martedì 18 dicembre 2018

Tong-zi-gong

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Il Tong-zi-gong (童子功) o "kung-fu del fanciullo" rappresenta l'essenza dei migliori esercizi dello yoga, del kung-fu e del qi-gong, ed è considerato il kung-fu più mistico (metafisico) dello Shaolin. Insieme al Qi-gong, è la disciplina interiore preferita dai maestri Shaolin.
«La meta suprema consiste nel conservare la scioltezza del proprio corpo, perché il duro e il secco si rompono, il morbido e il malleabile sopravvivono.»
(Detto Shaolin)

Introduzione

La cultura dei monaci Shaolin comprende moltissime arti sviluppatesi nei secoli dagli insegnamenti del patriarca Damo (Bodhidharma). Le arti marziali terapeutiche, spirituali e religiose si dividono tra l'arte dello spirito (chan) e le arti marziali ed energetiche (quan).
Un proverbio Shaolin afferma che queste due componenti della cultura costituiscono un'unica realtà:
«Chan-quan qi-i, "Le arti marziali Shaolin e la meditazione sono un'unica cosa.Sono nate insieme e una non può esistere senza l'altra"»

Alle arti esterne quan (dette hong) appartengono:
  • il kung-fu (detto anche Shaolin gang-quan-"pugno duro di Shaolin"),
  • qin-na (tecniche di cattura),
  • sanda o San-shou (combattimento libero),
  • kang-ji-gong (tecniche di potenziamento del corpo),
  • Shaolin shi-ba-wu-qi (le 18 armi classiche di Shaolin),
  • "tre gioielli di Damo": yijinjing (metodo di rafforzamento di tendini e muscoli), xi-sui-jing (metodo di purificazione del midollo e del cervello) e shi-pa-fa Luohan-quan (le diciotto tecniche della mano di Luohan).
Alle arti interne quan (dette kong) appartengono:
  • il Tong-zi-gong, (yoga Shaolin)
  • qi-gong (arte della respirazione)
  • rou-quan ( "pugno morbido" detto anche Shaolin taiji),
  • zuo-chan (meditazione).

Caratteristiche

Secondo la medicina Shaolin e l'ayurveda l'incurvamento della colonna vertebrale è da considerarsi come la prima causa del decadimento senile: gli esercizi del Tong-zi-gong hanno lo scopo di conservarne l'elasticità e di rigenerare l'equilibrio naturale per evitare inutili dispersioni energetiche.
Laozi insegna:
«Alla nascita l'uomo è molle e debole, alla morte è duro e forte. Tutte le creature, l'erbe e le piante quando vivono sono molli e tenere quando muoiono sono aride e secche. Durezza e forza sono compagne della morte, mollezza e debolezza sono compagne della vita. Per questo chi si fa forte con le armi non vince. L'albero che è forte viene abbattuto. Quel che è forte e robusto sta in basso, quel che è molle e debole sta in alto



Il kung-fu Shaolin richiede un'elevata concentrazione d'energia nelle fibre muscolari, nei tendini e nelle cartilagini ed è dunque necessario praticarlo con rigorosa costanza, perché inserire una lunga pausa, causa la perdita delle nozioni e delle facoltà acquisite, esponendo le zone più fragili del corpo a possibili danni.
Un proverbio Shaolin dice:
«Chi perde il kung-fu di un giorno perde il kung-fu di dieci giorni
L'anziano monaco Shi-Wan-Heng, detto il "maestro della flessibilità", che era stato iniziato alla pratica del Tong-zi-gong all'età di otto anni, afferma:
«Noi pratichiamo qi-gong soltanto a livello terapeutico, per mantenere il corpo in forma, e il Tong-zi-gong per mantenerlo elastico. Per quanto riguarda il "kung-fu del fanciullo", lo pratichiamo tra le cinque e le sette del mattino per un'ora o due, ma in ogni caso due volte al giorno, il mattino e la sera. Ovviamente, in caso di malattia, l'allenamento è sospeso, ma appena si guarisce ci si affretta a recuperarlo. Nel monastero sono in tanti a praticare il "kung-fu del fanciullo", è una peculiarità del nostro tempio Shaolin, poiché in nessun altro posto s'insegna questo tipo d'esercizi. La cosa più importante è che l'apprendistato inizi quanto più possibile in tenera età, iniziare a novanta anni sarebbe troppo tardi

Fonti

Il Tong-zi-gong è presentato ed illustrato nelle stele della Beilin ("Foresta di stele") e nelle sculture della sala Chui-pu tang (锤谱堂 "Sala dei manuali di combattimento") del tempio Shaolin.
Dal punto di vista letterario, il Tong-zi-gong è stato presentato nell'originale testo cinese "Shaolin Tong-zi-tu" (少林童子功圖)

Metodologia di insegnamento Shaolin

Secondo il maestro Shi-Heng-Jun, della 35º generazione dei monaci guerrieri del tempio Shaolin, nella metodologia di insegnamento la flessibilità è di capitale importanza, perché più si è flessibili, più si può resistere al dolore e meglio si resiste al dolore, più rapidamente s'impara il kung-fu.
«Il Tong-zi-gong è in grado di trasformare un allievo scadente in uno studente particolarmente dotato che spicca tra i suoi pari, forte nel corpo e nello spirito, qualità che conserverà per tutta la vita.Se s'intraprende la pratica dello Shaolin kung-fu senza aver prima praticato il Tong-zi-gong, la qualità della tecnica andrà calando all'età di cinquanta o sessant'anni al massimo, mentre chi pratica il Tong-zi-gong conserva inalterata la propria agilità e abilità nel kung-fu
Lo Shaolin-Quan-Mi (testo classico Shaolin) aggiunge:
«“Il monaco sembrerà giovane e agile come un fanciullo, sebbene i suoi capelli siano bianchi come le piume di una gru. Il suo corpo sarà morbido come il broccato, leggero come una rondine e resistente come l'acciaio”»



Lo Shaolin Tong-zi-gong è composto da diciotto stili, che possiedono anche un valore marziale. Infatti se quest'arte viene portata alla perfezione, qualsiasi gesto può essere trasformato in un movimento di attacco e di difesa.
Lo Shaolin Tong-zi-gong possiede una grande varietà di esercizi con i relativi scopi, che includono:
  • 1) Esercizi esterni (Wai-dan);
  • 2) Esercizi interni (Nei-dan);
  • 3) Esercizi “morbidi” (Yin-rou), per migliorare la flessibilità;
  • 4) Esercizi “duri” (Yang-gang), per aumentare la forza e la resistenza
  • 5) Esercizi di carattere misto per migliorare la postura.
Gli esercizi interni servono a curare la salute degli organi e dei visceri (Zang-fu), a mantenere sani i sistemi dell'organismo (es. San-jiao) e a trattenere e conservare nel corpo l'energia interna (Qi), in modo da poter contrastare il decadimento fisico. Gli esercizi morbidi servono invece a sviluppare l'armonia nei movimenti e la bellezza estetica.

Livelli

Il Tong-zi-gong si divide in due livelli: di base e avanzato. Quello "di base" si concentra sulla mobilità e in particolare su varie forme di rotolamento e salto. Richiede una grande flessibilità dei tendini e delle giunture, perciò l'età migliore per praticarlo va dai cinque ai sei anni. Dopo averlo praticato per quattro anni, i bambini hanno fortificato le parti più fragili del loro corpo.
Il livello avanzato del Tong-zi-gong è simile a quello del qi-gong. Viene praticato con movimenti morbidi ed efficaci, che fanno raggiungere alle giunture il massimo grado di resistenza e flessibilità, premessa indispensabile per avere una postura perfetta e una grande potenza. Con la sua pratica assidua, si può arrivare a piegare le membra in angolazioni apparentemente impossibili.

I 18 fondamentali

Il Tong-zi-gong presenta una sequenza (tao-lu) di base composta da diciotto esercizi, che costituiscono le porte dei rispettivi diciotto stili dedicati alla specifica tecnica da portare alla perfezione.
  1. Shuang-shou-he-shi (双手合十): posizione perfetta a mani giunte (dalla posizione yoga prarthanasana).
  2. Chu-zuo-lian-tai(初坐莲台): sedersi in meditazione su un trono di loto (dalla posizione yoga sukhasana).
  3. Zhao-tien-deng (朝天蹬): calcio ascendente nel cielo del mattino (dalla posizione yogautthita hasta padangusthasana).
  4. Zhuang-shang-gong (桩上功): esercizio d'equilibrio sui pali (dalla posizione yoga virabhadrasana).
  5. Dan-tui-zhang (单推掌): eseguire un affondo col palmo, in.
  6. Bao-fo-jiao (抱佛腳): Abbracciar i piedi di loto del signore Buddha (dalla posizione yoga pascimottanasana).
  7. Dao-li ar-zhi-Chan (倒立二指禅): meditazione su due dita (dalla posizione yoga adho-mukha-vriksasana).
  8. Luo-han shui-jiao (罗汉睡觉): La posizione di riposo del monaco (una variante della posizione yoga sayanasana).
  9. Qi-lou heng-cha (起落橫叉): cadere in spaccata frontale dopo un salto (dalla posizione yoga samakonasana).
  10. Tong-zi-bai Guanyin (童子拜观音): un giovane monaco offre i suoi omaggi al Buddha Guanyin (dalla posizione yoga vriksasana)
  11. Tong-zi-wo-Chan (童子臥禅): un giovane monaco si sdraia in meditazione (dalla posizione yogaviparita-padmasana).
  12. Xie-li cang-hua (叶里藏花): esercizio di sollevare le gambe ponendo i talloni davanti alla fronte (dalla posizione yoga estrema ganda bherundasana).
  13. Wan-tong-bai-fo (顽童拜佛): un giovane monaco offre i suoi omaggi al signore Buddha in una posizione difficile (variante in equilibrio della posizione yoga vatayanasana).
  14. Tou-dao-zai-bei (头倒载碑): esercizio di assumere la posizione eretta invertita (dalla posizione yoga sirsasana).
  15. Zhuang-shen dan-bi-fu-cheng (转身单臂伕撐): esercizio di sostenere la parte superiore del corpo su un solo braccio (dalla posizione yoga vasisthasana).
  16. Tie-quan-fu-hu (鉄拳伏虎): esercizio del pugno di ferro.
  17. Heng-cha-ce-wo (橫叉側臥): esercizio di sdraiarsi su una gamba in spaccata sagittale (dalla posizione yoga hanumanasana).
  18. Lian-hua pan-zuo (莲花盘坐): sedersi su un trono di loto (dalla posizione yoga padmasana)
L'esercizio 5 (Dao-li ar-zhi-Chan, o "meditazione su due dita") è una tecnica molto difficile, che richiede al monaco di sostenere l'intero peso del corpo con due sole dita di una mano. Richiede un controllo ascetico delle funzioni del corpo e secondo la tradizione orale Shaolin, i maestri ingiungono:
«“Sii moderato con il cibo e non gravare il tuo corpo con pesi inutili, dagli solo quello che richiede ed esercitati nel digiuno quando è indebolito, la tua mente sarà chiara quando il tuo corpo si sente bene e sarà debole quando il tuo corpo è malato, ma se sei in grado di concentrare la tua forza, sarai anche capace di portare su due sole dita l'intero peso del tuo corpo.”.»



L'esercizio massimizza la forza delle dita, che ben allenate possono diventare armi mortali.Una tecnica ancora più avanzata è lo yi-zhi-Chan ("meditazione su un dito") che richiede la capacità di sostenere tutto il peso del corpo su un solo dito. In tutti i tempi sono stati pochissimi i monaci in grado di adottare questa tecnica.Recentemente solo il maestro Shi-Hai-Dang, morto nel 1989, è riuscito a praticarla.

Effetti secondo la medicina tradizionale cinese

Secondo la medicina tradizionale cinese, l'esecuzione di questi esercizi, fin dall'infanzia, preserverebbe e raffinerebbe lo yuan-Qi ("energia sorgente") e manterrebbe il praticante giovane e in salute per tutta la vita.
Il Tong-zi-gong coniugherebbe il Qi del proprio corpo con l'energia della natura. Si basa soprattutto sull'armonizzazione del respiro (tiao-xi) e del movimento (tiao-shen) perché questo faciliterebbe la circolazione del sangue e l'espulsione delle sostanze tossiche dall'organismo: in questo modo il corpo umano si adatterebbe adeguatamente ai cambiamenti imposti dalle leggi della natura.
Secondo i suoi praticanti gli esercizi del tóng-zi-gōng sarebbero preziosi per la salute, in quanto influenzerebbero positivamente il metabolismo, renderebbero il fisico più elastico e migliorerebbero l'umore. La pratica per decenni del tóng-zi-gōng consentirebbe di frenare notevolmente l'orologio biologico della natura umana: a Shaolin non sarebbe difficile vedere vecchi maestri di ben oltre settant'anni che, grazie all'esercizio quotidiano del tóng-zi-gōng, sarebbero riusciti a mantenere la flessibilità di un corpo giovane.

Storia

Il Tong-zi-gong trae origini dallo yoga della cultura dei Veda, che secondo la Bhagavad-Gita sarebbe stato introdotto da Krishna. I segreti dello yoga sarebbero poi affidati al discepolo di Shiva, Patañjali-muni, perché potessero essere divulgati a beneficio di tutti.
In seguito Buddha (483 a.C.) rifiutò tutto il corpo teologico vedico ma le tecniche dello yoga vedico, i mantra (suoni mistici) e i mudra (simboli) vennero assorbiti dal Buddhismo (prajna yoga).
Secondo la tradizione buddhista, nel 64 d.C. l'imperatore cinese Ming-Ti, della tarda dinastia Han, inviò dei messi in India per ottenere sutra e immagini buddhiste. In seguito numerosi patriarchi indiani (Kumarajiva, Bodhiruci, Paramartha) vennero invitati o inviati in Cina: tra questi vi fu Bodhidharma (483-537 o 561), 28º patriarca Buddhismo indiano, che vi giunse per predicare nel 515 e tra il 520 e il 527 si stabilì nel tempio Shaolin ai piedi della montagna del Song-Shan. Chiamato Damo dai discepoli cinesi, Bodhidharma fu ritenuto primo patriarca del Buddhismo Chán cinese: da lui sarebbe nato anche, secondo alcune tarde leggende, lo stile di combattimento di Shaolin.
Durante la "meditazione seduta" (zuo-chan), che Bodhidharma insegnava a praticare per sei ore al giorno, i suoi discepoli cadevano spesso vittime dell'intorpidimento fisico e della sonnolenza. Il patriarca avrebbe quindi ideato una serie di movimenti terapeutici basati sui precetti dei suoi maestri indiani, secondo i quali certi esercizi fisici e respiratori del raja-yoga e del prajna-yoga favorivano la triplice armonia tra mente, respiro e corpo, prevenendo le malattie, frenando le tendenze aggressive della natura umana ed elevando lo spirito: avrebbe chiamato questi esercizi Tong-zi-gong, o "kung-fu del fanciullo”.
Il kung-fu sarebbe stato praticato al tempio di Shaolin già da lungo tempo, per proteggere il monastero da ladri e banditi: Bodhidharma avrebbe arricchito le conoscenze marziali dei monaci, integrandole con l'etica morale e la metodica del kalari-payattu, basato su stili marziali che prendevano il nome di animali ed erano di provenienza vedica. Riteneva che le arti marziali dovessero essere praticate al fine di ottenere lo sviluppo armonico del corpo e della mente. Bodhidharma avrebbe insegnato ai suoi discepoli tre serie di esercizi formativi di origine indiana (dal bodhisattva Vajramukti):
  • astadasa-can o astadasa-vijaya (“diciotto sottomissioni” o “diciotto vittorie”), in cinese xiang shi-pa-Luohan-shou (“diciotto movimenti delle mani dei santi discepoli di Buddha");
  • pratima asthimaja-parissuddhi, in cinese xiang yi-jin-jing ("sutra sul condizionamento dei muscoli e dei tendini");
  • pratima snavas-jala-nidana Vijapiti, in cinese xiang xi-sui-jing ("sutra sul lavaggio del midollo osseo e del cervello").
Gli esercizi venivano suddivisi tra meditativi statici (jing-gong) e dinamici (dong-gong) e divennero il fondamento delle arti marziali che resero famoso il tempio di Shaolin.
Con il tempo i monaci del tempio di Shaolin resero queste tecniche un sofisticato sistema di autodifesa e si resero famosi anche combattendo per gli imperatori cinesi.
Nel periodo dell'imperatore 'Duan-Zong della dinastia Song, emersero molti maestri esperti nel Tong-zi-gong e nel qi-gong: tra questi il monaco Hong-Wen, che era inoltre esperto negli esercizi di qi-gong duro (ying-gong) e nell'esercizio di camminare sui pali di susino (mei-hua-zhang-gong) e che secondo la tradizione del tempio sarebbe stato in grado a ottanta anni di sostenere sulla testa un peso di cinquanta chili e di reggere una persona seduta sulle sue gambe tese. Anche il monaco Hui-Ju, vissuto nello stesso periodo, era un esperto anche di qin-gong (il qi-gong leggero) e si racconta che fosse in grado di camminare su un foglio di carta teso senza romperlo, di saltare ruscelli, di spegnere una candela e di ferire i nemici da una distanza di tre metri.
Quando era abate del tempio Fu-Yu (907-960) venne compilato lo Shaolin tóng-zi-gōng-Tu, che raffigurava il diagramma del Tong-zi-gong, composto di diciotto esercizi, le "porte segrete dei suoi diciotto stili".
Secondo la tradizione del tempio, negli ultimi anni della dinastia Ming il principe Fu e suo figlio Lou-yang erano infastiditi dall'opposizione dei monaci guerrieri alle loro scorrerie nell'Henan: li allontanarono con un pretesto, ma il loro tentativo di assalire il tempio venne impedito dai loro discepoli che vi erano rimasti, capeggiati da Tong-Deng.
Nel 1927 il generale Shi-You-San fece bruciare il monastero ed andarono distrutti i suoi archivi, compreso il testo originale dello Shaolin tóng-zi-gōng-Tu. Delle copie dei manoscritti originali furono messe in salvo dal monaco Yong-Xiang. Nel 1966 il tempio venne chiuso dalle Guardie Rosse, ma alcuni monaci conservarono in segreto le copie dei testi e rimasero a proteggere l'edificio, tra cui Shi-Wan-Heng. Un altro monaco, Shi-Hai-Deng (1902-1989) divenne discepolo di due monaci che si erano rifugiati nello Sichuan dopo l'incendio del 1927.
Dal 1992 monaci fanno conoscere il Tong-zi-gong tramite esibizioni internazionali in forma di spettacolo e sono stati oggetto di documentari televisivi.


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lunedì 17 dicembre 2018

Aromaterapia

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L'aromaterapia può essere considerata un ramo della fitoterapia che usa gli olii essenziali, ossia le sostanze volatili e fortemente odoranti delle piante. Gli olii vengono estratti di solito tramite distillazione in corrente di vapore, che una volta raffreddato consente la separazione dell'olio essenziale dall'acqua; nel caso dell'epicarpo dei frutti del genere Citrus) si utilizza anche la spremitura a freddo. Sostanze aromatiche estratte con altre metodologie (estrazione con solventi organici, estrazione con fluidi supercritici) non sono considerate da tutti gli autori come olii essenziali. I cosiddetti olii essenziali ottenuti dissolvendo resine e oleoresine in alcoli sono in realtà definiti come resinoidi. Gli oli essenziali sono contenuti in strutture specifiche all'interno di vari organi della pianta. In alcuni casi solo alcuni organi ne sono ricchi, in altri tutti gli organi hanno percentuali significative di olio essenziale, in molti casi la composizione degli oli essenziali in diversi organi della stessa pianta hanno composizione differente. Tra gli organi dai quali si possono ottenere oli essenziali troviamo: foglie, fiori, petali, corteccia, legno, semi, pericarpi, radici;.
Il termine aromaterapia ha significati diversi a seconda dei Paesi in cui viene usato, per esempio in Inghilterra, Russia, negli USA e in Francia. Contrariamente alla vulgata, il termine aromaterapia non identifica esclusivamente l'utilizzo olfattivo degli olii essenziali, bensì comprende tutte le applicazioni: topica (massaggi, impacchi, applicazioni pure), inalatoria e orale. Una definizione generale da tutti accettata potrebbe essere questa: l'utilizzo degli olii essenziali per il mantenimento della salute o per la terapia. Per queste ragioni, e per la scarsezza di dati clinici l'aromaterapia è lontana dal poter essere definita come una vera terapia, con un corpus di testi canonici, modalità riconosciute, curriculum di studio standardizzati, ecc., anche se i materiali utilizzati dalla terapia e alcune delle modalità di utilizzo sono state sottoposte a studi clinici e farmacologici.

Cenni storici

In tutte le culture umane le piante aromatiche hanno goduto di uno status particolarmente importante, probabilmente, ed originariamente proprio per le loro caratteristiche organolettiche, per la loro “salienza percettiva”, che ne ha certamente favorito l'individuazione. Cenni all'utilizzo di resine, piante aromatiche, spezie, incensi ed olii grassi infusi di piante aromatiche si ritrovano nei testi sumerici. Purtuttavia, l'utilizzo a scopo terapeutico degli olii essenziali è molto più recente. Non ci sono infatti indicazioni storiche, letterarie o iconografiche, che indichino la conoscenza degli olii essenziali nell'antichità classica. Nonostante sia probabile che la teoria e la pratica della distillazione fossero conosciute in ambito arabo intorno al 1000 d.C., fu solo nell'alto medioevo che questa tecnica fu utilizzata per ottenere gli olii essenziali, e fu solo intorno agli anni venti del XX secolo che il chimico francese René Maurice Gattefossé contribuì alla rinascita dell'interesse per i trattamenti naturali, grazie ai suoi studi sulle proprietà medicinali dell'essenza di lavanda ed alle sue applicazioni ai militari feriti della prima guerra mondiale. Se a Gattefosse viene attribuita l'invenzione del termine "aromaterapia", ad un altro medico francese, Jean Valnet viene riconosciuta l'opera fondamentale per la disciplina, intitolata Aromathérapie e pubblicata nel 1964.

Principi terapeutici

Alcuni oli essenziali secondo questa teoria eserciterebbero una serie di effetti a seguito della loro applicazione:
  • effetti antibiotici: virostatici, battericidi, fungicidi in base all'olio utilizzato
  • effetti sul sistema nervoso centrale e sul sistema nervoso periferico
  • effetti rubefacenti o controirritanti;
  • effetti anestetici locali
  • effetti antispasmodici;
  • effetti balsamico-espettoranti;
  • effetti antiflogistici.
  • effetti carminativi;
  • effetti repellenti per gli artropodi.
Gli olii si impiegano singolarmente o miscelati.

Applicazione a largo spettro

In aromaterapia gli oli essenziali possono essere utilizzati con varie modalità:
  • applicazione cutanea (ovvero per contatto con la cute):
    • bagni e pediluvi (profumati con oli)
    • massaggi (che utilizzano oli essenziali diluiti in oli vegetali nel ruolo di eccipienti e sfruttano le tecniche di base, ossia lo sfioramento, la manipolazione circolare e l'impastamento)
    • maschere (composte con l'aggiunta di oli essenziali)
    • fanghi
    • creme e lozioni
    • impacchi (attraverso una pezza di cotone immersa in acqua fredda o calda, a seconda delle esigenze, a cui sono state aggiunte alcune gocce di olio essenziale)
  • permucotico (ovvero per contatto con le mucose: ad esempio risciacqui o gargarismi e collutori)
  • inalatorio
    • inalatori (grazie agli oli essenziali disciolti in una catinella di acqua bollente, che grazie al calore aumentano la loro proprietà antibatterica)
    • vaporizzatori (diffondono in aria le proprietà degli oli grazie al calore. Il tipo più diffuso è ceramico e viene riscaldato da una candela, il più moderno è elettrico, il più alternativo è costituito da un vasetto collocato su un calorifero)
  • orale
  • olfattiva

Applicazione diluita

In aromaterapia si usano quasi sempre gli olii essenziali fortemente diluiti in un solvente adeguato, per ridurre i rischi di reazioni avverse, in particolare di reazioni di ipersensibilità; vista la loro forte lipofilicità degli olii essenziali, i solventi più utilizzati sono gli olii grassi e l'alcol. La percentuale di diluizione per una applicazione topica dipenderà: dall'area di pelle interessata (maggiore l'area, minore la percentuale di olio essenziale nel vettore), dalle condizioni della pelle (l'assorbimento transdermico aumenta in caso di pelle lesionata o altrimenti non sana, di pelle fortemente idratata, di pelle detersa e di temperature corporee elevate), dal tipo di olio (olii maggiormente aggressivi, come ad esempio timo, origano, chiodi di garofano, cannella, ecc., devono essere utilizzati a percentuali minori) e dalla condizione che si desidera trattare.

Potenziali indicazioni

Secondo gli aromaterapeuti l'aromaterapia sarebbe indicata nei seguenti casi:
  • infezioni cutanee e delle mucose
  • infezioni del tratto gastrointestinale
  • infezioni e disturbi catarrali delle prime vie respiratorie
  • spasmi della muscolatura liscia gastrointestinale
  • gonfiore addominale
  • dispepsia iposecretoria
  • condizioni nelle quali una stimolazione della perfusione ematica sia indicata (disordini reumatici ed artrosici, uso esterno)
  • modulazione dell'umore

Effetti collaterali

Gli oli essenziali possono provocare effetti collaterali più o meno importanti in conseguenza della via di assunzione, della quantità, dello specifico olio essenziale assunto, e dell'età, del peso corporeo individuale e di specifiche patologie preesistenti. Gli oli essenziali, comunque assunti, possono portare a fenomeni di sensibilizzazione, irritazione, tossicità (possibile per via orale anche a dosaggi di alcuni ml).



Controindicazioni generiche

  • Gravidanza
  • Bimbi al di sotto dei 3 anni
  • Allergici
  • Epilettici
  • Gravi epatopatie e insufficienze renali

Principali oli essenziali

  • Lavandula
  • Melaleuca
  • Rosmarino
  • Salvia sclarea
  • Eucalipto
  • Geranio
  • Limone
  • Menta piperita
  • Ylang ylang
  • Camomilla e Chamaemelum nobile
  • Incenso
  • Rosa
  • Sandalo
  • Bergamotto


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domenica 16 dicembre 2018

Masutatsu Ōyama

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Masutatsu Ōyama (大山倍達 Ōyama Masutatsu; Gimje, 27 luglio 1923 – Tokyo, 26 aprile 1994) è stato un karateka e scrittore giapponese.
Conosciuto come Mas Oyama e fondatore del Kyokushinkai, probabilmente il primo ed il più influente stile del full contact karate.
Nato come Choi Yeong-eui (최영의; 崔永宜), preferiva essere chiamato Choi Bae-dal (최배달; 崔倍達) per indicare la sua etnia coreana. Un Zainichi Korean, ha vissuto gran parte della sua vita in Giappone e successivamente è diventato cittadino giapponese.

Biografia

Oyama nacque a Gimje, in quella che oggi è la Corea del Sud, all'epoca giapponese. I suoi genitori erano Yanban, (nobili), della regione in cui nacque. Da ragazzino fu inviato in Manciuria a vivere nella fattoria della sorella. Oyama iniziò a studiare le arti marziali all'età di 9 anni da un coreano che lavorava presso la fattoria. Nell'edizione del suo libro del 1963, intitolata "Cos'è il Karate?" (le prime edizioni furono pubblicate nel 1958 -1962), Oyama non menziona la permanenza alla fattoria o gli allenamenti nelle arti marziali iniziati a 9 anni; afferma invece di avere appreso la boxe da suo fratello maggiore, preoccupato per la sua debolezza.
Nel 1937, durante la Guerra sino-giapponese, la Corea arruolò i primi aviatori ("Shin"). Nel 1938, Oyama lasciò la Corea e si trasferì in Giappone, ove entrò nella scuola imperiale di aviazione, inseguendo il sogno di divenire a sua volta uno shin.
Nel 1945, al termine della Seconda Guerra Mondiale, Oyama si trasferì a Tokio dove però attraversò mesi difficili a causa della chiusura dei giapponesi nei confronti degli stranieri. Come ebbe a ricordare lo stesso Oyama "Compresi presto che ero solo un coreano non desiderato. Nessuno mi avrebbe affittato una stanza." La svolta si ebbe solo quando incontrò la sua futura moglie la cui madre era proprietaria di un dormitorio per studenti.
Nel 1946, Oyama figura tra gli iscritti dell'Università di Waseda. È qui che approccia formalmente al karate, mentre cerca un'attività per lui più realizzativa del judo e del pugilato: "A scuola, studiai pugilato e judo. Un giorno, mentre guardai un allenamento di alcuni studenti di una classe di Karate, ne rimasi colpito. Sentii molta misticità nelle tecniche e nello spirito, diversamente dal pugilato e dal judo." Oyama entra così del dojo Shotokan di Gigō Funakoshi, figlio del fondatore dello stile, Gichin Funakoshi. Anche qui, però, i contatti con gli altri giapponesi sono freddi: il coreano Oyama si allena in solitudine". Lasciata la Waseda per l'Università Takushoku dove viene accettato nel dojo shotokan dello stesso Gichin Funakoshi. Dopo due anni di studio presso Funakoshi, Oyama inizia a studiare lo stile Gōjū-ryū insieme ad un altro esule coreano, So Nei Chu, allievo diretto del fondatore dello stile, Chōjun Miyagi.
Sono anni turbolenti, per il giovane Oyama. Da ex pilota, nutre un'avversione viscerale nei confronti della forza d'occupazione US Army. La notte, gira per le strade cercando la rissa con le pattuglie americane. Si unisce poi ad un gruppo politico semi-clandestino interessato agli sviluppi delle tensioni politiche tra USA e URSS che sta portando (1948) alla divisione della Corea in due entità politiche separate.

Fondazione del Kyokushin

Nel 1953, Oyama aprì a Tokyo un suo dojo di karate chiamandolo "Oyama Dojo" continuando comunque a viaggiare per il Giappone e per il mondo, dando dimostrazioni, inclusi i famosi combattimenti nei quali metteva K.O dei tori con le proprie mani per un totale di 52 di cui 3 uccidendoli, ed altre in cui frantumava 30 tegole con un colpo solo. Il suo primo dojo fu dislocato fuori Tokyo, in un'area vuota e in seguito, nel 1956, diventò una scuola di balletto. L'"Oyama" sviluppò la reputazione di essere uno stile duro, difficile,intenso nel quale si colpiva forte e finalmente, in una cerimonia del 1957, fu nominato "kyokushin". Nel corso degli anni sviluppò la fama di essere un maestro anche troppo rude in quanto spesso feriva i propri studenti durante le sessioni di allenamento. Come crebbe la reputazione del dojo molti allievi furono attirati ad iscriversi sia dal Giappone che da altre parti ed il numero degli allievi crebbe notevolmente.

Allievi famosi

  • Terutomo Yamazaki, campione del Primo Campionato Giapponese di Full Contact Karate e kickboxer professionista.
  • Sonny Chiba, popolare attore Giapponese e artista marziale.
  • Tadashi Nakamura, fondatore dello Seido juku.
  • Bobby Lowe, Cintura nera 9º dan.
  • Steve Arneil
  • Andrzej Drewniak
  • Hideyuki Ashihara, fondatore del Karate Ashihara
  • Loek Hollander
  • Howard Collins
  • Willis D. Crosland
  • Shokei Matsui
  • John Jarvis
  • Yoshiji Soeno, fondatore dello Shidokan.
  • Miyuki Miura
  • Azuma Takashi, fondatore dello Daido Juku.
  • Donald I. Buck, fondatore dell'American Kyokushin Karate Organization.
  • Tae Hong Choi, uno dei pionieri del Taekwondo negli Stati Uniti.
  • Tsutomu Wakiuchi, responsabile del Karate Kyokushinkai in Italia.

Gli ultimi anni

Prima di morire, Oyama costituì a Tokyo la sede centrale dell'International Karate Organization, Kyokushinkai, una delle prime associazioni mondiali di arti marziali, ramificata in più di 120 paesi, con oltre 10 milioni di membri registrati. In Giappone, furono scritti molti libri da e su di lui, diversi film illustrarono la sua interessante vita, e i comic books narrarono molte delle sue avventure.
Oyama morì all'età di 70 anni, il 26 aprile 1994, di tumore ai polmoni.

Libri

  • The Kyokushin Way
  • What is Karate?
  • This is Karate.
  • Advanced Karate.
  • Vital Karate.

Curiosità

  • Alla vita di Masutatsu Ōyama è dedicato il manga Karate baka ichidai, ideato da Ikki Kajiwara nel 1971; dalla medesima opera la Capcom prese ispirazione per i personaggi chiave del videogioco Street Fighter il cui seguito divenne uno dei videogame più popolari al mondo.
  • Nella serie manga e anime L'Uomo Tigre, sempre di Ikki Kajiwara, compare nei panni di Mister Kamikaze.


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sabato 15 dicembre 2018

Ikebana

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Ikebana (生け花 o いけばな) è un termine giapponese che si riferisce all'arte della disposizione dei fiori recisi, anticamente conosciuta come kadō (華道 o 花道).
La traduzione letterale della parola ikebana è "fiori viventi", ma l'arte dei fiori può essere anche indicata come Kadō, cioè "via dei fiori", intendendo cammino di elevazione spirituale secondo i principi dello Zen.

Storia

L'Ikebana è un'arte molto antica. Ebbe origine in Oriente (India, Cina), ma solo nel complesso artistico e religioso del Giappone trovò terreno fertile per il proprio sviluppo trasformandosi, da iniziale offerta agli dei, in una multiforme espressione artistica. Le origini risalgono al VI secolo d.C., al periodo in cui il buddhismo, attraverso la Cina e la Corea, penetrò nell'arcipelago nipponico introducendovi, fra le altre, l'usanza delle offerte floreali votive. In origine l'arte dei fiori era praticata solamente da nobili e monaci buddhisti, le classi elevate del Giappone; solo molto più tardi si diffuse in tutti i ceti, diventando popolare con il nome di Ikebana. Il primo stile, piuttosto elaborato, fu il Rikka, che nella composizione comprendeva la presenza di sette elementi: i tre rami principali e i quattro secondari. In seguito fu elaborato uno stile più semplice, il Nageire, al quale seguì il Seika, un Rikka semplificato, meno austero del Nageire. In epoca moderna ogni scuola adottò un proprio stile personale e si cominciarono ad usare anche vasi bassi dal bordo poco elevato, e sassi, rami secchi ed altri materiali naturali.

I materiali

Tutti gli elementi utilizzati nella costruzione dell'ikebana devono essere strettamente di natura organica, siano essi rami, foglie, erbe, o fiori. Nelle composizioni dell'Ikebana rami e fiori sono disposti secondo un sistema ternario, quasi sempre a formare un triangolo. Il ramo più lungo, più importante, è considerato qualche cosa che si avvicina al cielo, il ramo più corto rappresenta la terra e il ramo intermedio l'uomo. Così come queste tre forze si devono armonizzare per formare l'universo, anche i fiori e i rami si devono equilibrare nello spazio senza alcuno sforzo apparente.

Le scuole

Le scuole più famose, ognuna col proprio stile, sono: Ikenobo, Ohara e Sogetsu.
Un capitolo a parte è costituito dalle composizioni che vengono preparate per la Cerimonia del tè o Cha no yu, che sono di solito di dimensioni molto contenute e vengono designate come chabana, cioè fiori per il tè.

La diffusione in Italia

L'ikebana inizia a diffondersi in Italia all'inizio degli anni sessanta del Novecento, periodo in cui vengono pubblicati i primi manuali in italiano a cura di Jenny Banti-Pereira e Evi Zamperini Pucci.

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venerdì 14 dicembre 2018

Akihito

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Akihito (明仁 Akihito; Tokyo, 23 dicembre 1933) è il 125º imperatore (天皇 tennō) del Giappone dal 1989.
Il suo nome imperiale (nome del suo regno e che sarà usato come nome postumo) è Imperatore Heisei. Akihito è il primo figlio maschio (e quinto in totale) dell'imperatore Hirohito e dell'imperatrice Kōjun (Nagako). Secondo una delle interpretazioni della controversa Dichiarazione della natura umana dell'imperatore, promulgata dal padre Hirohito nel 1946, Akihito sarebbe il primo imperatore del Giappone a salire sul trono senza godere di prerogative divine.

Vita

Nominato principe Tsugu (継宮 Tsugu-no-miya) da bambino, venne educato da tutori privati e poi frequentò le scuole alla Gakushūin di Tokyo, scuola dedicata all'aristocrazia, dal 1940 al 1952. Venne separato dai suoi genitori all'età di 3 anni.
Durante i bombardamenti americani su Tokyo nel marzo 1945, lui e suo fratello minore, il principe Masahito (ora Principe Hitachi), furono messi al riparo in un luogo sicuro fuori Tokyo. Con l'occupazione americana del Giappone alla fine della seconda guerra mondiale, il principe venne istruito in inglese da Elizabeth Gray Vining. Studiò per poco tempo al Dipartimento di Scienze Politiche alla Università Gakushūin, senza tuttavia ricevere alcun titolo accademico. In seguito si è specializzato in ittiologia e ha pubblicato numerosi articoli sui pesci della famiglia Gobiidae.
Sebbene fosse l'erede al trono del crisantemo dalla nascita, la sua formale investitura come principe ereditario (立太子の礼 Rittaishi No Rei) si tenne al Palazzo Imperiale di Tokyo il 10 novembre del 1951.
Nel giugno 1953 il principe ereditario rappresentò il Giappone all'incoronazione di Elisabetta II d'Inghilterra. Il 10 aprile del 1959 sposò Michiko Shoda (nata il 24 ottobre 1934), la figlia maggiore di Hidesaburo Shoda, il presidente della Nisshin Flour Milling Company. Il matrimonio ruppe la tradizione precedente perché Michiko Shoda era la prima cittadina comune ad andare in sposa a un membro della famiglia imperiale.
Il Principe ascese al trono dopo la morte del padre avvenuta il 7 gennaio 1989, diventando ufficialmente il 125º monarca giapponese. La cerimonia ufficiale è poi avvenuta il 12 novembre del 1990.
L'imperatore e l'imperatrice hanno tre figli:
  • Sua Altezza Imperiale il Principe Naruhito, erede al trono del Giappone (n. 23 febbraio 1960);
  • Sua Altezza Imperiale il Principe Akishino (Fumihito, n. 11 novembre 1965, il cui titolo è Akishino-no-miya);
  • Sayako Kuroda, già Sua Altezza Imperiale la Principessa Sayako (il cui titolo era Nori-no-miya o Principessa Nori, n. 18 aprile 1969). Ha rinunciato ai titoli imperiali nel 2005, avendo sposato un non nobile.


Impegno politico

Dal momento della sua ascesa al trono l'Imperatore Akihito si è sforzato di avvicinare maggiormente la famiglia imperiale al popolo giapponese. L'Imperatore e l'Imperatrice hanno compiuto visite ufficiali in 18 paesi, così come nelle 47 prefetture del Giappone.
L'Imperatore, nei limiti della Costituzione del Giappone, si è spesso impegnato politicamente. Storiche le scuse nei confronti di Corea e Cina per i danni causati dall'occupazione giapponese o le numerose dichiarazioni di stima nei confronti della Corea. Il 23 dicembre 2001, durante il suo annuale incontro per il compleanno con i giornalisti, l'Imperatore, nel rispondere a una domanda, sottolineò d'aver provato una "certa affinità con la Corea", e spiegò questa sua sensazione come scaturente dal fatto che la madre dell'imperatore Kammu era coreana. L'imperatore chiosò che gli emigranti coreani in Giappone d'un tempo contribuirono a creare importanti aspetti della cultura e della tecnologia del paese, e fece monito ai suoi connazionali di non dimenticare mai la deplorevole circostanza per cui gli scambi con la Corea non erano mai stati molto amichevoli.
Nel giugno 2005, l'imperatore visitò il territorio statunitense di Saipan, sito di una delle più importanti battaglie della seconda guerra mondiale, che durò dal 15 giugno al 9 luglio 1944. Accompagnato dall'Imperatrice Michiko, si trattenne in preghiera e depose fiori presso molti memoriali, rendendo omaggio non solo ai caduti giapponesi, ma anche ai caduti americani, a quelli coreani costretti a combattere per il Giappone, e ai nativi dell'isola. Fu il primo viaggio di un monarca giapponese presso un campo di battaglia.
Il viaggio a Saipan fu accolto con fervore dai giapponesi, come le altre visite imperiali ai memoriali di guerra in Tokyo, Hiroshima, Nagasaki e Okinawa, nel 1995.
Nell'agosto 2016 comunicò implicitamente in un messaggio alla nazione la sua intenzione di abdicare in favore del figlio Naruhito[1], rivelando di temere che la propria età avanzata e il precario stato di salute possano pregiudicare la sua capacità di svolgere le mansioni ufficiali. Nel dicembre successivo annunciò che la data di abdicazione scelta è il 30 aprile 2019. L'ultimo imperatore giapponese che abdicò fu Kōkaku nel 1817.

Il sistema imperiale di massa

Per molti secoli e fino alla prima metà del Novecento, il sistema imperiale o tennosei (天皇制), cioè i membri della famiglia imperiale (in particolare l'imperatore), erano figure fortemente permeate di valori religiosi: la stessa persona dell'imperatore era considerata divina e posta su un livello politico-religioso altissimo, quasi ultraterreno. Molti storici hanno spesso sottolineato alcune caratteristiche dell'istituzione imperiale a partire dalla seconda parte dell'era Showa. Akihito è il sovrano che ha segnato anche da un punto di vista generazionale un netto avvicinamento dell'istituzione imperiale al popolo giapponese, partecipandone alla vita sociale e mettendo in gioco la sua figura istituzionale anche attraverso i media, da sempre interessati e attenti osservatori delle vicende della famiglia imperiale: questa nuova configurazione ha indotto molti a parlare di sistema imperiale di massa, vicino ai cittadini e partecipe della vita nazionale.

Etichetta imperiale

Akihito, come ogni imperatore del Giappone, non viene mai chiamato per nome, ma sempre come Sua Maestà Imperiale (Tennō Heika). La sua era porta il nome di Heisei (平成) (raggiungimento della pace); come di consueto, dopo la sua morte, ci si riferirà all'imperatore Akihito come imperatore Heisei (Heisei Tennō).

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giovedì 13 dicembre 2018

Shugendō

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Lo Shugendō (修験道 letteralmente "la via del potere spirituale mediante l’ascesi") è una forma di pratica religiosa che ha avuto origine durante il periodo Heian in Giappone. Si ritiene che lo Shugendō sia frutto dell'incontro tra gli antichi riti sciamanici shintoisti con le dottrine e i rituali del buddhismo esoterico, in cui è anche possibile ritrovare una componente taoista. I praticanti dello Shugendō, conosciuti come yamabushi (山伏), compiono pellegrinaggi da una vetta all’altra in sacre regioni montane.

Origini

L'origine dello Shugendō è incerta, ma pare che questa tradizione ascetica tragga origine dall’antico culto giapponese della montagna, luogo considerato sacro in quanto dimora di divinità agresti e di spiriti ancestrali. Era infatti credenza comune che gli eremiti e gli asceti acquisissero parte del potere sovrannaturale, attraverso rigorose pratiche di meditazione condotte in luoghi selvaggi.
Tra i precursori di queste pratiche meditative rientrano gli hijiri (), eremiti che praticavano l'ascesi in regioni montane, gli sciamani, figure capaci di mettersi in contatto con il mondo dei morti attraverso tecniche estatiche, e in generale tutti coloro che si ritiravano in solitudine in luoghi remoti per una ricerca del sacro.
Durante il periodo Heian, era comune che gli asceti si ritirassero in solitudine in zone di montagna. Tuttavia a partire dal X secolo, influenzati dallo spirito di compassione buddhista, gli yamabushi iniziarono ad organizzarsi in piccoli gruppi, e nei secoli successivi nacquero le prime comunità, ognuna delle quali aveva un proprio corpus di pratiche religiose e meditative.
Lo Shugendō non ha un fondatore, anche se una serie di leggende attribuiscono le origini di questa pratica religiosa alla figura semi-mitica dell’asceta En-no-gyōja (役行者), attivo nell'area di Nara fra il VII e l’VIII secolo. Nonostante sia citato in numerosi racconti, le informazioni storiche sul suo conto restano poco chiare. I testi letterari che ne fanno menzione sono vari e le informazioni riportate non sono fra loro coerenti. Prodotti in diverse epoche, probabilmente risentono delle diverse interpretazioni e dei cambiamenti storici e religiosi che hanno accompagnato lo Shugendō. Alcuni testi antichi dell'VIII secolo, come il Shoku Nihongi (続日本紀) e il Nihon Ryoiki (日本霊異 記), descrivono En-no-gyōja come un asceta dai poteri miracolosi che incarna al contempo gli aspetti mistici del taoismo e le pratiche ascetiche buddhiste; nel En no Gyōja honji (役行者本記), testo del XIV secolo, l'asceta viene invece presentato come un grande maestro del buddhismo esoterico e la sua figura risente di una forte divinizzazione.
Considerato infine che gli insegnamenti erano tramandati oralmente da maestro a discepolo, in un contesto di assoluta segretezza, resta difficile ricostruire le origini storiche e le pratiche ascetiche dei primi eremiti. Le informazioni finora disponibili, provenienti da frammenti contenuti negli engi (縁起), antichi testi che riportavano avvenimenti storici e riti di templi famosi, riguardano solo alcune comunità di yamabushi.

Sviluppo

L'evoluzione dello Shugendō fu strettamente legata all'assimilazione delle credenze religiose autoctone giapponesi agli insegnamenti buddhisti, resa possibile dalla presenza di praticanti seguaci sia dello Shingon che del Tendai, che permisero di incorporare nei rituali dello Shugendō alcuni elementi propri del Mikkyō. Con il termine Mikkyō ci si riferisce all'insieme degli insegnamenti del buddhismo esoterico introdotto in Giappone dalla Cina agli inizi del IX secolo. Già durante il periodo Nara, anche tra i praticanti del Mikkyō le aree di montagna erano viste come dei luoghi di meditazione: a ciò si può ricondurre una prima interazione tra le diverse tradizioni religiose.
Verso la fine del XII secolo, su montagne sacre già note, i seguaci dello Shugendō cominciarono ad organizzarsi spontaneamente in gruppi, dando così origine ad un movimento religioso più strutturato. Questi gruppi prevedevano la presenza di un maestro, attorno al quale si riunivano diversi discepoli che, attraverso un percorso iniziatico, entravano a conoscenza delle regole e delle pratiche ascetiche professate da quel particolare gruppo.
Il consolidamento della dottrina dello Shugendō e il suo incontro con quella buddhista indusse gli yamabushi a non cercare la propria salvezza individuale solo attraverso pellegrinaggi solitari, ma a volgere le loro conoscenze e pratiche rituali al servizio della gente, soprattutto per la salvezza dei contadini poveri. Le pratiche ascetiche degli yamabushi si diffusero così tra i villaggi giapponesi, e i loro poteri spirituali divennero particolarmente richiesti per l’allontanamento di influenze maligne, per la predizione del futuro e per la cura delle malattie. Vennero resi accessibili altri luoghi sacri, e la popolarità dello Shugendō divenne sempre maggiore.
Fin dalle sue origine lo Shugendō è sempre stato suddiviso in centri di culto minori distribuiti nei diversi templi locali, indipendenti e dotati di proprie tradizioni rituali. Le comunità più antiche e famose, tuttora esistenti, si trovano sulle montagne di Yoshino, Kumano, Fuji e Haguro.
Tuttavia in seguito alla sempre maggiore influenza del buddhismo esoterico, lo Shugendō diede avvio a un processo di divisione e ordinamento dei suoi rituali e delle sue istituzioni. Si possono distinguere due scuole principali dello Shugendō, formatesi già nel primo periodo Kamakura: la Honzanha (本山派), incentrata sulle montagne sacre di Kumano, associata al Tendai; la Tōzanha (東山派), sulle vette dell’area del monte Kinpu, associata allo Shingon.
Fino a quel momento le dottrine e i riti degli yamabushi erano rigorosamente segreti e venivano trasmessi oralmente da maestro a discepolo, a seconda del suo grado di iniziazione. Tuttavia a partire dal XVI secolo, influenzato dalla tradizione esoterica, lo Shugendō perse parte del suo rigore ascetico, abbandonando la sua immagine di credo inaccessibile e permettendo così una maggiore diffusione delle sue dottrine.
Durante il periodo Tokugawa gli yamabushi svolgevano un ruolo sempre più attivo nei villaggi, mettendosi al servizio della comunità: ricoprivano le funzioni di esorcisti e di guaritori, predicavano e officiavano i riti comunitari.
La fusione tra diverse pratiche religiose all'interno dello Shugendō rimase tale fino all'inizio del periodo Meiji, quando nel 1868 il nuovo governo, nel tentativo di ripristinare il culto autoctono shintoista come religione di Stato, ordinò una separazione degli elementi propriamente shintoisti da quelli buddhisti e, di conseguenza, bandì lo Shugendō. Solo al termine della Seconda guerra mondiale lo Shugendō riconquistò il suo stato di culto indipendente e riprese un ruolo attivo nella vita religiosa giapponese.
Ciò nonostante molti studiosi sottolineano come lo Shugendō moderno mantenga solo una minima somiglianza con la sua forma antica. La sua fase di massimo splendore fu durante il periodo Heian e Kamakura, quando i pellegrinaggi presso i monti sacri erano frequenti; a partire dal periodo Edo, lo Shugendō raggiunse una posizione di stallo e non mostrò grandi segni di crescita. È comunque certo che lo Shugendō contribuì fortemente allo sviluppo di diversi riti, ancora oggi praticati presso varie scuole e luoghi di culto.

Ruolo della montagna

Una delle caratteristiche peculiari dello Shugendō è la relazione instaurata tra uomo, divinità e natura, quest'ultima rappresentata dallo spazio sacro della montagna. Lo Shugendō può essere definito come una tradizione ascetica che ha fatto della montagna il fulcro della propria visione religiosa. La montagna viene solitamente chiamata con il termine di shide no yama (死出の山 letteralmente "il monte che conduce all’altro mondo"). Da sempre la tradizione giapponese ritiene questo spazio selvatico e inesplorato il luogo in cui dimorano le divinità, gli spiriti dei morti e dei mostri, una zona di confine tra i due mondi, quello terreno e quello ultraterreno. Mettendosi in cammino l'asceta lascia alle sue spalle il mondo degli uomini, giudicato corrotto e confuso, e compie un itinerario mistico di ascesa fisica della montagna, che simboleggia una progressione spirituale verso la conoscenza ultima.
Il viaggio dello yamabushi diventa una conversione, una morte cui segue una rinascita, ed è scandito in dieci fasi, dette i Dieci Regni dell'esistenza jikkaishugyō (十界修行), una dottrina di origine buddhista. Alle diverse fasi vengono associati diversi stati di esistenza. Partendo dal basso si attraversano in successione: gli stati infernali, il Regno degli spiriti famelici, il Regno degli animali, il Regno degli ashura (demoni), il Regno degli uomini, il Regno delle divinità, il mondo degli shōmon (coloro che hanno raggiunto l’illuminazione ascoltando direttamente le parole di Buddha), il mondo degli engaku (coloro che hanno raggiunto l’illuminazione con le proprie forze), il Regno dei bodhisattva, e infine il nirvāna.
Il termine Yama non definisce solo uno spazio fisico, ma diventa anche un simbolo di salvezza, in quanto il raggiungimento della cima coincide con l’ottenimento dell’illuminazione da parte dell’asceta che si è liberato dal mondo materiale e ha acquisito nuova coscienza e saggezza. È tuttavia compito dell'asceta rivelare la sacralità della montagna e trarne il potere spirituale: durante il periodo della sua iniziazione lo yamabushi si ritira in solitudine e, solo dopo aver intuito la sacralità di questo spazio, potrà uscire dalla montagna come uomo rinato a nuova vita.
Nel corso del tempo all'interno del Shugendō il concetto di sacralità della montagna subì un'evoluzione: la montagna venne considerata la proiezione concreta e terrena di un mandala, uno spazio sacro rappresentante simbolicamente l’universo. Allo yamabushi venivano trasmessi oralmente da un maestro alcuni insegnamenti iniziatici segreti che gli consentivano di interpretare il mandala: a mano a mano che risale le pendici della montagna, l’asceta compie pratiche meditative che lo portano ad identificarsi con le diverse figure del mandala e, ripercorrendo le dieci fasi della mente, può giungere alla conoscenza ultima.
Le scarse informazioni che si conoscono riguardo a questi insegnamenti segreti si devono ad alcuni testi scritti posteriori al XII secolo, conservati in segreto nelle diverse comunità di yamabushi. Per esempio nello Shozan engi (諸山縁起) di fine XII secolo viene affermato che i monti sacri di Yoshino e di Kumano erano proiezioni terrene dei mandala dello Shingon, rispettivamente il Taizōkai e il Kongōkai.

Monte Fuji e Shugendō

Il monte Fuji è forse una delle montagne sacre più importanti e più rappresentative del Giappone. Esso ha una sua tradizione mistica molto antica che precede la nascita dello Shugendō, con cui è entrato in contatto durante il periodo Heian. Da questo incontro ebbe avvio un processo di organizzazione dei diversi centri allora presenti all'interno della montagna, che diede origine a nuove pratiche ascetiche e meditative.
A partire dal X secolo erano aumentati gli asceti che compivano pellegrinaggi su numerose cime sacre, nelle quali venivano compiuti riti segreti e ardue pratiche ascetiche. Interessi di questi asceti erano anche quelli di diffondere i propri insegnamenti e fondare dei nuovi centri di culto. Nei testi antichi compare la figura di Matsudai, descritto come un asceta buddhista che scalò il monte Fuji e fondò i primi centri del Fuji Shugendō in vari templi ubicati nella zona di Murayama, nella parte inferiore del monte.
I centri dello Shugendō presso il monte Fuji, ma anche in altre aree sacre, si occupavano della costruzione di edifici monastici, dell'organizzazione interna delle istituzioni ecclesiastiche, della definizione di un sistema organico di riti, e della creazione di relazioni con i laici.
Lo Shugendō ebbe un ruolo importante nel diffondere le pratiche ascetiche sul monte Fuji; promosse inoltre una serie di riti di purificazione per coloro che non potevano compiere pellegrinaggi sul monte.

Honzanha

Lo Shugendō era praticato in diverse zone sacre del Giappone, ma la forma che ebbe maggiore influenza nel paese fu quella che si era sviluppata nella regione di Kumano, nell'attuale prefettura di Wakayama. Kumano è formato dai tre monti di Hongū (本宮), Shingū (新宮) e Nachi (那智), e per questo viene spesso chiamato con il nome di Kumano Sanzan (熊野三山 "le tre montagne di Kumano").
I centri di culto sorti nella regione di Kumano si espansero e, intorno al XIV secolo, il Kumano Shugendō passò sotto il controllo del tempio buddista di Kyōto Shōgo-in, associato al Tendai, prendendo così il nome di Honzanha.
La scuola Hozan considera l'asceta En-no-Gyoja il fondatore della setta, e il monaco Zōyo colui che diede nuovo impulso allo Shugendō.

Tōzanha

Durante il periodo Nara e Heian, tra le aree di Yoshino e di Kinpu era presente un complesso di trentasei templi e santuari, in cui gli yamabushi erano soliti recarsi in pellegrinaggio. La maggior parte di questi templi erano associati al buddhismo esoterico Shingon, e col tempo alcuni di questi templi raggiunsero una certa notorietà, diventando dei punti di riferimento per molti asceti. Questo permise allo Shugendō di entrare in contatto con gli insegnamenti Shingon, portando a una sua evoluzione e alla nascita della scuola Tōzan.
La scuola Tōzan, che raggiunse il suo apice durante il periodo Tokugawa, considera il monaco Shōbō colui che restaurò lo Shugendō con la fondazione del Daigo-ji nel IX secolo.

Haguro Shugendō

In prossimità del monte sacro di Haguro (羽黒山), situato nella parte nord-orientale del Giappone, si sviluppò un altro centro di culto dello Shugendō. In esso veniva praticata una serie di rituali divisi in quattro fasi, uno per stagione, chiamati mine ( "picco, cima di una montagna"), in riferimento a quei periodi dell'anno di attività religiosa in cui vengono compiute pratiche di meditazione, pellegrinaggio e isolamento. Essendo stati divisi in base alle stagioni, sono stati chiamati fuyu no mine (冬峰 "picco d'inverno"), haru no mine (春峰 "picco di primavera"), natsu no mine (夏峰 "picco d'estate") e aki no mine (秋峰 "picco d'autunno"). Durante il periodo Meiji questi rituali vennero aboliti; solo dopo la Seconda guerra mondiale venne ripristinato l'aki no mine, anche se in una forma semplificata rispetto alla sua struttura originaria.

Pratiche ascetiche

Ancora oggi le informazioni sui rituali e sulle pratiche ascetiche dello Shugendō sono scarse e imprecise, soprattutto a causa della loro trasmissione orale e della segretezza con cui le diverse comunità monastiche hanno conservato i loro culti. I rituali professati sono vari: possono includere pratiche divinatorie, esorcismi, formule magiche e preghiere, amuleti, e altro ancora. Solitamente il loro utilizzo è condizionato dalle necessità e dalle richieste della popolazione, confermando come lo Shugendō mantenga un forte legame con la gente comune, e sia stato soggetto a un continuo mutamento e rinnovamento nel corso della sua storia.
Dallo studio dei pochi documenti scritti a noi pervenuti e dall’osservazione di diverse importanti comunità di yamabushi si possono delineare una serie di pratiche e rituali tipiche.

Pratiche nella montagna

Tra le pratiche più note ci sono quelle che hanno come luogo di meditazione la montagna, conosciute con il nome di nyūbu shugyō (入峰修行 "entrare nella montagna"). Questa pratica può essere distinta in tre tipologie, che variano in base alla difficoltà e alla capacità di concentrazione richiesta all'asceta.
La prima è la più facile e accessibile; consiste nel compiere un pellegrinaggio presso una montagna sacra e lì officiare riti in onore di Buddha o di divinità che si ritiene dimorino in quei luoghi, offrendo fiori, leggendo o seppellendo sutra. Esempi di questa tipologia sono ancora oggi praticati presso le montagne sacre di Kumano dalla scuola Hozan e sul monte Haguro durante il natsu no mine.
A un livello più alto troviamo la seconda tipologia. Anche qui è previsto il ritiro su una montagna sacra, ma per un periodo di tempo più lungo. Durante questo periodo l'asceta, guidato da un maestro, coltiva diverse pratiche ascetiche e rituali, fino a ricevere il corpus degli insegnamenti segreti. In seguito a questa trasmissione, il discepolo può ricevere dal maestro lo shōkanjō (正灌頂), uno dei riti di consacrazione più importanti dello Shugendō. Si celebra così la rinascita del discepolo, che durante l'ascesi è riuscito a passare attraverso i Dieci regni dell'esistenza e raggiungere lo stato di bodhisattva. A questa seconda tipologia appartiene l'aki no mine, praticato presso la scuola Tōzan, Hozan e sul monte Haguro.
Vi era poi una terza tipologia che consiste in shugyō più ardui, sia per quanto riguarda la complessità delle pratiche, che la preparazione richiesta all'asceta. Solitamente l'asceta compiva il suo periodo di meditazione durante la stagione invernale. Fa parte di questa tipologia il fuyumine, pratica ascetica che richiede forte determinazione e concentrazione, in quanto prevede una serie di digiuni e di sessioni di purificazione sotto cascate di acqua gelata. Lo scopo principale di questa pratica meditativa era l'ottenimento di poteri spirituali.
Nel Giappone contemporaneo le pratiche del nyūbu si stanno via via riducendo e sono ormai quasi del tutto scomparsi i rituali ascetici più estremi.

Lo Shugendō oggi

Sul finire della Seconda guerra mondiale presso alcune importanti montagne sacre vennero riabilitati rituali dello Shugendō in precedenza vietati. Molti dei nuovi centri cambiarono i nomi assunti prima della Restaurazione Meiji e poterono essere registrati come gruppi religiosi riconosciuti. Tra questi si annoverano Shugenshū (修験宗), chiamato precedentemente Honzan-ha, Hagurosan e Ōminesan Shugenshū (大峰山修験宗) (presso il monte Ōmine, Nara).
Molti studiosi sottolineano come l'attuale Shugendō non sia che un’ombra di quello passato, sia per il calo dei praticanti e dei pellegrini che si recano presso i monti sacri, sia per la perdita e semplificazione di molti dei rituali. Attualmente nei diversi centri dello Shugendō sono in via di progressiva diminuzione gli insegnamenti segreti trasmessi ai discepoli e le iniziazioni praticate durante il nyūbu. Inoltre negli ultimi decenni si è assistito a un aumento della partecipazione di laici che compiono pellegrinaggi per i motivi più diversi.
Tuttavia ancora oggi sopravvivono alcune pratiche ascetiche, anche se con qualche differenza rispetto a quelle originali del periodo pre Meiji. Tra questi i più conosciuti sono l’Ōmine shugyō (大峰修行) e l’Aki no mine (秋峰), che si svolgono entrambi durante il mese di agosto. Il primo è un pellegrinaggio compiuto dagli yamabushi della Scuola Shōgoin di Kyōto, con partenza dal monte Yoshino e arrivo sul monte Kumano (passando attraverso il monte Ōmine). Questo tragitto è noto come pellegrinaggio di Yoshino-Kumano, che si snoda lungo la penisola di Kii e attraversa le settantacinque stazioni in cui, secondo le leggende, si ritirò l'asceta En-no-Gyoja, che sottomise alla sua volontà numerosi kami. Viaggiando attraverso questi luoghi compì riti esoterici, acquisendo poteri sovrannaturali e raggiungendo l'illuminazione.
Il secondo, l’aki no mine, viene praticato dagli yamabushi dell’Haguro Shugendō e rappresenta il rituale più importante di questa scuola. Consiste in un periodo di ritiro ascetico e nella salita rituale del monte Haguro. Anticamente durava 75 giorni, ma col passare del tempo il periodo di ritiro venne gradualmente ridotto andando verso una semplificazione e ha una durata di 10 giorni.


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martedì 11 dicembre 2018

Jōruri

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Jōruri è il teatro delle marionette giapponese. Insieme al Kyōgen, al Nō e al Kabuki è una delle quattro forme di teatro tradizionale giapponese. Gli spettacoli interpretati da marionette e accompagnati dal suono dello shamisen rappresentavano drammi classici come il Chushingura. Soppiantato per un certo periodo dal Kabuki, mantenne in seguito una sua autonomia come le altre forme teatrali giapponesi. Il Jōruri venne in seguito designato Bunraku dal nome di Uemura Bunrakuken (1737-1810) che rilanciò questa forma di rappresentazione ad Osaka, nell'ultimo decennio del XVIII secolo.


SADUCT Instruments


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lunedì 10 dicembre 2018

Gua sha

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Gua sha (in cinese 刮痧 e in pinyin guā shā; letteralmente in italiano: graffiare via la febbre) è una pratica appartenente alla medicina tradizionale cinese diffusa principalmente in Asia.
Il nome vietnamita di questa pratica è cạo gió, coniato da Shang Han Lun.
Consiste nella stimolazione cutanea di zone specifiche, eseguendo dei raschiamenti sull'epidermide, provocando la presenza di petecchie ("Sha" in cinese), che si disgregano nell'arco di alcuni giorni. Esistono anche alcune varianti di questa terapia.
A questa pratica è ispirato il film del 2001 The Treatment, con protagonista Tony Leung Ka-Fai e il cui titolo originale è appunto Gua sha. Sulla tecnica Arya Nielsen ha pubblicato il volume Gua Sha: A Traditional Technique for Modern Practice. Inoltre è stato fatto un video che mostra la messa in pratica del trattamento in un ospedale di Koetzting, in Germania.

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domenica 9 dicembre 2018

Kotoamatsukami

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Nello shintoismo giapponese, Kotoamatsukami (別天津神, che letteralmente significa "kami ultraterreno differenziato"), è il nome collettivo indicante i primi poteri che iniziarono ad esistere al tempo della creazione dell'universo. I Kotoamatsukami nacquero in Takamagahara, il mondo del "Paradiso" all'epoca della creazione; alcuni di questi Kotoamatsukami sono Amenominakanushi (Cielo), Takamimusubi (Alto Creatore), Kamimusubi (Divino Creatore), e di poco successivo Amenotokotachi (Paradiso).
Queste forze divennero in seguito dei e dee, i tenzai shoshin (kami ultraterreni):
  • Ame no minakanushi no kami;
  • Takami-musubi no ōkami;
  • Kamimusubi no ōkami;
  • Umashiashikabihikoji no kami;
  • Ame no Tokotachi no kami;
  • Kuni no Tokotachi no kami;
  • Toyokumono no kami;
  • Uhijini no mikoto;
  • Suhijini no kami;
  • Tsunokuhi no kami;
  • Ikukuhi no kami;
  • Ōtonoji no kami;
  • Ōtonobe no kami;
  • Omodaru no kami;
  • Kashikone no kami;
  • Izanagi no kami;
  • Izanami no kami;
  • Amaterasu ōmikami.


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