martedì 23 agosto 2016

Hasekura Tsunenaga

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Tsunenaga Hasekura Rokuemon (支倉·常長 Hasekura Tsunenaga; 1571 – 7 agosto 1622) è stato un samurai giapponese e servitore di Date Masamune, il daimyo di Sendai.
Condusse un'ambasciata in Messico e in seguito in Europa tra il 1613 e il 1620, dopodiché ritornò in Giappone. Fu il primo ufficiale giapponese mandato in America ed il primo esempio documentato di relazioni tra Francia e Giappone.
Si conosce poco sulla vita precedente di Hasekura Tsunenaga, eccetto il fatto che fu un samurai veterano della invasione Giapponese della Corea sotto il Taiko Toyotomi Hideyoshi nel 1592 e nel 1597.

Approccio spagnolo

Gli Spagnoli iniziarono i viaggi attraverso il Pacifico tra il Messico ("Nuova Spagna") e la Cina, attraverso la loro base territoriale nelle Filippine, a seguito dei viaggi di Andrés de Urdaneta nel XVI secolo. Manila diventò la loro base definitiva per la regione Asiatica nel 1571.
Le navi spagnole naufragavano periodicamente sulle coste del Giappone a causa del cattivo tempo, iniziando contatti con il paese. Gli Spagnoli speravano di espandere la fede Cristiana in Giappone. I tentativi di espandere la loro influenza in Giappone incontrarono una forte resistenza da parte dei Gesuiti, che avevano iniziato l'evangelizzazione del paese nel 1549, nonché dei portoghesi e degli olandesi che non si auguravano di vedere la Spagna commerciare con i Giapponesi.
Nel 1609 il galeone Spagnolo San Francisco incontrò cattivo tempo sulla sua via da Manila a Acapulco, e naufragò sulla costa Giapponese a Chiba, vicino Tokyo. I marinai furono salvati e accolti, e il capitano della nave, Rodrigo de Vivero, incontrò Tokugawa Ieyasu.
Un trattato fu firmato il 29 novembre 1609, in base a cui gli Spagnoli avrebbero potuto costruire un'industria nell'est del Giappone, specialisti in mineraria sarebbero stati importati dalla Nuova Spagna, alle navi spagnole sarebbe stato permesso di visitare il Giappone in caso di necessità e un'ambasciata Giapponese sarebbe stata mandata alla corte Spagnola.

Il progetto dell'ambasciata

Un frate francescano chiamato Luis Sotelo, che stava facendo proselitismo nella zona di Tokyo, convinse lo Shogun ad inviarlo come ambasciatore in Nueva España (Messico). Nel 1610 egli navigò verso il Messico con i marinai spagnoli di ritorno e 22 giapponesi, a bordo della San Buena Ventura, una nave costruita dall'avventuriero inglese William Adams per lo Shogun. Una volta in Nuova Spagna, Luis Sotelo si incontrò con il viceré Luis de Velasco, che accettò di inviare un ambasciatore in Giappone, nella persona del famoso esploratore Sebastian Vizcaino, con la missione aggiuntiva di esplorare le "Isole di oro e argento" che si pensava si trovassero a est delle isole giapponesi.
Vizcaino arrivò in Giappone nel 1611 ed ebbe molti incontri com lo Shogun e i signori feudali. Questi incontri vennero macchiati dal suo scarso rispetto per le usanze giapponesi, dalla montante resistenza dei giapponesi verso il proselitismo cattolico, e dagli intrighi degli olandesi contro le ambizioni spagnole. Vizcaino alla fine partì alla ricerca dell'"Isola d'argento", nel corso della quale incontrò brutto tempo, che lo costrinse a tornare in Giappone con gravi danni.
Lo Shogun decise di costruire un galeone in Giappone, allo scopo di riportare Vizcaino in Nuova Spagna assieme ad una missione giapponese.
Il Daimyo di Sendai, Date Masamune, venne incaricato di condurre il progetto. Egli nominò uno dei suoi inservienti, Hasekura Tsunenaga, a capo della missione. Il galeone, chiamato Date Maru dai giapponesi e successivamente San Juan Bautista dagli spagnoli, richiese 45 giorni per la costruzione, con la partecipazione di esperti tecnici dal Bakufu, 800 operai navali, 700 fabbri, e 3.000 carpentieri.



Viaggio attraverso il Pacifico

Dopo il suo completamento, la nave salpò il 28 ottobre 1613 per Acapulco in Messico, con circa 180 persone di equipaggio, tra cui 10 samurai dello Shogun (forniti dal Ministro della Marina Mukai Shogen), 12 samurai di Sendai, 120 tra mercanti, marinai e servi giapponesi, e circa 40 tra spagnoli e portoghesi.
La nave arrivò ad Acapulco il 25 gennaio 1614 dopo tre mesi di navigazione, e all'ambasciata fu dato il benvenuto con una grande cerimonia. Prima del previsto viaggio in Europa, l'ambasciata trascorse del tempo in Messico, visitando Veracruz per poi imbarcarsi da quella città sulla flotta di Don Antonio Oquendo. Gli emissari partirono per l'Europa sulla San Jose il 10 giugno, e Hasekura dovette lasciare la gran parte del gruppo di mercanti e marinai asiatici ad Acapulco, città dove l'ambasciata sarebbe tornata dopo la missione oltremare.

Missione in Europa

Spagna

La flotta giunse a Sanlucar de Barrameda il 5 ottobre 1614.
"La flotta infine arrivò integra, dopo qualche pericolo e alcune tempeste, al porto di Sanlúcar de Barrameda il quinto giorno di ottobre, dove il Duca di Medina avvisò Sidonia del loro arrivo. Vennero mandate delle navi per onorarli e accoglierli, e fece preparare una sontuosa residenza per alloggiare l'Ambasciatore e i suoi onorevoli uomini." (Scipione Amati "Storia del Regno di Voxu").
"L'ambasciatore giapponese Hasekura Rokuemon, inviato da Joate Masamune, re di Boju, entrò a Siviglia il giorno di mercoledì 23 di ottobre del 1614. Era accompagnato da 30 giapponesi con le spade, il loro capitano della guardia, e 12 arcieri e alabardieri con lance pittate e spade da cerimonia. Il capitano della guardia era cristiano e fu chiamato Don Tommaso, il figlio di un martire giapponese" (Biblioteca Capitular Calombina 84-7-19 "Memorias...", fol.195).
L'ambasciata giapponese incontrò il re di Spagna Filippo III a Madrid il 30 gennaio 1615. Hasekura consegnò al sovrano una lettera da Date Masamune, e l'offerta di un trattato. Il re rispose che avrebbe fatto quello che sarebbe stato in suo potere per venire incontro alle richieste.
Hasekura fu battezzato il 17 febbraio dal cappellano personale del re, e rinominato Felipe Francisco Hasekura.


Francia

Dopo il viaggio attraverso la Spagna, l'ambasciata salpò nel Mar Mediterraneo a bordo di tre fregate spagnole verso l'Italia. A causa del cattivo tempo, le navi restarono alla fonda nella baia francese di Saint Tropez, dove furono ricevute dalla nobiltà locale, e dove la loro presenza incontrò per molti aspetti lo stupore della popolazione.
La visita dell'ambasciata giapponese è registrata nelle cronache della zona come una delegazione guidata da "Filippo Francesco Faxicura, Ambasciatore presso il Papa, da Date Masamunni, Re di Woxu in Giappone".
Vennero ricordati molti dettagli pittoreschi del loro comportamento e del loro aspetto:
"Non toccano mai il cibo con le mani, ma usano due sottili bacchette che tengono con tre dita".
"Si soffiano il naso in soffici fogli setosi della grandezza di una mano, che non usano mai due volte, e che quindi buttano per terra dopo l'uso, e furono deliziati nel vedere che le persone attorno a loro si precipitavano a raccoglierli".
"Le loro spade tagliano così bene che possono tagliare un sottile foglio di carta appoggiandovelo sul bordo e soffiandoci sopra."
("Relazioni di Mme de St Troppez", ottobre 1615, Bibliothèque Inguimbertine, Carpentras).
La visita di Hasekura Tsunenaga a Saint Tropez nel 1615 è il primo esempio documentato di relazioni tra Francia e Giappone.

Italia

L'ambasciata giapponese arrivò in Italia, dove riuscirono ad ottenere udienza da Papa Paolo V a Roma, nel novembre 1615. Hasekura consegnò al Papa una preziosa lettera decorata d'oro, contenente una formale richiesta di un trattato commerciale tra Giappone e Messico, oltre che l'invio di missionari cristiani in Giappone.
Il Papa accettò senza indugio di disporre l'invio di missionari, ma lasciò la decisione di un trattato commerciale al Re di Spagna. Il Papa scrisse poi una lettera per Date Masamune, della quale una copia è a tutt'oggi conservata in Vaticano.
Il Senato di Roma conferì a Hasekura il titolo onorifico di Cittadino Romano, in un documento ch'egli successivamente portò in Giappone e che oggi è ancora visibile e conservato a Sendai.
Lo scrittore italiano Scipione Amati, che accompagnò l'ambasceria nel 1615 e nel 1616, pubblicò a Roma un libro intitolato "Storia del regno di Voxu".
Nel 1616, l'editore francese Abraham Savgrain pubblicò un resoconto della visita di Hasekura a Roma: "Récit de l'entrée solemnelle et remarquable faite à Rome, par Dom Philippe Francois Faxicura" ("Racconto della solenne e notevole entrata fatta a Roma da Don Filippo Francesco Faxicura").

Seconda visita in Spagna

Per la seconda volta in Spagna, Hasekura si incontrò col re, che declinò l'offerta di un trattato commerciale, sul presupposto che l'ambasceria giapponese non sembrava una delegazione ufficiale del sovrano del giappone Tokugawa Ieyasu, il quale, al contrario, aveva promulgato un editto nel gennaio 1614 ordinando l'espulsione di tutti i missionari dal Giappone, e aveva cominciato la persecuzione della fede cristiana nel Paese.
L'ambasceria lasciò Siviglia per il Messico nel giugno 1616 dopo un periodo di due anni in Europa. Alcuni dei giapponesi restarono in Spagna, più precisamente in un villaggio vicino a Siviglia (Coria del Río), dove i loro discendenti oggi sono riconoscibili dall'uso del cognome Japón.

Ritorno in Giappone

Nell'aprile 1618 la San Juan Bautista giunse nelle Filippine dal Messico, con Hasekura e Luis Sotelo a bordo. La nave fu acquistata lì dal governo spagnolo, con l'obiettivo di costruire difese contro gli olandesi. Hasekura ritornò in Giappone nell'agosto 1620.
Quando Hasekura fece ritorno in patria, si accorse che il Giappone era cambiato abbastanza drasticamente: la persecuzione dei cristiani nello sforzo di eradicare il Cristianesimo dall'arcipelago era in corso dal 1614, e il Giappone tutto stava muovendosi verso il periodo "Sakoku", caratterizzato da un imperante isolazionismo. A causa di queste persecuzioni, gli accordi commerciali col Messico ch'egli aveva cercato di stabilire furono negati, e gran parte degli sforzi in questo senso erano stati vani.
Un'analisi storica successiva mostra che l'ambasciata rappresentata da lui abbia avuto pochi risultati, anche se sembra che le sue testimonianze sul potere spagnolo e sui metodi coloniali abbiano accelerato la decisione dello Shogun Tokugawa Hidetada di cancellare le relazioni commerciali con la Spagna nel 1623, e quelle diplomatiche nel 1624.
Cosa fu di Hasekura dopo l'avventura diplomatica è ignoto, e le storie sui suoi ultimi anni sono numerose. Alcuni sostengono ch'egli abbia abbandonato di sua volontà il Cristianesimo, altri che difese la sua fede così profondamente da diventare un martire, e altri che sia rimasto cristiano nell'intimità, professando la sua fede in segreto. Hasekura morì nel 1622, e la sua tomba è ancora oggi visibile nel tempio buddista di Enfukuji (giapponese: 円長山円福寺) nella prefettura di Miyagi.




lunedì 22 agosto 2016

Bhuj

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Il bhuj (anche noto come kutti) è un'arma bianca originaria dell'India settentrionale. Esso è anche detto "pugnale dell'elefante" poiché solitamente è presente un'incisione a forma di testa d'elefante sul tallone della lama. La lunghezza totale dell'arma è di circa 60 cm, di cui circa 25 spettano alla lama, la quale, larga e pesante, è interamente affilata da una parte, e presenta sul dorso non tagliente un contro-taglio ricurvo e affilato per circa un terzo della lunghezza della lama. Il manico è in metallo e può essere cavo in modo tale da permettere di alloggiare al suo interno un piccolo pugnale. Solitamente è dotato, all'estremità, di un bottone decorativo. Il fodero è, il più delle volte, in rame decorato a sbalzo. Sia l'impugnatura che la lama del bhuj possono essere incise o intarsiate d'oro o argento a scopo decorativo.

domenica 21 agosto 2016

Varuṇa

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(SA)
«amī ya ṛkṣā nihitāsa uccā naktam dadṛśre kuha cid diveyuḥ adabdhāni varuṇasya vratāni vicākaśac candramā naktam eti»
(IT)
«Le stelle che in alto si vedono la notte, di giorno vanno da altre parti. Non si possono trasgredire le leggi di Varuṇa, la luna si muove ogni notte vedendo ovunque.»
(Ṛgveda, I, 24-10)



Varuṇa (वरुण, sanscrito vedico Váruṇa) è una delle più antiche e importanti divinità vediche. Corrisponde all'avestico Ahura Mazdā. Nei Veda, è il garante dell'Ordine cosmico (Ṛta), Asura del cielo, della pioggia e dei fenomeni celesti, ma anche della Legge e del mondo sotterraneo. È quindi il più importante Asura nel Ṛgveda, e sovrano degli Aditya. Successivamente fu considerato re dei naga.

Nome

Come teonimo, Varuna ha radici nei popoli indoeuropei. Conserva dei collegamenti con la cultura dei Mitanni dove, nella iscrizione di Boğazköy risalente al XV secolo a.C., compare il nome del dio Uruvannassil. Ambedue sembrerebbero collegati al greco antico Ouranos.
La parola Varuna sembra derivare dalla radice proto-indoeuropeo *wer- o *wel-, che significa "coprire" (vedi anche "vala", "vrtra").
Sono state suggerite parentele con altri nomi di divinità indoeuropee, ma le connessioni sono incerte: in particolare Urano, dio del cielo nella mitologia greca, Perun, la principale divinità dei pantheon slavi, Vörnir, gigante della mitologia norrena (da *verunyos?), il dio della mitologia slava Veles, e velnias, che in lituano significa "diavolo". Molte di queste associazioni sono state contestate dai linguisti, soprattutto la connessione con Urano.
Varuna corrisponde a Poseidone nella mitologia greca o Nettuno nella mitologia romana, e il pianeta Nettuno è chiamato Varuna nell'astrologia hindu.
Il nome del dio ha dato origine al nome proprio indiano Varun.

Nei Veda

Varuṇa sembra essere una replica del più antico deva-asura del cielo, Dyaus. Ma nelle sue prime espressioni è il deva-asura del cielo notturno dove le stelle e la luna rappresentano i suoi occhi. Egli giudica il comportamento umano, punendo i malvagi. Varuṇa è l'unica divinità dei Veda che osserva un comportamento severo ed etico. I suoi occhi sono denominati spaśa che significa "guardare" ma anche "spiare". Nei medesimi testi egli è spesso indicato come samrāj (sovrano) epiteto usato solo raramente per Indra. Nella solenne cerimonia del varuṇapraghāsa, i partecipanti erano tenuti a confessare i loro peccati al sacerdote officiante.
Come capo degli Aditya, Varuna ha aspetti di una divinità solare; come il più importante Asura, però, è più legato a problemi morali e sociali che alla deificazione della natura. Insieme a Mitra — originariamente personificazione del giuramento — è maestro di rta, supremo custode dell'ordine e dio della legge; Varuna e Mitra sono spesso fusi in Mitra-Varuna (uno dvandva). Varuna è anche legato a Indra nel Rigveda, e fuso in Indra-Varuna.
Come dio del cielo, Varuna corrisponde a, o regna su, la metà oscura del cielo — o oceano celeste (Rasā), da cui il legame con acqua e pioggia — o il lato oscuro del Sole, che viaggia da Ovest a Est durante la notte. Lo Atharvaveda descrive Varuna come onnisciente, e punitore dei bugiardi: le stelle sono i suoi mille occhi, che osservano l'uomo.
Nel Rigveda, Indra, capo dei deva, è sei volte più presente di Varuna, che pure è nominato 341 volte; questo può indurre in errore sulla reale importanza di Varuna nell'antica società vedica, ma è dovuto alla concentrazione del Rigveda sui rituali a base di fuoco e soma, entrambi strettamente associati a Indra; Varuna con la sua onniscienza e onnipotenza nelle questioni umane ha invece tutti i tratti di una divinità dominante.

Epoche successive

Varuna divenne poi dio dell'oceano e dei fiumi, oltre che custode delle anime degli annegati; in quanto tale, Varuna è anche un dio degli Inferi, re dei naga, e può garantire l'immortalità. È anche uno dei Lokapāla (लोकपाल), come Guardiano dell'Ovest.
L'arte più tarda rappresenta Varuna come divinità lunare, come un uomo pallido con un'armatura d'oro e un cappio o un laccio di pelle di serpente, a cavallo del mostro marino Makara.

sabato 20 agosto 2016

Clan Taira

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Il clan Taira (平氏 Taira-uji, lettura kun'yomi) o Heishi (lettura on'yomi dei kanji precedenti), anche Heike (平家 lettura on'yomi per "famiglia Taira"), fu un'importante famiglia discesa dall'Imperatore Kammu ed imparentata con diversi imperatori giapponesi, che esercitò un considerevole potere in Giappone durante il periodo Heian.
Il nome del clan nacque come un kabane, titolo onorifico concesso da alcuni imperatori ad alcuni discendenti della famiglia reale che non avevano diritto alla successione. Il primo a ricevere il kabane Taira no Ason fu nell'889 Taira no Takamochi, nipote dell'Imperatore Kammu, che è così ritenuto il fondatore della linea Kammu Heishi; a questi si aggiunsero i Nimmyō Heishi, i Montoku Heishi e i Kōkō Heishi. In realtà gli stessi Kammu Heishi erano discendenti da due linee, perché Kammu aveva concesso il titolo anche al suo altro nipote Takamune-ō.
Un pronipote di Takamochi, Taira no Korihira, divenne daimyō della provincia di Ise. Un suo pronipote, Taira no Kiyomori, sostenne l'Imperatore Go-Shirakawa contro l'Imperatore claustrale Sutoku, sostenuto da suo padre Tadamasa, nella ribellione di Hōgen (1156). Pochi anni dopo la sua vittoria si schierò contro il clan Minamoto e al fianco dell'Imperatore Nijō nella ribellione di Heiji (1160); dopo questa vittoria fu nominato Daijō-daijin (gran ministro dello Stato) e il clan Taira divenne il più potente del Giappone.
Sua figlia Tokuno sposò Takakura, 80º imperatore del Giappone (1169-1180). Nel 1180 Kiyomori influenzò così la successione imperiale mettendo sul trono suo nipote Antoku, che era ancora un bambino; questo scatenò la guerra Genpei, della quale Kiyomori non vide la fine, in quanto morì nel 1181, e che il clan nel 1185 perse nella decisiva battaglia di Dan-no-ura. Il potere passò così nelle mani del clan Minamoto e in particolare del suo capo Minamoto no Yoritomo. La storia di questi anni è narrata nello Heike monogatari ("storia della famiglia Taira"), un romanzo epico del XIV secolo.
Sebbene il clan Taira abbia considerevolmente perso di importanza con l'avvento del clan Minamoto, molti clan discendenti dei Kammu Heishi prosperarono; tra questi i clan Hōjō, Chiba e Miura, che essendosi alleati con i Minamoto nella guerra Genpei ottennero posizioni di estremo rilievo nello shogunato di Kamakura, e il clan Hatakeyama, che ottenne posizioni di prestigio nello shogunato Ashikaga.

Albero genealogico

Kammu (737-806), 50º imperatore (r. 781-806) della dinastia imperiale del Giappone
Katsurabara
Takami
Takamochi, il primo della casata a ricevere il kabane Taira no Ason da cui derivò il cognome del clan
Kunika (+ 935)
Sadamori
Korehira
Masanori
Masahira
Masamori
Tadamori (+ 1153)
Kiyomori (+ 1181), nominato Daijō-daijin (gran ministro dello Stato)
Shigemori (+ 1179)
Munemori (+ 1185)
Tokuno (+ 1213) = Takakura, 80º imperatore del Giappone (1169-1180)
Tomomori (+ 1185)
Norimori (+ 1185)
Koretoki, capostipite del clan Hōjō


venerdì 19 agosto 2016

Ditangquan

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Ditangquan (地躺拳) è un esercizio di arti marziali cinesi contenente numerose tecniche di caduta. Molti stili possiedono un esercizio con questo nome che però assume caratteristiche e sequenze diverse. Il wushu moderno o sportivo ha codificato diversi taolu sulla base del changquan. Secondo l'enciclopedia di Baidu questo stile è anche detto Digongquan 地功拳(Pugilato del Conseguimento al Suolo), Bazhequan 八折拳 (Pugilato degli Otto Cambiamenti di Direzione), o Ditangquan 地趟拳 (Pugilato Che si sposta al suolo). Qin Yanbo riporta anche il nome Jiudi Shiba Gun 就地十八滚 (Diciotto rotolamenti diretti al suolo)

Stili

Uno stile con questo nome sarebbe stato praticato durante il periodo della dinastia Song Meridionale nello Shandong, per poi diffondersi in ogni parte della Cina, esso viene chiamato anche digongquan (地功拳). Il nome antico è Jiugun shiba die (九滚十八跌). Se ne trovano tracce nel libro “Xu wenxian tong kao 续文献通考” scritto da Wang Qi (王圻) durante la dinastia Ming. Anche nel famigerato Jixiao Xinshu ci sarebbe un riferimento al Ditangquan, che viene visto nella frase: Shandong...Qiandie Zhang zhi die 山东...千跌张之跌, cioè Nello Shandong delle Cadute è Zhang detto Mille Cadute. Alcuni stili vanno sotto il nome generico di Ditangquan. Si tratta di:
  • dixingquan (地行拳)
  • gouquan (狗拳)

Genealogie

Il libro Ditangquan riporta un albero genealogico con cinque generazioni che si dipartono da Heng Daqiang 恒大枪 di Beiping in due ramificazioni, rispettivamente in Shandong ed Hebei. Alla seconda generazione nel ramo dello Shandong è posto Ba Douniu 霸斗牛 ed in quello dell'Hebei Su Guangtai 苏广泰.

Sequenze

La voce dell'enciclopedia dell'Istituto Confucio riporta questo elenco di taolu a mano nuda: Ditangquan 地趟拳, Jingang Ditang 金刚地趟, Digong Shiba Gun 地功十八滚, Baxian Digong 八仙地功, Shiba Lianzhu 十八连珠, Ditang Chang, Zhong e Duan 地趟长--, Bazhequan 八折拳, ecc. e questi con armi Digongdao 地功刀, Guntangdao 滚趟刀, Gunlongqiang 滚龙枪, ecc.

giovedì 18 agosto 2016

Torii Suneemon

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Torii Suneemon (鳥居 強右衛門; 1540 – 1575) è stato un samurai giapponese della famiglia Torii, conosciuto per il suo coraggio e per l'incredibile valore dimostrato nella battaglia di Nagashino (1575).

Biografia

Suneemon era onorario di Okudaira Sadamasa e membro della guarnigione di Nagashino quando la fortezza venne posta sotto assedio dalle forze di Takeda Katsuyori. Già distintosi per il coraggio e noto per la destrezza nel muoversi nella zona, si offrì volontario nella pericolosissima missione di spionaggio attraverso le linee degli assedianti, per chiedere rinforzi presso Tokugawa Ieyasu, a Okazaki. Dopo aver avvertito con successo Tokugawa, venne catturato da Takeda durante il viaggio di ritorno a Nagashino.
Torii venne quindi imprigionato e costretto ad urlare ai suoi compatrioti che non avrebbero ricevuto alcun rinforzo, incitandoli ad arrendersi. Egli invece iniziò ad incoraggiare la sua guarnigione, spiegando che l'armata di Tokugawa stava ormai arrivando e quindi li invitò a resistere al nemico ancora per poco.
C'è controversia riguardo al momento in cui Suneemon pronunciò queste parole: secondo alcuni prima di essere ucciso, secondo altri durante il suo supplizio, prima di morire. Venne comunque crocifisso per ordine di Takeda, indignato per il suo gesto.

Nella cultura

Suneemon divenne, grazie al suo sacrificio, uno dei più famosi esempi del coraggio samurai nella storia. Un onorario di Takeda, Ochiai Michihisa, a partire da quel momento, utilizzò una bandiera raffigurante Torii Suneemon appeso alla croce.
Nel 1923, una stazione ferroviaria sorta sul luogo in cui morì Suneemon prese il nome di stazione di Torii.

mercoledì 17 agosto 2016

Ashina Morikiyo

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Ashina Morikiyo (蘆名 盛舜; 1490 – 21 novembre 1553) è stato un daimyō giapponese del periodo Sengoku, quindicesimo capo del clan Ashina.
Morikiyo assunse il controllo del clan Ashina nel 1517 dopo che suo fratello Moritaka morì senza figli. Assistette Date Tanemune in un attacco contro la famiglia Kasai nel 1528 e si alleò con i clan Date, Ishikawa, e Iwase contro gli Shirakawa nel 1534. Gli succedette il figlio Ashina Moriuji.

martedì 16 agosto 2016

Biao

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Il biāo (, , biāo, piao) è un'arma da lancio cinese assimilabile ai coltelli da lancio. La traduzione letterale nel gergo marziale è "dardo". Frequentemente ci si riferisce a questa arma come fēibiāo (飛鏢, 飞镖, fēibiāo, fei piao), cioè "dardo volante".

lunedì 15 agosto 2016

Mitra

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Mitra è un'importantissima divinità dell'induismo e della religione persiana ed anche un dio ellenistico e romano, che fu adorato nelle religioni misteriche dal I secolo a.C. al V secolo d.C. Non è chiaro quanto vi sia in comune fra questi tre culti. Benché "Mitra" sia un nome di divinità molto antico, le notizie sui suoi culti sono scarse e frammentarie. Quello ellenistico/romano non ha lasciato alcun testo e sembra molto diverso dal Mitra dei Veda e dello zoroastrismo.
Anche l'Avesta, il testo fondamentale della religione persiana, non è giunto fino a noi integralmente e le parti sopravvissute sono costituite solo da inni, forse salvati tramite la tradizione orale. La religione persiana è nota principalmente tramite il Denkard, un compendio scritto solo nel IX secolo. La difficoltà di utilizzare testi tardivi è ben illustrata dal caso del principale testo escatologico persiano, lo Zand ī Wahman yasn, spesso ma erroneamente chiamato Bahman yašt. In questo testo Mitra conduce la battaglia finale contro i demoni. Esso, inoltre, presenta somiglianze con il Libro di Daniele e con gli Oracoli di Istaspe (un testo ellenistico del I secolo a.C.) e perciò i suoi rapporti col mondo ebraico ed ellenistico sono oggetto di accese discussioni. Oggi molti studiosi ritengono che il testo persiano porti i segni di ripetute revisioni e aggiunte a un non ben definito, e forse addirittura inesistente, "substrato avestano". Il testo originale, se è mai esistito, sembra ridursi ai soli capp. 3–5, in cui la battaglia escatologica di Mitra non compare.

Mitra nel mondo indo-persiano

Il culto di Mitra nasce nel 1200 a.C. e compare nei Veda come uno degli Aditya, una delle divinità solari e dio dell'onestà, dell'amicizia e dei contratti. Nella civiltà persiana, dove il suo nome veniva reso come Mithra, assunse anche le caratteristiche marziali che i Veda assegnano a Indra e acquistò col tempo sempre maggiore importanza fino a diventare una delle maggiori divinità dello zoroastrismo.
In entrambe le culture, si distingue per la sua stretta relazione con gli dei che regnano sugli Asura (ahura in iranico) e proteggono l'ordine cosmico (Ṛta per i Veda, asha in iranico): Varuna in India e Ahura Mazda in Iran. Mitra/Mithra, quindi, dovrebbe essere una divinità proto-indo-iranica il cui nome originario può essere ricostruito come Mitra.

Etimologia e origini

La parola mitra può avere due significati:
  1. amicizia
  2. patto, accordo, contratto, giuramento o trattato
Un significato generale di "alleanza" potrebbe accordarsi adeguatamente ad entrambi i significati. La prima alternativa è maggiormente enfatizzata nelle fonti indiane, la seconda in quelle iraniche.
Il più antico riferimento conosciuto del nome Mitra si trova su un'iscrizione di un trattato risalente approssimativamente al 1400 a.C., stipulato tra gli Ittiti e il Regno hurrita di Mitanni nell'area sud-occidentale del lago di Van. Il trattato è garantito da cinque dei indo-iranici: Indra, Mitra, Varuna e i due cavalieri, gli Ashvin o Nasatya. Gli Hurriti erano guidati da una casta aristocratica guerriera che adorava questi dei.

Mitra nei Veda

Negli inni vedici, Mitra è sempre invocato insieme con Varuna, tanto che le due divinità sono combinate nel termine Mitravaruna.
Varuna è signore del ritmo cosmico delle sfere celesti, mentre Mitra genera la luce all'alba. Nel più tardo rituale vedico una vittima bianca viene prescritta per Mitra, una nera per Varuna.
Nel Shatapatha Brahmana l'Uno appaiato è descritto come "il Consiglio ed il Potere": Mitra rappresenta il sacerdozio, Varuna il potere regale.

Mitra nel mondo iranico

La riforma di Zarathustra mantenne molte divinità del più antico pantheon indo-iranico, riducendole di numero, in una complessa gerarchia, retta dagli Amesha Spenta. I "Benefici Immortali" i quali erano sottoposti alla tutela del supremo Ahura Mazda, il "Signore Saggio", come tutto il cosmo era parte del Bene o del Male.
In tarde parti dell'Avesta, Mithra si mette in luce tra gli esseri creati, guadagnandosi il titolo di "Giudice delle Anime". Come protettore della verità e nemico dell'errore, Mithra occupò una posizione intermedia nel pantheon zoroastriano come il più grande degli yaza ta, gli esseri creati da Ahura Mazda per aiutarlo nella distruzione del male e l'amministrazione del mondo. Egli divenne il rappresentante divino di Ahura-Mazda sulla terra ed era incaricato di proteggere i giusti dalle forze demoniache di Angra Mainyu. Era quindi una divinità di verità e legalità e, nel trasferimento al regno fisico, un dio dell'aria e della luce. Come nemico degli spiriti del male e delle tenebre, proteggeva le anime e, come psicopompo, le accompagnava in paradiso (concetto ed anche parola di origine persiana). Poiché la luce è accompagnata dal calore, era il dio della vegetazione e della crescita: ricompensava il bene con la prosperità e combatteva il male. Mitra era detto onnisciente, infallibile, sempre attento e che mai riposa. La nascita di Mitra veniva celebrata al solstizio d'inverno, chiamato in persiano Shab-e Yalda, come si addice ad un dio della luce. In Mesopotamia Mitra era facilmente identificato con Shamash, dio del sole e della giustizia.
Come dio che concede la vittoria, Mitra era una divinità preminente nel culto ufficiale del primo Impero persiano, dove erano a lui consacrati il settimo mese ed il sedicesimo giorno degli altri mesi. Mitra il "Grande Re" era particolarmente adatto come dio tutelare dei regnanti: nomi regali che incorporano il nome del dio (es. "Mitridate") compaiono nell'onomastica dei Parti e degli Armeni, nonché in Anatolia, Ponto e Cappadocia. Il suo culto si estese prima con l'impero dei Persiani in tutta l'Asia Minore, per poi propagarsi per tutto l'impero di Alessandro Magno e dei suoi successori.
I principi parti dell'Armenia erano sacerdoti ereditari di Mitra: molti templi furono eretti al dio in Armenia, che rimase una delle ultime roccaforti del culto zoroastriano di Mitra fino a quando divenne il primo regno ufficialmente cristiano.
Sotto gli achemenidi, a partire dalle iscrizioni di Artaserse II di Persia, la suprema terna divina Ahura Mazda-Mitra-Apam Napat venne spesso sostituita dalla terna Ahura-Mitra-Anahita grazie all'inserimento della divinità Anahita, che nella Persia occidentale corrispondeva alla mesopotamica Ishtar, il pianeta Venere. Talvolta Anahita sembra essere la consorte di Mitra. Non risultano, invece, fonti per affermare che Anahita ne fosse la madre, come afferma il noto polemista Acharya.

Mitra nel mondo greco-romano

Alla fine del XIX secolo il contenuto della religione mitraica dell'età imperiale fu ricostruito da Franz Cumont come una combinazione in culto sincretico del Mithra persiano con altre divinità persiane e probabilmente anatoliche. Dopo il congresso di Manchester del 1971, invece, gli studiosi si sono orientati a sottolineare le differenze fra il nuovo culto e quello indo-persiano.
Le origini del culto mitraico nell'impero romano non sono del tutto chiare e sarebbero state influenzate significativamente dalla scoperta della precessione degli equinozi da parte di Ipparco di Nicea. Mitra, appunto, sarebbe la potenza celeste capace di causare il fenomeno. Il culto si sviluppò forse a Pergamo nel II secolo a.C.; Ulansey, invece, ne localizza l'origine in Cilicia nei pressi di Tarso. Il dio entra nella storia greco-romana con in testa il berretto frigio sotto la protezione dei re del Ponto e dei Parti (molti dei quali ebbero il nome Mitridate = dono di Mitra) e delle armi dei pirati della Cilicia collegati a Mitridate VI del Ponto. Comunque questo nuovo culto non divenne mai popolare nell'entroterra greco, mentre si diffuse a Roma all'incirca nel I secolo a.C., si propagò attraverso tutto l'Impero romano e in seguito fu accolto da alcuni imperatori come una religione ufficiale. Nella cultura ellenistica Mitra era confuso con Apollo - Helios. Il sacrificio caratteristico di questo nuovo culto, assente nel culto indo-persiano, era la tauroctonia.

La tauroctonia

In ogni tempio romano dedicato a Mitra il posto d'onore era dedicato alla rappresentazione di Mitra nell'atto di sgozzare un toro sacro. Mitra è rappresentato come un giovane energico, indossante un cappello frigio, una corta tunica che s'allarga sull'orlo, brache e mantello che gli sventola alle spalle. Mitra afferra il toro con forza, portandogli la testa all'indietro mentre lo colpisce al collo con la sua corta spada. La raffigurazione di Mitra è spesso mostrata in un angolo diagonale, col volto girato.
Un serpente ed un cane sembrano bere dalla ferita del toro (dalla quale a volte sono rappresentate delle gocce di sangue che stillano); uno scorpione, invece, cerca di ferire i testicoli del toro. Questi animali sono proprio quelli che danno nome alle costellazioni che si trovavano sull'equatore celeste, nei pressi della costellazione del Toro, nel lontano passato ("era del toro"), quando durante l'equinozio di primavera il sole era nella costellazione del toro.

domenica 14 agosto 2016

Gunki monogatari

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Gunki monogatari (軍記物語 lett. "Racconti di guerra") è un genere letterario giapponese tipico dei periodi Kamakura e Muromachi che si concentra sul racconto di guerre e conflitti, specialmente guerre civili combattute tra il 1156 e il 1568. Tra le opere di questo genere rientrano lo Hōgen monogatari e lo Heiji monogatari. Il più famoso gunki monogatari è lo Heike monogatari.

Autori

Diversamente dalle opere di periodo Heian come il Genji monogatari, l'autore di molti gunki monogatari è ignoto, e generalmente si presume siano opera di più autori diversi che avrebbero modificato e riscritto le storie più volte nell'arco dei secoli.

Trasmissione

I gunki monogatari sono stati trasmessi principalmente in due modi: come yomimono (testi scritti) e attraverso la recitazione accompagnata dal suono del liuto di preti ciechi conosciuti come biwa hōshi, che viaggiando in diversi luoghi del Giappone ne avrebbero permesso la diffusione.
La loro longevità nella tradizione orale ha portato allo sviluppo dell'errata concezione per cui i gunki monogatari sarebbero stati originariamente scritti con l'unico scopo di essere memorizzati e recitati, mentre in realtà essi avevano anche la funzione di narrare pseudo-storicamente le battaglie fra clan rivali. Comparazioni fra manoscritti originali accuratamente conservati hanno rivelato infatti come lo Heike monogatari sia stato originariamente redatto come cronaca degli scontri fra le famiglie Taira e Minamoto, e durante la sua stesura l'autore avrebbe attinto, oltre che a narrazioni orali, anche a diari e altre fonti storiche. Dato che la versione originale fu scritta per essere letta, non recitata, fu poi successivamente modificata per renderla adatta alla recitazione, pertanto l'odierna versione ufficiale dello Heike monogatari sarebbe il risultato di diverse trascrizioni di queste recitazioni orali.

Stile e forma

Rispetto alle storie di guerra del periodo Heian scritte in kanbun (prosa cinese), i gunki monogatari sono scritti in un mix di giapponese e cinese. Nonostante i testi siano principalmente in prosa, occasionalmente includono anche poesie, solitamente waka.
La struttura generale dei gunki monogatari consiste generalmente in tre parti, che descrivono rispettivamente le cause della guerra, le singole battaglie e le conseguenze del conflitto. Come risultato della trasmissione orale, i testi sono generalmente episodici, spezzati in diverse piccole storie che spesso si concentrano su singoli episodi o personaggi. I gunki monogatari danno particolare importanza proprio alle esperienze individuali e ai pensieri dei singoli guerrieri, spostando la prospettiva su coloro che sono materialmente impegnati nel conflitto e spesso simpatizzando o esprimendo un giudizio morale sulle loro azioni. Se esaminiamo ad esempio le diverse versioni dello Heike monogatari, possiamo infatti notare come quelle più antiche includano solo una descrizione generale della battaglia, mentre altre successive riportano anche le azioni individuali dei singoli personaggi. Inoltre, le versioni più recenti trasformano i soldati da comuni umani a figure idealizzate di eroi incarnanti l'etica guerriera. Queste ultime aggiunte sono presumibilmente frutto della tendenza, tipica della trasmissione orale, di integrare a persone ed eventi reali temi prescritti, in modo da rendere la recitazione più piacevole ed efficace. Per questi motivi i gunki monogatari possono essere considerati un misto di fatti reali e finzione.

Tematiche principali

Etica guerriera

I gunki monogatari danno grande enfasi all'etica guerriera intrecciata al sistema di valori morali tipici del codice samurai, che prescriveva prima di tutto la lealtà verso il proprio superiore, l'importanza dell'onore personale e l'invito ad affrontare la morte con coraggio. I soldati preferivano morire ed essere in seguito elogiati piuttosto che continuare a vivere con un nome macchiato dalla vergogna: un esempio di ciò è rappresentato nell'Heike Monogatari da Sanemori, un guerriero che, nonostante la sua età, continua a combattere il nemico per proteggere la ritirata delle forze degli Heike. L'etica guerriera prescriveva una linea di condotta ben precisa che i soldati dovevano seguire a prescindere dai loro sentimenti o dalle loro inclinazioni personali, ad esempio rifiutando la compassione quando questa è in conflitto col dovere. Sempre citando un esempio presente nello Heike monogatari, la prevalenza del dovere sulla compassione è evidente nell'episodio in cui il giovane soldato Genji Yukishige si ribella contro Takahashi Nagatsuna e lo uccide nonostante quest'ultimo gli abbia risparmiato la vita poiché molto somigliante al suo stesso figlio. Questa rigida aderenza al codice di lealtà riappare anche nel famoso episodio di Astumori-Naozane, dove le esortazioni etiche del soldato sono più importanti del rimorso e lo obbligano ad uccidere.
Oltre a prescrivere il "giusto" codice morale da perseguire, l'etica guerriera limitava le azioni dei soldati anche livelli più superficiali: tagliare le mani dei nemici come trofei di guerra ad esempio era considerato la norma sui campi di battaglia, ma veniva al contrario condannato come un atto non onorevole se il nemico si era già arreso.



Buddhismo

L'altro fondamentale sistema di valori che governa l'etica dei gunki monogatari è quello del buddhismo, questo non necessariamente in opposizione all'etica guerriera. Nonostante le loro intrinseche differenze infatti, nei gunki monogatari queste due componenti sono combinate. Ciò è possibile poiché la forma di buddhismo presente nei gunki monogatari è quello di Amida, che insegna che tutti coloro che si pentono dei loro peccati, e quindi anche i guerrieri che commettono atti violenti, rivolgendosi a lui potranno rinascere nel suo paradiso e raggiungere lì l'illuminazione. Inoltre, secondo questa forma di buddhismo è possibile raggiungere l'illuminazione in questa vita a causa della deteriorazione terrena della legge (mappō).
Concetti chiave del buddhismo nei gunki monogatari comprendono il karma (l'idea per cui le circostanze attuali sono punizioni o premi per le nostre azioni passate) e l'impermanenza (l'idea per cui tutte le cose sulla terra non sono eterne ma sono destinate ad avere una fine). Questi temi appaiono apertamente in piccoli sermoni inseriti nei testi, in particolare lo Heike monogatari stesso può essere visto come un lungo sermone sul buddhismo.

sabato 13 agosto 2016

Sakamoto Ryōma

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Sakamoto Ryōma (坂本 龍馬; Kōchi, 3 gennaio 1836 – Kyoto, 10 dicembre 1867) è stato un samurai giapponese, a capo del movimento volto a rovesciare lo shogunato Tokugawa durante il periodo Bakumatsu in Giappone.

Biografia

Primi anni

Sakamoto Ryōma nacque a Kōchi, nel dominio Tosa, l'odierna prefettura di Kōchi sull'isola di Shikoku. Secondo il calendario giapponese, è nato il 15º giorno dell'11º mese, del sesto anno dell'era Tenpō. Le precedenti generazioni della sua famiglia, commercianti di sake, erano diventati abbastanza ricchi da guadagnarsi il rango di samurai mercanti, o goshi, che era il più basso rango nella gerarchia sociale dei samurai. A differenza di altri domini, a Tosa i samurai jōshi (di alto rango) e kashi (di basso rango) erano trattati in modo molto differente e vivevano in luoghi separati. Anche nella generazione di Ryōma, la terza generazione della famiglia Sakamoto, il grado della sua famiglia rimase kashi. All'età di dodici anni, Ryōma fu iscritto in una scuola privata, ma questo rappresentò un episodio di breve durata della sua vita, poiché non era molto incline allo studio. Sua sorella maggiore lo iscrisse così ai corsi di scherma quando aveva 14 anni, dopo essere stato vittima di bullismo a scuola. Con il tempo raggiunse l'età adulta e divenne un maestro di spada. Nel 1853, gli fu permesso di trasferirsi a Edo dove divenne discepolo di Chiba Sadakichi, un maestro di spada. Quell'anno, il commodoro Perry degli Stati Uniti arrivò con una flotta di navi verso il Giappone, ponendo fine alla sua secolare politica isolazionista.

Implicazioni politiche

Terminati gli studi nel 1858, Sakamoto tornò a Tosa. Nel 1862, il suo amico Takechi Hanpeita (o Takechi Zuizan) creò un'organizzazione di matrice conservatrice all'interno del dominio nota come "Kinnoto", il cui slogan politico era "riverire l'Imperatore, espellere gli stranieri". Si trattava di circa 200 samurai, per lo più di rango inferiore, che premevano per una riforma del governo di Tosa. Dal momento che il signore di Tosa aveva rifiutato di riconoscere l'organizzazione, essi complottarono per assassinare Yoshida Tōyō, il quale venne ucciso il 6 maggio di quell'anno, ma solo dopo che Sakamoto ebbe lasciato Tosa. Ryōma infatti partecipò all'ideazione del piano, senza tuttavia essere d'accordo con la sua attuazione, perché Takechi era interessato a una rivoluzione del solo clan Tosa, mentre Ryōma era dell'avviso che dovesse essere fatto qualcosa per tutto il Giappone. Decise così di lasciare Tosa e separarsi da Takechi. In quel periodo, a nessuno era permesso di lasciare il proprio clan senza un'autorizzazione, pena la morte. Una delle sorelle di Ryōma si suicidò per il disonore, mentre egli fece ricorso allo pseudonimo di Saitani Umetarō (才谷 梅太郎).

Periodo Bakumatsu

Divenuto un rōnin, Sakamoto decise di assassinare Katsu Kaishū, un alto funzionario dello shogunato Tokugawa che fu sostenitore sia della modernizzazione sia della occidentalizzazione del Giappone. Tuttavia, Katsu Kaishū persuase Ryōma della necessità di un piano a lungo termine per aumentare la forza militare del Giappone. Invece di uccidere Katsu, Ryōma iniziò a lavorare come suo assistente e protetto. Nel 1864, come lo shogunato Tokugawa iniziò a prendere una linea dura, Ryōma fuggì a Kagoshima nel dominio di Satsuma, il quale stava divenendo un centro importante per il movimento anti-Tokugawa. Ryōma negoziò l'alleanza segreta tra il dominio di Chōshū e quello di Satsuma. Satsuma e Chōshū storicamente erano stati nemici assoluti, e la posizione di Ryōma in qualità di "estraneo neutrale" fu fondamentale nel colmare le distanze tra le parti.
Sakamoto lavorò sotto la direzione di Katsu Kaishū nella creazione di una forza navale moderna (con l'aiuto delle potenze occidentali) per consentire a Satsuma e Chōshū di resistere contro le forze navali dello shogunato Tokugawa. Ryōma fondò la marina privata e la società di commercio Kameyama Shachū (亀山社中) nella città di Nagasaki con l'aiuto di Satsuma. Più tardi Kameyama Shachū prese il nome di Kaientai.
La successiva vittoria di Chōshū sull'esercito Tokugawa nel 1866 e il crollo imminente dello shogunato Tokugawa permise a Ryōma di avvantaggiarsi nei confronti dei suoi ex compagni di Tosa, e fu richiamato a Kōchi con tutti gli onori del caso. Il dominio Tosa era ansioso di ottenere una soluzione negoziata tra lo shōgun e l'Imperatore, che avrebbe impedito alla potente Alleanza Satchō di rovesciare i Tokugawa con la forza e di emergere quindi come una nuova forza dominante nel governo del Giappone. Ryōma giocò un ruolo cruciale nelle successive trattative che portarono alle dimissioni volontarie dello shōgun Tokugawa Yoshinobu nel 1867, portando così alla restaurazione Meiji.

Ultimi anni e morte

Ryōma fu assassinato all'età di 31 anni (secondo il vecchio calendario lunare è nato il giorno 15 del mese 11°, e ucciso il giorno del suo compleanno nel 1867) presso la locanda Ōmiya (近江屋) di Kyoto, non molto tempo prima che la restaurazione Meiji avesse luogo.



venerdì 12 agosto 2016

Bhaga

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Bhaga (भागा) è un termine Sanscrito il cui significato è signore, padrone, ma usato anche per indicare ricchezza o prosperità. La sua origine è remota, e termini provenienti dalla medesima radice indoeuropea si trovano in molte lingue di origine indoeuropea: in greco Zeus bagaious, in avestico Bagha, in persiano antico Baga, nell'Antico slavo ecclesiastico Bogu e Bogatu, in lingua lituana Bogotas e Nabagas.

Significati

In Avestano il termine bagha ha un significato incerto, ma viene usato per definire un "signore o un padrone". Dall'aggettivo segue il sostantivo, e tale termine potrebbe diventare l'epiteto del nome precedente, ad esempio Signor X. In alternativa, potrebbe essere parte di un composto dvandvah, cioè letto come "X e Baga", che implicherebbe Baga quale figura specifica.
Nelle lingue slave il termine è trasformato in bogu e in persiano bagha. Questa parola bogu in slavo indica indistintamente le divinità, e un altro termine, affine al Devitico daeva, è usato per indicare il dio creatore, Rod, equivalente slavo di Brahma. La semantica è simile a quella della parola "lord" lingua inglese, (da hlaford ossia pane guardiano), con l'idea che tra le funzioni di un capo o leader vi sia la distribuzione delle ricchezze tra i suoi seguaci. Il nome della città Baghdad condivide le sue origini con il persiano Medio Baga: baga-dati o dono divino, in persiano moderno: Baghdad.
Tre le divinità vediche Bhaga è uno degli Aditya, e rappresenta la divinità della ricchezza e del matrimonio. Nel Rigveda Bhaga è il dio che sovrintende alla distribuzione dei beni e al destino di ogni uomo in relazione al suo merito. La parola sembra affine a Bhagavan e Bhagya, termini usati in diverse lingue indiane per indicare, rispettivamente Dio e destino.