Il combattimento rappresenta
l'insuccesso dell'intimidazione. Se i segnali di minaccia non
riescono ad appianare una disputa, allora è possibile che si ricorra
alle misure estreme e il conflitto può svilupparsi in un vero
attacco fisico. Ciò è rarissimo nelle società umane, che sono in
alto grado non-violente, malgrado quanto si suol dire in contrario, e
ciò per una profonda ragione biologica. Ogni volta che un individuo
ne attacca fisicamente un altro, vi è rischio che entrambi siano
feriti. Per quanto superiore possa essere l'attaccante, non ha alcuna
garanzia di uscirne illeso. Infatti il suo avversario, per quanto più
debole può esplodere con furia disperata in selvagge azioni
difensive, ognuna delle quali potrebbe infliggergli un danno
durevole. Per questa ragione le minacce sono di gran lunga più
comuni del combattimento nella vita sociale ordinaria. In effetti, le
lotte corpo a corpo e senza armi sono cosi rare, da renderne
difficile l'osservazione.
La maggior parte della gente trae le
sue informazioni dalle risse stilizzate che si vedono al cinema o
alla televisione. Ma, in confronto ai veri combattimenti, quegli
incontri cosi virili, con l'eroe e il malvagio che si picchiano a
turno, sono poco più di un balletto. I movimenti reali vengono
rallentati ed esagerati in maniera speciale per aumentarne l'impatto
visivo, proprio come nella danza si esagerano gli ordinari movimenti
del corpo. Ma in una vera rissa. per esempio in un bar, una volta che
il combattimento è scoppiato, tutto avviene con molta più rapidità.
L'attaccante esplode all'improvviso in una fulminea serie di pugni e
calci; ad ogni azione ne segue rapidamente un'altra, per bloccare
qualunque contrattacco.
La vittima può reagire in tre modi:
arretrare, tentando di mettersi fuori portata. proteggere il proprio
corpo come meglio può, oppure afferrare l'attaccante e trasformare
l'attacco in uno stretto corpo a corpo. Se arretra, fugge o si
protegge, l'altro può frenarsi presto, avendo raggiunto pienamente
il suo scopo in pochi secondi. Ma se contrattacca. allora la sequenza
del corpo a corpo. in cui nessuno dei due ha la meglio sull'altro,
può prolungarsi per un certo tempo. spesso a terra, con i due che,
oltre a scambiarsi colpi e a contorcersi strettamente uniti, spesso
si strappano i capelli, si graffiano, tirano calci e persino si
mordono. ("i veri combattimenti di strada contrastano in maniera
nettissima con le stilizzate scene di rissa che vediamo nei film di
Hollywood. Invece di scambiarsi soprattutto pugni alla mascella è
più probabile che i combattenti rotolino allacciati al suolo, senza
che l'uno o l'altro prenda decisamente il sopravvento"). Nella
stilizzata rissa cinematografica, l'eroe comincia sovente il suo
attacco con un singolo, poderoso pugno alla mascella. che viene
effettuato con un ampio movimento del braccio e non è immediatamente
seguito da un secondo colpo. Sotto quasi tutti i rispetti questa è
un'assurdità, come modello d'attacco dell'animale umano. Il
movimento ampio del braccio lascerebbe all'avversario tutto il tempo
di evitare il pugno, che, per la sua forza e la sua portata.
lascerebbe inoltre l'attaccante sbilanciato e vulnerabile. Anche la
pausa dopo il colpo sarebbe fatale e la lentezza dell'attacco
disastrosa. La lotta cinematografica continua poi con una serie di
colpi più o meno alternati - una volta l'eroe, una volta il malvagio
-, e l'intero processo si svolge come al rallentatore, in paragone a
un combattimento reale. Quando una rissa o uno scontro di piazza si
presentano nella vita vera, i combattenti sono spesso circondati da
spettatori che sperimentano un forte conflitto tra il desiderio di
assistere all'azione e quello di allontanarsene.
Il risultato è un ritmico ondeggiare
della folla, a seconda che i contendenti si avvicinino o si
allontanino da questo o quel settore: mentre uno si spinge avanti,
l'altro si ritrae, come quando si disturba un branco di pesci. Poi,
quando il combattimento si fa meno furioso, la folla svolge un ruolo
nuovo. frapponendosi tra i contendenti momentaneamente separati:
azione che può essere sfruttata dall'uno o dall'altro per sottrarsi
alla lotta. Ancora una volta, sono la velocità e la brevità del
combattimento disarmato che spiegano la relativa passività degli
astanti e le accuse che si rivolgono loro per non aver impedito la
rissa sono di solito ingiustificate.
Il combattimento dei bambini molto
piccoli segue un modello analogo. Fra di essi le dispute hanno quasi
sempre per oggetto la proprietà. Un bambino tenta di impadronirsi di
un oggetto che appartiene a un altro. Si assiste allora a un rapido
scontro e tutto è finito, con uno in possesso dell'oggetto e l'altro
urlante e paonazzo. L'attacco può comprendere il dar spinte,
calciare, mordere e tirare i capelli, ma l'azione più comune è il
colpo dall'alto al basso, con la parte inferiore del pugno che
colpisce il corpo dell'avversario, mentre l'azione comincia con il
braccio rigidamente
piegato al gomito e sollevato
verticalmente sopra la testa.. Da questa posizione, il colpo viene
sferrato con tutta la forza verso il basso, su qualunque parte del
corpo dell'altro bambino sia alla portata dell'attaccante. Questa
azione sembra tipica dei bambini di tutto il mondo e può benissimo
essere un modello di attacco innato nella nostra specie. Inoltre è
interessante notare che più tardi, quando si sono apprese altre, più
specializzate forme di attacco, il colpo dall'alto al basso ricompare
nelle situazioni di scontro «informale». Le fotografie dei
disordini di piazza. per esempio, mostrano quasi sempre questo tipo
di colpo come forma predominante di attacco.
Nell'adulto, naturalmente. esso è
reso molto più pericoloso dall'uso di mazze e bastoni.
I dimostranti picchiano i poliziotti e
i poliziotti picchiano i dimostranti allo stesso identico modo:
facendo piovere colpi sui crani degli avversari. Sembra proprio un
caso di « ritorno al primitivo», in termini di movimenti d
'attacco, perché vi sarebbero molti altri colpi più lesivi, da
sferrare frontalmente invece che dall'alto. Un colpo diritto al viso,
al tronco o ai genitali con un'arma appuntita farebbe senza dubbio
più danno di uno sul cranio con un'arma ottusa, eppure queste forme
«avanzate», culturalmente apprese, sono stranamente assenti da
questi scontri informali.
Menzionando le armi, siamo entrati in
un'area del comportamento aggressivo che è esclusivamente umana e
crea alla nostra specie particolari problemi. Il corpo dell'uomo
manca di qualunque arma biologica particolarmente letale, come
artigli, zanne, corna, aculei, ghiandole che secernono veleno o
pesanti mascelle. In confronto a molti altri animali, bene
equipaggiati da questo punto di vista, l'essere umano è debolissimo,
incapace, se deve combattere nudo corpo a corpo, di infliggere ferite
letali (se non con un enorme sforzo fisico). Ma quando paragoniamo il
primitivo combattente disarmato con il suo equivalente moderno,
carico d'armi, risulta chiaro che abbiamo da tempo distanziato tutte
le altre specie, quanto a capacità di uccidere. Ma, inventando armi
di nostra fabbricazione, abbiamo prodotto numerosi mutamenti, tanto
cruciali quanto catastrofici, nelle nostre azioni di combattimento.
1. Abbiamo costantemente aumentato
la capacità lesiva dei nostri attacchi.
Aggiungendo all'assalto fisico prima
corpi contundenti, poi strumenti acuminati, poi aggeggi esplosivi,
abbiamo reso ogni nostro attacco, nel corso dei secoli,
potenzialmente più letale.
Invece di sottomettere gli avversari,
come gli altri animali, noi li uccidiamo.
2. Data l'artificialità delle nuove
armi, abbiamo introdotto la possibilità dell'unilateralità
nell'attacco fisico.
Non vi è più garanzia che entrambi
gli avversari siano ugualmente ben equipaggiati. Quando due tigri
combattono, esse hanno nei loro artigli mezzi di offesa che mancano
agli esseri umani nel combattimento disarmato, ma tutte le tigri
possiedono queste armi e ciò crea fra i combattenti un equilibrio
inibitore. Nel combattimento umano armato, invece, si può facilmente
verificare una situazione di enorme ineguaglianza: le armi superiori
di cui uno dispone eliminano il timore della rivalsa, togliendo alla
sua furia ogni inibizione.
3. L'efficienza sempre maggiore
delle armi artificiali significa che per sferrare un attacco lesivo
occorre uno sforzo sempre minore.
Invece di essere coinvolto nella
violenza del combattimento disarmato, che richiede un grande sforzo
muscolare, il moderno portatore d'armi deve effettuare soltanto la
piccola, delicata operazione di piegare un indice, per spedire una
pallottola nel corpo dell'avversario. Non c'è esaurimento fisico in
un atto del genere, nessun intimo contatto con il corpo del nemico.
Strettamente parlando, uccidere un uomo con un'arma da fuoco non è
nemmeno un'azione violenta. L'effetto è violento, naturalmente, ma
l'azione è tanto delicata quanto sollevare una tazzina di caffè.
Questa mancanza di sforzo fisico lo rende un atto molto più facile
da effettuare, aumentando ancora la probabilità che l'attacco abbia
luogo.
4. La portata entro la quale le
nostre armi possono operare con successo è costantemente aumentata.
Questa progressione ha avuto inizio
quando abbiamo cominciato a lanciare un oggetto. invece di usarlo per
colpire. Con l'invenzione delle frecce, le nostre armi a punta hanno
potuto raggiungere il nemico a distanze ancora maggiori. La scoperta
della polvere da sparo rappresentò un altro balzo in avanti: ora i
proiettili potevano uccidere un nemico cosi lontano da non poterne
distinguere i particolari. Ciò ha aggiunto al combattimento un
elemento impersonale. eliminando ogni possibilità di segnali di
sottomissione. Cosi le comuni inibizioni animali della lotta corpo a
corpo sono state drasticamente ridotte.
5. Infine, la potenza delle armi a
distanza è aumentata al punto che possiamo uccidere non uno, ma un
gran numero di nemici in una frazione di secondo.
L'uso di bombe, lasciate cadere dal
cielo o depositate con una spoletta a tempo, e l'introduzione della
guerra chimica hanno portato all'estremo la spersonalizzazione e la
disibinizione del combattimento. Le azioni dei combattenti sono ora
del tutto non-violente - di solito basta premere un bottone, il che è
ancora più delicato del tirare un grilletto - e, ancora una volta,
sono effettuate da una tale distanza e con tale rapidità da
eliminare completamente i consueti freni e controlli animali.
Insieme, questi cinque fattori hanno trasformato il combattimento
umano da un attacco violento, mirante alla sconfitta dell'avversario,
a un atto delicato, mirante alla sua distruzione; dal picchiare e
dominare un rivale, al disintegrare una moltitudine di invisibili
estranei. Per fortuna, tuttavia, l'ultima fase di questo capitolo del
progresso umano ha infine prodotto per suo conto una nuova
inibizione. Con gli ordigni nucleari, siamo tornati allo stadio in
cui l'attaccante può aver ragione di temere per la propria salvezza,
poiché la potenza di queste armi è tale, che chi schiaccia il
bottone ha molta probabilità di andare in fumo con tutti gli altri,
in un olocausto globale. In altre parole, il potenziale distruttivo
di queste bombe è cosi grande, che ha efficacemente rimpicciolito il
mondo e ridotto le dispute internazionali a scaramucce circoscritte.
Ancora una volta, l'impulso ad attaccare comporta l'immediato
insorgere di un'acuta paura nell'attaccante, come avveniva nel
combattimento disarmato. Tuttavia, questa nuova svolta nella storia
del combattimento umano non elimina completamente la possibilità di
un conflitto nucleare. Ne riduce soltanto la probabilità.
Una particolarità della condotta umana
che ha sempre complicato la convivenza inter-gruppi non è
l'aggressività della specie, ma, paradossalmente, la grande
inclinazione dell'uomo all'amicizia. Questo senso di lealtà verso il
gruppo ha ripetutamente portato ad attacchi, non contro un nemico, ma
a sostegno di un compagno. E' questo spirito cooperativo che ha reso
possibile trasformare il combattimento personale, limitato, in guerra
di bande e la guerra di bande in sciovinismo militare. Le forze
d'assalto organizzate non possono operare su una base personale. Esse
richiedono disciplina e fedeltà alla causa, cioè due qualità che
non hanno intrinsecamente nulla a che fare con il combattimento
umano, ma hanno avuto origine nel gruppo di maschi cacciatori, dove
la sopravvivenza dipendeva dalla lealtà al «circolo», e poi,
sviluppandosi la civiltà e progredendo la tecnologia, sono state
sempre più sfruttate nel nuovo contesto militare. La combinazione
della tendenza alla cooperazione di gruppo e della spersonalizzazione
dell'attacco, tipiche della condizione umana moderna, significa che
saremo sempre suscettibili di pressioni da parte di capi spietati,
che ci sproneranno a combattere per le loro cause. Essi non ci
chiederanno di uccidere con le nostre mani nude, o di esercitare un
grande sforzo per dare la morte, o di farlo a distanza ravvicinata,
in modo che possiamo vedere le espressioni delle nostre vittime
mentre le attacchiamo. Ma ci chiederanno di uccidere per aiutare i
nostri compagni, che soffriranno orribili patimenti se non andremo in
loro soccorso. L'argomento ha funzionato cosi spesso e così bene
che, tragicamente. continuerà senza dubbio a farlo anche in futuro.
La nostra unica difesa contro di esso consiste nel chiederci se
abbiamo qualche motivo di attrito personale verso gli individui che
dovremmo uccidere e se il «gruppo» che ci viene richiesto di
sostenere sia davvero il nostro gruppo tribale, o non invece un
artificiale gruppo «nazionale». composto da un miscuglio di molte «
tribù» interconnesse, alcune delle quali traggono origine dal
nostro nuovo cosiddetto nemico. Soltanto riprendendo a considerare il
combattimento come una forma estrema di conflitto personale, ossia
quello che era in origine, avremo qualche speranza di sfuggire
all'incontrollata brutalità dei campi di battaglia umani, tornando
alla moderazione del combattimento animale.
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