martedì 15 aprile 2025

Una notte al Madison Square Garden: il pugno che tolse l’anima alla boxe

C’è un momento nella storia dello sport in cui le regole smettono di contare e il confine tra competizione e crimine si dissolve. Una notte che trasforma atleti in vittime, e l’arena in una scena del crimine. È successo il 16 giugno 1983, al Madison Square Garden di New York. Una serata che avrebbe dovuto essere ordinaria, uno dei tanti eventi di contorno di un titolo mondiale. Invece, quella sera, due carriere furono spezzate, e una vita intera fu cancellata. Il nome da ricordare è Billy Collins Jr. Aveva ventun anni, un futuro luminoso davanti, e una sola colpa: aver creduto che nel pugilato lealtà e talento fossero tutto ciò che servisse.

Billy Collins Jr. arrivava a quel match con un record immacolato: 14 vittorie, 11 delle quali per KO. Lo chiamavano “l’irlandese”, aveva una mascella resistente e un destro fulminante. Di fronte a lui, Luis Resto, un veterano apparentemente fuori dalla scena dei grandi: 20 vittorie, 8 sconfitte, 2 pareggi. Un avversario esperto, ma alla portata del giovane Collins. Tutto lasciava intendere che sarebbe stato un match duro, ma regolare. Nulla, però, lo fu davvero.

Il volto di Billy, oggi conservato in alcune fotografie divenute tragicamente celebri, racconta una storia diversa: gonfio, tumefatto, sfigurato già dopo pochi round. Una trasformazione innaturale, inquietante, inspiegabile. Tra il terzo e il nono round, le percosse che subiva sembravano andare oltre ogni ragionevole capacità umana. "È molto più forte di quanto pensassi", confessò al padre e allenatore, Billy Collins Sr, tra un round e l’altro. Ma non era forza. Era frode.

Finito il combattimento, mentre il pubblico applaudiva la vittoria a sorpresa di Resto, Collins Sr si avvicinò per stringere la mano all’avversario del figlio. Fu in quell’istante che la verità esplose. Le mani di Resto erano troppo dure, i guanti troppo sottili. Non c’era imbottitura. Il padre lo capì subito. Lo afferrò, lo bloccò, e urlò ai giudici: “Non c’è imbottitura nei suoi dannati guanti!

L’indagine che seguì svelò l’indicibile: Panama Lewis, allenatore di Resto, aveva rimosso parte dell’imbottitura dei guanti prima del match. Ma non solo: le bende sulle mani di Resto erano state impregnate di gesso, che asciugandosi formò dei veri e propri calchi rigidi, trasformando ogni pugno in un colpo d’arma impropria. Una brutalità da strada portata dentro il ring, sotto i riflettori.

Il risultato ufficiale fu annullato. Resto e Lewis furono condannati a due anni e mezzo di prigione nel 1986 per aggressione e manomissione di materiale sportivo. Ma la giustizia, in questo caso, fu più simbolica che riparatrice. Collins Jr aveva riportato danni permanenti alla vista. La sua carriera finì quella notte. Il sogno fu spezzato con precisione chirurgica, come un osso fratturato di proposito.

Ma il trauma non fu solo fisico. Privato del ring, della sua identità, Collins Jr cadde in una spirale depressiva. Perse il lavoro, si avvicinò all’alcol e alle droghe, mentre il ricordo di quella notte lo consumava. Nove mesi dopo, nel marzo del 1984, morì in un incidente stradale, in stato di alterazione. Le circostanze fecero pensare a molti – tra cui il padre – a un suicidio mascherato. “Hanno ucciso mio figlio”, disse per anni Billy Collins Sr, incapace di trovare pace. Anche lui, mai più lo stesso, morì nel 2018, senza aver mai perdonato né Resto né Lewis.

Luis Resto, oggi uomo anziano e penitente, ha raccontato di aver obbedito passivamente al suo allenatore, sostenendo di essere stato solo un ingranaggio nell’inganno. Eppure, il peso morale di quella notte lo ha seguito per tutta la vita: mai più autorizzato a combattere, né a lavorare ufficialmente come allenatore, vive oggi in un limbo fatto di rimorsi e giustificazioni. Panama Lewis, invece, ha continuato ad allenare clandestinamente fino alla sua morte nel 2020, aggirando i divieti e rifugiandosi in quell’ombra che lo aveva sempre accompagnato.

Non si è trattato solo di uno scandalo sportivo. Quella notte al Madison Square Garden ha segnato un punto di rottura nella percezione della boxe professionistica. Ha mostrato al mondo che il ring può diventare un teatro di crudeltà, manipolazione e silenzi colpevoli, se lasciato senza controllo. Ha ricordato che ogni atleta che sale su quel quadrato lo fa con la fede che le regole saranno rispettate. Quando questa fiducia viene tradita, ciò che resta non è uno sport, ma un crimine con i guantoni.

Billy Collins Jr non vinse quel match. Ma fu lui a pagare il prezzo più alto. Più di quanto un uomo dovrebbe mai sopportare per uno sport. E mentre i riflettori si sono spenti, mentre i titoli sono stati archiviati, il suo nome è rimasto inciso nella memoria della boxe come una ferita mai del tutto rimarginata.

In un’epoca che celebra il successo a ogni costo, la storia di Collins è un monito necessario. Un richiamo etico. Un pugno, stavolta morale, che dovrebbe farci riflettere sul valore della lealtà, sul costo della complicità, e sulla fragilità della giustizia quando arriva troppo tardi.

Riposa in pace, Billy Collins Jr.
1961–1984. Non sei stato dimenticato.



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