Nel panorama vasto e spesso romanzato delle arti marziali e dei combattimenti corpo a corpo, poche immagini evocano un senso così crudo e primordiale quanto quella di due uomini che si affrontano a pugni nudi. Eppure, ciò che a molti appare come un simbolo di virilità o brutalità, cela in realtà un mondo di strategia, anatomia e prudenza. Il pugno, per quanto potente, non è affatto l’arma infallibile che spesso si crede. Anzi, può essere uno degli strumenti più rischiosi da usare in combattimento reale.
La mano umana è un capolavoro evolutivo per la presa e la manipolazione degli oggetti, non per l’impatto. A differenza di un martello, che può sopportare colpi ripetuti senza conseguenze strutturali, le dita e le nocche sono fragili. I pugili esperti lo sanno: colpire la fronte con un pugno chiuso e mal posizionato può facilmente portare alla frattura del quinto metacarpo — la cosiddetta "boxer's fracture". In situazioni non sportive, dove non vi è la protezione dei guantoni, il rischio diventa ancora più concreto.
Nel pugilato a mani nude — il cosiddetto bare-knuckle boxing — che fiorì nel Regno Unito tra il XVIII e il XIX secolo, i combattenti erano ben consapevoli dei limiti del loro corpo. È per questo che i colpi al corpo, soprattutto nella zona compresa tra il mento e l’ombelico, erano preferiti. Non si trattava di un approccio codardo, ma strategico: una mano rotta significava non solo la fine del combattimento, ma anche gravi ripercussioni nella vita quotidiana.
Quando vennero introdotti i guantoni imbottiti, intorno alla fine del XIX secolo, cambiò radicalmente il volto del combattimento. Da quel momento, la testa — specialmente il mento, snodo vulnerabile per via del collegamento con il tronco encefalico — divenne il bersaglio primario. Ma attenzione: i guantoni non furono pensati per proteggere l’avversario, bensì la mano di chi colpiva. Questo paradosso ha favorito uno stile di combattimento molto più spettacolare ma anche, in certi contesti, più dannoso a lungo termine per il cervello.
In una situazione reale di difesa personale, il pugno non è sempre la scelta migliore. L’uso della mano aperta (colpi con il palmo, schiaffi direzionali, push strikes) offre numerosi vantaggi: il palmo è meno incline a fratture, può generare una forza d’urto significativa, e consente una transizione rapida alle tecniche di controllo o afferraggio. In molte discipline — dal Krav Maga all’Aikido, dal Systema al Jiu Jitsu tradizionale — i colpi con la mano aperta e l’uso del corpo come leva assumono un ruolo centrale.
Anche le nocche, nella giusta occasione, mantengono un valore tattico: se il bersaglio è morbido (addome, reni, gola, tempie), e il colpo è ben angolato, possono rivelarsi efficaci e devastanti. Ma è fondamentale comprendere che non si tratta di forza bruta, bensì di precisione e consapevolezza biomeccanica.
I combattenti del passato, lontani dalla spettacolarizzazione televisiva degli sport da combattimento moderni, erano pragmatici. Conoscevano i limiti del corpo e agivano di conseguenza. I duelli a pugni nudi erano vere prove di resistenza, astuzia e tecnica. Non a caso, molti praticanti indossavano bendaggi minimi — spesso fasce di stoffa o pelle — per proteggere appena le nocche, non per colpire più forte, ma per durare di più.
L’obiettivo non era mandare l’avversario al tappeto con un colpo solo, bensì logorarlo fisicamente e mentalmente, fino alla resa.
Il pugno è un’arma naturale, ma va usato con cognizione, non con leggerezza. La sua efficacia dipende dal contesto, dall’allenamento, dal bersaglio scelto e dal rischio calcolato. In un mondo in cui la sicurezza personale è spesso oggetto di dibattito, è importante sfatare il mito della "forza pura" e rivalutare la strategia e la conoscenza anatomica come vere chiavi della sopravvivenza e del successo nel combattimento.
In definitiva, ciò che distingue il lottatore dal dilettante non è la forza, ma la consapevolezza del rischio e la capacità di scegliere l’arma giusta al momento giusto — e il pugno, per quanto radicato nell'immaginario collettivo, non è sempre quella migliore.
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