Sono lì, a metà del tatami, la mia
spada di legno, il bokken, stretto tra i pugni. Serrare questa spada
di legno, un’antenna rizzata a percepire emozioni e movimento, dà
una sensazione strana.
Dall’altro lato, dietro il suo
bokken, il mio compagno, il mio avversario, mi guarda a sua volta.
Posso sentire l’energia che scocca tra le punte delle armi, come la
scintilla tra due elettrodi.
Le armi, una spada di legno, lunghi
bastoni, il veloce nunchaku, dei tonfa o altro ancora, non importa,
si genera un potente flusso di forza, si sente tutta l’azione ad un
più alto livello.
La pratica con le armi promuove ed
impone una dimensione di attenzione, dei movimenti più sottili
rispetto alla tecnica del corpo.
Chiamo "tecnica del corpo" il
sistema di combattimento con uso di colpi (pugni, calci) ed azioni di
controllo (proiezione, leve, strangolamenti, etc..)
Un ottimo esempio, del lavoro con le
armi, i suoi risultati e benefici, si può osservare nelle complesse
sequenze di kata a coppie, con la spada, con i bastoni lunghi Bo e
Jo. Non tanto la perfezione assoluta, la pulizia maniacale dei
movimenti, che si deve conseguire, quanto la coscienza del
combattimento reale
che vi è contenuto, la sua logica di
scherma e i suoi principi.
In poche parole è il momento selvaggio
dello scontro, da realizzare mantenendo la sottile padronanza delle
possibilità offerte da un’arma rispetto ad un'altra, con i suoi
pregi e i suoi difetti.
Si esamini invece il combattimento
disarmato, che offre condizioni diverse.
La prima, occorrerà obiettivamente
riconoscerlo, è il vantaggio di chi pesa di più, in questo campo le
dimensioni fisiche contano di più. Poi, a mani nude, uno sbaglio non
comporta automaticamente danni irrimediabili. E’ possibile colpire
ed essere colpiti senza che le possibilità di vittoria cambino per
l’uno o per
l’altro. Per esempio, un’azione
come una schivata di cortissima misura, un colpo dell’avversario
che ci striscia addosso senza danni, consentendo un contrattacco
ravvicinato e potente, avviene spesso ed è anche tecnicamente
valido: questo non è possibile se sono impegnate delle armi. A mani
nude, i combattenti esperti sono portati a sottovalutare la
possibilità di offesa dell’altro, l’esperto porterà i suoi
attacchi, sicuro di poter controllare anche una risposta violenta, di
assorbire il colpo, di ammortizzare la caduta, netraulizzare una
presa. Confida nella sua dote per addolcire e deviare un impatto
improvviso, per trasformarlo in una strisciata, in una spinta.
Ma nelle armi non esiste la distinzione
di massa e peso tra i combattenti, piccoli e grandi hanno tutti le
stesse possibilità. Un colpo che striscia addosso, che va quasi a
vuoto, è sempre un colpo che fa un danno. Per questo l’attenzione,
deve venire sublimata, portata fino a più nuovi e più alti limiti,
dove si sentono perfino i movimenti sottili dell’anima dell’altro,
in tutte le loro sfumature.
Ne ho sempre ricevuto l’impressione
di uno spettacolo inimitabile. Un uomo si muove insieme al suo
avversario e la rappresentazione diventa lotta per la vita. L’aria
è elettrica, l’azione si svolge in un alternarsi di scatti e di
pause, dettate dall’occasione e dalle possibilità reali.
Non appare più una ripetizione di una
forma già esistente e prestabilita, ma semplice realtà. Occorre
riconoscere bene questa situazione, è quanto avviene negli scontri.
Questi scenari possono sembrare naturali al lettore, che può
facilmente immaginare la scena di un Kata a coppie, dove esiste la
materializzazione dell’avversario e i due contendenti/esecutori si
affrontano come delle fiere selvagge. Un’atmosfera ruggente e
carica di tensione che può stupire chi non ha mai visto qesti
scontri a due. Eguale tensione esiste nei Kata a singolo, soprattutto
in quelli di Iai, dove l’estrazione della lama, la spada, esprime
bene la concentrazione e la "minaccia": la Katana sibila
tagliando l’aria e nei Kiai si esprime l’urlo della "tigre
interiore".
Ognuno può essere un testimone,
osservare e rendersene conto, rivedere le esperienze personali, gli
allenamenti mai abbastanza lunghi, cambiare se stessi ed il proprio
modo di essere, di percepire le cose. Molto cambia dopo aver compiuto
anche pochi passi nella via del combattimento con le armi. Non sono
poteri soprannaturali o doti paranormali, arcani segreti, solo la
capacità sempre più alta di sfruttare ogni risorsa del proprio
corpo.
Immaginate i cinque sensi acutizzati al
massimo, i muscoli pronti a scattare, eppure rilassati, la mente
chiara e ben posizionata nell’azione, nessuna incertezza, nessuna
certezza, solo adattabilità. L’evoluzione dell’azione è seguita
passo passo, in modo fluido, la decisione spontanea, ogni variazione
immediata. Un grosso atleta, temibile combattente a mani nude, non
darà mai la
stessa impressione di pericolo di uno
smilzo principiante che agita scompostamente una lama.
Quando ci si avvicina ad un’arma per
la prima volta, sia un bastone, un bokken, un nunchaku o altro,
magari usando le versioni morbide da gara, la mente è volta solo
alla volontà di colpire, ad ottenere la supremazia, si sente la
violenza dello scontro.
Sorpassata la prima eccitazione, ci si
rende conto di non partecipare ad un gioco, a chi colpisce prima e di
più, ma a dei duelli simulati dove la posta in gioco è una vita
simbolica: un tocco anche leggero, nella realtà, significa dolore e
ferita. Allora inizia una ricerca che ha come scopo l’acutizzazione
dei sensi o, meglio, il loro pieno sfruttamento, si cerca di
comprendere il funzionamento della tecnica sicura, l’influenza
della respirazione, la concentrazione. Si capiscono alcuni detti dei
Samurai e di antichi Maestri. Adesso si lavora veramente per
accrescere il proprio potenziale.
Un simile studio è una Ricerca, come
un viaggio, si parte e si va sempre avanti, la casa è sempre in
fondo alla via, si apprende a volta con fatica, a volte con facilità,
in molto tempo o in un attimo.
Nel nostro caso, due esperienze
apparentemente opposte, combattere con le armi e a mani nude, si
fondono.
Comunicano la realtà e come sfruttare
al massimo tutte le nostre risorse.
Intanto, in mezzo al tatami si combatte
e si ascolta se stessi, il sussurro sottile delle impressioni, delle
sensazioni. Capire la strada giusta nei labirinti dell’azione, dove
la tecnica personale non riesce più a seguire lo svolgersi del
combattimento, a volte soluzioni di ripiego, a volte vere azioni
magistrali, cercando un progresso, ponendosi domande.
L’arma ti scava dentro, ti pone di
fronte te stesso, la tua immagine può farti paura, e devi vincere la
sconfitta che ti porti dentro, l’indulgenza nelle fragilità.
Quando ho iniziato, a volte si ha
qualche esperienza delle armi di Okinawa, Tonfa, Bo, Sai, Nunchaku.
Pochi movimenti rubati da film, libri, dimostrazioni. Vedere il
Maestro fa rendere conto della vera profondità tecnica, un’altra
dimensione, molto più vasta di quanto si immagina, per l’esistenza
di principi strategici fondamentali, per le tattiche complesse da
realizzare.
Nella progressione dell’allenamento
vengono posti nelle mani il Tanto, coltello corto, il Tanbo, bastone
medio, e il bokken, che rappresenta la spada.
Si apprende le distanze di uso di
ognuna di queste armi.
Il coltello è un prolungamento del
braccio, un lungo dito tagliente e perforante, mentre il corpo si
muove ad un ritmo elettrico, l’azione è continua, taglio dopo
taglio. E’ velocità unita all’intuizione, prudenza e rischio,
tempo dilatato, movimenti improvvisi di gambe, agili.
Il bastone medio è l’arma
universale, un terzo braccio sottile e duro, può colpire di punta,
percuotere ed agganciare, fare proiezioni, leve, strangolamenti. Il
suo uso varia di continuo, pause e complesse combinazioni di più
colpi e mulinelli, parate opponendo, seguento o agganciando.
La Spada, anche nella forma più umile
dei lignei bokken, è la regina. Ha un fascino a cui nessuno può
sfuggire. Impugnarla dà una dimensione diversa, il tempo antico, i
modi per combattere. Dopo anche poco di pratica si comprende la sua
semplice e spietata efficacia, appaiono subito ridicoli certi
racconti di combattimenti a mani nude o con armi povere contro
provetti spadaccini.
La spada giapponese, come quella
occidentale, ha un tale patrimonio di studio e di tecnica alle
spalle, che usarla è come studiare un classico e creare del nuovo
allo stesso tempo.
Quando poi queste armi iniziarono ad
entrarmi dentro, vennero i bastoni lunghi, il Bo e il Jo. Un maneggio
più lento ma estremamente potente, fatto di trappole tese
all’avversario, e finte nelle finte, attacchi così pesanti che
anche se parati bloccano l’azione. E poi ricominciare con i
Nunchaku e i Tonfa, impegnandoli nel combattimento contro la Spada,
capire che il minimo passo falso, un qualsiasi errore di strategia,
portava alla vittoria senza appello
della Spada. Si doveva rimanere
in bilico, finché non si creava un’apertura nella guardia della
Spada. Solo allora era possibile avere un attimo fuggente di cui
approfittare, l’unico che poteva portare alla vittoria.
I ragazzi, i giovani nuovi allievi, che
vengono in palestra ad informarsi per i corsi, spesso non capiscono
lo studio delle armi, ma dopo poca pratica ne comprendono il valore e
si gettano con maggior entusiasmo negli studi della disciplina.
La somma di tutte queste esperienze
porta alla conclusione che lo studio delle armi tradizionali delle
Arti Marziali migliora indiscutibilmente i livelli della pratica. Sia
quella con le stesse armi che quella a mani nude. Per una
comprensione reale del combattimento universale.
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