mercoledì 31 ottobre 2018
martedì 30 ottobre 2018
Kiso Yoshiyasu
Kiso Yoshiyasu (木曾義康;
1514 – 1579) è stato un samurai giapponese del periodo Sengoku
della provincia dello Shinano.
Yoshiyasu controllava il castello di
Fukushima nella regione Kiso dello Shinano. SI alleò con numerosi
signori della guerra dello Shinano allo scopo di contenere le forze
Takeda di Takeda Shingen. Quando l'alleanza fu sconfitta nella
battaglia di Sezawa, Yoshiyasu continuó a resistere a Shingen fino a
quando non fu costretto a cedere il suo castello di Fukushima
nell′assedio di Fukushima del 1554. Da quel momento diventó un
vassallo Takeda. Suo figlio Kiso Yoshimasa continuò a servire i
Takeda.
lunedì 29 ottobre 2018
Kimura Shigenari
Kimura Shigenari (木村
重成; 1593 – 6 giugno 1615) è stato un vassallo
del clan Toyotomi.
Era figlio di Kimura Shigekore.
Raggiunse il castello di Osaka per unirsi ai suoi difensori nel 1614
e fu ucciso nella battaglia di Wakae durante la campagna estiva
dell'assedio di Osaka. Si dice che fosse incredibilmente attraente e
che fu reso famoso per il coraggio dimostrato ad Osaka.
domenica 28 ottobre 2018
Buddhismo cinese
Il buddhismo cinese è il frutto
dell'intensa attività missionaria di importanti rappresentanti del
buddhismo dei Nikāya e del buddhismo Mahāyāna provenienti
dall'India e, soprattutto, dall'Asia Centrale in Cina e dei
contributi di maestri locali, che continueranno questa tradizione o
ne daranno nuove e cruciali interpretazioni. Apporti rilevanti
raggiunsero la Cina anche per via meridionale, fino al formarsi una
rete culturale estremamente importante nella storia dell'Asia e delle
civiltà influenzate dalla cultura cinese, come il Giappone, la Corea
e il Vietnam e alcuni regni sinizzati dell'Asia continentale.
Documenti storici influenzati da
leggende posteriori ma sostanzialmente attendibili parlano di una
prima introduzione del buddhismo in Cina nell'anno 64. L'apice
culturale del buddhismo cinese sarà sotto la dinastia Tang, mentre
in epoche posteriori si assisterà ad una certa decadenza dovuta alla
perdita del favore imperiale, all'interruzione dei contatti diretti
con l'India (dove il buddhismo si estinse), e ad un rinato interesse
per la filosofia e le religioni autoctone (confucianesimo, daoismo).
Le scuole buddhiste più importanti dell'epoca Tang sono la Tiāntái,
la Huāyán e la Zhēnyán. Di poco posteriore ed in seguito molto
influente, si deve ricordare la scuola Chán. Meno influente nella
storia del buddhismo cinese ma importante per i favori che riceverà
dalla corte fino all'ultima dinastia sarà il Lamaismo di origine
tibetana. Alcune di queste scuole sopravvivono in paesi di antica
influenza cinese, specialmente in Giappone.
Le scuole del buddhismo cinese
Le scuole del buddhismo cinese sono
tradizionalmente elencate come tredici (十三宗,
pinyin shísān zōng). All'elenco tradizionale va aggiunta la
scuola Sānjiē (三階教, la
scuola del "Tre Stadi") fondata nel VI secolo da Xìnxíng
(信行, 540-593). Questa scuola
verrà considerata eretica dall'imperatrice buddhista, della dinastia
Tang, Wǔ Zétiān (武則天,
regno: 690-705) e completamente annientata, nel 725, da un suo
successore, l'imperatore Xuánzōng (玄宗,
regno 712-56). Va tenuto presente che quando, di seguito, vengono
trattate le scuole (宗, zōng)
esse non vanno intese nel significato comune di luoghi o gruppi
contrapposti ad altri, piuttosto come lignaggi di insegnamenti o di
precetti (戒脈, jièmài).
Questo almeno fino all'epoca Tang, quando le contrapposizioni per
ottenere i favori imperiali o per dirimere le polemiche dottrinali,
irrigidiranno maggiormente tali tradizioni e le 'scuole' che ne
deriveranno.
La scuola Jùshè (倶舍宗, Jùshè zōng)
Inizialmente fu una scuola hīnayāna
fondata sulle dottrine esposte nell'Abhidharma-kośa-bhāsya
(Tesoro dell'Abhidharma, 阿毘達磨倶舍論本頌,
pinyin
Āpídámójùshèlùn běnsòng, è conservato nel Pítánbù),
composto nel V secolo dal sarvāstivāda Vasubandhu. Fu inglobata nel
753 dalla scuola Fǎxiāng, fondata da Xuánzàng (玄奘,
600-664) che diede di quest'opera una lettura mahāyāna cittamātra.
Nel 658, i monaci giapponesi Chitsū (智通,
VII secolo) e Chidatsu (智達,
VII secolo) allievi di Xuánzàng, ne trasferirono gli insegnamenti
in Giappone fondando la scuola Kusha.
La scuola Chéngshí (成實宗, Chéngshí zōng)
Fu fondata dagli allievi di Kumārajīva,
Sēngdǎo (僧導, 362–457) e
Sēngsōng (僧嵩,?-?), dopo
che il maestro ebbe tradotto lo Tattvasiddhi-śāstra (成實論
pinyin: Chéngshí lùn, giapp. Jōjitsuron, si
trova nel Lùnjíbù) di Harivarman, da cui prende il nome. Di
impronta madhyamaka, fece concorrenza alla scuola Sānlùn pur
conservando con questa delle precise differenze dottrinali. Declinò
alla fine del VII secolo, ma il monaco coreano Hyegwan (coreano 혜관,
cinese 慧灌 Huìguàn, giapp.
エカン, Ekan) ne trasferì,
nel 625, gli insegnamenti in Giappone che sono alla base della scuola
giapponese Jojitsu.
La scuola Lǜ (律宗, Lǜ zōng; anche 南山宗 Nánshān zōng)
Fondata nel VII secolo dal monaco
Dàoxuān (道安, 596-667) si
rifà essenzialmente al Cāturvargīya-vinaya (Quadruplici
regole della disciplina, 四分律
pinyin: Shìfēnlǜ,
giapp. Shibunritsu, è conservato nel Lǜbù) della
scuola Dharmaguptaka, tradotto in cinese nel 408 da Buddhayaśas (in
cinese 佛陀耶舍 Fótuóyéshè,
IV-V secolo) e da Zhú Fóniàn (竺佛念,
IV-V secolo).
L'attenzione rivolta da questa scuola a
questo vinaya e il fatto che venissero studiati anche gli
altri tre vinaya già tradotti in cinese in quell'epoca fu
emulato da tutte le altre scuole buddhiste cinesi, che presto
decisero di adottare il Cāturvargīya-vinaya come regola
monastica.
Nemmeno la traduzione del
Mūla-sarvāstivāda-vinaya-vibhaṅga (Vinaya
Mūlasarvāstivāda, 根本說一切有部毘奈耶
pinyin: Gēnběnshuōyīqièyǒubù pínàiyé, giapp.
Konpon setsuissaiubu binaya) portato in Cina e tradotto da
Yìjìng (義淨, 635-713)
nell'VIII secolo, cambierà questo tipo di scelta. Nel 754, il monaco
cinese Dàoxuān Lǜzōng (道安律宗,
702-760) trasferirà in Giappone le dottrine di questa scuola
fondando la scuola giapponese Ritsu.
La scuola Sānlùn (三論宗, Sānlùn zōng)
È la scuola dei Tre trattati (Sānlùn),
conservati nello Zhōngguānbù, ad impronta madhyamaka.
Tradizionalmente si ritiene sia stata fondata dall'allievo di
Kumārajīva, Sēngzhào (僧肇,
374-414) ma è attestato che egli non ebbe dei discepoli diretti.
Nacque comunque tra gli allievi del grande traduttore di Kucha.
Importante diffusore delle sue dottrine fu il monaco Jízàng (吉藏,
549-623). Venne progressivamente assorbita, durante la Dinastia Tang,
dalle scuole Tiāntái e Huāyán. Il monaco coreano Hyegwan la
diffuse in Giappone, nel 626, dove prese la denominazione Sanron.
La scuola Nièpán (涅槃宗, Nièpán zōng)
La scuola Nièpán è nata a seguito di
una controversia dottrinale determinata dalla prima traduzione in
cinese del Mahāyāna Mahāparinirvāṇa-sūtra (Sutra
mahāyāna del Grande passaggio al di là della sofferenza, 大般泥洹經
Dà bān níhuán jīng, giapp. Daihannionkyō,
conservato nel Nièpánbù, T.D. 376.12.853-900) operata da
Buddhabhadra e Fǎxián (法賢,
340-418) in 6 fascicoli nel 417. In questa prima traduzione veniva
adombrata la dottrina degli icchantika (一闡提,
yīchǎntí, giapp. issendai), una dottrina di origine
cittamātra che sosteneva la possibilità di esseri senzienti, gli
icchantika, a cui era preclusa per sempre l'"illuminazione".
Questa lettura del sutra e la conseguente dottrina fu subito
rigettata dal discepolo Kumārajīva, Dàoshēng (道生,
355 – 434) che, come il suo maestro, seguiva le dottrine
madhyamaka. Tale contrasto con Buddhabhadra e Fǎxián costrinse
Dàoshēng a lasciare Nanchino e a tornare sul Monte Lú da dove era
precedentemente partito. La scuola Nièpán si dedicava allo studio e
all'interpretazione di questo sutra, ma nel corso dei secoli fu
assorbita dalle scuole Tiāntái, Huāyán, Shèlùn e Fǎxiāng,
scomparendo definitivamente sotto la Dinastia Tang (618-907).
La scuola Dìlùn ( 地論宗, Dìlùn zōng)
È una scuola di origine cittamātra
che si fonda sul Daśabhūmikasūtra-śāstra o
Dasabhūmikabhāsya (十地經論
Shídì jīnglùn o anche Shidi lun 十地論,
o Dilun 地論, giapp.
Jūji kyō ron, T.D. 1522.26.123b-203b, è conservato nel
Yúqiébù) redatto da Vasubandhu nel IV secolo, fu tradotto
in cinese da Bodhiruci tra il 508 e il 512. Questo testo è un
commentario al Daśabhūmika-sūtra (十住經
Shízhù jīng, giapp. Jūjū kyō, Sutra delle
dieci terre, T.D. 286), che corrisponde a sua volta al trentunesimo
capitolo del Avataṃsakasūtra (華嚴經
Huāyánjīng, giapp. Kegon kyō, Sutra della
ghirlanda fiorita di Buddha). Influenzò la scuola Huāyán.
La scuola Chán (禪宗, Chán zōng)
Secondo alcune agiografie fu fondata
nel V secolo dal leggendario monaco indiano Bodhidharma. Abbiamo,
tuttavia, contezza di questa scuola solo a partire dal VII secolo
quando alcuni monaci di probabile origine Tiāntái si avviaro alla
sola pratica dello zuòchán (坐禪,
meditazione seduta, pratica di origine Tiāntái) secondo il metodo
del bìguān (壁觀 guardando
il muro) insegnato dal loro leggendario fondatore. Pare prediliggesse
il solo studio del Laṅkâvatārasūtra (Il Sutra della
discesa a Lanka, 楞伽經 pinyin
Lèngqiéjīng, giapp. Ryōgakyō, conservato nel
Jīngjíbù), sutra di origine cittamātra. Dopo la morte del
quinto patriarca Hóngrěn (弘忍,
601 - 674), secondo la tradizione più diffusa si suddivise in due
rami: quello settentrionale, fondato da Shénxiù (神秀,
606-706), e quello meridionale, fondato da Huìnéng (慧能,
638-713). Di questi due rami scolastici, solo il secondo è giunto a
noi. Dottrine e lignaggi della scuola Chán furono trasferiti in
Giappone dai monaci tendai Eisai (1141-1215) e Dōgen (1200-1253) che
fondarono rispettivamente le scuole Zen Rinzai e Zen Sōtō.
La scuola Shèlùn (攝論宗, Shèlùn zōng)
È una delle scuole buddhiste cinesi
più antiche. Si basa sullo studio e la interpretazione del
Mahāyāna-saṃgrahôpanibandhana o Mahāyāna
saparigraha-śāstra (Commentario sul sommario del Grande
veicolo, cin. 攝大乘論釋 Shè
dàshènglùn shì, T.D. 1595.31.152-271, conservato nello
Yúqiébù) un'opera di Vasubandhu tradotta in 14 fascicoli e
interpretata da Paramârtha (499-569) e che è a sua volta un
commentario del Mahāyāna-saṃgraha-śāstra (Sommario del
Grande veicolo, 攝大乘論 Shè
dàshèng lùn, T.D. 1593.31.112b-132c, conservato nello Yúqiébù)
opera di Asaṅga, tradotta in tre fascicoli sempre da Paramârtha.
Le dottrine di questa scuola sono di chiara derivazione cittamātra e
sono centrate sull'interpretazione dell'ālayavijñāna
(Coscienza fondamentale, 阿賴耶識
ālàiyé shì, giapp. araya shiki). Questa
scuola fu assorbita, nel 649, dalla scuola Fǎxiāng quando Xuánzàng
ritradusse il Mahāyāna-saṁgrahôpanibandhana con il titolo
攝大乘論本 (Shè
dàshènglùn běn) reinterpretandolo.
La scuola Tiāntái (天台宗, Tiāntái zōng)
Fondata da Zhìyǐ (智顗,
538-597) nel VI secolo, elenca tra i suoi patriarchi cinesi anche
Huìwén (慧文, V secolo) e
Huìsī (慧思, 515-577).
Si fonda sulla dottrina di origine
Madhyamaka della Triplice verità (yuánróng sāndì 圓融三諦)
e sullo yīniàn sānqiān (一念三千)
nonché sulle dottrine rivelate nel Sutra del Loto (sanscrito
Saddharmapundarīkasūtra, cin. 妙法蓮華經
Fǎhuā jīng o Miàofǎ Liánhuā Jīng, giapp.
Myōhō renge kyō o Hokkekyō, è conservato nel
Fǎhuābù).
È stata una delle scuole buddhiste
cinesi più importanti, nonché la prima ad elaborare un buddhismo
tipicamente cinese, influenzando anche le altre scuole segnatamente
il buddhismo Chán e quello della Terra Pura.
I suoi manuali di meditazione sullo
zhǐguān (止觀) si
diffusero presso tutte le scuole. Annovera tra i suoi patriarchi
principali anche Guàndǐng (灌頂,
561-632), Zhànrán (湛然,
711-782) e Zhīlǐ (知禮,
960-1028).
Nell'805 il monaco giapponese Saichō
(最澄, 767-822) la introdurrà
in Giappone dove prenderà la denominazione Tendai.
La scuola Huāyán (華嚴宗, Huāyán zōng)
Scuola dell'"Ornamento fiorito",
una delle principali scuole del buddhismo cinese. Deve il suo nome
all'Avataṃsakasūtra (華嚴經,
pinyin Huāyánjīng, cor. Hwaŏm kyŏng, giapp. Kegon
kyō, Sutra della ghirlanda fiorita di Buddha, conservato nello
Huāyánbù), sutra considerato il più importante e completo
da questa scuola. Particolare riguardo era riservato all'ultimo
capitolo, il Gaṇḍavyūhasūtra (入法界品
pinyin: Rù fǎjiè pǐn, cor. Ip pŏpkye p'um,
giapp. Nyū hokkai bon, Capitolo sull'ingresso dentro il Regno
della Realtà). La dottrina di questa scuola verteva su una lettura
olistica e omnicentrica di tutta la Realtà. Primo patriarca e
fondatore fu il monaco Dùshùn
(杜順, 557-640, anche 法順
Fǎshùn) del monastero di Zhixiang (sui monti Zhōngnán 終南山
poco a sud di Chang'an). Altre personalità di questa scuola
sono il suo successore, Zhìyán (智嚴
602-668) e il suo allievo Fǎzàng (法藏,
643-712) che visse alla corte dell'imperatrice buddhista Wǔ Zétiān
(regno 690-705) della Dinastia Tang, grande sostenitrice di questa
scuola. Nel 740 il monaco coreano Simsang (심상,
cinese 審祥 Shěnxiáng,
giapp. シンショウ, Shinshō)
insegnò l'Avataṃsakasūtra e le dottrine della scuola
Huāyán in Giappone fondando di fatto la scuola giapponese Kegon.
La scuola Fǎxiāng (法相宗, Fǎxiāng zōng)
Denominata come scuola Wéishì
(唯識, "Sola
Rappresentazione"; dal sanscrito Vijñaptimātra) dai
suoi seguaci e Fǎxiāng (法相,
"Caratteristiche dei dharma) dai suoi oppositori, fu la
versione cinese della scuola indiana Cittamātra. Fu fondata da
Xuánzàng (玄奘, 600-664) al
suo ritorno dal suo lungo viaggio in India nel 645 e organizzata dal
suo allievo Kuījī (窺基,
632-682). Xuánzàng si era recato in India per recuperare dei testi
buddhisti da riportare in patria e, durante questo viaggio, si fermò
lungamente presso l'Università di Nālandā dove ricevette gli
insegnamenti direttamente dall'abate Silabhadra, a sua volta
discepolo diretto di Dharmapāla (VI secolo), un esegeta Cittamātra.
Testo fondamentale della scuola fu, infatti, il
Vijñaptimātratāsiddhi-śāstra (Trattato sulla
realizzazione del niente altro che conoscenza, 成唯識論
pinyin: Chéngwéishìlùn, giapp. Jōyuishikiron,
conservato nello Yúqiébù) opera fondamentale di Dharmapāla
tradotta da Xuánzàng (T.D. 1585.31.1a-59a) che poi è un
commentario al Triṃśikāvijñaptikārikā di Vasubandhu.
Nonostante la sua notorietà, la scuola non ebbe un largo seguito e
finì, nel corso degli anni, per essere in buona parte assorbita
dalla scuola Huāyán. Non sopravvisse alla persecuzione dell'845, ma
il pellegrino giapponese Dōshō (道昭,
629-700) riportò i suoi insegnamenti e i suoi lignaggi in Giappone
nel 653, fondando la scuola giapponese Hossō.
La scuola Jìngtǔ (淨土宗, Jìngtǔ zōng)
È una delle scuole buddhiste cinesi
dalle radici più antiche. Nel 402, sul Monte Lú, Huìyuan (慧遠,
334-416) compirà un rito facendo riferimento a uno dei testi
portanti di queste dottrine, il Pratyutpannasamādhi-sūtra.
Quindi la devozione del Buddha Amithaba
ha radici antiche in Cina, come del resto nella stessa India.
Occorrerà tuttavia ancora un secolo perché si formi una scuola con
un suo corpus scritturale preciso, conservato nel Bǎojībù.
È con il monaco Tánluán (曇鸞,
476-572) che viene varata, infatti, la scuola Jìngtǔ che ha come
cuore della sua pratica spirituale la recitazione del nome di
Amitâbha Buddha (阿彌陀佛 Āmítuó
fó, cor. Amit'a pul, giapp. Amida butsu). La
semplicità di questa pratica consentirà a questa scuola di
diffondersi negli strati più popolari del popolo cinese, soprattutto
nelle campagne. Influenzerà direttamente la scuola Tiāntái che ne
ingloberà degli insegnamenti restituendole delle riflessioni
dottrinarie. E nel corso dei secoli anche le altre scuole buddhiste
verranno da lei influenzata. In particolare la scuola Chán che, nel
XVI secolo con il maestro Yúnqī Zhūhóng (雲棲袾宏,
1535-1615), incorporerà la recitazione del nome di Amitâbha Buddha
come pratica del gōng-àn (公案,
giapp. kōan).
È uno degli insegnamenti buddhisti più
diffusi e praticati oggi in Cina. Verrà trasferità in Giappone, nel
IX secolo, da Saichō, fondatore della scuola Tendai. E nel, XII
secolo, un monaco tendai di nome Hōnen (法然,
1133-1212), fonderà la scuola Jōdo che si rifà direttamente agli
insegnamenti della scuola cinese Jìngtǔ.
La scuola Zhēnyán (眞言宗, Zhēnyán zōng)
Scuola della "Vera parola",
di derivazione Vajrayāna, si diffuse attraverso due modalità,
quello dei traduttori e degli esegeti si rivolse alle classi colte,
mentre quello dei taumaturghi si rivolse essenzialmente, ma non solo,
al popolo delle campagne. Il primo testo 'tantricò di cui abbiamo
contezza è il Módēngqié jīng (摩登伽經,
sanscrito: Mātaṅga-sūtra, cor. 마등가
경, Madŭngga kyŏng, giapp. Matōga kyō,
Sutra della giovane Matanga) la cui prima traduzione si può far
risalire ad Ān Shìgāo (安世高,
II secolo) nel 170 (摩鄧女經 T.D.
551.14.895), mentre una seconda (摩登伽經,
T.D. 1300.21.399-410) è attribuibile ai monaci Kushan Zhú Lǜyán
(竺律炎, II-III secolo) e Zhī
Qiān (支謙, II-III secolo)
nel 230. In tale antico sutra vi è descritto, per la prima volta,
l'utilizzo di dhāraṇī (cin. 陀羅尼
tuóluóní, cor. t'arani, giapp. darani),
e mantra (cin. 眞言 zhēnyán,
cor. 진언, chinŏn,
giapp. shingon), tra cui il Gāyatrī proveniente dal
Ṛgveda. Per tramite di monaci dell'Asia centrale, come
Fótúchéng (佛圖澄, ?-348)
l'utilizzo di mantra e dhāraṇī fu diffuso, tuttavia, anche a
livello di corte nella Cina settentrionale durante le dinastie
barbare succedute alla dinastia Han. Nel IV secolo si affacciano
testi Vajrayāna più maturi, come il Mahāmāyūrī-vidyārājñī
(孔雀明王經 Kǒngquè
míngwáng jīng, cor. Kongjan myŏngwang kyŏng, giapp.
Kujaku myōō kyō, T.D. 986.19.477-479).
Ma occorre aspettare la traduzione, nel
724, del Mahāvairocanāsūtra da parte di Subhākarasiṃha
(善無畏, Shànwúwèi,
637-735) e Yīxíng (一行,
684-727) perché si possa parlare di uno sviluppo scolastico della
scuola Zhēnyán.
Nel 720 giungeranno in Cina altri due
maestri Vajrayāna, Vajrabodhi (金剛智,
Jīngāng Zhì, 671-741) e il suo discepolo Amoghavajra (不空金剛,
Bùkōng jīngāng, 705-754) con altre scritture. E sarà proprio
l'attività di Amoghavajra presso la Corte dell'imperatore della
dinastia Tang, Dàizōng (代宗,
conosciuto anche come Lǐ Yù, 李豫
regno: 762-779), a fare di questa scuola una delle principali
scuole buddhiste in grado di mettere in secondo piano il daoismo
rinascente. Nell'806, il pellegrino giapponese Kūkai (空海,
774-835) trasferirà insegnamenti e lignaggi Zhēnyán, ricevuti
direttamente dal settimo patriarca, Huìguǒ (惠果,
746-806), in Giappone dove fonderà la scuola Shingon.
La scuola Sānjiē (三階教, Sānjiē jiào)
Fu fondata dal monaco Xìnxíng (信行,
540-593) e si basava sulla "Dottrina delle tre fasi (三階,
sānjiē)" della predicazione del Buddha Śākyamuni:
- Periodo del vero Dharma (正法, pinyin: zhèngfǎ, giapponese: shōbō, sanscrito: sad-dharma): quando sono presenti gli insegnamenti del Buddha che vengono messi in pratica consentendo di realizzare l'"illuminazione". È il periodo, per questa scuola, del Veicolo unico (sanscrito: ekayāna, cin. 一乘 yīshèng, giapp. ichijō), dove è unica la dottrina e gli uomini sono di capacità superiore e in grado di comprenderla.
- Periodo del Dharma contraffatto (像法, pinyin: xiàngfǎ, giapponese: zōhō, sanscrito: saddharma-pratikṣepa): quando gli insegnamenti del Buddha sono presenti, alcuni li mettono in pratica ma nessuno riesce a realizzare l'"illuminazione". È il periodo dei Tre veicoli (sanscrito: triyāna, cin. 三乘 sānshèng, giapp. sanjō), quello degli śrāvaka (声闻), dei pratyekabuddha (缘觉) e dei bodhisattva (菩萨), dove la dottrina si differenzia a seconda delle differenti capacità umane. Ancora esistono esseri senzienti in grado di distinguere la verità dalle false dottrine.
- Periodo del Dharma finale (末法, pinyin: mòfǎ, giapponese: mappō, sanscrito: saddharma-vipralopa): quando gli insegnamenti del Buddha sono presenti, ma nessuno li mette in pratica e nessuno realizza l'"illuminazione". In questo periodo solo l'insegnamento denominato pǔfǎ (普法 giapp. fuhō, insegnamento universale) basato sulla verità universale di "tutta la Realtà come manifestazione del Dharmakāya (法身, fǎshēn, giapp. hōshin)" può essere compreso. È, infatti, un insegnamento adatto agli esseri dell'ultimo periodo che, "ciechi dalla nascita", non sono in grado di distinguere la Verità dalle false credenze.
Xìnxíng riteneva di vivere nel
periodo del Dharma finale e che solo il suo insegnamento fosse
corretto. Convinti assertori della natura di Buddha insita in ogni
essere, i monaci sānjiē non si raccoglievano in monasteri ma
erano itineranti e propagandavano ovunque la dottrina del maestro.
Presto raccolsero, sotto forma di donazioni, ingenti ricchezze. Anche
per questa ragione entrarono in conflitto con le altre scuole e con
il potere imperiale. L'imperatrice buddhista Wǔ Zétiān (武則天,
regno: 690-705) considerandosi essa stessa Jīnlún shèngshén
huángdì (金輪聖神皇帝,
Sacra sovrana della Ruota d'Oro), giunta per fondare un impero
buddhista mondiale non poteva certamente accettare di vivere in un
periodo di mòfǎ e quindi dichiarò eretica questa scuola.
L'imperatore Xuánzōng (玄宗,
regno 712-56) l'annientò completamente nel 725, incamerando nelle
casse imperiali le sue ricchezze.
Il buddhismo nella Cina di oggi
La condizione odierna del buddhismo
cinese all'interno della Repubblica popolare cinese risente dei
drammatici eventi accaduti in Cina nella seconda metà del secolo
scorso.
A partire dal 1949 e fino a tutto il
1976, il buddhismo in Cina ha sofferto tragiche persecuzioni e
distruzioni dovute all'ideologia anti-religiosa comunista del Governo
che in quegli anni era al potere. Da un periodo di pressante
controllo si è passati, nel corso della tragica esperienza della
Rivoluzione culturale, ad imprigionamenti di massa, assassinii e
distruzioni su larga scala di monasteri, templi e opere d'arte
religiosa.
Con la morte di Máo Zédōng (毛澤東,
1893-1976) e con la caduta della Banda dei quattro, eventi datati
all'autunno 1976, il clima nei confronti delle comunità buddhiste
cinesi si è fatto finalmente più favorevole.
Da quel momento il Partito Comunista di
Cina è stato più attento e rispettoso delle esigenze di queste
comunità religiose e cerca, tutt'oggi, di riparare alle persecuzioni
e alle distruzioni dei drammatici decenni della Rivoluzione
culturale.
Così, a pochi anni dalla morte di Máo
Zédōng, dal 16 al 23 dicembre del 1980 l'Associazione buddhista
cinese (中国佛教协会,
Zhōngguó Fójiào Xiéhuì, fondata nel 1953, raccoglie
tutte le realtà buddhiste del Paese) poté convocare regolarmente, e
dopo decenni di assenza, la sua Quarta Assemblea con 254 delegati da
tutto il Paese, eleggendo Zhào Pùchū (赵朴初,
1907-2000) come presidente.
Dal 1981 la stessa Associazione ha
ripreso a diffondere la sua pubblicazione ufficiale, Fǎyīn
(法音, Voce del Dharma),
e ha potuto riaprire l'Istituto di studi buddhisti di Pechino.
Il 20 aprile 1983 finalmente il Governo
ha varato la "Risoluzione per le ordinazioni monacali" che
ha consentito di effettuare le ordinazioni monastiche in modo
regolare e non più segreto. La Quinta Assemblea dell'Associazione si
è svolta nella primavera del 1987, in quella occasione si è deciso
di fondare l'Istituto di Cultura buddhista cinese con una propria
biblioteca. Alla Sesta Assemblea, svoltasi nell'ottobre 1993, hanno
partecipato direttamente importanti responsabili politici del Governo
cinese e del Partito comunista. La Settima Assemblea, come la Sesta,
è stata indirizzata soprattutto a condurre l'Associazione in un
ambito "coerente" con le "politiche di unità
nazionale" promulgate dal Governo. Mentre nel 2003 si è svolto
regolarmente il cinquantenario dell'Associazione dei buddhisti
cinesi.
Se consideriamo che agli inizi degli
anni ottanta erano sopravvissuti solo circa 25 000 tra monaci e
monache, la cui quasi totalità aveva trascorso decenni nei campi di
rieducazione e di lavoro forzato del Partito Comunista di Cina, si
può considerare come estremamente positiva l'evoluzione da quegli
anni bui fatti di torture e imprigionamenti per il saṃgha cinese.
Le distruzioni dei monasteri e dei templi furono infatti drammatiche,
pochi i testi originali sopravvissuti, migliaia le esecuzioni.
Oggi sono principalmente quattro i
monasteri che hanno ripreso regolarmente la formazione dei monaci e
la loro ordinazione e si trovano a: Qīxiáshān (栖霞山)
nei pressi di Nanchino, Nántōng (南通),
Chéngdū (成都), Monte Pǔtuó
(普陀山) nei pressi di
Níngbō. Il buddhismo professato da questi monaci è quasi
dappertutto sincretico e amalgama dottrine originariamente diverse,
derivate soprattutto dalle scuole Chán, Zhēnyán e Jìngtǔ, unite
a principi razionalistici di stampo marxista, tesi a realizzare, in
questo mondo e attraverso il socialismo, la Terra pura, unendo la
pratica meditativa con il lavoro agricolo.
Nei monasteri vengono accuratamente
conservati e studiati tutti i testi tradizionali e i loro commentari
delle differenti scuole, considerati necessari alla formazione
monastica. Le statistiche indicano in circa 200 000 i monaci
esistenti oggi in Cina, di cui circa la metà (40 000 monaci e 60 000
monache) appartiene al cosiddetto "buddhismo Han" ovvero al
buddhismo di non derivazione lamaista ma autenticamente cinese. I
templi oggi funzionanti sono circa diecimila. Tutti questi dati
risultano, peraltro, in costante aumento. Come sempre più diffusi
sono i pellegrinaggi dei cittadini cinesi sui quattro monti sacri del
buddhismo cinese: Monte Wǔtái (五台山)
nello Shanxi, Monte Jǐuhuá (九華山)
nello Anhui, Monte Éméi (峨嵋山)
nel Sichuan, Monte Pǔtuó (普陀山)
nello Zhejiang.
Ogni anno circa 500 nuovi
studenti-monaci, in genere sono giovani diplomati, entrano a far
parte delle istituzioni formative buddhiste. I corsi di queste
istituzioni, della durata di due-quattro anni, riguardano la
meditazione, lo studio delle scritture buddhiste, la filosofia e una
lingua straniera. Alcuni studenti-monaci, terminato il corso,
continuano a studiare presso le facoltà universitarie di filosofia.
Il corso prevede anche un livello di formazione politica, ma non
risulta particolarmente "oneroso". Nel 1995 si è
provveduto alla ristampa integrale, in lingua cinese, del Canone
buddhista cinese e del Canone tibetano. I contatti tra il saṃgha
cinese e i saṃgha degli altri paesi sono costanti. In particolar
modo con il saṃgha thailandese e birmano del buddhismo Theravāda.
Nel giugno del 1993 il patriarca thailandese Nyanasamvara Suvaddhana
(1913-) ha compiuto una visita in Cina dove è stato accolto da
migliaia di monaci cinesi e dove ha compiuto, insieme a loro, dei
riti religiosi. Nell'agosto del 1995 una folta delegazione buddhista
cinese, invitata dalla comunità buddhista francese, ha visitato i
luoghi del Dharma di sette paesi europei.
Molto attiva è anche l'Associazione
buddhista sino-giapponese, tesa a far conoscere le tradizioni
religiose dei due paesi fortemente collegate sul piano storico.
L'Associazione buddhista cinese è, infine, molto attiva sul piano
caritatevole e sociale, finanziando la Croce rossa e varie attività
nei confronti dei cittadini più bisognosi. I cittadini cinesi stanno
riscoprendo in questi anni il valore religioso delle dottrine
buddhiste. Anche se non conoscono in modo approfondito tali dottrine
si impegnano sempre di più nella osservanza dei precetti religiosi e
delle pratiche devozionali. In occasione delle festività religiose i
templi si riempiono ormai di migliaia di fedeli i quali, oltre ad
accendere gli incensi, ascoltano i sermoni dei monaci e consumano
insieme dei pasti vegetariani in un'atmosfera di festività.
Il buddhismo a Taiwan e a Hong Kong
Il buddhismo a Taiwan ha subìto uno
sviluppo senza precedenti a partire dal 1949 quando migliaia tra
monaci e monache cinesi si riversarono nell'isola per sfuggire alle
persecuzioni delle truppe di Máo Zédōng.
Oggi sono circa diecimila i monaci
buddhisti presenti a Taiwan con quattromila tra templi e monasteri.
Un quarto dei 22 milioni di cinesi di Taiwan si dichiara apertamente
buddhista. I lignaggi e gli insegnamenti del buddhismo di Taiwan sono
gli stessi di quelli ereditati dalla Cina nazionalista e consistono
prevalentemente in lignaggi del buddhismo Chán, ma la caratteristica
del buddhismo taiwanese moderno è che ha deciso di eliminare i
confini tra le diverse scuole, unendo lignaggi e insegnamenti.
Il buddhismo taiwanese è noto a
livello internazionale per le sue attività missionarie e
caritatevoli. Tra queste ultime emerge la figura della monaca Cheng
Yen (證嚴法師, 1937-), detta
"Madre Teresa di Taiwan" per la sua intensa attività di
aiuto nei confronti dei malati e dei poveri. Nelle attività
missionarie va invece ricordato il monaco Hsing-yun (星雲大師,
1927-), fondatore del centro per le attività culturali e missionarie
Fokwangshan a Kaohsiung (高雄)
e promotore di circa settanta missioni in tutto il mondo tra cui il
tempio di Tempio di Hsi-lai (西來寺)
a Los Angeles. I buddhisti di Taiwan hanno fondato, il 9 novembre
2001 a Yung Ho (永和, Taipei),
il Museo mondiale delle religioni.
Anche il territorio di Hong Kong,
governato dal Regno Unito fino al 1997, fu luogo di rifugio per
centinaia di monaci buddhisti fuggiti dalla Cina comunista.
Soprattutto sull'Isola di Lantau (爛頭)
dove ancora oggi esistono circa sessanta templi.
Il saṃgha monastico di Hong Kong
conta oggi circa tremila persone, che con i fedeli laici attivi,
superano le ventimila unità, tutte aderenti alla Federazione
buddhista di Hong Kong (fondata nel 1945) che ha festeggiato il suo
cinquantenario il 9 maggio 1995. Tra i templi e i monasteri più
importanti nell'area di Hong Kong vanno citati: il monastero di
Bǎolián (寶蓮寺) sull'isola
di Lantau, il tempio dei Diecimila Buddha (萬佛寺)
a Shatin (沙田) e il tempio
della Foresta orientale (Dōnglínsì, 东林寺)
di Lowai. Il 29 dicembre 1993 è stata inaugurata una enorme statua
del Buddha (alta oltre i 26 metri) denominata 天壇大佛
(Tiān Tán Dà Fó) nel monastero di Bǎolián con una
grande partecipazione popolare.
sabato 27 ottobre 2018
Famiglia imperiale del Giappone
La casa imperiale del Giappone,
detta anche famiglia imperiale (皇室
kōshitsu),
è l'erede storica e dinastica del Paese e comprende i membri della
famiglia estesa dell'imperatore del Giappone che hanno ruoli e
compiti ufficiali e pubblici. Sotto l'attuale costituzione,
l'imperatore è il simbolo dello Stato e dell'unità del popolo.
Anche se non è tecnicamente un capo di Stato, è frequentemente
considerato tale. Gli altri membri della famiglia partecipano a
cerimonie ed eventi sociali ma non hanno impegni di governo.
La monarchia giapponese è la più
antica monarchia ereditaria ininterrotta ancora esistente del mondo.
La casa imperiale riconosce 125 monarchi legittimi a partire dalla
ascesa dell'imperatore Jimmu, datata ufficialmente l'11 febbraio 660
a.C., tra cui l'attuale imperatore Akihito.
Membri dell'attuale famiglia imperiale
Attualmente i membri della famiglia imperiale sono 17. Tra parentesi il loro nome personale:- imperatore Akihito (Akihito), nato al palazzo imperiale di Tokyo il 23 dicembre 1933, figlio maggiore dell'imperatore Hirohito e l'imperatrice Kōjun. Si è sposato il 10 aprile 1959 con sua maestà imperiale l'imperatrice Michiko (Shoda Michiko), nata a Tokyo il 24 ottobre 1934, la figlia maggiore di Shoda Hidesaburo, presidente della Nisshin Flour Milling Inc.. L'imperatore Akihito è salito al trono alla morte del padre il 7 gennaio 1989.
- principe della corona Naruhito, figlio maggiore dell'imperatore e dell'imperatrice, nato al palazzo Tsugo a Tokyo il 23 febbraio 1960. Divenne il principe ereditario quando suo padre Akihito salì al trono. Il principe della corona ha sposato Owada Masako il 10 giugno 1993, nata il 6 dicembre 1963, figlia di Hisashi Owada, un ex vice ministro degli affari esteri e precedente rappresentante del Giappone alle Nazioni Unite. La coppia ha una figlia:
- Aiko, principessa Toshi, nata il 1º dicembre 2001.
- Principe Akishino (Fumihito), il secondo figlio dell'imperatore, nato l'11 novembre 1965. Durante l'infanzia portava il nome di principe Aya e ricevette il titolo di principe Akishino, assieme al permesso di generare un nuovo ramo della famiglia imperiale a seguito del suo matrimonio con Kawashima Kiko il 29 giugno 1988. Principessa Akishino è nata l'11 settembre 1966 ed è figlia di Kawashima Tatsuhiko, professore di economia all'università Gakushuin. La coppia ha due figlie ed un figlio:
- principessa Mako di Akishino nata il 23 ottobre 1991
- principessa Kako di Akishino nata il 29 dicembre 1994
- principe Hisahito di Akishino nato il 6 settembre 2006
- Principe Hitachi (Masahito), nato il 28 novembre 1935, il secondo figlio dell'imperatore Hirohito e dell'imperatrice Kōjun, fratello dell'imperatore Akihito. Il suo titolo durante l'infanzia era principe Yoshi e ricevette l'attuale titolo di principe Hitachi e il permesso di generare un nuovo ramo della famiglia imperiale a seguito del suo matrimonio il 1º ottobre 1961. Principessa Hitachi (Hanako) è nata il 19 luglio 1940, figlia di Tsugaru Yoshitaka. La coppia non ha figli.
- principessa Mikasa (Yuriko) è nata il 6 giugno 1921 ed è la seconda figlia del visconte Takagi Masanoiri, vedova del Principe Mikasa (Takahito), figlio dell'imperatore Yoshihito e fratello dell'imperatore Showa, nato il 2 dicembre 1915 e deceduto il 27 ottobre 2016. La coppia ha avuto due figlie e tre figli. I tre figli maschi sono deceduti.
- Aso Nobuko il 7 novembre 1980 ha sposato il principe Tomohito di Mikasa, cugino dell'imperatore Akihito deceduto nel 2012. La principessa Tomohito di Mikasa è nata il 9 aprile 1955, figlia di Aso Takakichi, presidente della Aso Cement Co. e sua moglie Kazuko, una figlia dell'ex primo ministro Yoshida Shigeru. È vedova del Principe Tomohito di Mikasa. La principessa ha due figlie:
- principessa Akiko nata il 20 dicembre 1981
- principessa Yōko nata il 25 ottobre 1983
- Principessa Takamado (Hisako), vedova del principe Takamado (Norigito), precedentemente chiamato principe Norihito di Mikasa (nato 29 dicembre 1954 e morto il 21 novembre 2002), il terzo figlio del principe e della principessa Mikasa e cugino in prima dell'imperatore Akihito. La principessa è nata il 10 luglio 1953, figlia di Tottori Shigejiro. Sposò il Principe il 6 dicembre 1981. La principessa ha tre figlie:
- principessa Tsuguko nata il 6 marzo 1986
- principessa Noriko nata il 22 luglio 1988
- principessa Ayako nata il 15 settembre 1990
Persone che non fanno più parte della famiglia imperiale
In base alla legge del 1947, le
Principesse imperiali (naishinnō)
e le principesse (nyoō)
perdono i loro titoli e l'appartenenza alla famiglia imperiale a
seguito del matrimonio, tranne quando sposano l'imperatore o un altro
membro della famiglia. Tre delle cinque figlie dell'imperatore
Hirohito, le due figlie del principe Mikasa e, recentemente, l'unica
figlia dell'imperatore Akihito hanno lasciato la famiglia reale,
prendendo il cognome dei loro mariti. Le ex principesse imperiali (i
cui nomi personali sono indicati tra parentesi) sono:
- Kazuko Takatsukasa (principessa Taka), nata il 30 settembre 1929, scomparsa il 26 maggio 1989, la terza figlia dell'imperatore Shōwa e la sorella maggiore dell'imperatore Akihito. Sposò il 21 maggio 1950 Toshimichi Takatsukasa.
- Atsuko Ikeda (principessa Yori), nata il 7 marzo 1931, la quarta figlia dell'imperatore Shōwa e la sorella maggiore dell'imperatore Akihito. Sposò il 10 ottobre 1952 Takamasa Ikeda.
- Takako Shimazu (principessa Suga), nata il 2 marzo 1939, quinta figlia (la minore) dell'imperatore Shōwa e sorella minore dell'imperatore Akihito. Sposò il 10 marzo 1960 Hisanaga Shimazu.
- Yasuko Konoe (principessa Yasuko di Mikasa), nata il 26 aprile 1944, figlia maggiore del principe e della principessa Mikasa. Sposò il 18 dicembre 1966 Tadateru Konoe.
- Masako Sen (Principessa Masako di Mikasa), nata il 23 ottobre 1951, seconda figlia del Principe e della Principessa Mikasa. Sposò il 14 ottobre 1983 Masayuki (Soshitsu XVI) Sen.
- Sayako Kuroda (principessa Nori), nata il 18 aprile 1969, unica figlia dell'imperatore Akihito e dell'imperatrice Michiko. Sposò il 5 novembre 2005 Yoshiki Kuroda.
Attuale ordine di successione
- Naruhito, Principe della corona, il primogenito dell'imperatore
- Principe Akishino (Fumihito), secondogenito dell'imperatore
- Principe Hisahito, figlio del principe Akishino
- Principe Hitachi (Masahito), fratello dell'imperatore
Il principe della corona Naruhito ha
una figlia (principessa Aiko) e il principe Akishino ha due figlie
(Mako e Kako). Il fratello dell'imperatore, il principe Hitachi non
ha figli. Dei tre figli del principe Mikasa: Tomohito ha due figlie
(Akiko e Yōko), il Principe Katsura non ha avuto figli e il principe
Takamado ha tre figlie (Tsuguko, Noriko e Ayako).
Titoli
Il titolo Principe (王
ō)
viene dato ai membri maschi della famiglia imperiale giapponese che
non possono avere il titolo superiore di principe imperiale (親王
shinnō).
L'equivalente femminile è principessa (女王
nyoō)
e principessa imperiale (内親王
naishinnō).
Il termine ō potrebbe essere anche tradotto come "re".
L'origine di questo doppio significato deriva dalla trasposizione del
sistema utilizzato per la nobiltà cinese. A differenza di
quest'ultima, tuttavia, Ō era utilizzato solo per i membri della
famiglia imperiale. È interessante notare che il termine Regina (女王
joō?)
utilizza gli stessi Kanji di nyoō.
Storicamente, tutti i membri maschili
della famiglia imperiale possedevano il titolo di ō, e shinnō era
un titolo speciale assegnato dall'imperatore. Dopo la restaurazione
Meiji, il significato di ō e di shinnō sono cambiati leggermente.
Uno shinnō o naishinnō (femminile) era un membro legittimo della
famiglia imperiale discendente dall'imperatore, fino al grado di
pronipote (di nonno). Con la dicitura "membro legittimo della
famiglia imperiale" si esclude chiunque non sia connesso con una
discendenza maschile, e i discendenti di chiunque abbia rinunciato
alla sua appartenenza alla famiglia reale, oppure sia stato espulso.
Il termine Shinnō include anche i capifamiglia di tutte le Famiglie
di principi (Shinnōke).
Nel 1947 la legge venne modificata in
modo che il titolo di Shinnō era assegnato solo alla linea maschile
di discendenza dell'imperatore fino al nipote. La consorte di un
membro della famiglia con il titolo di ō oppure shinnō ha il
suffisso -hi (妃), ovvero ō-hi
e Shinnō-hi.
Linea genealogica ascendente diretta della famiglia
(il numero decrescente indica la
generazione ascendente dall'attuale imperatore)
- 52. Kinmei 29º imperatore (regno 539-571)
- 51. Bidatsu (538-585), 30º Imperatore (r. 572-585)
- 50. Osaka no hikobito oine, principe imperiale
- 49. Jomei (593-641), 34º imperatore (r. 629-641); = Kogyoku, che fu 35ª imperatrice, e 37ª imperatrice con il nome di Saimei
- 48. Tenji (626-672), 38º imperatore (r. 661-672)
- 47. Shiki, principe imperiale
- 46. Kōnin (709-782), 49º imperatore (r. 770-781)
- 45. Kammu (737-806) (avuto da Takano no Niigasa), 50º imperatore (r. 781-806)
- 44. Saga (786-842), 52º imperatore (r. 809-823)
- 43. Nimmyo (810-850), 54º imperatore (r. 833-850)
- 42. Koko (830-887), 58º imperatore (r. 884-887)
- 41. Uda (867-931), 59º Imperatore (r. 887-897)
- 40. Daigo (885-930), 60º imperatore (r. 897-930)
- 39. Murakami (926-967), 62º imperatore (r. 946-967)
- 38. En'yū (959-991), 64º imperatore (r. 969-984)
- 37. Ichijo (980-1011), 66º imperatore (r. 986-1011)
- 36. Go-Suzaku (1009-1045), 69º imperatore (r. 1036-1045)
- 35. Go-Sanjo (1034-1073), 71º imperatore (r. 1068-1073)
- 34. Shirakawa (1053-1129), 72º imperatore (r. 1073-1087, dal chiostro 1086-1129)
- 33. Horikawa (1079-1107), 73º imperatore (r. 1087-1107)
- 32. Toba (1103-1156), 74º Imperatore (r. 1107-1123, dal chiostro 1129-1156)
- 31. Go-Shirakawa (1127-1192), 77º imperatore (r. 1155-1158, dal chiostro 1158-1192)
- 30. Takakura (1161-1181), 80º imperatore (r. 1168-1180)
- 29. Go-Toba (1180-1239), 82º imperatore (r. 1183-1198)
- 28. Tsuchimikado (1195-1231), 83º Imperatore (r. 1198-1210)
- 27. Go-Saga (1220-1272), 88º imperatore (r. 1242-1246)
- 26. Go-Fukakusa (1243-1304), 89º imperatore (r. 1246-1260)
- 25. Fushimi (1265-1317), 92º imperatore (r. 1287-1298)
- 24. Go-Fushimi (1288-1336), 93º imperatore (r. 1298-1301)
- 23. Kogon (1313-1364), 1º imperatore pretendente della corte del Nord Ashikaga (r. 1331-1333)
- 22. Suko (1334-1398), 3º imperatore pretendente della corte del Nord (r. 1348-1351)
- 21. Einin, principe
- 20. Sadafusa, principe
- 19. Go-Hanazono (1419-1471), 102º imperatore (r. 1428-1464)
- 18. Go-Tsuchimikado (1442-1500), 103º imperatore (r. 1464-1500)
- 17. Go-Kashiwabara (1464-1526), 104º imperatore (r. 1500-1526)
- 16. Go-Nara 1497-1557), 105º imperatore (r. 1526-1557)
- 15. Ōgimachi (1517-1593), 106º Imperatore (r. 1557-1586)
- 14. Masahito (1552-1586)
- 13. Go-Yōzei (1572-1617), 107º imperatore (r. 1586-1611)
- 12. Go-Mizunoo (1596-1680), 108º imperatore (r. 1611-1629)
- 11. Reigen (1654-1732), 112º Imperatore (r. 1663-1687)
- 10. Higashiyama (1675-1709), 113º Imperatore (r. 1687-1709)
- 9. Naohito (1704-1753), principe imperiale, capostipite del ramo imperiale (Shinnōke) Kan'in-no-miya
- 8. Suekito (1733-1794), principe imperiale
- 7. Kōkaku (1771-1840), 119º imperatore (r. 1780-1817)
- 6. Ninko (1800-1846), 120º imperatore (r. 1817-1846)
- 5. Komei (1831-1867), 121º imperatore (r. 1846-1867)
- 4. Meiji (Mutsuhito) (1852-1912), 122º imperatore (r. 1867-1912)
- 3. Taisho (Yoshihito) (1879-1926), 123º imperatore (r. 1912-1926)
- 2. Shōwa (Hirohito) (1901-1989), 124º imperatore (r. 1926-1989)
- 1. Akihito (1933), attuale 125º imperatore (r. dal 1989 ad oggi)
venerdì 26 ottobre 2018
Kitabatake Harutomo
Kitabatake Harutomo (北畠晴具;
1503 – 1563) fu un daimyō giapponese del periodo Sengoku
appartenente al clan Kitabatake.
Biografia
Harumoto era figlio di Kitabatake
Murachika. Supportò Ashikaga Yoshiharu e gli fu concesso di cambiare
il prorpio nome in Harutomo. Harumoto mandò soldati in aiuto del
clan Rokkaku che combatteva contro la famiglia Kyōgoku. Represse una
rivolta dei samurai di Tamaru che avevano ucciso il loro capo, Tamaru
Tomotada. È ricordato anche per le sue attività culturali che
condivideva con suo suocero, Hosokawa Takakuni.
giovedì 25 ottobre 2018
Sciabola
La sciabola (da szablya, lingua
ungherese) è un'arma bianca manesca del tipo spada destinata
ai reparti di cavalleria, con lama monofilare curva,
affilata sul lato convesso, di lunghezza variabile a seconda del
paese di provenienza, e guardia molto pronunciata, atta a
coprire tutta la mano. Era normalmente portata in un fodero a
due punti di sospensione appeso a un'apposita fascia ma alcuni
esemplari venivano portati fissi sulla sella: tale fu il caso
della szabla in
uso agli Ussari alati di Polonia, vero e proprio archetipo della
sciabola moderna, e di altre tipologie più recenti come la Sciabola
Patton dell'esercito degli Stati Uniti (entrata in servizio
nel 1913).
Il vocabolo "sciabola",
in lingua italiana come in altre lingue, finì però per
indicare anche altre forme di arma bianca del tipo spada in
uso alla cavalleria pesante dell'Europa pre-Industriale,
come la squadrona dei corazzieri, o di fanteria, come
il coltellaccio d'abbordaggio della marina militare europea
del XVIII secolo. A partire dal XIX secolo, la sciabola
divenne attributo precipuo per gli ufficiali e tale è ancora il suo
utilizzo in ambito militare contemporaneo.
Dalla sciabola originò uno dei tre
stili fondamentali della scherma moderna, la sciabola.
La diffusione negli eserciti
dell'Europa Orientale, fondamentalmente il Granducato di
Moscovia e il Regno d'Ungheria, ivi compresi
i voivodati (principati)
di Moldavia, Valacchia e Transilvania, di spade a
lama ricurva simili alla scimitarra orientale si dovette ai
contatti con i Tartari prima (XIV secolo) e con
gli Ottomani poi (XV secolo). Solo nel XVI secolo però
le lame ricurve cominciarono a diffondersi anche nelle terre del
vecchio Regno di Polonia e del Granducato di Lituania,
sostituendo la spada a lama diritta in uso presso le forze
di cavalleria. La prima forma di spada occidentale da cavalleria
a lama ricurva fu la szabla, diffusasi tra le
truppe di cavalleria della Confederazione
Polacco-Lituana durante il regno di Stefan
Batory (1576-1586), già voivoda di
Transilvania.
Nella quasi totalità dei paesi
dell'Europa Occidentale, la parola "sciabola" (sabre in
inglese e francese, säbel in tedesco, sable in spagnolo,
ecc.) deriva appunto dal vocabolo polacco szabla.
A partire dal XVIII secolo, la
sciabola andò incontro a un incredibile successo, sia pratico sia
etimologico:
- La parola "sciabola" cominciò infatti a indicare qualsiasi forma di spada in uso ai corpi di cavalleria, come la pałasz polacca, in tutto e per tutto un costoliere da cavalleria a lama diritta, e la shashka, sorta di ibrido tra un costoliere e una scimitarra, divenuta arma d'ordinanza della cavalleria russa nella seconda metà dell'Ottocento;
- Sciabole cominciarono a essere definite anche quelle spade da fante o da marinaio, sviluppatesi dal modello del falcione tardo-medievale, che pur mantenendo le caratteristiche tecniche della spada da fanteria (bilanciamento fissato al punto d'incontro tra la lama e l'elsa) copiavano la linea curva della scimitarra orientale: es. Sciabola d'abbordaggio.
Nel corso del XIX secolo i
continui contatti tra gli europei e i territori africani e asiatici
gravitanti intorno al decadente Impero ottomano(v. Imperialismo)
intensificarono il processo di "orientalizzazione" delle
spade da cavalleria occidentali. Le sciabole di tutti i corpi di
cavalleria presero a modello la curvatura del kilij turco,
la scimitarra per eccellenza, pur mantenendosi fedeli all'originario
modello della szabla per quanto concerne il rapporto di
larghezza tra lo scarico della lama e il falso-taglio in prossimità
della punta. La sciabola occidentale mantenne quindi sempre una lama
più lunga, più appuntita e meno curva rispetto alla scimitarra
orientale.
La campagna
d'Egitto di Napoleone (1802) consegnò agli
occidentali un gran quantitativo di scimitarre (in questo caso
preziose sciabole mamelucche) che colpirono, per la loro
eleganza e funzionalità, gli ufficiali europei. Entro il 1803,
la sciabola era ormai arma d'ordinanza tra gli ufficiali francesi e
inglesi, si trattasse o meno di ufficiali di cavalleria. La conquista
di Tripoli (1805), durante la Prima guerra barbaresca,
diffuse del pari la moda della sciabola anche tra gli ufficiali
dell'esercito degli Stati Uniti d'America.
Entro la fine dell'Ottocento le armi
bianche classiche avevano definitivamente abbandonato la panoplia del
soldato di fanteria europeo, sostituite dall'onnipresente baionetta.
Le sciabole, in uso alle truppe di cavalleria e ai soli ufficiali
nella fanteria, mantennero invece inalterato il loro uso campale sino
a che non fu il soldato a cavallo medesimo a perdere ogni
funzionalità pratica sui campi di battaglia europei, tra la prima e
la seconda guerra mondiale.
Tra il XIX e il XX secolo, la
sciabola si diffuse anche tra i ranghi della polizia a
cavallo di diversi paesi occidentali e tra quella appiedata in
una versione più corta detta anche daga, salvo poi cadere in
disuso per motivazioni pratico-umanitarie ed essere sostituita
dal manganello.
Abolita nel 1947, la sciabola fu
reintrodotta nelle Forze Armate Italiane nel 1962 per essere
utilizzata come arma di rappresentanza, portata in particolari
occasioni esclusivamente da ufficiali e marescialli,
con l'eccezione, per quanto riguardano i sergenti, i graduati e
la truppa dei reparti a cavallo
(Carabinieri, Finanzieri, Cavalleggeri e degli
appartenenti al Reggimento artiglieria a cavallo "Voloire").
Le sciabole in dotazione all'Esercito
italiano, ai Carabinieri e alla Guardia di
Finanza vedono una differenza nella coccia, a seconda che
appartengano a un ufficiale (coccia formata da tre
elementi) o a un sottufficiale (formata da due elementi), e
nella forma della lama a seconda dell'arma o del corpo
d'appartenenza.
Accessori della sciabola sono
la dragona e il pendaglio, che serve a portarla e che viene
agganciato a due anelli posti sul suo fodero e a uno speciale
passante della cintura o del cinturone, a seconda del tipo di
uniforme indossata.
La sciabola per Ufficiali Generali (o
Colonnelli che rivestono il grado funzionale di Generale di Brigata)
ha la lama dritta o leggermente ricurva (saetta di curvatura massima
25 mm). L'impugnatura è di tipo avorio con quattro scalanature
nella parte interna per adattarvi le dita ed è rivestita
esternamente da una cappetta di ferro nichelato. La guardia, pure di
ferro nichelato, è munita di tre branche, due delle quali oblique e
ricurve, e di un incavo per il dito pollice; ha nella parte superiore
un foro per assicurarvi la dragona. Il fodero della sciabola è di
ferro o di acciaio nichelato e ha un'apertura lunga 25–30 mm,
con una molla doppia nell'interno per tener ferma la lama; è munito
esternamente di due fascette con codetta, collocate l'una a circa
7 cm e l'altra a circa 15 cm dalla estremità superiore, a
ciascuna delle quali è attaccato un anello scorrevole del diametro
di 22 mm (campanella). Il fodero è munito nella parte inferiore
di una cresta lunga, dalla parte del taglio della lama, 8–10 cm
e dalla parte opposta 4–5 cm. Le fascette, gli anelli e la
cresta sono di ferro di acciaio nichelato come il fodero. La sciabola
deve essere di lunghezza proporzionata alla statura dell'Ufficiale.
Viene portata dagli Ufficiali di
Fanteria (esclusi i Bersaglieri), delle altre Armi (esclusa la
Cavalleria) e dei Corpi (esclusi gli Ufficiali Veterinari). La
sciabola per Ufficiali di Fanteria differisce da quella per Ufficiali
Generali per aver l'impugnatura in ebano anziché di tipo avorio.
La sciabola per Ufficiali dei
Bersaglieri differisce da quella sopra descritta per la maggiore
curvatura e per l'impugnatura e la guardia. L'impugnatura è di
ebano, con guarnizioni di metallo giallo brunito; la guardia è a
cinque branche di metallo dorato.
Viene portata dagli Ufficiali di
Cavalleria, dai Veterinari o dagli Ufficiali appartenenti al
Reggimento Artiglieria a Cavallo. Differisce da quella di fanteria
per i seguenti particolari: la leggera curvatura; la guardia è a
quattro branche (tre delle quali oblique e ricurve); il fodero ha
l'apertura della lunghezza di 31–36 mm; la prima fascetta
dista da essa 7 cm e la seconda 20 cm circa; l'impugnatura
è priva della scalanatura per adattarvi le dita.
Viene portata dai Sottufficiali di
Fanteria del Ruolo Marescialli (esclusi i Bersaglieri), delle Armi
(escluse Cavalleria e Artiglieria) e dei Corpi. È a lama diritta con
l'impugnatura di ebano zigrinato, avente guarnitura formata da una
cappetta e da una guardia in acciaio divisa in due branche pressoché
simmetriche. Il fodero è di acciaio ed è munito di due fascette con
campanelle collocate l'una a 7 cm e l'altra a 15 cm dalla
bocchetta. Le parti metalliche dell'impugnatura (cappetta e guardia)
e il fodero sono nichelati. La lunghezza della sciabola deve essere
proporzionata alla statura.
La sciabola per Marescialli dei
Bersaglieri è a lama leggermente ricurva, ed ha le parti metalliche
dell'impugnatura in ottone lucido anziché in acciaio nichelato.
Viene portata dai Sottufficiali di
Cavalleria e di Artiglieria del Ruolo Marescialli. È simile alla
sciabola per Marescialli di Fanteria, dalla quale differisce per la
guardia, le cui branche sono leggermente più larghe, per la cappetta
che forma semicilindrica, per l'impugnatura che è di ebano liscio
anziché zigrinato e per la lama che è leggermente ricurva.
Viene portata dagli Ufficiali e dagli
Aspiranti della Marina Militare. La guardia, il dorso
dell'impugnatura, le guarnizioni e il puntale del fodero sono di
metallo dorato; il fodero è in materiale plastico nero verniciato;
la parte interna dell'impugnatura è di materiale plastico rigido di
color bianco. La lunghezza deve essere tale da giungere con la parte
superiore dell'impugnatura, quando riposta nel fodero e poggiata a
terra, a circa 15 cm al di sotto della vita. La sciabola è
accessorio costitutivo delle uniformi S.A.I.1, S.A.I.3, G.U.I e
G.U.E.
La sciabola è accessorio costitutivo,
per il 1º Maresciallo Luogotenente, 1º Maresciallo e per i Capi di
1a, 2a e 3ª classe, delle uniformi S.A.I. 1-3, S.A.E. 1-3, G.U.I.,
G.U.E. La guardia, il dorso dell'impugnatura, le guarnizioni e il
puntale del fodero sono di metallo dorato e completamente lisci; il
fodero è di materiale plastico nero verniciato; la parte interna
dell'impugnatura è in plastica nera lucida. La lunghezza deve essere
tale da giungere con la parte superiore dell'impugnatura, quando
riposta nel fodero e poggiata a terra, a circa 15 cm al disotto
della vita.
Elsa: la guardia è costituita da
un'ala curvata e terminante in una testa d'aquila che ne forma il
pomo: il tutto è dorato e sormontato da un bottone semisferico per
fissare la lama. La parte interna dell'impugnatura è liscia e
assicurata con vari passi di filo di metallo dorato; per gli
Ufficiali Generali detta impugnatura è in avorio, per gli Ufficiali
Superiori e Inferiori è in osso nero.
Lama: di acciaio, diritta e arabescata.
Fodero: di colore nero, ha tre
guarnizioni in metallo dorato arabescato a sbalzo: la prima,
all'estremità superiore, è provvista di piolo e prima campanella;
la seconda, al terzo superiore, è provvista di campanella; la terza,
all'estremità inferiore, termina nel puntale arrotondato.
Pendagli: sono formati da due strisce
di tessuto grigio azzurro di 2 mm unite a due strisce in filo
d'oro di 5 mm e una centrale grigio azzurra di 4 mm. Vanno
assicurati con due moschettoni alle campanelle del fodero. Vanno
agganciati alla cintura dei pantaloni e devono uscire dal lato
sinistro sotto la giacca, oppure da apposita apertura praticata sotto
la patta della tasca sinistra del soprabito impermeabile.
Dragona: è composta da un cordone a
doppino, riunito a due terzi da un nodo da frate e portante una nappa
nella parte terminale. La nappa ha un'anima rigida e si compone del
gambo e della nappa vera e propria; all'estremità superiore del
gambo sono fissati i due capi del cordone. La nappa, a forma
ovoidale, è ricoperta da frange fisse di canutiglia dorata. Il
cordone è completamente intessuto d'oro: di 8 mm per gli
Ufficiali Generali, di 6 mm per gli Ufficiali Superiori. In
cordone intessuto d'oro con intreccio di fili di seta azzurra di
6 mm, per gli Ufficiali Inferiori. Viene applicata alla guardia
della sciabola con nodo scorsoio
Elsa: piena, liscia, dorata, con
impugnatura in ebano. Lama: di acciaio, diritta. Fodero: di colore
nero, ha tre guarnizioni in metallo dorato: la prima, all'estremità
superiore, è provvista di piolo e prima campanella; la seconda, al
terzo superiore, è provvista di campanella; la terza, all'estremità
inferiore, termina nel puntale. Pendagli: sono formati da due strisce
di tessuto grigio azzurro di 2 mm unite a due strisce di 5 mm
in filo d'oro con striature oblique di colore grigio azzurro e una
striscia centrale grigio azzurra di 4 mm. Vanno assicurati con
due moschettoni alle campanelle del fodero. Agganciati alla cintura
dei pantaloni, devono uscire dal lato sinistro sotto la giacca,
oppure da apposita apertura praticata sotto la patta della tasca
sinistra del soprabito impermeabile. Dragona: In cordone azzurro del
diametro di 6 mm, con tre filettature d'oro poste in senso
longitudinale. Viene applicata alla guardia della sciabola con nodo
scorsoio.
La sciabola ha la lama ricurva (saetta
di curvatura massima di 25 mm). L'impugnatura è di tipo di
avorio per gli Ufficiali Generali (o Colonnelli che rivestono il
grado funzionale di Generale di Brigata), ebano per i restanti
Ufficiali, con quattro scanalature nella parte interna per
l'adattamento delle dita ed è rivestita esternamente da una cappetta
di ferro nichelato. La guardia, anch'essa di ferro nichelato, è
munita di tre branche, due delle quali oblique e ricurve, e di un
incavo per il dito pollice: ha nella parte superiore un foro per
assicurarvi la dragona. Il fodero della sciabola è di ferro o di
acciaio nichelato e ha un'apertura lunga 25–30 mm, con una
molla doppia nell'interno per tenere ferma la lama; è munito
esternamente di due fascette con codetta, collocate l'una a circa
7 cm e l'altra a circa 15 cm dalla estremità superiore, a
ciascuna delle quali è attaccato un anello scorrevole del diametro
di 22 mm (campanella). Il fodero è munito nella parte inferiore
di una cresta lunga, dalla parte del taglio della lama, 8–10 cm
e dalla parte opposta 4–5 cm. Le fascette, gli anelli e la
cresta sono di ferro o di acciaio nichelato come il fodero. La
sciabola deve essere di lunghezza proporzionata alla statura
dell'Ufficiale (da 100 a 115 cm). Gli Ufficiali che cessano di
appartenere al Reggimento Corazzieri, dopo aver prestato servizio per
cinque anni, sono autorizzati a fare uso della sciabola da Ufficiale
dei Corazzieri.
È a lama ricurva con l'impugnatura in
ebano zigrinato, avente guarnitura ricurva formata da una cappetta e
da una guardia in acciaio divisa in due branche pressoché
simmetriche. Il fodero, di acciaio, è munito di due fascette con
campanelle collocate l'una a 7 e l'altro a 15 cm dalla
bocchetta. Le parti metalliche dell'impugnatura (cappetta e guardia)
e il fodero sono nichelati.
È lunga, con l'impugnatura in noce,
munita di fodero nichelato con due campanelle, con passante che va
infilato nella cintura dei pantaloni.
È lunga, con l'impugnatura in noce,
munita di fodero nichelato con una campanella, con passante che va
infilato nella cintura dei pantaloni.
Ha la lama dritta. L'impugnatura è di
ebano liscio divisa in settori mediante spire di filo metallico
argentato ritorto ed è rivestita esternamente da una cappetta di
metallo nichelato. La guardia, pure in metallo nichelato, è decorata
a volute di fogliame e reca, nella parte anteriore, un trofeo d'armi,
nella parte inferiore un incavo per il dito pollice; la guardia della
sciabola da Ufficiale è più ampia di quella del restante personale.
Il fodero, leggermente curvo, è di metallo nichelato e ha
un'apertura di 36 mm circa con una molla doppia per tener ferma
la lama; è munito esternamente di due fascette con codetta,
collocate l'una a circa 70 mm e l'altra a circa 200 mm
dalla estremità superiore, a ciascuna delle quali è attaccato un
anello scorrevole del diametro di 22 mm circa (campanella). Il
fodero è munito nella parte inferiore di una cresta lunga, dalla
parte del taglio della lama, 80–100 mm e dalla parte opposta
40–50 mm. Le fascette, gli anelli e la cresta sono di metallo
nichelato come il fodero. La lunghezza totale della sciabola è per
tutti di 1.200 mm.
La sciabola per Ufficiale di fanteria
mantiene le caratteristiche della vecchia 1888 in versione vicina a
quelle in uso negli anni precedenti il secondo conflitto. Impugnatura
nera a tre denti di presa, lama dritta, con lungo tallone e sgusciata
sui lati, incisa ad acido e con fregi comprendenti lo stemma della
Repubblica. Fodero a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale di Cavalleria
è una reinterpretazione delle sciabole di cavalleria post 1900, con
impugnatura nera munita di becco, leggermente rigonfia al centro;
guardia a tre larghi rami e spacchi sottili, lama dritta (a richiesta
e in deroga è possibile averla ricurva), tallone lungo, sgusciata
sui lati e ornata come la precedente. Fodero dritto a due campanelle.
La sciabola per Ufficiale dei
Bersaglieri ha la tradizionale testa di leone, munita di occhi in
cristallo rosso; il bottone a forma di corona in uso nell'epoca del
Regno è stato sostituito con uno cilindrico zigrinato; guardia in
ottone dorato, impugnatura nera a tre denti di presa, lama e fodero
analoghi a quelli per la fanteria ma più ricurvi.
La sciabola per Ufficiale dei
Carabinieri ha la guardia a tre else e conchiglia per il pollice,
calotta del tipo in uso già sui modelli del 1873 con bottone tondo,
impugnatura in ebanite a becco, lama leggermente curva, robusta a un
filo e punta, sgusciata sui lati e incisa ad acido con ornamenti a
"fiamma" e stemma della Repubblica. Fodero a due
campanelle.
La sciabola per Ufficiale di
artiglieria a cavallo "Voloire": ispirata alla modello 1833
con guardia a tre rami larghi e spacchi sottili, impugnatura nera a
settori zigrinati tipo 1855, calotta lunga, piatta e con bottone
piatto ovale; lama larga, curva, sgusciata sui lati; fodero a due
campanelle.
La sciabola per Ufficiale della Marina
Militare: presenta un pomolo a forma di testa di leone, la guardia
con ancora incrociata, munita di lembo mobile, bottone di forma
cilindrica, piatto e zigrinato; calotta a testa di leone con occhi in
cristallo rosso, impugnatura tipo pelle di squalo, lama dritta con
lungo tallone, sgusciata sui lati, ornata come già detto; falso
fodero in fibra rivestito di pelle nera, con tre fornimenti lavorati
e dorati (cappa fascetta e puntale).
La sciabola per Ufficiale
dell'Aeronautica militare si distingue invece per il pomolo a
forma di testa d'aquila e la guardia decorata a ricordarne l'ala (e
sono del pari dorati); il fodero in pelle nera con decorazioni dorate
ai passanti è in stile con i motivi dell'Aeronautica Militare
(aquile).
Sia in Marina Militare sia in
Aeronautica Militare, la sciabola dei sottufficiali si distingue per
assenza di decorazioni.
Anche dragona e pendaglio sono
distinte, per ufficiali generali, ufficiali superiori, ufficiali
subalterni e sottufficiali, in base a colori e particolari che
variano a seconda della forza armata. Nell'Esercito Italiano, per
esempio, il pendaglio per sottufficiali è azzurro con una striscia
dorata al centro, a richiamare a colori invertiti il nastro del
berretto rigido, mentre quello per ufficiali è color oro e quello
per generali color argento; al pendaglio vengono poi applicati tanti
passanti quanti quelli sul nastro del berretto rigido, a richiamo del
grado. Per gli ufficiali generali, inoltre, l'impugnatura passa da
nera a bianca.
La sciabola ha:
- Lama monofilare ricurva, affilata sul lato convesso. L'angolo di curvatura è sempre inferiore a quello della scimitarra e manca il contro-taglio in prossimità della punta;
- Impugnatura a una mano priva di pomolo, con guardia a bracci mai molto pronunciati, sviluppanti un para-mano o tramite coccia, integra o traforata, o tramite archetto;
- A partire dal XIX secolo, il fodero interamente in metallo assicurato a una dragona da portarsi trasversalmente al petto.
- Karabela - variante più corta della Szabla;
- Katana - sciabola giapponese da fante;
- Leppa - corta sciabola (50–60 cm) della Sardegna con impugnatura in corno o in legno rivestito di lamine di ottone; faceva parte del costume sardo e veniva portata infilandola entro la cintura. Reca sovente scritte come "Vincere o morire".
- Palà - pesante sciabola persiana;
- Pałasz - pesante sciabola a lama diritta diffusa nell'Europa Orientale, poi sostituita dalla shashka;
- Sciabola d'abbordaggio;
- Shashka - pesante sciabola caucasica con lama solo leggermente curva;
- Szabla - sciabola ungaro-polacco a lama lunga (85 cm) e larga che funse da archetipo per lo sviluppo delle sciabole europee a lama ricurva;
- Tachi - sciabola giapponese;
- Wakizashi - corta sciabola giapponese da fante.
Iscriviti a:
Post (Atom)