domenica 20 aprile 2025

Joe Frazier: il gigante che nessuno ha capito davvero

In un'epoca in cui la boxe era molto più di uno sport — era teatro, era politica, era mito — Joe Frazier ha incarnato un ruolo fondamentale eppure troppo spesso marginalizzato: quello dell'uomo che combatte non per ideologia, ma per dignità. A ricordarcelo con forza è George Foreman, due volte campione del mondo dei pesi massimi, che con parole cariche di rispetto e crudezza ha tracciato un ritratto alternativo, potente e commovente del suo ex rivale.

"Non si sarebbe tirato indietro nemmeno davanti a King Kong", ha dichiarato Foreman. "Quando l'ho affrontato, l'ho messo KO sei volte, e lui continuava a inseguirmi." In queste poche parole, c’è tutta la natura di Frazier: un uomo che non conosceva resa, che faceva della resilienza una vocazione. Un pugile il cui valore non si misurava nella quantità di titoli, ma nella capacità di resistere ai colpi, alla vita, al silenzio di chi non lo capiva.

Perché Frazier, per molti, è stato soprattutto questo: incompreso. Visto da sempre come il rivale di Muhammad Ali, sembrava interpretare il ruolo dell’antieroe. Ali era il poeta, il provocatore, l'icona dei diritti civili, il volto sorridente della rivoluzione nera americana. Frazier, al contrario, era il lavoratore. Il contadino della Carolina del Sud che si era fatto strada con le mani, letteralmente. Per il pubblico, opporsi ad Ali equivaleva a ostacolare il progresso. Ed è così che Frazier fu etichettato: come l'antitesi del cambiamento.

Ma la realtà, come spesso accade, era più complessa. "Frazier non sapeva nemmeno che esistesse una rivoluzione", racconta Foreman. Non era un uomo di slogan, né di manifesti. Era un uomo di famiglia, uno che saliva sul ring per mettere cibo in tavola, per comprare una Cadillac ai suoi figli. Mentre Ali incantava il mondo con le parole, Frazier lo scuoteva con i pugni. Non c’era retorica nei suoi gesti, ma c’era coraggio. Non c’era ideologia, ma c’era verità.

Questo dualismo tra Ali e Frazier è stato spesso raccontato come uno scontro tra due visioni del mondo. Eppure, forse, era solo l’incontro fra due uomini straordinari che avevano scelto strade diverse. Ali ha cambiato la percezione globale del pugile. Frazier ha ricordato a tutti cosa significhi, davvero, esserne uno. Non con le parole, ma con i fatti. “Muhammad Ali è un grande uomo per quello che ha detto. Joe Frazier è un grande uomo per quello che ha fatto”, conclude Foreman.

Nella storia del pugilato, la trilogia Ali-Frazier è considerata una delle più epiche di sempre, culminata nel leggendario "Thrilla in Manila". Ma al di là dei colpi, delle decisioni arbitrali e delle telecamere, resta una verità scomoda: Frazier fu spesso messo nell’ombra, ridotto a comprimario nella narrazione mitica del suo più celebre avversario.

Eppure, a distanza di anni, le parole di Foreman restituiscono a Frazier ciò che gli spetta. Un uomo che ha combattuto ogni round della sua vita, dentro e fuori dal ring. Un eroe silenzioso, un gigante gentile, un pugile il cui cuore era più grande dei suoi muscoli.

Joe Frazier non ha mai chiesto di essere un simbolo. Voleva soltanto combattere. E questo, forse, lo rende il simbolo più autentico di tutti.



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