Quanto si può guadagnare con gli sport da combattimento e le arti marziali in Italia e nel mondo?
Un fighter in Italia può guadagnare cifre che vanno da rimborsi spese di 50-100 euro nel caso dei novizi fino a migliaia di euro a match per gli atleti più blasonati. Nel mondo un fighter può guadagnare molto di più, fino a compensi dell’ordine dei centinaia di milioni di euro. La sproporzione è notevole.
La situazione in Italia è simile sia che si parli di pugilato che di altri sport da combattimento a contatto pieno (Kickboxing, Muay Thai, MMA): il rimborso spese di un fighter si muove sempre attorno alle poche centinaia di euro per partecipare a gala, rassegne, tornei, finché non riesce ad arrivare a qualche promotion internazionale o disputare un match per un titolo europeo o mondiale dove può ambire a borse dell’ordine delle migliaia di euro. Va specificato che in pochi riescono ad ottenere questi compensi e comunque si tratta di eventi sporadici.
Non è inoltre plausibile pensare di effettuare un numero alto di match per compensare le basse entrate derivanti dalle borse: serve recupero tra un incontro e l’altro e non si può chiedere troppo al proprio corpo. Infine il numero di eventi organizzati non è adeguato a compensare le scarse retribuzioni.
È emblematico che un titolo italiano di pugilato venga pagato poche migliaia di euro: Carmine Tommassone, pugile professionista, riporta di aver preso come borsa per un titolo italiano solo 2500 euro.
Conor McGregor e Floyd Mayweather Jr.
Il sito MMA Arena riporta borse medie per atleti top level di MMA attorno ai 1200 euro, con una frequenza media di combattimento pari a circa 2 match di rilievo all’anno.
Spesso e volentieri chi vuole vivere di sport da combattimento in Italia è costretto ad accompagnare l’allenamento in palestra ad un secondo lavoro, che diventa la fonte di guadagno primaria per l’atleta almeno fino al raggiungimento di borse considerevoli.
Chiaramente le sponsorizzazioni fanno muovere l’ago della bilancia e, soprattutto se il fighter italiano si fa notare anche all’estero e dona prestigio al brand, i guadagni possibili sono dell’ordine delle decine di migliaia di euro. È ovviamente possibile anche guadagnare con post sponsorizzati, facendo pubblicità a prodotti e con l’affiliate marketing, ma si tratta comunque di un side job, un altro lavoro che si affianca all’allenamento ed ai match.
Infatti le sponsorizzazioni sono legate alla capacità del fighter di promuoversi: un fighter senza un adeguato supporto mediatico non verrà mai contattato da nessun brand rilevante, a prescindere dalla sua bravura in combattimento.
Di contro, fighter molto noti grazie alla loro professionalità nel far crescere la propria figura sui media e sui social possono contare su cifre considerevoli per le sponsorizzazioni, legate alla loro presenza sui social, il numero di follower, gli articoli e le interviste a loro dedicati e via dicendo.
In Italia non si può propriamente applicare il concetto di professione ai fighter, poiché la legge n. 91 del 23/03/1981, denominata “norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti” definisce come possibile una “professione sportiva” solo per chi intraprenda una collaborazione continuativa con le società sportive affiliate al CONI che abbiano riconosciuto il professionismo: allo stato attuale delle cose solo pugilato, calcio, ciclismo, golf e pallacanestro consentono tale riconoscimento.
Il paradosso è che esiste un codice ATECO per la definizione di sportivi professionisti (93.19.99, “ALTRE ATTIVITÀ SPORTIVE NCA”, destinato ad “attività professionali sportive indipendenti prestate da atleti professionisti”): tuttavia le normative vigenti limitano considerevolmente le possibilità degli atleti.
Il fatto di non poter aprire una P.IVA come sportivo “freelance” limita in maniera considerevole le possibilità degli sportivi italiani ed il livello di movimentazione delle risorse possibile da essi.
Per questo molti atleti integrano l’attività agonistica con l’insegnamento: è molto comune trovare fighter che aprono le proprie palestre, per il duplice scopo di far crescere il proprio brand o il proprio nome ed aumentare le entrate rimanendo all’interno dello stesso ambito lavorativo.
Un’altra soluzione praticata è poi quella di entrare nei corpi di polizia per mirare al sogno olimpico e comunque avere sconti, agevolazioni, accesso a palestre e rimborsi spesa che consentano di mantenere l’attività sportiva full-time.
Fuori dall’Italia un fighter professionista può vivere tranquillamente ed anche molto bene, con differenze nella retribuzione che variano di molto a seconda della nazione, del livello dell’atleta, della promotion e della disciplina praticata.
Nel tempo il pugilato ha saputo organizzarsi ed affermarsi, con le quattro sigle a livello mondiale a fare da padrone: WBC (World Boxing Council), WBA (World Boxing Association), WBO (World Boxing Organization), IBF (International Boxing Federation).
A differenza del mondo delle MMA, della kickboxing, della Muay Thai o delle arti marziali, frammentati sotto l’egida di mille sigle poco note, da quando il pugilato è uscito dalle bettole ed ha sposato lo show business è riuscito a muovere cifre incredibili.
Queste sono le cifre che ha guadagnato Muhammad Ali secondo il sito Gamble Online, paragonate a quanto varrebbero ai giorni nostri considerando l’inflazione:
Match Borsa ottenuta Equivalente al 2021
Ali vs Hunsaker (29 ottobre 1960) $2,000 $18,044
Ali vs Frazier (8 marzo 1971) $2,500,000 $16,484,815
Ali vs Foreman (30 ottobre 1974) $5,450,000 $29,251,350.91
Ali vs Holmes (2 ottobre 1980) $8,000,000 $25,927,572.82
Secondo le statistiche ufficiali del Bureau of Labor statunitense un pugile professionista mediamente guadagna $51,370 all’anno (dati del 2017), partendo da cifre realmente basse (il minimo è $19,220 all’anno, che non basta nemmeno per vivere) fino ad arrivare ai compensi stellari di Floyd “Money” Mayweather o Manny Pacquiao, che per combattere uno contro l’altro hanno guadagnato 410 millioni di dollari in pay-per-view, 58 milioni in biglietti venduti, 180 milioni di borsa per Floyd e 120 per Manny, record imbattuto al 2021.
Floyd “Money” Mayweather
Alessio Sakara in Bellator
Alcune promotion, come Bellator, sono note per la disparità di trattamento tra i loro atleti: a fronte dei “250 dollari a match” lamentati in un tweet da Marcus Sims altri atleti “top” come Rampage Jackson e Chael Sonnen hanno potuto contare su borse da 300.000 dollari l’uno.
UFC ha fatto un lavoro unico nella storia degli sport da combattimento, dominando i media e soprattutto i social network, ottenendo quindi un ritorno economico senza precedenti e la possibilità di pagare cifre astronomiche ai suoi atleti sotto contratto.
Conor McGregor ha recentemente scalato la classifica degli sportivi più pagati del mondo, fino a conquistare il titolo di sportivo più pagato del pianeta, con 180 milioni di dollari guadagnati nel 2021. Si tratta di cifre incredibili se si pensa che i numero 2 e 3 della classifica, ossia Lionel Messi e Cristiano Ronaldo, si fermano rispettivamente a 130 e 120 milioni. Più in basso nella classifica figurano nomi come Lebron James, Roger Federer, Lewis Hamilton.
Chiaramente certi guadagni sono proporzionali alle dimensioni delle promotion dei quali questi atleti fanno parte: la UFC ha dato una svolta al mondo delle MMA proponendo cachet di altissimo livello e diventando una meta ambita per i fighter che sanno di poter effettuare la famosa “svolta” tramite un ingaggio al suo interno.
Nonostante questo sono esistite, esistono e probabilmente esisteranno numerosi disaccordi tra Dana White (presidente della UFC) ed i suoi fighter: da Masvidal a McGregor passando per Nurmagomedov, quasi tutti hanno tentato di rinegoziare la borsa in palio per i loro match, sostenendo di essere sottopagati per le loro prestazioni.
Rimane il fatto che in UFC le borse sono basse ma l’esposizione mediatica offre una notevole possibilità per “arrotondare” le cifre prese: tra sponsorizzazioni, diritti d’immagine, merchandise e pay-per-view le cifre messe in gioco sono davvero notevoli. Inoltre ci sono dei “bonus” per le migliori prestazioni chiamate “UFC Bonus Awards”, che vanno dai 30.000 dollari ai 160.000 dollari a testa anche se tipicamente si attestano sui 50.000 dollari, così denominati:
Fight of the night
Knockout of the night
Submission of the night
Performance of the night
Ovviamente questi compensi sono da considerarsi lordi: da questi i fighter devono detrarre le tasse, che vanno pagate spesso sia nella nazione nella quale avviene il match sia nella nazione dove si vive, oltre a tutto ciò che serve per preparare un incontro (nutrizionisti, preparatori atletici, spostamenti, sparring partner) ed ovviamente tutte le spese per le cure mediche post incontro (riabilitazioni, fisioterapia e via dicendo).
Il sito “The Athletic” ha pubblicato una ricerca su 170 atleti provenienti da differenti promotion a livello globale dalla quale emerge che il netto guadagnato da un atleta una volta detratte le spese si contrae del 32% rispetto alla cifra iniziale. Significa che su 100,000 dollari incassati in tasca ne arrivano realmente 68,000. Non male, ma comunque una contrazione notevole.
Inoltre una buona fetta dell’incasso va divisa con il coach (o con il team che segue l’atleta) e con il management (in italiano chiamato spesso “procuratore”): si parla di cifre che vanno dal 5% al 40% dell’incasso.
Alla fine dei conti moltissimi fighter guadagnano cifre pari a meno della metà della borsa ottenuta e se si considera che molti di loro faranno pochi match all’anno e che non arriveranno mai a guadagnare le cifre planetarie di personaggi come McGregor e di altre superstar del mondo del combattimento, si parla essenzialmente di cifre che sono considerate poco più di una buona entrata mensile.
Nel 2020 secondo IBTIMES, un fighter UFC ha guadagnato mediamente $147.965, con un aumento dello 0,88% rispetto alla media del 2019 di 146.673 dollari. Solo 219 combattenti tra tutti i fighter sotto contratto, ossia circa il 38% del totale degli atleti all’epoca, hanno guadagnato stipendi a sei cifre. Nurmagomedov è stato il combattente UFC più pagato quell’anno con guadagni stimati di 6.090.000 dollari, esclusi i bonus pay-per-view.
Nel caso della UFC la borsa è in larga parte determinata dalle dimensioni della fanbase dei singoli atleti: questo spiega anche l’utilizzo (eccessivo) di dissing, trash talking e sceneggiate varie al face-off: tutto, purché se ne parli.
Le cose sono simili per ONE Championship: ufficialmente le borse dei fighter MMA asiatici non sono mai state rese pubbliche ma pare che ONE si adegui al modello UFC offrendo bonus per prestazioni notevoli in gabbia e borse che vanno dai 50.000 dollari ai 600.000 dollari a match.
ONE è la promotion che ha portato il nostro Giorgio Petrosyan a guadagnare l’extra bonus più alto della storia della Kickboxing, ossia un milione di dollari oltre alla borsa prevista, per il match contro Samy Sana il 13 ottobre 2019, valevole per il titolo mondiale.
Sono state messe in palio borse davvero faraoniche per il confronto tra Canelo Alvarez e Billy Joe Saunders, tenutosi sabato 8 maggio 2021 ad Arlington (USA).
Canelo Alvarez ha incassato un assegno di 20 milioni di dollari, mentre Billy Joe Saunders si è dovuto “accontentare” di 2,5 milioni di dollari.
Le “sceneggiate” in voga oggi che vedono ex pugili anziani tornare sul ring, oppure youtuber affrontare vecchie glorie della MMA muovono quantità incredibili di denaro tra pay-per-view, sponsorizzazioni e diritti d’immagine.
Prima che diventasse un picchiatore da osteria Conor McGregor è stato un’icona delle MMA che ha sfruttato la sua immagine fino all’ultimo ed oltre, unendo le forze con Floyd “Money” Mayweather Jr. in un match tanto ridicolo per le rispettive discipline quanto incredibile per le cifre in palio: 100 milioni di dollari per la borsa di Mayweather, “solo” 75 per la borsa di McGregor, più i soliti extra sopracitati.
L’esibizione tra Mike Tyson e Roy Jones Jr. ha fruttato al primo 10 milioni di dollari, al secondo 3 milioni, ma hanno ottenuto insieme ben 80 milioni di dollari dalla pay-per-view, che sono stati equamente divisi tra i due pugili.
Il “match” tra lo Youtuber convertito al pugilato Jake Paul ed il fighter di MMA Tyron Woodley ha fruttato 2 milioni ognuno mentre il precedente match vinto per KO contro Ben Askren, altro fighter di MMA, gli avrebbe fruttato a suo dire 75 milioni di dollari complessivi.
È chiaro che si tratta di cifre legate al “brand” costruito sulla persona, quindi non di compensi per l’attività sportiva: ad oggi mentre un professionista viene pagato per la sua prestazione uno sportivo viene pagato poco o nulla per la sua professione: le cifre altisonanti guadagnate da alcuni sportivi sono per la loro notorietà e non sono legate alla loro abilità tecniche: viene pagato l’influencer, non il fighter.
Purtroppo questo sistema va talvolta a detrimento del livello sportivo e si assiste a scene pietose come quella di Holyfield, icona e leggenda vivente del pugilato, che ha deciso di risalire un’altra volta sul ring a 58 anni per farsi picchiare impietosamente da un fighter di MMA a fine carriera, Vitor Belfor, per 500.000 dollari e quasi il doppio di PPV.
Le cose sono poi molto diverse per i titoli legati alle arti marziali: nel caso dello Judo, i vincitori del IJF World Circuit che raggiungono i livelli più alti del IJF Prestige World Ranking List come Teddy Riner, Ilias Iliadis, Munkhbat Urantsetseg, Automne Pavia, Dex Elmont hanno ottenuto premi che vanno dai 10 ai 50.000 dollari.
I vincitori del World Taekwondo Grand Prix Championship possono raggiungere premi che vanno fino a 70.000 dollari. Sono indubbiamente cifre importanti ma il problema è che a malapena possono compensare anni di fatiche, spostamenti da palestra a palestra, spese vive, fisioterapia, dieta e visite specialistiche e soprattutto si tratta di compensi che spettano solo ai vincitori. Gli altri devono farcela con le loro forze.
In conclusione, alla domanda “è possibile vivere facendo il fighter di professione?” la risposta è “sì, certamente”, ma bisogna associare sempre all’attività sportiva un brand legato al proprio nome. E questo è vero per chiunque, da quando il sistema capitalistico basato sul consumismo ha preso il sopravvento a livello mondiale. I prodotti ed i servizi non si vendono da soli ed è fondamentale arrivare al consumatore finale: le sole attività marziali non sono contemplate come “elementi di marketing” e sopravvivono grazie a contributi statali o di enti e federazioni no-profit. Il grosso dei guadagni per un atleta verrà sempre dal mercato che ruota attorno alla sua disciplina e qualunque fighter che voglia arrivare in alto deve curare la propria immagine pubblica.
Crescere come brand consente di reperire le risorse necessarie per accedere a livelli qualitativi di allenamento superiori ed aumentare così il proprio valore di mercato, in un circolo virtuoso che se tenuto in equilibrio consente all’atleta di arrivare in vetta alla sua disciplina accompagnato da una considerevole soddisfazione economica.