mercoledì 11 aprile 2018

Il potere delle armi, allenarsi con le armi

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Sono lì, a metà del tatami, la mia spada di legno, il bokken, stretto tra i pugni. Serrare questa spada di legno, un’antenna rizzata a percepire emozioni e movimento, dà una sensazione strana.
Dall’altro lato, dietro il suo bokken, il mio compagno, il mio avversario, mi guarda a sua volta. Posso sentire l’energia che scocca tra le punte delle armi, come la scintilla tra due elettrodi.
Le armi, una spada di legno, lunghi bastoni, il veloce nunchaku, dei tonfa o altro ancora, non importa, si genera un potente flusso di forza, si sente tutta l’azione ad un più alto livello.
La pratica con le armi promuove ed impone una dimensione di attenzione, dei movimenti più sottili rispetto alla tecnica del corpo.
Chiamo "tecnica del corpo" il sistema di combattimento con uso di colpi (pugni, calci) ed azioni di controllo (proiezione, leve, strangolamenti, etc..)
Un ottimo esempio, del lavoro con le armi, i suoi risultati e benefici, si può osservare nelle complesse sequenze di kata a coppie, con la spada, con i bastoni lunghi Bo e Jo. Non tanto la perfezione assoluta, la pulizia maniacale dei movimenti, che si deve conseguire, quanto la coscienza del combattimento reale
che vi è contenuto, la sua logica di scherma e i suoi principi.
In poche parole è il momento selvaggio dello scontro, da realizzare mantenendo la sottile padronanza delle possibilità offerte da un’arma rispetto ad un'altra, con i suoi pregi e i suoi difetti.
Si esamini invece il combattimento disarmato, che offre condizioni diverse.
La prima, occorrerà obiettivamente riconoscerlo, è il vantaggio di chi pesa di più, in questo campo le dimensioni fisiche contano di più. Poi, a mani nude, uno sbaglio non comporta automaticamente danni irrimediabili. E’ possibile colpire ed essere colpiti senza che le possibilità di vittoria cambino per l’uno o per
l’altro. Per esempio, un’azione come una schivata di cortissima misura, un colpo dell’avversario che ci striscia addosso senza danni, consentendo un contrattacco ravvicinato e potente, avviene spesso ed è anche tecnicamente valido: questo non è possibile se sono impegnate delle armi. A mani nude, i combattenti esperti sono portati a sottovalutare la possibilità di offesa dell’altro, l’esperto porterà i suoi attacchi, sicuro di poter controllare anche una risposta violenta, di assorbire il colpo, di ammortizzare la caduta, netraulizzare una presa. Confida nella sua dote per addolcire e deviare un impatto improvviso, per trasformarlo in una strisciata, in una spinta.
Ma nelle armi non esiste la distinzione di massa e peso tra i combattenti, piccoli e grandi hanno tutti le stesse possibilità. Un colpo che striscia addosso, che va quasi a vuoto, è sempre un colpo che fa un danno. Per questo l’attenzione, deve venire sublimata, portata fino a più nuovi e più alti limiti, dove si sentono perfino i movimenti sottili dell’anima dell’altro, in tutte le loro sfumature.
Ne ho sempre ricevuto l’impressione di uno spettacolo inimitabile. Un uomo si muove insieme al suo avversario e la rappresentazione diventa lotta per la vita. L’aria è elettrica, l’azione si svolge in un alternarsi di scatti e di pause, dettate dall’occasione e dalle possibilità reali.
Non appare più una ripetizione di una forma già esistente e prestabilita, ma semplice realtà. Occorre riconoscere bene questa situazione, è quanto avviene negli scontri. Questi scenari possono sembrare naturali al lettore, che può facilmente immaginare la scena di un Kata a coppie, dove esiste la materializzazione dell’avversario e i due contendenti/esecutori si affrontano come delle fiere selvagge. Un’atmosfera ruggente e carica di tensione che può stupire chi non ha mai visto qesti scontri a due. Eguale tensione esiste nei Kata a singolo, soprattutto in quelli di Iai, dove l’estrazione della lama, la spada, esprime bene la concentrazione e la "minaccia": la Katana sibila tagliando l’aria e nei Kiai si esprime l’urlo della "tigre interiore".
Ognuno può essere un testimone, osservare e rendersene conto, rivedere le esperienze personali, gli allenamenti mai abbastanza lunghi, cambiare se stessi ed il proprio modo di essere, di percepire le cose. Molto cambia dopo aver compiuto anche pochi passi nella via del combattimento con le armi. Non sono poteri soprannaturali o doti paranormali, arcani segreti, solo la capacità sempre più alta di sfruttare ogni risorsa del proprio corpo.
Immaginate i cinque sensi acutizzati al massimo, i muscoli pronti a scattare, eppure rilassati, la mente chiara e ben posizionata nell’azione, nessuna incertezza, nessuna certezza, solo adattabilità. L’evoluzione dell’azione è seguita passo passo, in modo fluido, la decisione spontanea, ogni variazione immediata. Un grosso atleta, temibile combattente a mani nude, non darà mai la
stessa impressione di pericolo di uno smilzo principiante che agita scompostamente una lama.
Quando ci si avvicina ad un’arma per la prima volta, sia un bastone, un bokken, un nunchaku o altro, magari usando le versioni morbide da gara, la mente è volta solo alla volontà di colpire, ad ottenere la supremazia, si sente la violenza dello scontro.
Sorpassata la prima eccitazione, ci si rende conto di non partecipare ad un gioco, a chi colpisce prima e di più, ma a dei duelli simulati dove la posta in gioco è una vita simbolica: un tocco anche leggero, nella realtà, significa dolore e ferita. Allora inizia una ricerca che ha come scopo l’acutizzazione dei sensi o, meglio, il loro pieno sfruttamento, si cerca di comprendere il funzionamento della tecnica sicura, l’influenza della respirazione, la concentrazione. Si capiscono alcuni detti dei Samurai e di antichi Maestri. Adesso si lavora veramente per accrescere il proprio potenziale.
Un simile studio è una Ricerca, come un viaggio, si parte e si va sempre avanti, la casa è sempre in fondo alla via, si apprende a volta con fatica, a volte con facilità, in molto tempo o in un attimo.
Nel nostro caso, due esperienze apparentemente opposte, combattere con le armi e a mani nude, si fondono.
Comunicano la realtà e come sfruttare al massimo tutte le nostre risorse.
Intanto, in mezzo al tatami si combatte e si ascolta se stessi, il sussurro sottile delle impressioni, delle sensazioni. Capire la strada giusta nei labirinti dell’azione, dove la tecnica personale non riesce più a seguire lo svolgersi del combattimento, a volte soluzioni di ripiego, a volte vere azioni magistrali, cercando un progresso, ponendosi domande.
L’arma ti scava dentro, ti pone di fronte te stesso, la tua immagine può farti paura, e devi vincere la sconfitta che ti porti dentro, l’indulgenza nelle fragilità.
Quando ho iniziato, a volte si ha qualche esperienza delle armi di Okinawa, Tonfa, Bo, Sai, Nunchaku. Pochi movimenti rubati da film, libri, dimostrazioni. Vedere il Maestro fa rendere conto della vera profondità tecnica, un’altra dimensione, molto più vasta di quanto si immagina, per l’esistenza di principi strategici fondamentali, per le tattiche complesse da realizzare.
Nella progressione dell’allenamento vengono posti nelle mani il Tanto, coltello corto, il Tanbo, bastone medio, e il bokken, che rappresenta la spada.
Si apprende le distanze di uso di ognuna di queste armi.
Il coltello è un prolungamento del braccio, un lungo dito tagliente e perforante, mentre il corpo si muove ad un ritmo elettrico, l’azione è continua, taglio dopo taglio. E’ velocità unita all’intuizione, prudenza e rischio, tempo dilatato, movimenti improvvisi di gambe, agili.
Il bastone medio è l’arma universale, un terzo braccio sottile e duro, può colpire di punta, percuotere ed agganciare, fare proiezioni, leve, strangolamenti. Il suo uso varia di continuo, pause e complesse combinazioni di più colpi e mulinelli, parate opponendo, seguento o agganciando.
La Spada, anche nella forma più umile dei lignei bokken, è la regina. Ha un fascino a cui nessuno può sfuggire. Impugnarla dà una dimensione diversa, il tempo antico, i modi per combattere. Dopo anche poco di pratica si comprende la sua semplice e spietata efficacia, appaiono subito ridicoli certi racconti di combattimenti a mani nude o con armi povere contro provetti spadaccini.
La spada giapponese, come quella occidentale, ha un tale patrimonio di studio e di tecnica alle spalle, che usarla è come studiare un classico e creare del nuovo allo stesso tempo.
Quando poi queste armi iniziarono ad entrarmi dentro, vennero i bastoni lunghi, il Bo e il Jo. Un maneggio più lento ma estremamente potente, fatto di trappole tese all’avversario, e finte nelle finte, attacchi così pesanti che anche se parati bloccano l’azione. E poi ricominciare con i Nunchaku e i Tonfa, impegnandoli nel combattimento contro la Spada, capire che il minimo passo falso, un qualsiasi errore di strategia, portava alla vittoria senza appello
 della Spada. Si doveva rimanere in bilico, finché non si creava un’apertura nella guardia della Spada. Solo allora era possibile avere un attimo fuggente di cui approfittare, l’unico che poteva portare alla vittoria.
I ragazzi, i giovani nuovi allievi, che vengono in palestra ad informarsi per i corsi, spesso non capiscono lo studio delle armi, ma dopo poca pratica ne comprendono il valore e si gettano con maggior entusiasmo negli studi della disciplina.
La somma di tutte queste esperienze porta alla conclusione che lo studio delle armi tradizionali delle Arti Marziali migliora indiscutibilmente i livelli della pratica. Sia quella con le stesse armi che quella a mani nude. Per una comprensione reale del combattimento universale.

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