martedì 20 novembre 2018

Zheng Manqing

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Zhèng Mànqīng (pinyin: 鄭曼青, Wade-Giles:Cheng Man-ch'ing; Yongjia, 29 luglio 1902 – 26 marzo 1975) è stato un poeta e pittore cinese.
È chiamato il maestro delle cinque arti dato che egli studiò medicina tradizionale cinese, taijiquan, calligrafia, pittura e poesia. Esperto di Yangshi Taijiquan, ha creato una forma semplificata di questo stile che conta 37 figure, eliminando le numerose ripetizioni della forma lunga: Zheng zi jian yi taijiquan.

lunedì 19 novembre 2018

Taijiquan stile Yang

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Il pugilato del sommo polo stile Yang (楊式太極拳, 杨式太极拳, yángshìtàijíquán, yang shih t'ai chi ch'uan) è uno degli stili del Taijiquan tramandato dai membri della famiglia Yang. Attualmente è il più popolare e diffuso.

Storia

Questo ramo del taijiquan fu codificato dal maestro Yang Luchan (楊露禪, 1799-1872), noto anche come Yang Fukui (楊福魁), originario di Yongnian (永年县) in Hebei, che studiò con Chen Changxing (1771-1853) a partire dal 1820.
Fino all'arrivo di Yang Luchan, il taijiquan veniva insegnato unicamente all'interno della famiglia Chen. Si narra quindi che Yang Luchan, per capirne il segreto, avesse venduto tutti i suoi averi e si fosse fatto assumere come servo da Chen Changxing a Zhaobao. Yang Luchan apprese così bene l'arte marziale tramandato dai Chen che fu capace di lottare contro un esperto di Kungfu venuto nel villaggio per sfidare il maestro Chen Changxing e che aveva battuto il figlio di quest'ultimo e anche il miglior discepolo della scuola. Perdonato del "furto" dal maestro per aver difeso l'onore della famiglia, Yang Luchang si trasferì a Pechino, dove insegnò il taijiquan per la prima volta fuori dal villaggio di Zhaobao.
Un'altra teoria, abbastanza simile alla precedente, vuole che Chen Changxing fosse stato assunto come maestro di arti marziali da un ricco droghiere, affinché insegnasse ai suoi tre figli. Yang Luchan era servo nella famiglia del droghiere e spiò talmente bene le lezioni che il maestro lo accettò come allievo.
Yang Luchan si fece conoscere per i numerosi combattimenti contro altri maestri di arti marziali, che vinse sempre e che gli valsero il titolo di "Yang il sempre vittorioso". Successivamente lo stile Yang è stato tramandato dai suoi figli Yang Banhou (杨班侯, 1837-1892) e Yang Jianhou (楊健侯, 1839-1917), dai suoi nipoti Yang Shaohou (杨少侯, 1862-1930) e Yang Chengfu (楊橙甫, 1883-1936) dal nipote Fu Zhong Wen (傅钟文, 1904 - 1994) e dai suoi figli Yang Zhenming (1910-1985), Yang Zhenji (1921), Yang Zhenduo (楊振鐸, 1926) e Yang Zhenguo (1928). Il fondatore Yang Luchan, per primo ha aperto lo stile alla popolazione generale a Pechino. Poi, dopo i cambiamenti di tre generazioni, è stato Yang Chengfu che ha messo a punto la forma e l'ha resa ampiamente popolare, eliminando le tecniche più complesse e faticose, i calci saltati ed i movimenti esplosivi. La quarta generazione della famiglia Yang, Zhenming, Zhenji, Zhenduo e Zhenguo, e i discepoli di Yang Chengfu congiuntamente hanno diffuso il taijiquan stile Yang nel mondo, rendendolo lo stile oggi maggiormente conosciuto.

Caratteristiche

Il taijiquan stile Yang, seppur mantenendo tutte le caratteristiche di attacco e difesa (colpi con pugno, mano aperta, calci, leve) dell'arte marziale quale esso è, incorpora i movimenti fluidi e lenti incorporati da Yang Chengfu con l'obiettivo di sviluppare gli aspetti più salutari per l'organismo della pratica marziale. In contrapposizione alla "vecchia forma" insegnata da Yang Jianhou, la forma di Yang Chengfu viene a volte chiamata "grande forma" e il grande cambiamento è stato proprio quello di "limare" gli aspetti più aggressivi dell'arte marziale, tali salti e battere a terra i piedi, per focalizzare l'insegnamento sulla coordinazione dei movimenti. La forma, ossia il catalogo delle sequenze e tecniche insegnate dalla scuola, viene praticata in modo lento e regolare, anche se la sua applicazione deve essere veloce ed esplosiva, seguendo il vecchio motto del taijiquan che dice: "Se lui non si muove io non mi muovo, ma se lui attacca io arrivo prima". Ad alti livelli e proprio per il fatto che non si utilizza la forza muscolare ma l'energia interna, è previsto anche lo studio dei punti di pressione o zone sensibili.
L'addolcimento dello stile, almeno nei primi anni di allenamento, rende lo stile Yang adatto a tutte le età, non necessitando di allenamenti fisici particolari, riuscendo a soddisfare molti bisogni differenti. La sua pratica fornisce benefici sia dal punto di vista energetico-posturale, sia da quello applicativo-marziale dato che l'insegnamento prevede una combinazione naturale di un'arte marziale e di un metodo per mantenere una buona salute.
Lo studio della serie di movimenti chiamata sequenza o forma, i quali vanno sempre eseguiti abbinati ad una adeguata respirazione, procura all'organismo una serie di benefici sia di natura fisica che psichica. A livello fisico, la lenta, controllata e continua variazione della postura, comporta miglioramenti dell'equilibrio e del sistema articolare nel suo complesso, oltre che a benefici sul piano respiratorio dovuti ad una maggiore attenzione portata sul binomio respirazione-espirazione. I cambiamenti di postura, con le continue variazioni di peso da una gamba all'altra, sono una caratteristica del taijiquan. Si parla di "pieno" e di "vuoto", ma anche di "apparente" e "solido".
Un principio fondamentale sta nel differenziare fra apparente e solido, ossia tenere sotto controllo su quale gamba appoggia il peso corporeo (la gamba solida) e quale è invece libera di muoversi per sferrare un attacco, una parata o semplicemente per spostarsi (la gamba apparente).
Analoghi miglioramenti si ripercuotono sulla componente psicologica dell'individuo, che dovrebbe acquisire uno status mentale sempre rilassato. Non bisogna in effetti dimenticare che la pratica del taijiquan è, oltre ad un'arte marziale, anche una via per la crescita spirituale.

I Dieci Requisiti del Taijiquan

Yang Chengfu ha dettato un elenco di 10 principi, nello scritto che è conosciuto come Dieci Requisiti del Taijiquan (太極拳十要, 太极拳十要, tàijíquánshíyào, tai chi ch'uan shih yao).:
  • 1. essere vuoti, vivaci, con l'energia alla sommità della testa (虛靈頂勁, 虚灵顶劲, xūlíngdǐngjìn, hsu ling ting chin);
  • 2. raccogliere il petto , sollevare il dorso (含胸拔背, 含胸拔背, hánxiōngbábèi, han hsiung pa pei);
  • 3. rilassare i fianchi (鬆腰, 松腰, sōngyāo, sung yao);
  • 4. dividere il pieno dal vuoto (分虛實, 分虚实, fēnxūshí, fen hsu shih);
  • 5. abbassare le spalle e far penzolare i gomiti (沈肩墜肘, 沈肩坠肘, shěnjiānzhuìzhǒu, shen chia tsui chou);
  • 6. usare la mente, non usare la forza (用意不用力, 用意不用力, yòngyìbùyònglì, yong i pu li);
  • 7. far seguire reciprocamente alto e basso (上下相隨, 上下相随, shàngxiàxiāngsuí, shang hsia hsiang sui);
  • 8. unire reciprocamente interno ed esterno (內外相合, 内外相合, nèiwàixiānghé, nei wai hsiang he );
  • 9. essere continuamente uniti (相連不斷, 相连不断, xiāngliánbùduàn, hsiang lian pu tuan);
  • 10. perseguire la calma nel movimento (動中求靜, 动中求静, dòngzhōngqiújìng, tung chong chiu ching).

Critiche

Le critiche allo stile Yang derivano dalle sue caratteristiche di morbidezza e lentezza, originati dai cambiamenti apportati da Yang Chengfu all'inizio del XX secolo. Nel corso di tre generazioni di famiglia Yang, lo stile è stato di molto addolcito, con le applicazioni marziali passate in secondo piano. Se lo stile Yang del taijiquan è ora facilmente accessibile ad anziani e persone con problemi motori per i quali lo stile praticato da Yang Luchan sarebbe troppo vigoroso, la perdita dell'aspetto marziale rischia di svuotare il taijiquan del suo significato originario. La parola ch'uan-fa dell'espressione t'ai chi ch'uan, indica la boxe ossia l'arte del combattimento: secondo le critiche a molti insegnamenti dello stile Yang, tale parola è andata persa negli anni, così come il nucleo dell'arte, riducendosi all'espressione "Tai Chi", nella quale la forza e il vigore marziale sono stati evirati a favore di una sorta di ginnastica dolce o di un delicato esercizio per la salute.
La diffusione dello stile Yang lo rende lo stile maggiormente insegnato e questo comporta che si sono moltiplicati i maestri e i praticanti di tale arte, spesso senza che gli stessi maestri sappiano delle origini o della sostanza dell'arte, svuotandone ulteriormente l'insegnamento. La forma ha un suo preciso significato e simbolismo, radicato nella simbologia cinese, senza l'insegnamento dei quali, parte dei benefici spirituali non possono essere raggiunti. L'insegnamento della forma taijiquan va di pari passo con la pratica della meditazione: se coordinare i movimenti migliore la forma fisica, la concentrazione mentale e una corretta respirazione aiutano l'esercizio fisico rendendone la pratica quieta e senza fatica. Generalmente l'insegnamento si limita invece alla pratica della forma (senza conoscerne il significato profondo) e agli esercizi di riscaldamento, mentre pratica marziale delle sequenze e meditazione sono del tutto ignorati.

Situazione attuale

Lo stile Yang è sicuramente lo stile più noto ed insegnato, tanto da essere spesso identificato col Taijiquan stesso. Data la sua ampia diffusione anche in Europa ed in America negli ultimi anni sono state codificate moltissime forme sempre più semplificate per agevolare lo studio di questa disciplina ai neofiti. La versione moderna della Grande Forma di Yang Chengfu è nota con molti nomi a seconda del modo di contare il numero di movimenti che la compongono ( Forma 85, Forma 96, Forma 103 o Forma 108 ).

Famiglia Yang

Molte scuole utilizzano impropriamente sia il termine "Tradizionale" (La sequenza che viene definita "originale" è in realtà quella modificata e semplificata più volte verso il 1930 da Yang Cheng Fu e tuttora presa come riferimento per identificare lo stile), sia la denominazione di stile Yang "Originale", in quanto ormai è praticamente impossibile riconoscere quale sia lo stile originale poiché è documentato che fin dai tempi di Yang Lu Chan sia lui che i suoi figli Yang Ban Hou e Yang Chien You, insegnarono la sequenza in modi diversi, in tempi diversi e a persone diverse.
Tuttavia, lo stile "Originale" è sempre depositato e gestito dalla Famiglia Yang, nella quale è ben delineata la linea dei suoi appartenenti circa la responsabilità nel tempo della tradizione dello stile. Tale cronologia è condivisa da tutti gli esponenti passati e presenti della famiglia.
Essa è infatti:
  • 1ª Generazione: Yang Lu Chan
  • 2ª Generazione: Yang Jian Hou
  • 3ª Generazione: Yang Chen Fu
  • 4ª Generazione: Yang Zhen Duo
  • 5ª Generazione: Yang Jun

domenica 18 novembre 2018

Áo dài

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L'Áo dài è un vestito tradizionale vietnamita principalmente femminile. Nella sua attuale forma, consiste in un abito di seta stretto ed aderente, indossato sopra i pantaloni. Áo dài viene pronunciato ˈáʊ ˈjàɪ (ow yai) nel sud del Vietnam, e ˈáʊ ˈzàɪ (ow zai) nel nord. Áo deriva dalla parola cinese che indica "giacca imbottita" (). Nella lingua vietnamita moderna, il termine áo fa riferimento ad un capo di abbigliamento che copre dal collo in giù. Dài invece significa "lungo".
In vietnamita, la parola áo dài nel corso della storia è stata utilizzata per indicare diversi capi di abbigliamento, incluso l áo ngũ thân, un abito per l'aristocrazia del diciannovesimo secolo nato sotto l'influenza della moda cinese Manciù. Ispirato alla moda parigina invece, l'artista Nguyễn Cát Tường ridisegnò l'áo ngũ thân nel 1930. Negli anni cinquanta, i designer di Saigon concepirono l'attuale disegno del capo conosciuto tutt'oggi. L'ao dai conobbe una immensa popolarità nel Vietnam del sud negli anni sessanta e nei primi anni settanta. Tuttavia il regime comunista che regnò nel Vietnam fino al 1975, deprecava l'utilizzo dell'ao dai, a favore di costumi più frugali e dallo stile più androgino. Negli anni novanta, l'ao dai conobbe un nuovo periodo di popolarità.
L'abito equivalente maschile, chiamato áo gấm ("vestaglia broccata"), viene indossato in occasioni importanti e cerimonie, come matrimoni, funerali o ricorrenze. Attualmente l'áo gấm è indossato soprattutto dagli anziani.
La popolarità dell'ao dai ha portato ad istituire un concorso di bellezza per le giovani vietnamite, chiamato "Miss Ao Dai", celebre sia fra gli abitanti del Vietnam, che fra coloro che si sono trasferiti al di fuori. "Ao dai" è inoltre una delle poche parole vietnamite ad essere incluse nell'Oxford English Dictionary.

sabato 17 novembre 2018

Buddhismo Vajrayāna

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L'espressione Buddhismo Vajrayāna è traducibile in italiano come Buddhismo del veicolo adamantino o Buddhismo del veicolo del diamante.
Il termine "Vajrayāna" è reso in:
  • tibetano: rDo-rje theg-pa (rDo-rje, lett. "signore delle pietre")
  • cinese: 金剛乘 Jīngāng shèng
  • coreano: 금강승 Geumgang seung
  • giapponese: Kongō jō
  • vietnamita: Kim cương thừa.
Nelle lingue estremo orientali è più comunemente indicato con un termine che ne sottolinea gli insegnamenti "segreti" ovvero come Buddhismo esoterico quindi reso in:
  • cinese: 密宗 Mìzōng
  • coreano: 밀종 Miljong
  • giapponese: Misshū, in Giappone è tuttavia preferito 密教 (Mikkyō)
  • vietnamita: Mật tông.
Altro modo di indicare questo tipo di buddhismo è il termine Mantrayāna ("Veicolo dei Mantra segreti", tib. sngags kyi theg pa, cin. 密咒乘 mìzhòu chéng, giapp. mitsuju jō) o anche Tantrayāna ("Veicolo dei Tantra") con il suo recente corrispettivo di Buddhismo tantrico.
Per Buddhismo Vajrayāna si intende quindi quell'insieme di scuole, dottrine e lignaggi propri del Buddhismo Mahāyāna che accolgono ulteriori insegnamenti e mezzi abili (sanscrito upāya) che, a detta di questo tipo di buddhismo, consentirebbero un rapido ingresso nella conoscenza o saggezza ultima (sanscrito prajñā) e raggiungere l'"illuminazione" anche in questa stessa vita.
Il termine sanscrito vajra (lett. diamante o folgore) richiamato nel nome di questo buddhismo, indica l'infrangibilità, l'immutabilità e l'autenticità della Verità ultima. Corrisponde anche alla vacuità e quindi alla vera essenza di tutti gli esseri e dell'intera realtà. La trasparenza del diamante indica anche che la mente illuminata è "chiara", "limpida" e vuota (trasparente).
La tradizione indiana e tibetana di questo buddhismo lo indica come terzo veicolo (yana ovvero ciò che "conduce" verso l'"illuminazione") dopo l'Hīnayāna e il Mahāyāna, considerandolo come sviluppo del Mahāyāna.
Il Buddhismo Vajrayāna è oggi presente in Bhutan, Mongolia, Giappone, India e Tibet, oltre che essere presente in numerose nazioni occidentali.

Origini e sviluppo

Secondo la storiografia contemporanea il Buddhismo Vajrayāna compare in India nel VI-VII secolo d.C. Esso consisterebbe in un sincretismo tra alcune dottrine induiste denominate tantrismo, fondate anche su credenze popolari sciamaniche, con il Buddhismo Mahāyāna. I suoi testi fondamentali, denominati Tantra, sono databili intorno a quel periodo. Se questi testi si fondano o meno su tradizioni orali precedenti è argomento ancora oggi controverso e discusso.
Secondo la tradizione Vajrayāna, invece, le proprie dottrine sono assolutamente ortodosse e hanno origine, tra gli altri, dallo stesso Buddha Śākyamuni. Secondo tale tradizione il Buddhismo Vajrayāna è la forma di Buddhismo sviluppatasi a partire da quello che è stato definito il "Quarto giro della ruota del Dharma" da parte, tra gli altri, del Buddha Śakyamuni alla classe di discepoli aventi i requisiti necessari e comunque spiritualmente più maturi. In accordo con tale tradizione, l'assemblea di coloro che apprendevano i Tantra dal Buddha era composta in gran parte da esseri non umani come i Deva o i Bodhisattva trascendenti. Così la "Storia" sacra del Vajrayāna narra che ad un anno dall'Illuminazione lo Śākyamuni espose sul Gṛdhrakūṭaparvata (Picco dell'avvoltoio, montagna esistente in India situata nei pressi di Rajgir, nello stato indiano del Bihar), lo Śatasāhasrikāprajñā-pāramitāsūtra (Sutra della perfezione della saggezza in centomila stanze) mentre contemporaneamente assumeva la forma di Kālacakra a Dhānyakaṭaka (nell'Andhra Pradesh, India meridionale) per insegnare dentro uno stupa apparso improvvisamente il Kālacakratantra al re Sucandra (a sua volta emanazione di Vajrapāṇi) re di Śambhala. Peraltro è opinione dei seguaci del Buddhismo Vajrayāna che sia impossibile comprendere la genesi di questo Buddhismo partendo dalle ordinarie concezioni spazio-temporali.
Per gli storici contemporanei questa narrazione è puramente mitica essendo, a loro detta, il Kālacakratantra uno dei testi più tardi del Buddhismo Vajrayāna, risalente non prima del X secolo. Nel parere degli studiosi contemporanei il Buddhismo Vajrayana si formò sul tronco del Buddhismo Mahāyāna, anche se insegnamenti tantrici possono essere ascritti ad alcuni secoli precedenti da quelli finora identificati.
Dal punto di vista storico possiamo affermare con certezza l'esistenza del Buddhismo Vajrayāna a partire dal VII secolo quando è accertata la presenza in Cina di maestri tantrici come Śubhakarasiṁha (a Chang'an nel 716) e Vajrabodhi (a Luoyang nel 720). La presenza di elementi tantrici possono essere comunque riscontrate nelle parti, risalenti al IV secolo circa, di alcuni sutra mahāyāna (Sutra del Loto, Vimalakīrti Nirdeśa sūtra); un primo testo tantrico potrebbe essere il Mahāmāyurī risalente al III secolo d.C. La presenza di elementi tantrici può essere tuttavia riscontrata anche in testi appartenenti al Buddhismo dei Nikāya. Le congetture storiche sulla nascita del Buddhismo Vajrayāna ci dicono della possibilità della presenza di maestri itineranti detti siddha (ovvero detentori del potere sacro denominato siddhi), iconoclasti e critici nei confronti del Buddhismo Mahāyāna tradizionale in quanto considerato troppo intellettuale - e successivamente indicato come Pāramitayāna (Veicolo della Perfezione) -, i quali crearono circoli segreti per trasmettere dottrine e pratiche esoteriche atte a far realizzare rapidamente l'Illuminazione. Il progressivo sviluppo di questi circoli permise nei secoli successivi l'istituzionalizzazione di questo "nuovo" buddhismo e il suo ingresso nei monasteri. Così, nel VII secolo, il monaco buddhista vajrayāna viveva insieme ai confratelli appartenenti ad altri buddhismi, veniva ordinato seguendo il vinaya del Buddhismo dei Nikāya, seguiva i precetti del Buddhismo Mahāyāna ma praticava le tecniche Vajrayāna.

I testi

I testi tantrici del Buddhismo Vajrayāna sono presenti nei canoni buddhisti cinese e tibetano.
  • Nel Canone cinese i testi tantrici sono prevalentemente raggruppati nella sezione Mìjiàobù (密教部, T.D. dal n. 848 al n. 1420).
  • Nel Canone tibetano questi testi sono inseriti nel Kangyur mentre i relativi commentari nel Tengyur. I testi tantrici furono divisi nel Kangyur dal dotto tibetano Buston (Bu-ston Rin-chen 'Grub, 1290-1364) in quattro raggruppamenti.
  1. Kriyā Tantra (tib. Bya-rgyud) che rappresenta una raccolta di sutra mahāyāna contenenti elementi "tantrici" non ancora sviluppati autonomamente, tra questi testi:
    • Suvarṇaprabhāsauttamasūtra (inserito nel Canone cinese al T.D. n. 663, 664 e 665);
    • Bhaiṣajyaguruvaiḍūryapūrvapraṇidhāna (inserito nel Canone cinese al T.D. 450.14.404-409);
    • Subāhuparipṛcchā-tantra (inserito nel Canone cinese al T.D. 895.18.719-746);
    • Susiddhikara-mahātantrasādhanopāyika-paṭala (anche Susiddhitantra, tib. legs par grub par byed pai rgyud chen po las sgrub pai thabs rim par phye ba, conservato nel Canone cinese al T.D.893.18.603-692);
    • Dhyānottara.
  2. Caryā Tantra (tib. Spyod-rgyud) che rappresenta una evoluzione "tantrica" rispetto alla precedente raccolta. Il Caryā Tantra contiene, infatti, pochi testi, il principale dei quali è
    • il Mahāvairocanābhisaṃbodhivikurvitādhiṣṭhāna (in tib. rNam par snang mdzad chen po mngon par rdzogs par byang chub pa rnam par sprul ba byin gyis rlob pa shin tu rgyas pa mdo sd'i dbang po rgyal po zhes bya ba'i chos gyi rnam grangs inserito nel Canone cinese al T.D. 848). Da notare che mentre un caratteristico sutra mahāyāna come l' Avataṃsakasūtra viene esposto dal buddha Vairocana, questo sutra è invece esposto dal buddha Mahāvairocana ovvero dal buddha "Grande" Vairocana, come per rimarcare una presentazione della dottrina più profonda rispetto alle stesse dottrine mahāyāna. Questo sutra è al fondamento del Buddhismo Vajrāyana sino-giapponese, con particolare riguardo alle scuole giapponesi Shingon e Tendai.
    • Altro testo importante di questa sezione è il Vajrapāṇyabhiṣeka.
  3. Yoga Tantra (tib. rNal-'byor-gyi rgyud), dove il testo esemplificativo è
    • il Sarvatathāgatatattvasaṃgraha (inserito nel Canone cinese ai T.D. nn. 856, 866, 882). In questa opera si descrivono i cinque stadi della realizzazione della "buddhità" da parte del Buddha Mahāvairocana e vuole essere una dimostrazione della superiorità del Vajrāyāna rispetto al Pāramitayāna. In questa opera vi è anche la descrizione del Vajrdhātu Maṇḍala (tib. ro-rje'i dbyings-kyi dkyil-'khor, Maṇḍala dello spazio di diamante) che aggiunge alle trentasette divinità del Maṇḍala anche alcuni bodhisattva femminili, come a segnalare uno sviluppo dottrinario rispetto al Caryā Tantra.
    • Altro testo fondamentale di questa sezione dei tantra è il Prajñāpāramitā-naya-śatapañcaśatikā (inserito nel Canone cinese ai T.D. nn. 240, 241, 243). , esso rappresenta, con le sue immagini erotiche dell'energia sessuale (śakti), il punto di passaggio verso la classe successiva degli Anuttarayoga Tantra.
    • Altro importante testo di questa sezione è il Vajraśekharasūtra (vi sono tre traduzioni nel Canone cinese di questo testo, quella di Amoghavajra è la più diffusa in Estremo Oriente).
  4. Anuttarayoga Tantra (tib. rNal-'byor bla-med rgyud). Questo raggruppamento è quello più recente e comprende testi ed insegnamenti che sviluppano l'utilizzo della śakti (energia sessuale) nelle pratiche yogiche, peraltro già presente in alcuni Yoga Tantra. In questi testi compaiono delle indicazioni anche sul consumo della carne e delle bevande alcoliche, consumo proibito in tutti i vinaya e quindi bandito dai monasteri buddhisti. L'Anuttarayoga Tantra (o "Yoga supremo") viene suddiviso in ulteriori due categorie:
    • Tantra padri (sanscrito Pitṛtantra, tibetano Pha-rgyud) in cui vengono raccolti i testi e gli insegnamenti miranti a realizzare la vacuità dei mezzi abili (sanscrito upāya) e a comprendere il modo in cui il Dharmakāya si presenta nel mondo fenomenico. Tra i Tantra padri vengono raccolti:
      • Śrīguhyasamājatantra (o Guhyasamājatantra, tib. dPal gsang-ba'dus-pa' i rgyud, conservato anche nel Canone cinese al T.D. 885). Esso rappresenta il testo principale della raccolta.
      • Altro importante testo è il Vajramahābhairavatantra (tib. rDo-rje'jigs-byed chen-po'i rgyud).
    • Tantra madri (sanscrito Mātṛtantra, tibetano Ma-rgyud) in cui vengono raccolti i testi e gli insegnamenti in cui si mira a realizzare l'assorbimento dello stesso Dharmakāya. In questa raccolta vengono inclusi i tantra di Vajrayogini e di Mahāmaya.
    • Una terza raccolta viene indicata come Tantra non duali (sanscrito Advayatā Tantra, tib. Gnyis-med rgyud)
      • per la scuola Gelugpa tale indicazione inerisce a tutto l'Anuttarayogatantra;
      • per la scuola Kagyüpa questa raccolta comprende il solo Kālacakratantra (tib. Dus-kyi 'khor-lo, Tantra di Kālacakra);
      • per la scuola Sakyapa a questo raggruppamento appartiene l'Hevajratantraraja (tib. Kye' i rdo-rje zhes-bya-ba rgyud-kyi rgyal-po, Tantra del diamante di gioia, in altre scuole questo testo è considerato un Tantra madre).

Le dottrine

Il Buddhismo Vajrayāna è, secondo le proprie credenze, uno sviluppo del Buddhismo Mahāyāna. Non si può entrare nel Vajrayāna senza aver prima compreso profondamente le dottrine del Mahāyāna come la dottrina dello śunyātā, della compassione (karuṇā), della bodhicitta e della natura di Buddha compresa in ogni essere senziente. Secondo aspetto fondamentale del Vajrayāna è che esso può essere appreso solo per mezzo di una guida, di un maestro (sanscrito: guru, tibetano: bla-ma o lama, giapp. shi).
Ciò premesso questo "veicolo" buddhista si fonda sul termine tantra che significa "continuità". Questo termine designa l'autentica natura che soggiace all'intera realtà sia essa relativa al saṃsāra o allo stesso nirvāṇa. Questa natura corrisponde alla vacuità. Quando la vacuità si manifesta, si manifesta attraverso l'illusione dell'esistere (māyājāla tib. sgyu-'phrul dra-ba). Quando si riconosce la vacuità che soggiace ai fenomeni si diviene illuminati. Il tantra è la via che conduce a questa consapevolezza. Il termine tantra non riguarda quindi solo i testi, ma anche le relative dottrine. Il "veicolo" buddhista che trasmette le dottrine dei tantra viene denominato Vajrayāna.
Il Vajrayāna, a detta dei suoi seguaci, si distingue dal Mahayāna perché a differenza di questo "veicolo" persegue il principio del "Frutto" (sans. phala, tib. 'bras-bu, giapp. ka) e non delle "Cause" (sans. hetu, tib. rgyu, giapp. in). Secondo il Vajrayāna, infatti, il Buddhismo Mahayāna (indicato anche come Pāramitayāna, Veicolo delle Perfezioni, o Sūtrayāna, Veicolo dei Sūtra) persegue, per mezzo della meditazione e dello studio dei sutra, un cammino di perfezionamento attraverso la rinuncia delle condotte negative accumulando meriti e saggezza per realizzare il Frutto del corpo assoluto (Dharmakāya) e quello dei corpi formali (rūpakāya). Per il Mahayāna, quindi, il cammino percorso è la "causa" dell'illuminazione.
Il Vajrayāna, invece, persegue il principio del "Frutto" ovvero per tramite dei "mezzi abili" rappresentati dai tantra questo veicolo conduce alla purificazione del corpo e di ciò che lo circonda (Tantra inferiori o esterni: Kriyā Tantra, Caryā Tantra e Yoga Tantra) e a trasformare la dimensione "impura" in "pura" (Tantra superiori o interni: Anuttarayoga Tantra).
Questo percorso della Via del diamante può essere intrapreso, secondo questa tradizione buddhista, solo attraverso delle iniziazioni (sans. abhiṣeka, tib. dbang bskur ba, giapp. 灌頂 kanjō) conferite da un maestro di vajra (vajrācarya). A seguito di ciò il discepolo riceve degli insegnamenti orali (sans. āgama, tib. lung, giapp. 阿含 agon) ovvero dei testi da studiare e delle istruzioni. Per realizzare la "pura visione" della Realtà, il discepolo del Vajrayāna applica il metodo del sādhana (strumento per la realizzazione) che raccoglie varie tecniche:
  • Iṣṭadevatā (tib. y-dam, giapp. 本尊 honzon): visualizzare la divinità scelta per la meditazione;
  • Maṇḍala (tib. dkyl-'khor, giapp. 曼荼羅 mandara): visualizzare il sacro ambiente circostante la divinità prescelta per la meditazione;
  • Mudrā (tib. phyag-rgya, giapp. 印相 insō): compiere gesti rituali e simbolici;
  • Pūja (tib. mchod-pa, giapp. 供養 kuyō): fare offerte alle divinità;
  • Mantra: recitare formule sacre;
  • Samudācāratā: svolgere azioni religiose.
Per tramite di questi "mezzi abili" uniti alla consapevolezza della vacuità e della purezza di tutto il Reale, il discepolo consegue il "Frutto" che consiste nel completo stato di buddhità. Tale frutto può essere conseguito in più rinascite (via dei Tantra inferiori) o in una sola vita (via dei Tantra superiori).

Il Vajrayāna di tradizione cinese e il Vajrayāna di tradizione tibetana

Dalla fase di compilazione della classe di scritti dello Yogatantra (VIII secolo) si passò alla classe degli Anuttarayogatantra (X secolo circa), o Tantra dello Yoga superiore.
Il Buddhismo Vajrayana fiorì principalmente in India, dove però si estinse insieme alle altre scuole buddhiste attorno al XIII secolo, ma si diffuse a Giava come testimoniano i cicli scultorei di Borobudur, in Cina, in Giappone nella scuola Shingon, in Asia Centrale e solo in seguito in Tibet. In accordo a diversi Maestri si parla di due, tre o quattro classi di Tantra e questa ultima suddivisione è stata portata avanti dal Maestro Nagarjuna il quale era un praticante nonché detentore del Ghuyasamajatantra, (un Tantra madre? Verificare). Le quattro classi di Tantra sono il Kriyatantra, il Caryatantra, lo Yogatantra e l'Anuttarayogatantra o Yogatantra insorpassabile. Nel sistema Nyingmapa le prime tre classi di Tantra vengono definite "esterne" e comprendono solo lo "Stadio di Generazione", Utpattikrama in sanscrito e Kye Rim in tibetano mentre l'Anuttarayogatantra è uno dei tre Tantra interni e in esso vi sono entrambi gli Stadi di Generazione (come Divinità) e Completamento con la pratica di controllo e assorbimento dei Venti, dei Canali e delle Gocce, Prana, nadi e Bindu, in tib. rTsa, Lung e Thigle. Nel sistema Ningmapa del Buddhismo Tibetano vi sono due ulteriori classi di Tantra, l'Anuyoga e l'Atiyoga; l'Anuyoga corrisponde unicamente allo Stadio di Completamento mentre l'Atiyoga corrisponde al risultato stesso della pratica: il risultato, il Dharmakāya non-nato, è il principale oggetto di meditazione per il praticante ed è esattamente la Natura di Buddha, la Tathagatagarbha. Dimorando senza elaborazioni mentali dualistiche nello stato naturale della mante, Thamal Gyi Shepa in tib., non vi è la necessità di purificare (le oscurazioni) né di accumulare (le positività); il risultato è il sentiero stesso siccome viene presa come sentiero la stessa Tathagatagarbha; accumulazioni e purificazione avvengono aumaticamente con il focalizzaarsi sulla Natura di Buddha ed è possibile "saltare" (ing.: skip) Sentieri e Bhumi e ottenere il risultato definitivo ed irreversibile in un breve periodo di tempo. Il Mahayoga, primo dei tantra Interni in accordo al Lignaggio che deriva dal Maestro Prahevajra (Tib.: Garab Dorje) che per primo diffuse gli Insegnamenti del Maha Ati Yoga (Tib.: Dzok Chen) si suddivide in Tantra Padre, Tantra Madre e Tantra Non-duale. Nel Tantra Padre viene posta più attenzione alle Pratiche relative al Metodo e alle Pratiche di Nadi Prana e Bindu mentre nei Tantra Madre si dà più attenzione alla Chiara Luce e nei Tantra non-duali enytrambi questi aspetti vengono praticati simultaneamente. Yidam dei Tantra Padre è per esempio (devo riguardare), dei Tantra Madre Heruka Chakrasamvara e dei Tantra non-duali Kalachakra e Hevajra. Utpattikrama, lo Stadio di Generazione e Sampannakrama, lo Stadio di Completamento sono il cuore stesso del Mantrayana ma vi sono pratiche che prescindono dai due Stadi come la Mahamudra essenziale e il Maha Ati Yoga che, sebbene possano fare temporaneo uso dei due stadi in definitiva dono indipendenti e non sono Veicoli graduali come i Tantra esterni e il Mahayoga che è l'equivalente dell'Anuttarayogatantra. L'Anuyoga è caratterizzato da una visualizzazione istantanea del Mandala e delle Divinità e dai praticanti dell'Anuttarayogatantra è spesso equiparato allo Stadio di Completamento, scr. Sampannakrama. L'Atiyoga è caratterizzato dall'Autoliberazione nel Dharmadhatu, il riconoscimento immediato del Dharmakāya e consiste nel dimorare nella propria Natura di Buddha, Sugatagarbha e, in questo modo il risultato della Buddhità è realizzato nella maniera più rapida come nel caso della meditazione di Mahamudra che discende dal Buddha Vajradhara e dai Mahasiddha dell'India come Saraha, Maitripa, Kukkuripa, Tilopa, Naropa, Virupa,...
In accordo ad alcuni il Vajrayana è la forma di Buddhismo diffusa in Tibet tanto che spesso per Buddhismo Vajrayana ci si riferisce al Buddhismo Tibetano, sebbene non si tratti dell'unica forma di Buddhismo praticata in Tibet e che in passato si sia diffusa anche in altri paesi dell'Asia. La forma di Buddhismo presente in Tibet racchiude puramente lo Śravakayana, il Bodhisattvayana e il Tantrayana ma essi vengono insegnati separatamente a seconda delle necessità individuali di ogni praticante quindi definire il Buddhismo Tibetano come essere unicamente Vajrayana è errato sebbene degli elementi del Vajrayana siano presenti un po' in tutte le pratiche Buddhiste praticate in Tibet e in zone Himalayane limitrofe. Al di fuori dell'area culturale del Tibet (cioè nel Sikkim, Ladakh, Bhutan, Qinghai, Mongolia, Calmucchia, Buriazia e aree del Nepal, dello Yunnan, del Gansu, del Sichuan), il buddhismo Vajrayana si è sviluppato in Giappone (scuola Shingon) e sta avendo un notevole sviluppo nei paesi occidentali attraverso la diffusione delle Quattro Tradizioni Principali, Kagyu, Nyingma, Sakya e Gelug del Buddhismo tibetano.

venerdì 16 novembre 2018

Shinigami

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Uno shinigami (死神 shinigami, letteralmente "divinità della morte") è una personificazione della morte nella mitologia giapponese, un equivalente del "mietitore di anime" occidentale; quella occidentale, inoltre, è una figura singola, mentre gli shinigami sono, appunto, degli dei e pertanto molteplici.
La mitologia degli shinigami è piuttosto recente, in quanto non sembra esistesse prima del periodo Meiji: molto probabilmente si tratta di un mito importato dall'Europa.
La figura fu adottata molto rapidamente in Giappone, e compare ad esempio nell'opera rakugo Shinigami (probabilmente basata sull'opera italiana Crispino e la Comare, a sua volta basata sul racconto Comare Morte dei fratelli Grimm) e nell'Ehon Hyaku Monogatari ("Libro illustrato di cento storie") di Shunsen Takehara. Secondo altri, però, il mito potrebbe essere stato importato dalla Cina: secondo il critico letterario Masao Azuma, in origine non c'era alcun culto della morte in Giappone.
In Cina ci sono figure simili al mietitore di anime, chiamate Somujo o Koshinin, il cui compito è portare gli spiriti al Meifu (la Terra dei Morti).





giovedì 15 novembre 2018

Mogami Yoshimori

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Mogami Yoshimori (最上義守; 1521 – 1590) è stato un daimyō giapponese del clan Mogami durante il periodo Sengoku.
Yoshimori era figlio di Mogami Yoshiharu, che era un cugino del daimyō dei Mogami, Yoshisada. Quando Mogami Yoshisada morì senza eredi nel 1523, Yoshimori fu scelto per la successione all'età di due anni. Egli governò dal castello di Yamagata e si sono scontrò con i clan Uesugi, Date e numerosi signori locali per espandere il dominio dei Mogami.
Sostenne Date Tanemune nel conflitto di Tenbun e sua figlia Yoshiko fu data in sposa a Date Terumune, padre del famoso Masamune.
Nel 1571 Yoshimori indicò come erede un suo figlio più giovane, bypassando Mogami Yoshiaki. Una fazione di servitori fedeli a Yoshiaki intervenne per porre Yoshimori in custodia e forzare la successione di Yoshiaki.

mercoledì 14 novembre 2018

Kagami biraki

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Il Kagami biraki (鏡開きlett. "apertura dello specchio" o "rottura del mochi") è una cerimonia giapponese che si celebra l'11 gennaio; in Giappone infatti, i numeri dispari sono considerati fortunati. Durante una cerimonia o durante una festa si rompe un kagami mochi oppure si apre una confezione di sake.

Storia

La tradizione del Kagami biraki sembra risalire al periodo Edo fa quando il quarto shōgun Tokugawa Ietsuna (1641-1680) prima di andare in guerra convocò un suo daimyō per condividere con lui un barile di sake. Poiché, in seguito, si ottenne una rapida vittoria in battaglia, l'aprire un barile di sake in vista di un importante evento (sia esso militare, sportivo, sociale) divenne un simbolo beneaugurante. Da allora la tradizione si continua a perpetuare.

Cerimonia

La cerimonia, oggigiorno, ha luogo in occasioni quali matrimoni, eventi sportivi, inaugurazioni o qualunque evento che valga la pena essere celebrato. In Giappone, i mochi sono confezionati tradizionalmente nelle case, ma la maggioranza delle famiglie preferisce comprarne di già realizzati. Durante le feste, una coppia di ridotti (kagami mochi) – uno più grande dell'altro – viene poggiata su un mobiletto e poi collocata su un altare Shintō o buddista o su un tokonoma, come offerta agli dei in visita, durante il Capodanno. Il mochi ornamentale è rimosso l'11 gennaio e viene spezzato in più frammenti prima di essere mangiato.
A quel punto, il kagami mochi è già alquanto fragile e sulla superficie possono essere presenti crepe. Il mochi non viene tagliato col coltello, perché tagliare è un gesto negativo (è associato al taglio dei legami tra le persone) ed è solitamente frantumato con un colpo di mano o con un martelletto.
Molti dojo celebrano il rito del Kagami biraki per ricordare la loro prima sessione dall'allenamento dopo il Capodanno.