok insegnò a sua volta a Wong Tai Yin e a suo figlio Wong Key Yen famoso medico che andando in giro per la Cina insieme a suo figlio Wong Fei Hung per procurarsi rare erbe medicinali incontrò Lam Fok Sing, allievo del grande maestro Tit Kiu San dal quale apprese l'ultima forma inserita poi nei programmi moderni di Hung Gar e cioé la Tit Sin Kune, la "Forma del Filo di Ferro" ove viene sviluppato il lavoro sul Qi Gong che rese famosi i vecchi maestri di questo stile.
Tit Kiu San , soprannominato "Braccia di Ferro" che riusciva a canalizzare il Qi nelle sue braccia al punto di portarci sopra 6 persone per 100 passi, insieme a Wong Fei Hung e suo padre furono inseriti nella speciale classifica delle "10 Tigri" (Sap Fu) di Canton.
Wong Fei Hung è sicuramente il personaggio più famoso di questo stile e della storia del Kung Fu del Sud della Cina. Le sue leggende narrate in numerosi film lo rendono realmente leggendario.
Creò numerose forme rivisitando quelle storiche e aggiungendone di nuove fra cui la forma Wu Dip Cheung.
Wong Fei Hung ebbe vari allievi tra i quali il più famoso è Lam Sai Wing che fu il primo ad aprire una scuola pubblica riorganizzando la didattica.
Lam ebbe molti allievi tra cui il figlio adottivo Lam Jo, il maestro Chiu Kao e il maestro Chan Hon Chun (1909 - 23/2/1991) dal quale deriva la nostra scuola.
Le caratteristiche dello stile sono l'impostazione stabile e forte, ispirata ai movimenti della tigre, che lo rendono stile potente e duro, il tipico Artiglio della Tigre (Fu Zhao), la ricerca dell'equilibrio ispirato ai movimenti della gru.
Nel programma complessivo della nostra scuola l'Hung Gar riveste un ruolo importante perché la sua geometrica impostazione del corpo consente allo studente di iniziare un percorso nell'ambito del Kung Fu che poi porterà verso Stili che si basano su coordinazioni psicomotorie assai meno regolari e di più difficile schematizzazione.
A livelli più avanzati apporta al praticante quel valore aggiunto di sviluppo energetico che caratterizza i praticanti più esperti di questo stile.

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sabato 7 aprile 2018

LO STILE CHOY LI FUT

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Il suo fondatore Chan Heung nacque a King Mui nel 1806. E' dunque uno stile piuttosto recente ma che si rese subito molto famoso per l'efficacia dimostrata dai suoi praticanti nelle grandi battaglie legate alla guerra dell'oppio (circa 1840) e poi nelle numerose sfide legate alle sette Tai Ping.
Il Choy Li Fut è uno stile composto nel Sud della Cina di cui prende le caratteristiche fondamentali combinando le tecniche ampie di braccia con rapidi movimenti di gambe e calci alti caratteristici del Nord.
Chan Heung imparò quindi il Kung Fu sin da bambino grazie allo zio Chan Yuen Woo, famoso lottatore del tempio di Shaolin, poi diventò allievo di Li Yau-San e diventò talmente bravo che gli fu consigliato dal suo maestro stesso di imparare dal monaco eremita Choy Fok, che però non voleva più insegnare le arti marziali esterne per insegnare invece la dottrina buddista e le pratiche interne.
Dopo aver pregato più volte il maestro Choy Fok affinché lo prendesse come suo allievo Chan Heung fu preso come studente nelle arti marziali perché fu osservato mentre si allenava da solo di notte dimostrando grande abnegazione, di qui la decisione di trasferirgli anche i segreti dello stile Fut Gar o boxe degli adoratori di Buddha.
Dopo averlo istruito sulle arti esterne il maestro gli insegnò le pratiche interne cosicché dopo anni di addestramento, Chan Heung sviluppò il nuovo stile di Kung Fu che nel 1836 chiamò Choy Li Fut per onorare i suoi 2 maestri Choy Fok e Li Yau-San e lo zio Chan Yuen Woo usando la parola Fut, che in cinese significa Buddha.
Dopo la nascita dei suoi due figli Chan Hon Pak e Chan Kon Pak e a causa delle minacce ricevute dalle Triadi per aver manifestato la sua intenzione di ritirarsi dalla guerra, decise di emigrare a San Francisco ove organizzò una scuola che ebbe subito un grosso sviluppo presso la forte comunità cinese presente nella Chinatown.
Al suo ritorno nel Guan Dong 5 anni più tardi trovo che il suo stile si era enormemente diffuso grazie ai numerosi allievi insegnanti che aveva lasciato e che presero poi il nome dei 18 Buddha del Choy Li Fut.
Dopo la morte di Chan Heung, avvenuta il 20 agosto del 1875 all'età di 69 anni, la sua scuola passò prima ai 2 figli Chan Hon Pak (per la cui specialità, l'alabarda, gli venne dato il soprannome di "yat cheung ng mui fa" (cinque fiori con una lancia) e Chan Kon Pak poi si distinsero alcune correnti derivate dai principali allievi.
Le più famose sono la Hung Sing nome che deriva dal motto che i combattenti Choy Li Fut utilizzavano in battaglia inneggiando all'eroe Hung capo dei ribelli contro gli stranieri, la corrente Chang Gar derivante dai figli, terminerà nel 1965 con la morte dell'ultimo erede. La scuola Bak Sing, brezza del nord, è una delle più recenti con grosso utilizzo dei mulinelli delle braccia e delle tecniche della tigre e del leopardo nonché nota per i suoi calci alti. Altra scuola importante è la King Mui derivante dalla scuola originaria, più vicina allo Shaolin utilizza tutti e cinque gli animali.
Lo stile ha più di cento forme di programma a mano nuda e dato che utilizza più di venti armi se ne contano circa ottanta forme diverse. Nella nostra scuola, che del Choy Li Fut vuole dare un'impronta senza avere la pretesa di esaurirne i contenuti, studiamo quattro forme a mani nude esplicative delle tre scuole fondamentali, due forme con le armi fra cui una con le doppie spade (Shuang Dao) e un'importante metodo per lo sviluppo del Qi.

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venerdì 6 aprile 2018

BA GUA ZHANG - LA BOXE DEGLI 8 TRIGRAMMI

Storia del Baguazhang – YMAA Italy


Il Ba Gua (Pa Kwa) è un complesso e affascinante "Stile Interno" (Nei Jia) di Kung Fu. Affonda le sue origini nella filosofia taoista in pieno Medio Evo cinese, attorno alla dinastia Song (1127-1179) ma i riferimenti storici lo collocano intorno al 1800 quando nasce ad opera di Dong Hai Chuan ( - 1882).
La leggenda racconta che il giovane Dong Hai Quan fu raccolto, ferito e quasi assiderato dal freddo, da un monaco taoista eremita che viveva in montagna. L'eremita gli insegnò un tipo di meditazione e di Qi Gong che si svolgeva a cerchio. Dong imparò in fretta e bene tanto da applicare questa caratteristica "Interna" al suo stile di combattimento.
Si narra che Dong Hai Quan divenne talmente abile da venir sfidato da Kuo Yun Sen (Guo Yun Shen ) chiamato "La Divina Mano Incrociata", grande maestro dello stile Xing Yi col quale combatté un epico incontro di tre giorni e tre notti fino a che i due lottatori, riconoscendo i rispettivi valori, divennero amici e decisero di scambiarsi gli allievi affinché potessero imparare entrambi gli stili.
L'episodio più colorito della vita del maestro vuole che al suo funerale, non riuscendo i suoi studenti a sollevare la bara, Dong Hai Quan abbia parlato ammonendo i discepoli di non avere raggiunto la vera padronanza del Qi, per poi essere trasportato per le esequie.
Definito come uno stile di strategia pura, come un rompicapo o un puzzle, prende spunto dal "Libro dei Mutamenti", l'Yi Jing di più di 3000 anni fa, dal quale assume la circolarità e la ricorrenza dei movimenti in una sinuosità e una grazia che ricordano il Serpente ed il Dragone. Il caratteristico camminare a cerchio forma una traiettoria che con il movimento delle mani, delle braccia e del corpo disegnano a terra una sorta di disegno di mandala.
Gli otto trigrammi rappresentano la base fondamentale per uno studio filosofico e applicativo dello stile e cio è quanto viene insegnato nei corsi.
Dong Hai Quan non ebbe molti discepoli solo 3 i principali, perché il Ba Gua doveva sempre essere mantenuto segreto ed il suo insegnamento, anche oggi, riservato a poche persone in grado di capire la vera potenzialità di questo stile tanto più difficile degli altri stili di Kung Fu che anche il maestro più esperto non può affermare di essere venuto a conoscenza dei più profondi segreti e delle più efficaci applicazioni di questo stile.
Questi 3 eredi crearono altrettante linee di discendenza:
Yin Fu ebbe pochissimi allievi oggi ne segue il lignaggio la famiglia Gau. Famoso l'uso della pipa.
Chen Ting Hua divenne una specie di eroe durante la guerra dell'oppio perche si oppose alla cattura da parte di un manipolo di soldati stranieri combattendo con due speciali coltelli (tipo quelli del Wing Chun ma piu lunghi e affilati e senza anello paramano) uccidendo 12 soldati nemici. Fra i suoi allievi spicca il Maestro Sun Lu Tang noto anche per il suo stile di Tai ji.
E' la corrente più moderna.
Quella di Ma Wei Chi rimane più ricca di programmi tradizionali, da essa deriva il grande maestro contemporaneo (morto nel '81) Wu Shu Chin.
Lo stile si contraddistingue poi per l'uso di armi non convenzionali quali lo spadone del drago Long Chi Dao o La coda del Drago e i coltelli a mezzaluna nei due versi di esposizione delle concavità wu xin jian e Ni Yue Dao.

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giovedì 5 aprile 2018

Zhi neng

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Zhi neng (智能) o Chi-lel da alcuni parlanti statunitensi è uno stile di Qi gong ideato alla fine degli anni settanta dal dottor Pang He Ming.
Zhi () significa "conoscere", "comprendere"; Neng () significa "saper o poter fare". Zhi neng Qi gong (智能气功) significa quindi il Qi gong che sviluppa e consente di usare le capacità della mente. Infatti alcuni lo chiamano "Qi gong della saggezza" (wisdom qi gong).
Il suo scopo è quello di armonizzare il praticante con l'ambiente che lo circonda tramite l'equilibrazione del proprio Qi con il Qi dell'universo. In particolare, il tipo di Qi con il quale il Zhi neng lavora è lo Hun-yuan Qi (混元氣). Lo hun-yuan qi si definisce con tre caratteristiche:
  • è il Qi originario, primordiale, dal quale tutta la materia si è formata, è quindi antecedente alla divisione della Natura in Yin e Yang;
  • è presente in ogni cosa, in tutto l'universo;
  • può essere mosso tramite la mente, con l'intenzione: chiunque concentrandosi può focalizzarlo in un punto qualsiasi dello spazio.
Con la pratica del Zhi neng è possibile modificare la struttura subatomica di ogni cosa. Questa capacità è insita in ognuno di noi, con questo stile di Qi gong siamo solamente in grado di rendere più efficace un tipo di operazione che già facciamo di continuo. Il desiderio, l'intenzione, è in grado di modificare l'ambientre che ci circonda, è solo questione di tempo e costanza, ma il risultato si ottiene.
Quindi il Zhi neng Qi gong è in grado di curare qualsiasi malattia, è sufficiente indirizzare la pratica verso il problema che vogliamo eliminare e la costanza nella pratica ci guarirà. La guarigione si ottiene con un automatico e in parte inconsapevole mutamento della struttura subatomica degli organi interessati. In maniera minore si modifica tutto il corpo, proprio perché l'obiettivo ultimo del Zhi neng è l'armonizzazione di tutto il nostro corpo con l'ambiente.
Il Zhi neng Qi gong può essere praticato da chiunque, indipendentemente dall'età o dallo stato di salute, l'importante è tenere presenti i seguenti principi:
  • costanza
  • corretta esecuzione dei movimenti
  • calma e rilassamento
  • concentrazione
La pratica individuale consente di affinare la propria capacità di gestire e condurre il Qi, la pratica in gruppo è però più potente, perché grazie all'unione dei campi energetici individuali permette di muovere un maggior quantitativo di energia (qi).

Pang He Ming

Pang He Ming 庞鹤鸣 (nato nel 1940 a Dingxing, provincia dello Hebei, Cina) inizia la sua pratica medica secondo la medicina occidentale nel 1958, dopo essersi laureato presso il Collegio di medicina di Pechino. Dopo altri quattro anni di studio presso l'Associazione medica cinese di Pechino fa il dottore di medicina tradizionale cinese, e proprio in questi anni si avvicina al Qi gong e al Taijiquan.
Alla fine degli anni settanta codifica il Zhi neng Qi gong. Nel 1980 diffonde la prima parte degli esercizi, nel 1985 la seconda e nel 1991 la terza.
Esistono sei livelli di Zhi neng Qi gong, ma solo i primi tre sono stati resi noti da Pang Ming in quanto si può accedere al successivo livello di pratica solo dopo aver perfettamente compreso gli esercizi del proprio livello.
Attualmente il gran maestro Pang He Ming si è ritirato dall'attività di insegnamento per dedicarsi nuovamente allo studio del Zhi neng.

L'istituto Hua Xia Zhi neng Qi gong training center

Nel 1988 il gran maestro Pang He Ming fondò lo Hua Xia Zhi neng Qi gong training centre, ossia un ospedale ove migliaia di persone venivano addestrate nella pratica del Zhi neng per guarire dalle malattie senza medicine. All'inizio l'istituto era situato a Shijiazhuang, nella provincia dello Hebei, con il nome di Hebei Shijiazhuang Zhineng Qigong College, ma nel novembre 1991 si spostò a Qinhuandao con il nome definitivo. Nel 1996 viene fondato inoltre lo Hua Xia Zhineng Healing Center a Fengrun, nella contea Tangshan, sempre nella provincia dello Hebei.
Nel 2000 però la sede dovette chiudere a causa del divieto di pratica di Qi gong per gruppi di più di 50 persone stabilito dal governo cinese in seguito agli avvenimenti legati alla setta Fa-lun gong. In dodici anni nella Hua Xia sono transitati più di 300.000 degenti afflitti da più di 180 sindromi diverse registrando un miglioramento delle condizioni nel 95% dei casi. Nel 1997 lo China Sports Boreau fece un'indagine per evidenziare quali sono i venti migliori stili di Qi gong riguardo al miglioramento della salute e il zhineng risultò al primo posto.

Il primo livello

Gli esercizi principali del primo livello di Zhi neng qi gong sono i seguenti:
  • la forma Peng qi guan din
  • la posizione statica di fusione dei tre cuori (San xin pin Zhan-zhuan)
  • le flessioni sulle gambe (dun qian fa)
  • zhen-qi
  • stiramento dell'energia (la-qi)
Dopo ogni movimento di raccolta dello hun-yuan qi si porta questo al dan tian inferiore.
Prima di iniziare ognuno di questi esercizi è bene prepararsi nel modo seguente:
  1. rilassare ogni parte del corpo partendo dall'alto verso il basso
  2. creare un campo energetico, al fine di fondersi il più possibile con lo Hun-yuan qi dell'universo. Per creare un campo energetico è sufficiente immaginare di ingrandirsi sempre di più, aumentando le proprie dimensioni sino a comprendere gradualmente tutto il cosmo.
  3. indirizzare la pratica verso un obiettivo (per esempio guarire il cuore, oppure rafforzare i muscoli delle gambe, far crescere la pianta che ho accanto...)
I punti del corpo stimolati sono qui elencati dall'alto al basso:
  • Bai-hui: sul piano sagittale mediale del corpo, si trova all'apice del capo sopra le orecchie;
  • Yin-tan: a metà strada tra le sopracciglia;
  • Yu-zhen: dietro il capo, opposto a YIN-TAN;
  • Chi-hu: sono due punti, sopra ogni capezzolo, immediatamente sotto la clavicola;
  • Da-bao: sono due punti opposti (uno a sinistra l'altro a destra) all'altezza della parte finale dello sterno, sono situati sul piano frontale mediale del corpo;
  • Ming-men: sulla colonna vertebrale, all'altezza dell'ombelico;
  • Lao-gun: chiudendo ogni mano a pugno, è dove il medio tocca il palmo;
  • Hui-yin: a metà strada tra l'ano e i genitali;
  • Yong-quan: sulla pianta di ogni piede, a metà sulla linea che connette il terzo dito al tallone.

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mercoledì 4 aprile 2018

1 milione di visualizzazioni

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Il nostro e vostro blog sulle arti marziali, ha superato in queste ore l’importante traguardo del milione di visualizzazioni, grazie a tutti!

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Fa jing

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Fajin (dal cinese 發勁 che significa Emettere l'energia o lanciare l'energia), è un termine delle arti marziali cinesi a volte reso come forza esplosiva. È una parola cinese che si compone di due ideogrammi:
  • (Fa) che il dizionario traduce con inviare, spedire, mandare, lanciare, sparare o manifestarsi all'improvviso;
  • (Jin o Jing) con forza, vigore, energia, forte, robusto, vigoroso.
In Wade-Giles è scritto fa ching o fa chin. Questo termine indica i metodi di emissione dell'energia tipici delle arti marziali cinesi, in particolare è spesso associato alla pratica del Taijiquan e del Bājíquán.

Il Fajin ed il Taijiquan

Nella pratica del taijiquan è più una descrizione che una tecnica, indicando genericamente un improvviso rilascio di energia ottenuto dal movimento coordinato di tutto il corpo: ogni tecnica può esprimere il fa jing, non solo calci, pugni, gomitate e ginocchiate, ma anche prese, leve e proiezioni. Essenziale è la padronanza delle tecniche del chan si gong.
Il Fajin si rilascia durante l'espirazione in modo quasi inconscio. Tale tecnica è contemplata nelle forme di allenamento della scuola Chen come la Lao Jia Pao Chui (antica intelaiatura, pugno cannone, una delle due forme originarie Chen), mentre nella scuola Yang, specie per chi ha il lignaggio diretto da Yang Shaohou il fajing viene inserito in alcune tecniche sia per rilasciare l'energia accumulata sia per abituarsi al suo utilizzo.

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martedì 3 aprile 2018

Pugno a un pollice

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Il pugno a un pollice è una tecnica delle arti marziali cinesi resa famosa da Bruce Lee. Essa consiste nello sferrare un pugno ad un bersaglio da una distanza tra 0 e 15 centimetri (cioè tra 0 e 6 pollici).

Descrizione della tecnica

È comunemente ritenuto che la capacità nell'eseguire il pugno a un pollice venga dalla pratica del Wing Chun, ma in realtà essa è contenuta in diversi stili di arti marziali cinesi del Sud. In generale, le arti marziali cinesi del Sud contano soprattutto sulle tecniche di mano a breve o brevissima distanza (a differenza delle arti marziali cinesi del Nord, che focalizzano il proprio interesse soprattutto sui calci da media e lunga distanza). Siccome gli artisti marziali del Sud combattevano spesso molto vicino ai loro avversari, dovettero imparare un metodo per sferrare pochi colpi, toccando appena il loro avversario.
Per il pugno a un pollice occorre abilità nel fa jing per generare una tremenda quantità di forza d'impatto ad una distanza estremamente ravvicinata. Quando esegue il suo pugno a un pollice, il praticante è in piedi, con il suo pugno molto vicino al suo obiettivo (la distanza dipende dall'abilità del praticante; può variare da 0 a 15 cm circa). In un unico movimento esplosivo, le gambe si fissano, il giro vita ruota, le costole si espandono e il braccio si stende verso l'obiettivo. È importantissimo che tutto il corpo si muova all'unisono, altrimenti il potere sarà limitato. L'obiettivo in queste dimostrazioni varia, a volte è un praticante che ha un elenco telefonico sul petto, a volte tavole di legno che devono essere rotte.
Dal punto di vista fisico questa tecnica si può spiegare con il principio secondo cui un oggetto che ruota in modo che i suoi estremi abbiano una certa velocità lineare costante ha maggiore velocità di rotazione quanto più ridotte sono le sue dimensioni. Ad una maggior velocità di rotazione corrisponde, per un dato oggetto, una maggior momento della quantità di moto dei suoi punti e quindi all'impatto con un corpo viene impresso un maggior impulso angolare.
Il pugno a un pollice fu portato alla conoscenza popolare nel mondo occidentale dall'attore ed artista marziale Bruce Lee quando dimostrò la tecnica durante il Campionato internazionale di karate di Long Beach del 1964.

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lunedì 2 aprile 2018

Jiu jitsu brasiliano

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Il Ju jitsu brasiliano o Ju-jitsu brasileiro (in giapponese ブラジルの柔術, Burajiru no jūjutsu), spesso abbreviato nell'acronimo in lingua inglese BJJ, è un'arte marziale, uno sport da combattimento e un metodo di difesa personale specializzato nella lotta ed in particolare in quella a terra. Non deve essere confuso con il suo predecessore giapponese Jūjutsu.
La disciplina è nata come appendice del kodokan jūdō negli anni venti del XX secolo, quando il maestro Mitsuyo Maeda insegnò i fondamentali della lotta a terra (ne-waza) ad allievi come Carlos Gracie e Luis França. Il Brazilian Jiu-Jitsu divenne poi un'arte a sé stante attraverso sperimentazioni, pratica e adattamenti del maestro Hélio Gracie e del fratello Carlos, che trasmisero poi la loro esperienza alla loro famiglia e ai loro allievi.
La disciplina insegna come suo fondamento che una persona più piccola e debole può difendersi con successo da un assalitore più grande e più forte portando lo scontro al suolo dove utilizzerà appropriate tecniche come leve, chiavi articolari e strangolamenti. L'allenamento nel Brazilian jiu-jitsu viene praticato principalmente con il kimono (gi) ma negli ultimi anni la Federazione Internazionale ha introdotto anche competizioni senza kimono (no-gi o grappling) più utili per gli atleti di MMA (arti marziali miste). La pratica di sparring (comunemente chiamato rolling) e di sessioni di allenamento con confronto con un avversario non collaborativo giocano un ruolo maggiore nell'allenamento, e vengono premiate le prestazioni, soprattutto durante le competizioni, in relazione al progresso attraverso i gradi/cinture.
Sin dal suo principio nel 1914, l'arte ascendente del judo era separata dai sistemi più antichi di jujutsu giapponese da un'importante differenza trasmessa al Brazilian jiu-jitsu: non si tratta solamente di un'arte marziale ma anche di uno sport, un metodo per promuovere lo sviluppo del fisico e del carattere nei giovani, e, infine, una via (Dō) di vita.


Storia

Nome

"Jiu-jitsu" è una vecchia romanizzazione dell'originale pronuncia dell'arte in Occidente, mentre la moderna traslitterazione col sistema Hepburn è "jūjutsu".
Quando Maeda lasciò il Giappone, il judo era spesso ancora chiamato "Kano jiu-jitsu" o, ancor più genericamente, semplicemente come "jiu-jitsu". Higashi, in quanto coautore del "Kano Jiu-Jitsu" scrisse:
«"Una certa confusione è emersa verso l'impiego del termine 'jiudo'. Per rendere la questione chiara specificherò che jiudo è il termine scelto dal professor Kano per descrivere il suo sistema più accuratamente di quanto il jiu-jitsu fa. Il professor Kano è uno dei principali educatori in Giappone ed è naturale che egli scelga il termine tecnico che più accuratamente descrive il suo sistema. Ma il popolo giapponese generalmente fa ancora riferimento alla nomenclatura più popolare e lo chiama jiu-jitsu"»
Al di fuori del Giappone, comunque, questa distinzione era anche meno notata. Così, quando Maeda e Satake arrivarono in Brasile nel 1914, ogni giornale annunciava la loro arte come "jiu-jitsu" nonostante entrambi fossero judoka del Kodokan.
Solo nel 1925 il governo giapponese ufficialmente dichiarò che il nome corretto per l'arte marziale insegnata nelle scuole pubbliche giapponesi era "judo" e non "jujutsu". In Brasile però, l'arte è ancora chiamata "jiu-jitsu". Quando i Gracie giunsero negli Stati Uniti per diffondere la loro arte, utilizzarono i termini "Brazilian jiu-jitsu" e "Gracie Jiu-Jitsu" per differenziarla dagli stili già presenti con nomi simili.
Il nome di Gracie Jiu-Jitsu (GJJ) è stato registrato da Rorion Gracie, ma dopo una disputa legale con il cugino Carley Gracie il diritto sul marchio è stato invalidato. Altri membri della famiglia Gracie spesso chiamano il loro stile con nomi personalizzati, come Charles Gracie Jiu-Jitsu o Renzo Gracie Jiu-Jitsu. In maniera simile la Famiglia Machado chiama il suo stile Machado Jiu-Jitsu (MJJ). Sebbene ogni stile e i suoi istruttori abbia degli aspetti unici, si tratta in sostanza di varianti di base del Brazilian jiu-jitsu. Al giorno d'oggi esistono quattro maggiori branche di Jiu-Jitsu dal Brasile: Gracie Humaita, Gracie Barra, Carlson Gracie Jiu-Jitsu e Alliance Jiu Jitsu. Ogni branca può far risalire le sue origini a Hélio Gracie.
Più recentemente, negli Stati Uniti il nome "jitz" è diventato un termine colloquiale per i non addetti ai lavori.

Origini

Il Jiu Jitsu Brasiliano nacque in Brasile grazie all'arrivo, nei primi anni del secolo, del console giapponese Mitsuyo Maeda, uno dei cinque maggiori esperti nella lotta a terra del jujutsu (ne waza) che Jigoro Kano, il fondatore del Kodokan judo, inviò oltremare per dimostrare e diffondere la sua arte nel mondo. Da adolescente, Maeda si era allenato inizialmente nel sumo, ma dopo aver appreso dei successi del kodokan nelle sfide fra scuole di jujutsu, decise di apprendere il judo e divenne uno studente del "Kano Jiu Jitsu". Maeda lasciò il Giappone nel 1904 e visitò un gran numero di paesi dando dimostrazioni di "jiu-do" e accettando sfide provenienti da lottatori, pugili, savateurs e praticanti di varie altre arti marziali prima di arrivare in Brasile il 14 novembre 1914. Maeda si dedicò in particolar modo alla lotta a terra, poiché Mataemon Tanabe della scuola di jujutsu della Fusen ryu, anche se la sua abilità nella lotta terra probabilmente derivava da altre scuole di Jiu jitsu che Tanabe frequentava, inizialmente era riuscito a prevalere su alcuni allievi di Kano forzando il combattimento al suolo, mentre l'impostazione del Kodokan voleva focalizzarsi sullo scontro in piedi. Maeda fu così abile a vincere numerosi incontri all'estero contro esponenti di varie discipline, tanto da guadagnarsi l'appellativo di "Conte Koma".
Gastão Gracie era un partner commerciale del cosiddetto American Circus a Belém. Nel 1916, il circo italo-argentino dei fratelli Queirolo organizzò alcuni spettacoli e in uno di essi si esibì Maeda. Nel 1917, Carlos Gracie, il figlio maggiore di Gastão Gracie, assistette ad una dimostrazione di Maeda al Da Paz Theatre e decise di praticare judo. Maeda accettò Carlos come studente per alcuni anni, e quest'ultimo passò la sua conoscenza ai suoi fratelli. Secondo alcuni racconti apocrifi Gastão Gracie aiutò in maniera non sempre ben precisata Maeda, inviato in missione diplomatica in Brasile, nel suo soggiornare in Brasile, e Maeda per sdebitarsi avrebbe insegnato il judo al figlio Carlos.
All'età di quattordici anni, Hélio Gracie, il più giovane della famiglia Gracie, si trasferì in una casa a Botafogo assieme ai suoi fratelli dove vi vivevano e insegnavano il ju jitsu giapponese tradizionale. Seguendo delle prescrizioni mediche, Hélio avrebbe speso gli anni immediatamente successivi limitandosi a osservare i suoi fratelli allenarsi ed insegnare, poiché per natura fragile di costituzione. Col tempo, Hélio Gracie gradualmente sviluppò il Gracie Jiu Jitsu come un adattamento più morbido e pragmatico del judo, poiché egli era incapace di eseguire molti movimenti che richiedevano di opporsi alla forza dell'avversario direttamente. Lungo gli anni Hélio Gracie sviluppò un sistema che si focalizzava sul combattimento a terra, in opposizione al judo che enfatizzava le tecniche di proiezione.
Anni più tardi Hélio Gracie sfidò il leggendario judoka Masahiko Kimura. Nel suo libro "Il mio Judo", Kimura racconta che ritenne Hélio un 6° dan di judo al tempo del suo incontro con lui nel 1951 see extract. Tuttavia, non c'è alcuna registrazione del Kodokan attestante un qualsiasi grado nel judo assegnato ad Hélio Gracie, tuttavia non è insolito per un judoka straniero avere un rango attuale più alto di quello ufficialmente riconosciuto e attestato dal Kodokan, poiché i gradi del Kodokan sono mantenuti in maniera indipendente e richiedono requisiti più stretti.
Sebbene il Jiu-Jitsu brasiliano sia largamente identificato con la famiglia Gracie, esiste un altro prominente ramo derivato da Maeda tramite un altro allievo brasiliano, Luis França. Questa scuola è stata rappresentata in maniera particolare da Oswaldo Fadda. Fadda e i suoi allievi erano famosi per l'uso influente di leve ai piedi e attualmente la scuola sopravvive attraverso i collegamenti di Fadda con squadre come la Nova União o il Grappling Fight Team.

Sviluppo

Hélio Gracie partecipò a numerose competizioni basate sulla sottomissione dalle quali spesso uscì vincitore. Una sconfitta (in Brasile nel 1951) fu ottenuta quando il judoka giapponese Masahiko Kimura venne sfidato da Gracie; la risonanza di questa sconfitta fu tale che il suo cognome venne utilizzato dai Gracie e dai loro allievi per indicare la chiave al braccio con cui egli sconfisse Hélio, la kimura. La famiglia Gracie continuò a sviluppare il sistema attraverso il XX secolo, spesso combattento in scontri a contatto pieno dei tornei vale tudo, precursori delle odierne arti marziali miste. Durante questi anni venne incrementata la focalizzazione sul combattimento al suolo e vennero raffinate le tecniche.
Il BJJ permette tutte le tecniche che il judo ammette per portare il combattimento al suolo, sotto forma di proiezioni e lanci. Il BJJ ammette anche tutte le tecniche di wrestling, sambo o qualsiasi altra arte lottatoria; inclusi tentativi diretti di proiettare afferrando le gambe. Il BJJ si differenzia dal judo poiché consente ad un atleta di trascinare l'avversario al suolo e anche di auto-scagliarvisi, a patto di avere una presa. Il Kodokan judo prevede competizioni con regole simili, dette kosen (abbreviazione di Kōtō senmon gakkō), inizialmente indirizzato a studenti dai 15 ai 20 anni in quanto era considerato più sicuro, che permette ad un atleta di portare il combattimento al suolo in qualsiasi modo e di continuarlo senza interruzioni. Per questa similitudine con il Jiu jitsu brasiliano il kosen judo ha avuto negli ultimi anni un certo rinnovamento di interesse.
Da quando il judo venne introdotto in Brasile, esso subì diverse modifiche nel regolamento - alcune per aumentarne lo spettacolo, altre per migliorare la sicurezza. Molte di queste regole hanno notevolmente de-enfatizzato gli aspetti di lotta a terra del judo, mentre altri hanno ridotto il raggio di leve e chiavi articolari consentite o quando possono essere applicate. Il jujitsu brasiliano non seguì mai questi cambiamenti regolamentari, dando origine ad una divergenza che è poi sfociata in una distinta identità come arte e disciplina, sebbene ancora riconoscibile come legata al judo. Altri fattori che hanno contribuito verso la divergenza stilistica del BJJ dal judo sportivo includono il desiderio dei Gracie di creare un'arte marziale nazionale che influenzasse la cultura brasiliana e l'enfasi della famiglia sul combattimento a contatto pieno.
Al giorno d'oggi, la principale differenza fra gli stili di jujutsu brasiliano è fra il tradizionale Gracie Jiu-Jitsu, che pone maggiore enfasi sulla difesa personale, e l'orientamento del BJJ sportivo verso le competizioni. C'è una larga comunanza di tecniche fra i due. Inoltre, c'è molta varietà di ideali nell'allenamento delle differenti scuole in termini di utilizzo di tecniche di controllo o finalizzazione, di maggiore fisicità o maggiore tecnicismo. Le differenze regolamentari sviluppate in confronto al judo e il meccanismo per segnare i punti sono ideati per dare al BJJ un'enfasi più pratica premiando le posizioni di controllo dalle quali il lottatore potrebbe in teoria colpire l'avversario in un vero combattimento.

Prominenza

Negli anni '80 del XX secolo esponenti di spicco della famiglia Gracie emigrarono negli USA dove organizzarono dei tornei interstile, nei quali sfidarono i combattenti di altri sistemi. Questo tipo di combattimenti quasi privo di regole era diffuso in Brasile col nome vale tudo (in brasiliano "vale tutto") e sul modello del programma televisivo che veicolava queste sfide, nacque il famosissimo Ultimate Fighting Championship tenutosi per la prima volta nel 1993. Grazie a questo evento fu mostrata al mondo l'efficacia del jiu jitsu brasiliano: nonostante all'epoca i pronostici davano per favorite le discipline che fanno uso di percussioni (boxe, kickboxing, ecc.), Royce Gracie, chiamato a rappresentare lo stile di jiu jitsu creato dal padre Helio, contro ogni pronostico riuscì a battere tutti i combattenti del torneo, compresi quelli più forti fisicamente e di gran lunga più pesanti. La grande celebrità innescata dalla forza dei mass-media americani rese dunque il BJJ uno sport famoso in tutto il mondo e da quell'epoca il suo diffondersi è aumentato in maniera esponenziale. Oggi il movimento internazionale del BJJ è infatti in costante crescita, sia come sport in sé (dove le percussioni sono vietate) sia come elemento fondamentale della preparazione dei combattenti di MMA (Mixed Martial Arts), sport di massimo contatto derivato dagli originari Vale tudo brasiliani che hanno raggiunto la massima fama nei campionati come UFC, Pride, ecc.

Stile di combattimento

Partendo dalla premessa che gran parte del vantaggio di un avversario più grande e forte deriva dalla sua mole e dai suoi potenti colpi, fattori entrambi mitigati nella lotta al suolo, il Brazilian jiu-jitsu pone enfasi nel portare il combattimento a terra per poter utilizzare tecniche di controllo e di sottomissione, comprese leve articolari e strangolamenti. Un modo più preciso di descrivere ciò sarebbe dire che al suolo, la forza può essere neutralizzata o potenziata da un lottatore esperto che conosce come massimizzarla utilizzando la forza meccanica invece che la pura fisicità. Il BJJ permette una larga varietà di tecniche per portare il combattimento al suolo dopo aver effettuato una presa. Mentre altri sport da combattimento, come il judo o il wrestling, di solito usano una proiezione per portare l'avversario a terra, nel BJJ un'opzione è di "chiamare la guardia", cioè afferrare l'avversario e poi sedersi direttamente a terra o saltare cingendo le gambe attorno al tronco dell'altro atleta.
Una volta a terra, un numero di manovre (e contromosse) sono disponibili per manipolare l'avversario in una posizione adatta all'applicazione di tecniche di sottomissione. Posizioni prettamente difensive come la guardia possono essere utilizzate anche per condurre un gioco offensivo e attaccare l'avversario.
Renzo Gracie scrisse nel suo libro Mastering Jiu-jitsu:
«Il jujutsu classico del Giappone antico sembrava avere nessuna strategia comune per guidare un combattente lungo il corso dello scontro. Naturalmente, ciò fu una delle critiche fondamentali di Kano al programma classico.' Maeda non solo insegnò l'arte del judo a Carlos Gracie, ma insegnò anche una particolare filosofia riguardo alla natura del combattimento sviluppata da Kano, e la rifinì ulteriormente tramite i suoi viaggi intorno al mondo competendo contro combattenti specializzati in una larga varietà di arti marziali."»
Il libro riassume nel dettaglio la teoria di Maeda riguardo al fatto che il combattimento fisico può essere spezzato in fasi distinte, come la fase di scambio di colpi, quella lottatoria, quella al suolo, ecc. Così, l'obiettivo del combattente intelligente era di mantenere il combattimento nella fase per cui si adattano meglio le proprie capacità. Renzo Gracie notò che ciò fu di fondamentale influenza nell'approccio dei Gracie al combattimento, queste strategie furono ulteriormente sviluppate nel tempo dai Gracie e da altri, divenendo prominente nelle MMA contemporanee.



Le cinture

Come avviene nel Judo e nel Karate, anche nel Jiu Jitsu Brasiliano è prassi contraddistinguere i progressi dei praticanti assegnando loro cinture colorate.


I campionati

La federazione internazionale IBJJF organizza periodicamente tornei a carattere nazionale, continentale e mondiale di jiu jitsu brasiliano: tra questi ovviamente il mondiale è l'evento più prestigioso dello sport.
In Italia è l'Unione Italiana Jiu Jitsu (UIJJ) a rappresentare esclusivamente la IBJJF nella nazione, ed è affiliata all'AICS, ente sportivo riconosciuto dal CONI[22].
La Federazione Italiana Grappling Mixed Martial Arts (FIGMMA), la sola Federazione Italiana riconosciuta dall'United World Wrestling (la Federazione Internazionale degli stili di lotta olimpici, riconosciuta dal CIO) e dalla FIJLKAM (la Federazione di arti marziali del CONI), dal 2012 organizza ogni anno il Campionato Italiano e la Coppa Italia di Brazilian Ju Jitsu/Grappling Gi.
Sebbene sia ufficialmente riconosciuta come competizione di Submission grappling, i tornei ADCC Submission Wrestling World Championship organizzati dall'Abu Dhabi Combat Club possono essere considerati l'obiettivo principale dei più grandi campioni di BJJ, i quali sono sempre stati dominanti in tali tornei opposti ad atleti provenienti da altre discipline di grappling. Il più decorato atleta del torneo di Abu Dhabi è Marcelo Garcia, vincitore di 4 tornei ADCC e di un gran numero di mondiali e campionati brasiliani IBJJF.


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domenica 1 aprile 2018

Go no sen

Risultati immagini per Go no sen


Go no sen (in giapponese 後の戦, dopo l'attacco) è un concetto ed una tecnica delle arti marziali giapponesi che significa che si prende il controllo nella lotta dopo l'avversario fa il suo movimento, e anche significa che una volta che l'avversario inizia il suo attacco, il budoka deve essere pronto a fare la sua tecnica, per sottomettere l'avversario completamente. Questa tecnica può essere un movimento difendibile semplice ma in altra mano può essere molto complesso, come impiegare la forza dell'avversario. La cosa più importante è mantenere o prendere il controllo della lotta, sempre con il minor dispendio di energia possibile.
Go no sen non è solo contropiede ma è uno stato mentale, è di raggiungere un livello di concentrazione per vedere se stesso, l'avversario e l'ambiente come unità. Così, è più appropriato dire che è uno stato di armonia che si instaura con l'avversario. Potremmo anche dire che si sta facendo il controllo della lotta ammettendo che non tutto è sotto controllo. Anche se questa idea può sembrare ambigua, ammettendo che l'ambiente di lotta non è sotto il pieno controllo, diventa più facile affrontare l'avversario perché si è pronti a reagire a qualsiasi movimento lui faccia.
In via ordinaria, è più naturale reagire. Così, go no sen è il modo più naturale per promuovere la difesa, ma è anche il primo e più importante il concetto di tempo nelle arti marziali, qua migliorerà la sensibilità a livelli più alti. Per ottenere una buona risposta, altri concetti devono essere ben compresi, distanza, coerenza, intercettazione (maai, riai, deai).
Go no sen è meglio studiato nelle arti marziali che esplorano il concetto Aiki, in particolare quella quelle che utilizzano aiki no jutsu, di quelli che danno maggiore enfasi al Kiai, come Kitō-ryū e Daitō-Ryū Aikijūjutsu.
Oltre all'aspetto combattivo, il concetto di go no se può essere visto sotto l'ottica filosofica e morale, nel senso che il budoka non deve mai assumere un atteggiamento aggressivo. Questo punto di vista, però, è diventato più evidente nelle moderne arti marziali che emerse nel ventesimo secolo e che hanno nel loro nome la parola "DO" (, dō), come aikidō, judo, karate-do, kendo. Ad esempio, karate, l'idea è espressa sul principio che "nel karate, non c'è primo attacco" (空手に先手なし karate ni sente nashi).

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