lunedì 14 aprile 2025

Thrilla in Manila: la fine di tutto tranne che del mito

C’è un momento, nel 14° round del terzo incontro tra Muhammad Ali e Joe Frazier, in cui il pugilato smette di essere sport e diventa sopravvivenza. L’aria è pesante, il caldo è quello tropicale delle Filippine e le pareti dell’Araneta Coliseum sembrano sudare insieme agli uomini che si affrontano sul ring. Uno è Ali, l’uomo che parlava in versi e colpiva con poesia. L’altro è Frazier, muto e martellante, fabbro della sua stessa leggenda. Quando tutto finisce – quando Eddie Futch, l’allenatore di Frazier, posa una mano sulla spalla del suo pugile e gli sussurra: “È finita. Nessun uomo dovrebbe subire tutto questo” – il mondo intero capisce di aver assistito a qualcosa che va oltre il pugilato. È “The Thrilla in Manila”, la chiusura di una trilogia leggendaria e l’apice estremo di una rivalità che ha riscritto la storia dello sport.

Il match fu brutale, estenuante, disumano. Ali, già due volte vincitore mondiale, entrava da campione in carica. Frazier, segnato ma ancora rabbioso, voleva chiudere i conti. I due si odiavano profondamente. La retorica di Ali, spesso divertente ma talvolta crudele, aveva ferito l’orgoglio di Frazier in modo irreversibile. Quel rancore non era una trovata pubblicitaria: era autentico, viscerale. E il ring di Manila divenne il teatro della loro vendetta reciproca.

Il match si svolse in condizioni infernali. La temperatura interna superava i 40 gradi Celsius, l’umidità era intollerabile, e non c’era ventilazione. Eppure, round dopo round, i due pugili continuarono a colpirsi con una ferocia quasi primitiva. Non ci furono tatticismi né pause strategiche: solo una lunga sequenza di colpi, di dolore, di resistenza. Ali colpiva con precisione, Frazier rispondeva con la solita forza devastante nei colpi al corpo e con il suo gancio sinistro. Entrambi mostrarono segni di cedimento, ma nessuno si fermò.

Fu una guerra senza vincitori morali. Ali, a un certo punto, sembrava pronto a crollare. In un momento mai trasmesso pubblicamente, avrebbe confidato al suo angolo: “È l’inferno. Non so se riuscirò ad andare avanti.” Eppure, continuò. Frazier, dal canto suo, combatteva praticamente cieco. L’occhio sinistro, già compromesso, era chiuso. Il destro si stava gonfiando. Ma voleva andare avanti, voleva morire sul ring se necessario. Eddie Futch, uomo d’onore e d’esperienza, decise per lui: fermò l’incontro prima dell’inizio del 15° round, consapevole che non c’era più nulla da guadagnare se non danni irreversibili.

Ali vinse. Per TKO tecnico. Ma uscì dal ring distrutto, svuotato. Dichiarò: “È stata la cosa più vicina alla morte che abbia mai provato.” Quelle parole non erano retorica. Ali aveva vinto la guerra, ma aveva lasciato una parte di sé sul ring. Il suo corpo non sarebbe più stato lo stesso, e forse nemmeno la sua mente. La boxe gli restituiva il trionfo, ma gli chiedeva in cambio una parte della sua umanità.

Chi dominò? Nessuno. O, forse, entrambi, in un senso tragico e sublime. Ali vinse sul piano regolamentare, ma Frazier vinse sul piano della resistenza. Nessuno dei due fu lo stesso dopo quella notte. Il combattimento segnò la fine simbolica di un’epoca, la fine di due carriere al massimo splendore, la fine di un odio sportivo che aveva scaldato il mondo. Eppure, in quel disastro fisico, si consumò il più grande atto d’amore verso la boxe: il desiderio di non cedere, nemmeno quando la morte sembrava preferibile al proseguire.

Il “Thrilla in Manila” è diventato leggenda non per la tecnica, né per la bellezza. Ma per ciò che mostrò: la vulnerabilità dell’eroe e l’incrollabile volontà dell’uomo. È un incontro che non si può raccontare senza sentirne il peso. È il pugilato alla sua massima espressione, dove non ci sono più strategie ma solo cuore, dolore e una disperata ricerca di affermazione.

Fu l’ultimo incontro tra Ali e Frazier. Ma non fu mai solo una fine. Fu una consacrazione reciproca, un’ammissione muta di rispetto, un patto sigillato con il sangue. E ancora oggi, cinquant’anni dopo, le immagini di quella battaglia bruciano come il sole di Manila: inarrestabili, ingiuste, magnifiche.



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