domenica 13 gennaio 2013

Perchè il wing chun viene poco considerato nelle Mixed Martial Arts?


Per una serie di semplici motivi, il primo dei quali è che nelle MMA nella gabbia, in un combattimento con poche regole il wing chun non risulta essere così versatile come la propaganda del marketing lo ha presentato negli ultimi 40 anni, non troverebbe per niente applicazione, la differenza di preparazione o se si preferisce la mancanza di quest'ultima non farebbe che mettere in evidenza come l'attuale wing chun abbia perso molto del suo bagaglio tecnico a causa di maestri mediocri che a loro volta hanno creato nel corso degli anni allievi ancora più mediocri.
Per colmare il divario il wing chun man deve abbandonare le certezze che vengono trasmesse come un dogma nelle scuole e deve iniziare a confrontarsi con chi studia principalmente il grappling, il BJJ e poi a scelta tra kick boxing e muay thai. Il wing chun se si continua a praticarlo come viene insegnato oggi non ha speranze di evolversi.
Bisogna correggere l'assoluta assenza di un vero allenamento di sparring rispetto a un praticante di MMA o qualunque altro SDC.
Il secondo punto sul quale il wing chun man deve meditare per colmare la lacuna è l'assoluta mancanza di un vero training per il combattimento a terra. Facendo un raffronto neanche tanto lontano dalla realtà se un praticante wing chun incontra un praticante di MMA, scoprirà a sue spese che quest'ultimo non va di pugni o gomitate, ma tenterà di andare in clinch, lo scopo di questo?
Portare a terra il proprio avversario, là dove lui è più avvantaggiato.
Il terzo punto è che per esaltare le tecniche del wing chun se ne è parlato ovunque e di più, col risultato di rendere alla fine quest'arte marziale fin troppo prevedibile e prevedibilità in un combattimento è uguale sconfitta.
Torniamo ai primi ccombattimenti di MMA molti esperti di kung fu in particolar modo di wing chun parteciparono spavaldi convinti com'erano della superiorità della loro arte, furono tutti rimandati a casa dopo essere stati sonoramente umiliati con qualcosa di rotto o fratture varie, comunque sempre sanguinanti.
Dopo la prova in un campo di battaglia comunque controllato come quello delle MMA solo pochi wing chun man hanno avuto il coraggio di iniziare dove gli altri finivano, quindi al loro training di base hanno aggiunto lo studio della boxe, del taekwondo, submission, BJJ solo per cercare di colmare quelle lacune che maestri troppo miopi o inetti non hanno saputo acquisire e trasmettere alla generazione successiva, creando di fatto la bufala che il wing chun è troppo pericoloso per essere utilizzato in certe competizioni, più facile questo che non mettersi in discussione.

sabato 5 gennaio 2013

In aumento le aggressioni sulle donne, il 56,7% da parte di compagni e mariti

 
Continuano ad essere molte le donne che subiscono violenza dentro le mura domestiche. I casi sono sette milioni, mentre una donna su dieci denuncia l’accaduto. Maltrattamento, violenza, sofferenze fisiche e soprattutto morali. Esistono quattro casi su dieci in cui si verificano ferite più gravi nell’inferno domestico. E’ un dato assai preoccupante, eppure c’è ed è estremamente pericoloso. Ci sono donne che imparano a convivere con il dolore, figli che vengono educati alla sopraffazione familiare, uomini che non smettono mai. Sono i casi di tante donne indifese, che a volte non riconoscono i casi come questo che viene considerato un vero e proprio reato, forse per ignoranza o peggio ancora per paura. Ci sono le ferite più gravi che sono quelle interiori e riguardano le patologie riguardanti la lacerazione dell’identità: depressione, paura cronica, ansia, umiliazione, perdita dell’autostima. Si fa avanti un muro fatto di calvari interiori, quelli dell’intimità sensibile della donna. Eppure casi sociali, ordinari come questi, sono sempre lì pronti a ripresentarsi in vari modi e si ripercuotono sulla pelle e nell’animo più profondo e tenero. I compagni o i mariti che picchiano, che violentano e che purtroppo arrivano all’estremo ed uccidono, cosa pensano quando fanno queste cose? Forse niente, forse alla troppa rabbia che hanno per se stessi, perché si sentono falliti e riversano tutto il loro odio sulla “propria” donna. Siamo forse animali? Eppure per queste specie di esseri lo siamo. Si nascondono dietro un bel volto, una bella identità trasfigurando l’intimità dell’animo femminile. Non riconoscono nulla, non afferrano niente di ciò che sono le “donne”, sanno solo fare i forti ed occultare le prove. Uno dei casi più eclatanti accaduto un paio di anni fa è quello di un noto campione dello sport, Francesco Porzio, ex pallanuotista, oro olimpico. Inizia tutto con una telefonata al 113, è la moglie 43enne di Porzio, Marzia Coppola che chiede aiuto è sconvolta, urla al suo cellulare che il marito la vuole ammazzare di botte. La volante arriva dopo pochi minuti, la donna intontita da un calcio infertogli durante il pestaggio del marito spiega dolorante l’accaduto. Pare che il marito abbia strappato i fili del telefono per evitare che chiamasse la polizia ma la donna, salita in camera, trova il tempo per chiudere la porta a chiave e chiamare col cellulare gli agenti di polizia, (con a capo il vicequestore Pasquale Errico). Quest’ultimo, osservando i fatti, ha arrestato Francesco Porzio con l’accusa di maltrattamenti in famiglia, lesioni personali gravi e atti persecutori. Le aggressioni sono ad oggi secondo i dati Istat il 56,7% e 7 volte su 10 il colpevole è il compagno o marito. Negli ultimi due anni sono state massacrate di botte e uccise centinaia di donne e la cosa più grave è che stavolta secondo l’Eurispes la percentuale è aumentata del 15%. Veramente assurdo! Le donne potrebbero spezzare le catene e denunciare i fatti accaduti, ma si sentono inermi, indifese e sole, ma non è così. Solo con la denuncia potranno evitare danni magari peggiori, altrimenti i casi rimasti impuniti aumenteranno e a pagarne le conseguenze sono ancora donne e figli, piccoli e indifesi. Ancora una volta si parla di questo e ancora una volta di percentuali in aumento. Bisogna mettersi una mano sulla coscienza e pensare che la vita e la dignità della donna è importante. Bisogna recuperare il coraggio e la stima per se stesse perché ognuna di noi vale. Ribellarsi significa fermare la violenza, non permettendo all’uomo di ripetere l’accaduto e voi donne recupererete la vostra libertà. La libertà di vivere e sentirvi importanti proprio come è giusto che sia. Quella libertà che vi è stata privata in tante occasioni, di anni perduti dietro al “mostro”, quel mostro che vi ha privato della gioia, della bellezza della vita, lo stesso che vi ha portato alla depressione, alle varie patologie inerenti le ossessioni, le paure, l’omertà e peggio ancora, lo stesso che picchia i vostri figli. La morte delle donne non riguarda solo quella fisica, ma anche quella dell’animo, fatta di tolleranza, di pazienza, di sopportazione. La morte del cuore, quella che quando ti prende è difficile recuperare, quella peggio degli incidenti stradali, delle malattie, del cancro, quelle per la quale voi stesse potete dire, basta! Mi chiedo spesso, durante i miei studi e approfondimenti su questi casi, chi è e come si sente colui che attua questi reati. Gli chiederei cos’è realmente e cosa si sente di essere dopo averlo fatto. Come fa a guardare negli occhi altre donne pensando di averlo fatto alla propria di donna, cosa mai si cela dietro la psiche distorta e malata di un essere come quello che violenta, massacra, pesta la propria donna. Quello che è certo è che lo faranno sempre, per questo vanno denunciati.

Funzionano i corsi di difesa personale femminile?



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In gran parte delle città ormai alcuni atteggiamenti che una volta venivano considerati paranoici sono diventati la normalità.
In risposta a questa dilagante paura sono sorti una miriade di corsi di difesa personale che in un modo più o meno serio dovrebbero garantire a tutti una possibilità di protezione senza aiuti esterni.
La nostra opinione nei confronti della difesa personale è cambiata molto nel corso del tempo e della pratica, perchè in realtà non abbiamo mai ragionato obiettivamente in questi termini: al sorgere dei primi corsi era diffusissima la convinzione che per fare difesa personale bastasse insegnare/imparare delle tecniche di leva contro le prese più comuni, e normalmente questi corsi erano organizzati parallelamente a quelli di arti marziali tradizionali.
In questo modo ogni istruttore aveva la presunzione di essere in grado di insegnare la difesa personale, forte del bagaglio tecnico della propria arte e di qualche tecnica presa a prestito soprattutto dai corsi di Jujutsu.
Questi corsi venivano e vengono ancora oggi creati senza nessun criterio o programmazione logica, semplicemente il maestro di turno si limita a proporre una versione minimale di un normale allenamento di arti marziali, senza formalità e con sole tecniche di leva.
Ad un corso tipico partecipano soprattutto donne, a volte per curiosità, purtroppo sempre più spesso per un reale senso di disagio o trascorsi poco felici; in ogni caso il clima è sempre molto rilassato, si ride, si scherza sulle tecniche eseguite (magari ritenendole qualcosa di straodinario o molto violento) e si cerca di fare attenzione a non fare del male alla compagna di allenamento perchè non si è certo lì per fare sul serio!
Infatti le tecniche vengono provate principalmente con le compagne di corso, curando i dettagli tecnici nei particolari; chi subisce l'attacco deve riuscire a liberarsi, infatti l' aggredita ne esce sempre vincente!
L'istruttore accondiscendente verso le sue allieve paganti, infonde loro l'illusione che tutti possono difendersi da tutti, e se una ragazza non riesce ad applicare una tecnica la sua risposta è sempre la stessa; devi allenarsi ancora.
La buona notizia è che la comunità marziale almeno a livello internazionale (in Italia come al solito siamo rimasti indietro) ha avuto modo di crescere molto e conoscere altre realtà.
La cattiva notizia è che corsi come quello descritto qui sopra sono ancora la prassi.
I corsi di difesa personale femminile nascono come risposta al senso di insicurezza di cui accennavo all' inizio.
Le donne si sentono incapaci di affrontare uno scontro aggressivo, non importa se per una rapina, per uno stupro o semplicemente per una lite.
Vogliono essere anche loro in grado di tener testa ad un aggressore, vogliono sconfiggere la loro paura imparando tecniche di combattimento.
E' proprio questo il problema fondamentale: la stragrande maggioranza delle persone che si iscrivono ad un corso di difesa personale, hanno un'idea completamente distorta di cosa sia realmente la difesa personale.
Per fare un esempio pratico (e abbastanza comune) prendiamo una ragazza qualsiasi che decide di iniziare un corso simile.
Quasi sicuramente non ha mai subìto una vera aggressione, ma sente di non sapere proprio cosa fare se dovesse accadere.
Magari già subendo qualche scherzo un po' pesante di qualche amico si è sentita impotente perchè è stata immobilizzata senza difficoltà, oppure si sente molto a disagio quando deve spostarsi da sola e uno sconosciuto la fissa.
Quindi decide che deve imparare a difendersi, a farsi valere, ad essere in grado di "tenere testa a un'uomo".
L'idea atechisce fino a quando con questa convinzione in testa, inizia a cercare un corso di difesa personale femminile: nella stragrande maggioranza dei casi lei non sa nulla di arti marziali, nè le interessa approfondire l'argomento; forse qualche suo amico pratica kick boxing, ma racconta sempre di "quante botte ci si scambia", di quanti allenamenti pesantissimi e quanta dedizione serve!
Invece a lei non interessa questo, non vuole tornare a casa coi lividi e poi non ha nessuna intenzione di fare incontri su di un ring: cerca qualcosa di diverso diretto, veloce e semplice.
E gira che ti rigira è così che capita in un classico corso di autodifesa nel quale trova come partecipanti altre donne, dei tipi più diversi: dalla ragazzina timida e impacciata alla signora di mezza età e oltre. Inizia ad allenarsi con loro seguendo le direttive dell' istruttore, che mostra loro ad esempio come sia facile liberarsi da una presa al polso oppure di come basti spostare il peso per sbilanciare un aggressore e proiettarlo (ovviamente poiché le signore pagano il corso non si menziona loro che l' istruttore in questione è un'uomo di buona corporatura e praticante di arti marziali da svariati anni).
Ma alla nostra allieva questa pratica piace, si diverte, conosce gente nuova e ci sta proprio bene in quest'ambiente rilassato; addirittura riesce anche a sfogare lo stress quotidiano.
A questo punto è solo questione di tempo e presto o tardi qualche amico le chiederà di fargli vedere cosa sta imparando e lui sentendosi sfidato nell'orgoglio opporrà resistenza alle sue tecniche fantasiose, riuscendo ad evitarle abbastanza in fretta.
Comunque non infierirà perchè sono amici, lei ci riderà sopra perchè "sta ancora imparando" e perchè alla fine si sta tutti scherzando!
Alla fine del corso, teoricamente lei sarà in grado di difendersi. Questo la renderà un pò più orgogliosa di se stessa, avrà nel frattempo acquisito una certa sicurezza rispetto a prima, anche grazie alle continue iniezioni di fiducia elargite dal maestro.
Per concludere questo racconto (comunque applicabile in toto anche ad un uomo) aggiungo che quella una sera uscendo dalla palestra si presenta dal nulla un vero delinquente che la afferra di sorpresa, la colpisce con un pugno, le ruba la borsa e si allontana nel buio, senza che lei abbia nemmeno avuto il tempo di capire cosa è successo; e se lo ha avuto, la paura nel sentirsi in reale pericolo l'ha probabilmente immobilizzata dal terrore.
E con la consapevolezza che se avesse tentato una reazione, sarebbe stata colpita con ancora più violenza.
La nostra posizione è semplice: noi crediamo poco nella difesa personale femminile, se non come metodo per fare cassa per molte palestre.
Crediamo che ci siano metodi, tecniche migliori, capacità psicofisiche che ogni individuo ha di base e che su quelle si debba lavorare e anche una buona dose di fortuna in ballo, ma che illudere la gente, in particolare le donne, che un corso di breve durata possa dare quello che promette, sia eticamente e moralmente sbagliato.
Come abbiamo accennato prima, è l' idea dell' autodifesa che è di base sbagliata perchè si concentra solamente sullo scontro fisico.
Ma quanti di noi (uomini o donne) sono realmente in grado di sostenere un'aggressione violenta o hanno anche solo una pallida idea dello stato psicologico in cui si troverebbero nel subirla?
Come si può far credere che un corso di poche lezioni, in un clima rilassato e piacevole e con compagni collaborativi possa avvicinarsi anche lontamente alla ferocia di qualcuno che vuole farci del male a tutti i costi?
E con quale coraggio si può illudere i propri allievi/e che sia più efficace un corso simile, per quanto focalizzato, rispetto ad anni di allenamento serio ed esperienza nello scontro anche solo sportivo?
Purtroppo alla gente piace l'idea di praticare la difesa personale, di sapersi difendere da chi ci aggredisce: purtroppo però senza lo sviluppo della nostra aggressività, la preparazione fisica e mentale allo scontro e la volontà di fare del male, c'è poco da illudersi.
Non siamo disfattisti, ma riteniamo che si debba essere onesti con sè stessi.
Provate per gioco a farvi "aggredire" da un amico, magari armato di un pennarello per simulare un coltello o di un bastone di plastica; mettevi pure tutte le protezioni del caso (caschetto, corpetto etc.) se preferite, e chiedetegli di aggredirvi solo quando non ve lo aspettate e siete quindi impreparati, colpendovi o lottando quasi al 100%.
Una persona che si allena quotidianamente al combattimento già si troverebbe in difficoltà in una situazione del genere se colta di sorpresa: una ragazza di 1.60 e senza nessuna cattiveria dentro, soccomberà praticamente sempre, senza tema di smentite lo diciamo.
Molti quotati corsi di Krav Maga poi, propongono poi addirittura tecniche di difesa a mani nude da aggressioni con coltelli e persino pistole! Dire che sia un poco più di un gioco è poco.
Difendersi da un coltello è una cosa improbabile: dovrete dimenticarvi di ogni attacco telefonato provato con un compagno collaborativo, che lento e stiloso vi permetteva quel bel disarmo visto in palestra, chi attacca con un coltello non è un'idiota e basta il primo taglio anche superficiale per farci perdere tutta la voglia di ricorrere a tecniche complicate.
A quanti di voi è mai capitato di tagliarsi con un foglio di carta?
E cosa pensate dell' idea di vedere il vostro sangue colarvi addosso dopo un colpo con una lama vera?
Dal coltello non ci si difende, e l'unica reazione che può avere una persona media è quella di tentare di parare le stoccate con le mani fino a quando ne ha la forza.
Ma siate seri, non crederete veramente che con qualche nozione di difesa personale tutte le persone che muoiono accoltellate ogni settimana se la sarebbero cavata?
Allenare la difesa da coltello vera è qualcosa di riservato a praticanti esperti disposti a mettersi in gioco per questioni diverse dall'imparare a difendersi, e anche in quel caso non vi è una garanzia di riuscire a cavarsela.
Contro un'aggressore che sa usare il coltello, non c'è il minimo scampo, accettiamolo.
Difendersi poi da una pistola sfiora addirittura il ridicolo.
Le tecniche che vengono proposte in giro prevedono sempre e sottolieniamo sempre che l'aggressore sia tanto stupido da puntarvi la pistola a bruciapelo, un pò come se un arciere tendesse il suo arco con la punta della freccia a 10 centimetri da voi.
Siamo i primi a dire che, con una pistola puntata molto vicina è paradossalmente più facile difendersi rispetto ad un coltello, perchè la pistola è pericolosa quasi solo lungo la linea di tiro. Ma tutte quelle tecniche che prevedono il disarmo, persino il blocco del meccanismo di percussione (!!!) visto in innumerevoli film, senza prima spostarsi dalla linea di tiro e colpire pesantemente, sono buone giusto per i film di John Woo e di Jet Li.
Tutto questo può avere un suo senso, non lo neghiamo. Ma di sicuro è improponibile per il target di persone a cui questi corsi sono indirizzati ovvero semplici civili impauriti dalla delinquenza e per nulla abituati al dolore e al confronto.
Nessun sistema per quanto blasonato, militaresco, pubblicizzato o tenuto da "veri esperti soldati di elite" ha realmente efficacia per la ragazza media vestita fashion con nessuna voglia di allenarsi duro e soprattutto costantemente.
E chiaramente, nemmeno per il ragazzo timido che rifugge la violenza.
Per onestà intellettuale vi facciamo un parallelo con altri generi di corsi rapidi, come quelli di guida sicura che promettono risultati.
In un solo weekend, in un ambiente simulato e consapevoli di cosa si sta provando, si riesce effettivamente a mantenere il controllo dell'auto che sbanda; ma chi vi garantisce che a distanza di un anno,in una gelida mattina invernale, assonnati e per nulla concentrati riuscirete a fare lo stesso in strada?
Vi è però una differenza sostanziale nella gestione di un'auto che comunque guidiamo tutti i giorni (e che quindi ci è familiare) rispetto ad una situazione di aggressione che magari ci accade una sola volta nella vita.
Il fatto che più o meno tutti sappiano guidare un'auto deriva dalla necessità di farlo regolarmente, per cui anche il meno portato prima o poi impara a gestire freno, marce ed accelleratore. Non vi è nessuna ragione invece di credere che un corso breve di difesa ci renda familiari tecniche, stati d'animo e consapevolezza di situazioni che non si sono mai nemmeno provate.
A nostro giudizio (e non c'è diritto di replica) non vi è maestro migliore dell'esperienza personale: solo provando sulla propria pelle le proprie sensazioni e reazioni è possibile migliorare ed imparare.
Solo ripetendo costantemente delle meccaniche di movimento e atteggiamenti mentali, è possibile renderle applicabili anche quando la nostra capacità di pensare è bloccata dallo shock.
Una persona violenta si "allena" ogni giorno a suo modo, vive nella violenza e nella mancanza di rispetto e regole, conosce i modi migliori per aggredire (in qualsiasi senso) la sua vittima prescelta perchè li testa costantemente; è con ogni probabilità molto più preparato di noi a gestire la paura perchè ci vive a stretto contatto, o a combattere realmente perchè lo ha fatto più volte e senza nessuna regola.
Non è onesto illudere una persona di 50 chili che basti ripetere un centinaio di volte un movimento per poter aver ragione di un individuo simile, che quasi sicuramente sarà più grosso e aggressivo di lei.
Questo significa che non c'è nessuna reale speranza di autodifesa per la persona media?
Non abbiamo detto questo, ma di sicuro non grazie a questi corsi (e probabilmente nemmeno ad altri più seri).
Non voglio parlare per assoluti, ma lascio al buonsenso di ciascuno la risposta.
Quante probabilità ha una gazzella inesperta di sfuggire all'attacco di una leonessa?
Ma quante probabilità ha una gazzella in piena forma e sempre all'erta?
La natura ha dotato la leonessa di un vantaggio fisico enorme: in uno scontro diretto, la gazzella non ha la minima possibilità di cavarsela. Ma per sua fortuna ha dotato la gazzella di altre doti per difendersi, la più importante delle quali è la capacità di prevenire gli attacchi dei predatori stando perennemente sul chi va là, e come ultima risorsa una maggior velocità per un lasso di tempo maggiore.
Gli uomini hanno poi introdotto un' ulteriore, decisivo mezzo che li ha resi capaci di vincere su qualsiasi altra creatura sulla Terra: le armi.
Le armi sono la discriminante che può realmente rendere una persona di 50 chili in grado di difendersi da un colosso di 200.
Senza scomodare le armi da fuoco, un coltello può far desistere un delinquente che non ha intenzione di rischiare lui stesso la pelle.
Ma naturalmente girare con un coltello sempre a portata di mano non è legale e non ci rende migliori dei personaggi dai quali dovremmo difenderci; Inoltre può avere conseguenze dagli esiti incerti anche nei confronti delle persone che frequentiamo.
Per questa ragione personalmente riteniamo che l'unico corso di difesa di poche lezioni di una reale utilità, debba essere focalizzato sulla prevenzione delle situazioni a rischio.
Chi volesse approfondire tecniche di combattimento, semplici o no, tradizionali o pragmatiche, pratiche o teoriche, dovrebbe rassegnarsi a frequentare costantemente un' arte marziale a contatto pieno, accettando i lividi, gli infortuni e lo sviluppo di quell'aggressività (istinto omicida) che poi sarà la chiave vincente in una situazione estrema.

venerdì 4 gennaio 2013

Buddhaghosa

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Thera Bhadantācariya Buddhaghosa (Bodh Gaya, V secolo – Sri Lanka, V secolo) è stato un monaco buddhista e accademico indiano.
Nato secondo le cronache singalesi vicino a Bodhgayā, nell'attuale Bihar meridionale, nell'India nord-orientale, di nome Moraṇḍa-kheṭaka, compì i suoi studî nella città di Kāñcī, allora la città indiana dove il buddhismo theravāda aveva tra i suoi più importanti centri, e trasferitosi nello Sri Lanka all'epoca del re Mahānāma (410-432), fu riconosciuto come la massima autorità tanto in campo letterario nella lingua pāli quanto in quello esegetico riguardo al canone pāli della scuola del buddhismo theravāda, tanto che la sua figura umana e di letterato fu presto circondata da un alone di leggenda.
Fu autore di numerose opere e commentari in lingua pāli dei testi canonici e paracanonici del buddhismo theravāda. A lui sono in particolare attribuiti i testi:
  1. Samantapāsādikā, un commentario del Vinaya Piṭaka, che fu il suo primo commentario[6];
  2. Kankhāvitaranī, un commentario del Pātimokkha del Vinaya Piṭaka;
  3. Sumangalavilāsini, un commentario del Dīgha Nikaya;
  4. Papañcasūdanī, un commentario del Majjhima Nikaya;
  5. Sāratthappakāsinī, un commentario del Saṃyutta Nikaya;
  6. Manorathapūraṇī, un commentario dell'Aṅguttara Nikaya;
  7. Dhammapadaṭṭhakathā, un commentario del Dhammapada;
  8. Jātakaṭṭhakathā, un commentario delle Jātaka;
  9. Paramatthajatikā, un commentario del Kuddakapātha e del Suttanipāta del Khuddaka Nikaya;
  10. Atthasāliṇi, sul Dhammasaṅganī dell'Abhidhamma Piṭaka;
  11. Sammohavinodanī, sul Vibhaṅga dell'Abhidhamma Piṭaka;
  12. Pañcappakaraṇaṭṭhakathā, sugli altri cinque libri dell'Abhidhamma Piṭaka;
  13. Visuddhimagga, il Sentiero per la purificazione, un commentario basato sul Rathavinīta Sutta (la staffetta dei carri) del Majjhima Nikaya (sutta numero 24), considerata l'opera di Buddhagosa più preziosa e la fonte extracanonica più autorevole dell'ortodossia Theravāda.
Giunto nello Sri Lanka alla ricerca dei testi più antichi del canone buddhista, partecipe di una reazione da parte di alcuni monaci indiani che riteneva che nei canoni allora esistenti e composti in lingua sanscrita gli insegnamenti originali fossero stati alterati e perduti, vi trovò «non soltanto quella che era evidentemente un'antica recensione del canone pāli, ma anche gli antichi commenti singalesi, che considerò coevi al canone.» Dalle sue traduzioni in lingua singalese di questi testi si avviò il rinascimento letterario e religioso del buddhismo Theravāda nell'isola prima, e nel sudest asiatico dopo.