martedì 3 settembre 2019

Ee ja nai ka

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Ee ja nai ka (ええじゃないか) è il termine utilizzato per indicare i movimenti di protesta scoppiati in Giappone, nelle aree del Kinki, dello Shikoku e del Tōkai, tra l'ottavo mese e il dodicesimo mese del terzo anno dell’epoca Keiō (1867) durante la fine del periodo Edo (1600-1868). Questi movimenti iniziarono quando si diffuse la voce della caduta dal Cielo degli ofuda, amuleti di carta portafortuna considerati messaggeri di eventi propizi. La popolazione diede il via a manifestazioni violente, nelle quali indossando travestimenti danzava e canticchiava ripetutamente il ritornello "Ee ja nai ka".

Traduzione

La traduzione dell’espressione “Ee ja nai ka!” risulta problematica poiché a seconda della situazione può assumere varie sfumature difficili da trasmettere efficacemente. Le traduzioni più semplici sono “Perché no?” oppure “Non va forse bene così?”. Queste espressioni riescono a rendere il concetto di base, ma spesso non riescono a trasmettere quel tocco di blasfemia e oscenità che Ee ja nai ka voleva trasmettere. A tal proposito, più calzante è l’espressione “Ma che diavolo!”, la quale veicola un senso di noncuranza per le regole e allo stesso tempo l’idea del “Non va forse bene così?”.

Scopo

Lo scopo delle rivolte popolari che vanno sotto il nome di ee ja nai ka non è del tutto chiaro. Le cantilene con il ricorrente ritornello “Ee ja nai ka” erano accompagnate da canti concernenti la situazione politica e pertanto queste agitazioni vengono generalmente interpretate come movimenti popolari volti all’ottenimento di riforme sociali e politiche (Yonaoshi, lett. “sistemare il mondo”). È stato anche suggerito che queste agitazioni fossero un diversivo messo in atto dalla fazione anti-shogunato per creare disordini all’interno del paese; infatti, tra coloro che diedero vita a ee ja nai ka, c’erano anche dei sostenitori del feudo di Chōshū, a cui si devono i canti dove la potenza del Chōshū viene elogiata in contrapposizione al sempre più debole bakufu. Ad esempio:
Nishi kara chōchō ga tondekite,
Kōbe no hama ni kane ni nuite,
ee ja nai ka, ee ja nai ka!
Da ovest è venuta volando una farfalla,
attratta dal denaro del porto di Kōbe,
ee ja nai ka, ee ja nai ka!
Tuttavia, non si ritiene che il movimento avesse come unico scopo quello di creare dei disordini; la sua stessa natura, non gli avrebbe infatti consentito di bloccare un eventuale intervento militare delle forze dello shogunato.
Un’altra ipotesi è costituita dal sentimento xenofobo. Ma di nuovo, gli episodi di disprezzo nei confronti degli stranieri sono troppo pochi per far supporre che ee ja nai ka avesse una connotazione esplicitamente xenofoba. Gli stranieri stessi sembra fossero stupiti, ma non particolarmente minacciati da ee ja nai ka. In A diplomat in Japan di Ernest Satow si legge: “Trovammo l’intera popolazione occupata nei festeggiamenti per l’imminente apertura della città al commercio estero”; appare evidente che ee ja nai ka non era considerato una minaccia, anzi Satow – probabilmente così gli era stato detto dai suoi accompagnatori – lo considerava addirittura come una sorta di festeggiamento per l’apertura dei porti di Ōsaka e Kōbe agli stranieri.

Parole dei canti

Nelle Cronache ufficiali (Iwakura kōjikki) del politico e nobile Iwakura Tomomi, è presente una descrizione delle grandi quantità di ofuda disseminati nei sobborghi di Kyōto e si legge di come fosse possibile sentire la popolazione esclamare a gran voce frasi come “Yoi ja nai ka”, “Ei ja nai ka” e “Ee jaa nai ka”. Vengono anche chiarite le date di diffusione del fenomeno: ebbe inizio a partire dalla fine dell’8º mese del 3º anno dell’epoca Keiō (1867) e si esaurì attorno al 9º giorno del 12º mese (3 gennaio 1868) – giorno in cui venne ufficialmente annunciata la restaurazione dell’autorità imperiale. È quindi un movimento popolare appena antecedente alla restaurazione Meiji. Inoltre, le espressioni utilizzate nei sobborghi della capitale (all’epoca Kyōtō) vengono identificate come l’origine di quelle degli ee ja nai ka.
A seconda delle zone di diffusione, i testi dei canti differiscono. Ci sono quelli che riguardano le richieste di riforme, ad esempio “Kotoshi wa yonaori ee ja nai ka – Quest’anno non sarebbe bello se cose andassero meglio?” e “Nipponkoku no yonaori wa eejanai ka, hōnen odori wa medetai – Un miglioramento della situazione del Giappone non è forse un bene? Le danze per quest’anno di abbondanza ci rallegrano”. Vi sono poi quelli per la liberazione sessuale: “Okage de yoi ja nai ka, nandemo yoi janai ka, omako ni kamihare, hegetara mata hare, yoi ja nai ka – Non va tutto bene grazie al Cielo? Ogni cosa è a posto, no? Metti un pezzo di carta sul pube, se si stacca rimettilo a posto, non va forse bene così?”. Infine, ci sono i canti riguardanti la situazione politica: “Chōshū ga nobota, mono ga yasu unaru, ee ja nai ka- Chōshū è asceso e i prezzi scendono, va bene così, no?” e “Chōshū san no onobori, ee ja nai ka, Chō to Daito, ee ja nai ka – Non è un bene l’ascesa di Chōshū? Chōshū e Kyōto non stanno forse bene assieme?

Okagemairi, ofudafuri ed ee ja nai ka

In origine ofudafuri, ee ja nai ka e okagemairi erano fenomeni separati. Con il termine okagemairi si intende l’improvviso pellegrinaggio di massa verso il santuario di Ise. I pellegrini solitamente vi si recavano senza avere il permesso, seguendo le voci riguardanti i miracolosi ofudafuri. Il fenomeno si è ripresentato spontaneamente ad intervalli di circa sessant’anni: nel 1650 (3º anno dell’era Keian), nel 1705 (2º anno dell’era Hōei), nel 1771 (8º anno dell’era Meiwa) e nel 1830 (tra il 13º anno dell’era Bunsei e il 1º anno dell’era Tenpō). I pellegrinaggi si esaurirono nel giro di 3-5 mesi, ma comportarono lo spostamento di un incredibile numero di persone. Secondo i resoconti, per l’okagemairi dell’epoca Meiwa, vi furono tra i 3 e i 4 milioni di pellegrini. Nell’okagemairi del periodo Bunsei le cronache registrano addirittura un numero di pellegrini di circa 5 milioni. Sono cifre davvero notevoli se si considerano le stime della popolazione giapponese nel periodo Kyōhō (1617-1636), effettuata durante il regno del decimo shōgun Tokugawa Ieharu. Gli okagemairi erano anche occasioni per i mercanti che, svincolati dai negozi e dai locali per la vendita, venivano incontro ai pellegrini distribuendo cestini per il pranzo e sandali.
L’ofudafuri è un fenomeno che risale ai primi okagemairi e che si ripresenta anche in ee ja nai ka. Non è un caso quindi che ee ja nai ka venga spesso associato agli okagemairi e che venga talvolta considerato l’okagemairi di quell’anno (1867). Tuttavia, ee ja nai ka presenta della differenze. La prima differenza sta degli ofudafuri: negli okagemairi si trattava perlopiù di amuleti del santuario di Ise, mentre per ee ja nai ka non è così; la seconda è la peculiare esclamazione ee ja nai ka che manca negli okagemairi precedenti.
Inizialmente, solo nelle zone del Kinki e dello Shikoku era possibile assistere ad interiezioni caratterizzate dall’espressione “Ee ja nai ka!”. Nel Tōkai, l’unico collegamento con le altre aree era la presenza del fenomeno dell’ofudafuri. È comunque possibile associare i disordini sviluppatisi nel Tōkai agli okagemairi e ai mikuwa matsuri (festival della zappa). Tuttavia, se si pone come requisito caratterizzante del fenomeno la presenza dell’esclamazione “Ee ja nai ka” e si tengono da conto le descrizioni presenti nelle Cronache ufficiali di Iwakura, si giunge alla teoria che vede Kyōto come luogo di nascita del fenomeno. Anche nel Kaijo jidan, scritto all’epoca da Fukuchi Gen’ichirō, si trovano descrizioni di ee ja nai ka nell’area di Kyōto; in generale, sia nel Kinki e che nello Shikoku vi sono testimonianze della presenza dei canti che intonavano “Ee ja nai ka” o le sue varianti, ad esempio “Yoi ja nai ka”.
Secondo un’altra teoria il fenomeno ee ja nai ka si sarebbe sviluppato della zona del Tōkai. Il supporto a questa teoria è fornito dalle somiglianze tra ofudafuri e agitazioni della zona con i tradizionali okagemairi. Secondo questa teoria ee ja nai ka sarebbe nato tra il 7° e l’8º mese dell’era Keiō. Però, inizialmente, non erano presenti i requisiti che caratterizzano ee ja nai ka, in particolare il desiderio di riforme sociali e politiche e uno slogan equivalente al caratteristico “Ee ja nai ka!”. Quest’ultima teoria è stata riproposta in tempi recenti (1968-1987). Ad esempio, piuttosto recente (1987), è la teoria secondo la quale il fenomeno sarebbe nato nella città di Toyohashi. La teoria si basa sul Tomeki (un testo reso pubblico nel dopoguerra), a sua volta basato sulle Cronache della famiglia Morita (Moritake bunshō).

Teoria Keihan (Kyōto e Ōsaka) – Dall’era Keiō al 1976

La teoria secondo la quale il fenomeno avrebbe avuto origine nell’area di Kyōto-Ōsaka si basa sulle fonti storiche perlopiù del Kinki.
  • Le descrizioni contenute nelle Cronache ufficiali di Iwakura Tomomi sostengono che a Kyōto il fenomeno è cominciato nell’ultima decade dell’8º mese ed si è concluso attorno al 9º giorno del 12º mese (3 gennaio 1868 secondo il calendario gregoriano), giorno in cui viene dichiarata la restaurazione dell’autorità imperiale.
  • 1897 – Nel Kaijo jidan di Fukuchi Gen’ichirō a proposito di ee ja nai ka si legge: “Questo ofudafuri è uno stratagemma escogitato dalla gente della zona di Kyōto per far agitare gli animi” e “Questa cosa…questo ofudafuri non sarà stato un espediente dei nobili della fazione anti-shogunato?”.
  • Nelle Cronache di Nishinomiya c’è la descrizione della nascita del fenomeno a Kyōto e del suo spostamento a Ōsaka.
  • 1933 –La teoria dell’ofudafuri di Toyohashi non viene confermata nel Nihon minzokugaku jiten ((Dizionario del folklore giapponese). Si stabilisce che ee ja nai ka è un movimento del 2º e 3º anno dell’epoca Keiō. Emergono sia la teoria di Nishinomiya che di Ise. Quest’ultima è basata su un resoconto storico: gli ofuda del santuario di Ise sarebbero stati i primi a cadere dal Cielo durante l’epoca Bunroku (1592-1596).
  • 1937 –Dai volumi 9-11 del Shizuoka-ken kyōdo kenkyū (Studi locali della prefettura di Shizuoka), editi dalla Kokushokankokai nel 1937: il fenomeno dell’ofudafuri avrebbe avuto origine nell’area di Kyōto-Ōsaka, si sarebbe diffuso in tutte le zone del Kansai e poi, lungo la Tōkaidō, si sarebbe esteso fino alla parte settentrionale delle provincie Totomi, Suruga e Izu.
  • 1937 – La teoria di Toyohashi viene negata da Ōguchi Kiroku. Si equiparano okagemairi, ofudafuri e yoi ja nai ka. Nella descrizione degli okagemairi avvenuti dall’8º al 12º mese spuntano i nomi di Kanente, Funamachi e Fudagi ma non quelli di Muro e Hada (tutti luoghi a Toyohashi). Si ribadisce quindi la teoria di Keihan.
  • 1939 – Le cronache storiche della città di Ichinomiya (3°volume) sostengono la teoria di Keihan ma allo stesso tempo sostengono anche quella di Toyohashi (all'epoca feudo Yoshida nella provincia di Mikawa), secondo la quale il movimento si sarebbe lì generato dall’11º giorno del 9º mese per poi spostarsi a Nagoya.

Teoria Tōkai

Si riportano le teorie e le fonti che indicano il Tōkai come zona di nascita del fenomeno:
  • Teoria di Toyohashi – sostenuta in uno studio intitolato Tomeki di Morita Mitsuhiro (pubblicazione del 1988 conservata presso la biblioteca della città di Toyohashi e basata sul Moritake bunsho-anno di pubblicazione sconosciuto); sostiene la presenza degli oharai (ofuda di Ise) nel 14º giorno del 7º mese del 3º anno dell’era Keiō.
  • Teoria di Nagoya- Nel Nihonkokugo daijiten (Vocabolario della lingua giapponese), edito dalla Shōgakukan nel 1988, Nagoya viene indicata come luogo di origine di questi tumulti. In Ee ja nai ka di Tamura Sadao si fa cenno alla caduta di ofuda del santuario interno di Ise a Nagoya (18º giorno del 3º mese del 3º anno dell’epoca Keiō). Teoria confermata anche nelle Cronache storiche della città di Ina.
  • Teoria di Toyokawa- L’enciclopedia My Pedia, edita dalla Heibonsha, afferma che fu presso la 35ª stazione della via Tōkaidō (Toyohashi, prefettura di Aichi) dove per la prima volta si assisté alla caduta degli ofuda (in questo caso quelli per la prevenzione degli incendi del santuario di Akiha).

Ordine cronologico degli studi sull'argomento

Il più vecchio scritto sull'argomento è Awa ee ja nai ka di Yamaguchi Yoshikazu (Istituto delle arti popolari di Tokushima, 1931) nel quale si parla delle richieste di riforma (yonaoshi). Vi è poi Okagemairi to ee ja nai ka di Fujitani Toshio (Iwanami Shoten, 1968). Nel suddetto lavoro si sostiene che il movimento è nato nell’8º mese del 3º anno dell’era Keiō (1867) nella provincia di Owari; c’è anche un collegamento con gli okagemairi.
Di seguito si riportano alcuni fonti sull'argomento con i luoghi e le date di sviluppo di ee ja nai ka riportati al loro interno.
FONTE DATA E LUOGO DI SVILUPPO DEL FENOMENO
Fujitani Toshio, Okagemairi to ee ja nai ka, Iwanami shoten, 1968 8º mese del 3º anno dell’era Keiō (1867) nella provincia di Owari (attuale parte occidentale della prefettura di Aichi)
Nishigaki Haretsugi, Ee ja nai ka, Shin jinbutsu ōraisha, 1973 15º giorno dell’8º mese del 3º anno dell’era Keiō nella provincia di Totomi presso la 28ª stazione delle via Tōkaidō (attuale città di Iwata nella prefettura di Shizuoka)
Cronache storiche della città di Toyokawa, 1973 4º giorno dell’8º mese nella provincia di Mikawa presso la 35ª stazione della via Tōkaidō (attuale città di Toyokawa nella prefettura di Aichi)
Takagi Shunsuke, Ee ja nai ka, Kyōikusha, 1979 Prima del 22º giorno del 7º mese del 3º anno dell’era Keiō nella provincia di Mikawa vicino alla 34ª stazione della via Tōkaidō e al santuario Hada Hachiman (attuale città di Toyohashi nella prefettura di Aichi)
Tamura Sadao, Ee ja nai ka hajimaru, Aoki shoten, 1987 14º giorno del 7º mese del 3º anno dell’epoca Keiō nella provincia di Mikawa vicino alla 34ª stazione della via Tōkaidō e al santuario Muro Hachiman (attuale città di Toyohashi nella prefettura di Aichi)
Gli studi più recenti sostengono, quindi, date d’inizio anteriori. Sono infatti antecedenti di più di un mese rispetto all’ultima decade dell’8º mese di cui ci scrive Iwakura nelle sue Cronache ufficiali, parlando di Kyōto. Inoltre, dopo il diffondersi delle teorie di Owari e Nagoya è chiaro che inizia una disputa riguardante il luogo di nascita del fenomeno tra le vicine città di Iwata (Shizuoka), Toyokawa (Aichi) e Toyohashi (Aichi).

Film

Nel 1981 viene prodotto un film originale intitolato Ee ja nai ka, per la regia di Imamura Shōhei. Nonostante gli eventi raccontati cedano a molte inesattezze storiche, il film riesce comunque a cogliere e a trasmettere l’atmosfera di instabilità e tensione dell’epoca. Uno dei punti più controversi è la mancanza di personaggi storici, se non sotto forma di riferimenti fatti da altri protagonisti. Ci sono anche inesattezze che riguardano la genesi di ee ja nai ka: il regista ci dice che il fenomeno dell’ofudafuri si verificò a Kyōto nella primavera del 1867 durante la fioritura dei ciliegi, tuttavia i primi resoconti al riguardo risalgono all’estate e, a Kyōto in particolare all’autunno. Tuttavia, la decisione più dibattuta riguarda la scelta di rappresentare alcune scene nella città di Edo; queste scene aiutano la narrazione ma sono prive di una base storica; è vero che anche a Edo si verificò la caduta degli ofuda, ma non ci furono ne moti di ribellione ne dimostrazioni incontrollate.




lunedì 2 settembre 2019

Tiet Sid Kuen – Forma del filo d'acciaio


La Tiet Sid Kuen, è la forma più considerata nel sistema Hung Gar.
La forma è così chiamata perché si dice che sia dura come l'acciaio e soffice come il cotone.
Si compone di cinque elementi e di cinque emozioni che si accoppiano con la tensione dinamica.
La forma del filo d'acciaio utilizza un solo animale, il mitico drago, dei cinque animali utilizzati nel sistema Hung.
Il drago è un prodotto delle credenze spirituali cinesi e lo troviamo rappresentato in antichi testi buddisti come un animale che può apparire e scomparire a suo piacimento, cambiare la sua dimensione, volare nel cielo, o tuffarsi nelle profondità dell'oceano.
Dal momento che è un animale spirituale, la sua energia può essere acquisita attraverso la respirazione (Chi Kung). Come il serpente e la gru (progettati per formare i tendini o il respiro) il Drago è interno. Tuttavia, solo il Drago combina la potenza pura dei colpi esterni con l'energia interna per produrre un'artista marziale invincibile. Il drago è il più grande contributo alla forma del filo di acciaio, è la sua energia interna, lo spirito, condiziona e sviluppa attraverso la sua pratica l'aumento del Ch'i nel praticante. Quando questo potere viene sviluppato completamente e raffinato, associato alla forza fisica del praticante, produrrà effetti devastanti. L'animale Drago utilizzato nell'Hung Gar, aumenta principalmente la resistenza interna.
La forma è stata creata da Tid Ku Sarm, uno dei migliori artisti marziali nella storia della Cina. E' stato uno delle più famose Dieci Tigri di Kwangtung e nel corso degli anni ha passato la sua conoscenza ai suoi studenti: Won Fei Hung, Lum Fook Canta e Lam Sai Wing che è stato il maggiore responsabile per la divulgazione didattica dello stile Hung Gar in epoca contemporanea. Yee Gee Hai, un allievo del grande Lam Sai Wing, ha detto di avere scritto il libro: Tiet Sid Kuen. Questa forma è il livello più alto insegnato nel sistema Hung Gar e porta lo studente nel regno della formazione interna del kung fu che è l'obiettivo ultimo delle arti marziali cinesi.
Il filo d'acciaio è caratterizzato da:
Il gioco di gambe è limitato, è basata esclusivamente sui movimenti e lo spirito del drago che emettendo "strani suoni vibranti" e intonazioni diverse controllano il respiro, associati ai movimenti di torsione che stimolano gli organi interni. Per un'osservatore, la forma non è spettacolare e sembra avere poca se non nessuna somiglianza con la dinamica delle forme di boxe di altri sistemi che potremmo essere abituati a vedere. Il prerequisito per l'apprendimento di questo modulo è Sup Ying Kuen. Anche se è stata modellata sui cinque elementi, l'altra metà del Tiet Sid Kuen è ancora più astratta – è basata su cinque emozioni umane: felicità, rabbia, tristezza, dolore e paura. Ogni emozione deve essere tradotta in un tono di respirazione, producendo diverse vibrazioni che interessano diversi organi. Questa forma è insegnata sotto la supervisione costante del proprio insegnante perché se viene eseguita in modo errato, lo studente può ferire se stesso internamente e irreparabilmente. Dal respiro si trae un tipo di potere forte, che viene emesso dal di dentro, così, abbiamo la designazione, interna.
Si dice che ci siano dodici principi contenuti in questa forma:
duro
morbido
lineare
contrazioni isometriche
collegando
dividere
sostegno
fermo
transizione circolare
determinazione
rigore
immobilizzazione.
Questi dodici principi sono stati progettati per controllare e migliorare le funzioni degli organi interni. Un esercizio di tensione dinamica viene utilizzato per aumentare il flusso del Ch'i in tutto il corpo e in particolare nelle mani e nelle braccia. Il filo d'acciaio è una forma riservata ai praticanti avanzati nello stile Hung Gar, ed è un mezzo efficace per la costruzione del proprio corpo, sviluppa resistenza e mette alla prova la propria costituzione fisicamente, mentalmente e spiritualmente. Anche se lo stile Hung Gar comincia come uno stile esterno diventa uno stile interno con questa forma.

mercoledì 21 agosto 2019

Medicina Tradizionale Cinese

Definita impropriamente come "medicina alternativa", la M.T.C. ha un suo corpus scientifico completo e applicabile in qualsiasi area medica, costruito sulla base di un concetto fondamentale: l'equilibrio tra le parti. Questo significa che è necessario valutare l'organismo come un sistema complesso di parti inseparabili e in costante relazione, sia nel corpo che nell'ambiente circostante. Ogni modificazione ambientale potrebbe causare alterazioni funzionali nell'uomo e viceversa. La M.T.C. si avvale di strumenti diagnostici vari e funzionali, di profonde conoscenze teoriche e di originali nonché efficaci strumenti terapeutici. L'apparato teorico che è alla base della M.T.C. si fonda su concetti filosofico-scientifici che governano l'intero universo. Principali tra questi sono il principio di interrelazione degli opposti "Yin e Yang" e le leggi che regolano i rapporti tra i "cinque elementi" presenti in natura (acqua, legno, metallo, terra, fuoco). L'anatomia del corpo umano, vista in modo differente rispetto a quella occidentale, è basata sullo studio degli organi interni "Zang Fu", delle loro funzioni e relazioni con tutto il resto, e sulla conoscenza del percorso dei canali e dei collaterali all'interno del corpo, con i loro punti energetici. Una trattazione a parte viene riservata al sangue, all'energia vitale dell'uomo ("Chi") e ai vari fluidi corporei. Lo studio dell'eziologia è un elemento veramente nuovo in campo medico, poiché la M.T.C. non lavora solo nella direzione della soppressione del sintomo, ma anche e soprattutto sulla individuazione delle cause patogene scatenanti. Vengono perciò differenziate le diverse sindromi attraverso più metodi diagnostici, per poi intervenire con tecniche manuali di massaggio, digitopressione e tecniche di agopuntura, moxibustione, martelletto e coppettazione. Come esposto nell'introduzione generale al kung fu, la M.T.C. è intrinsecamente connessa alle arti marziali, sia per la base filosofica che le accomuna, sia per l'utilità che uno dei due campi di azione apporta all'altro per il benessere psicofisico dell'uomo.

Chi Kung

Il Chi Kung è strettamente connesso alla M.T.C. per le sue implicazioni terapeutiche. La sua funzione di "potenziare il Chi" è indispensabile, quindi, nella prevenzione e nella cura delle patologie e nel rafforzamento del potenziale difensivo e offensivo sfruttato nelle arti marziali. Il "Chi" è un tipo di energia che non si vede e non si può toccare, ma che trasmette informazioni di varia natura e che, attraverso la pratica del Chi Kung, viene riequilibrata, potenziata e canalizzata all'interno del corpo.
Gli elementi fondamentali del Chi Kung sono:
  • l'impostazione di una corretta postura;
  • la regolazione della respirazione;
  • il rilassamento psicofisico;
  • l'atteggiamento mentale.


Pratica conosciuta già nell'800 a.C., il Chi Kung si è sviluppato nel corso dei secoli fino ad oggi, vantando una tradizione millenaria. Attualmente in Cina esistono persino ospedali di solo Chi Kung, dove vengono curati in prevalenza i malati di tumore. Tecnicamente, questa pratica consiste nell'assunzione di posizioni statiche o in movimento, abbinate a un particolare tipo di respirazione e a un particolare stato di coscienza. Attraverso i movimenti degli arti e della respirazione, viene effettuato un massaggio agli organi interni che richiama Chi e sangue, il che nutre l'organo stesso migliorandone l'efficienza. Ormai l'esistenza del Chi e del suo percorso nei canali energetici è stata ampiamente dimostrata da apparecchiature scientifiche e dalla dimostrazione di vari maestri praticanti, in grado di emettere dal palmo della mano un flusso di diverse particelle osservabili, tra cui raggi infrarossi ed elettricità statica.



martedì 20 agosto 2019

LIAN BU QUAN



LIAN BU QUAN
"stile per allenare le posizioni"


Da alcune ricerche fatte sembra che di stili con questo nome ne esistano veramente tanti e spesso molto diversi tra loro. E' probabile che molti stili importanti abbiano avuto in passato un proprio 'Lian Bu Quan', ovvero uno stile propedeutico per l'apprendimento delle posizioni di base dello stile principale da insegnare ai principianti prima di entrare nello studio di tecniche più complesse. Per questo motivo non è escluso che si possa sentir parlare del 'Lian Bu Quan' dello stile 'Tang Lang Quan' piuttosto che del 'Ba Ji Quan' o altri stili altrettanto complessi.
Attraverso la pratica di questo pre-stile, l'allievo impara le posizioni di base e qualche semplice tecnica che ripetuta molte volte con costanza e soprattutto soffermandosi su ogni movimento, fornisce un'ottima base per un apprendimento più graduale del Kung fu ed aiuta a sviluppare la coordinazione del corpo, l'equilibrio, la stabilità, il corretto allineamento, la contrazione e la decontrazione muscolare, la respirazione e la concentrazione mentale, inoltre prepara l'allievo a forme più impegnative.
Il termine 'Lian' , in Cinese è il verbo allenare/allenarsi.

lunedì 19 agosto 2019

Kali

Le materie che vengono studiate nell’arte marziale filippina sono diverse: si va dalle scuole che insegnano solo una materia a quelle, di solito le più moderne, che hanno incluso tutte le discipline di combattimento. Normalmente si considera completa una scuola che comprende il seguente programma:
Settore armi
• singolo olisi (bastone);
• doppio olisi (due bastoni);
• singolo bolo (macete);
• doppio bolo (due macete);
• bastone e coltello o macete e coltello;
• daga (coltello);
• doppia daga (due coltelli);
• bastone lungo;
• bastone medio;
• lancia;
• armi da getto: dal coltello da lancio, alla cerbottana, all’arco eccetera.
Mani nude
• panantukan (chiamata in numerosi altri modi): boxe che include colpi di gomito
• sikaran: arte di calciare, ma molti includono nella disciplina anche colpi con gli arti superiori;
• dumog: l’arte del corpo a corpo; in altre zone dell’arcipelago la lotta si chiama buno o buno brazo;
• cadena de mano o hubud lubud: esercizi di sensibilità e per lo sviluppo delle abilità. Questi possono derivare dalla cadena con le armi o dagli esercizi di sensibilità adottati nel silat indonesiano. Probabilmente si tratta di una fusione dei due sistemi.
Quale relazione esiste tra kali e jeet kune do?
Dal punto di vista storico, assolutamente nessuna. La popolarità delle arti marziali filippine la si deve soprattutto ai praticanti di jeet kune do, che da una posizione privilegiata (grazie alla fama di Bruce Lee) hanno avuto modo di diffondere con relativa facilità le idee e le pratiche marziali proprie in tutto il mondo. Tuttavia c’è da chiedersi: come mai questo grande interesse per le arti marziali filippine da parte dei seguaci di Bruce Lee?
Possono essere 3 le ipotesi e nessuna esclude l’altra:
• dato che il principale esponente della scuola di Bruce Lee, Dan Inosanto, si è dedicato alla riscoperta delle discipline marziali del sua terra (le Filippine), le ha conseguentemente incluse nel programma di jeet kune do;
• le arti marziali filippine hanno completato il metodo di Bruce soprattutto nel combattimento con le armi, nel quale il jun fan kung fu è assolutamente carente;
• i concetti di economia, mobilità e versatilità tanto propugnati dal jeet kune do sono già da molti anni caratteristiche delle arti marziali del Sud-est asiatico.

La terminologia del kali filippino
Tutti coloro che hanno provato a cimentarsi con i termini che connotano le tecniche filippine sono presto entrati in confusione. Infatti la nomenclatura usata risente della zona d’origine, nonché di tale o tal'altra scuola o maestro. Si deve considerare che nell’arcipelago filippino si parlano numerose lingue diverse e spesso gli usi e i costumi locali cambiano molto. A volte anche le scuole sulle stesse isole usano termini diversi per definire la stessa tecnica o metodo di allenamento. Probabilmente la lingua più corretta è la lingua ispanica, con la quale tutti i maestri, almeno quelli residenti nella parte a Nord dell’arcipelago, definiscono le loro attività marziali. Ovviamente in questi ultimi anni, grazie a una maggiore facilità di scambio di informazioni, si usano indifferentemente termini diversi per indicare la stessa azione tecnica. Addirittura le più moderne organizzazioni stanno ricostruendo ex novo il sistema, inventando una nomenclatura più fantasiosa.
Perché studiare il bastone?
A un osservatore esterno il kali potrebbe sembrare l’arte di combattere con i bastoni; niente di più errato! Apprendere l’arte del bastone serve non solo a imparare a difendersi con un attrezzo naturale, ma anche ad acquisire quelle abilità fondamentali per manovrare il coltello, il macete o altre armi simili. Anche le mani nude e i sistemi di allenamento derivano dall’uso delle armi: la famosa forma di pugilato filippina conosciuta ai più col nome di panantukan deriva strettamente dall’uso dei due bastoni. La capacità di colpire in modo efficace con serie di colpi dalle traiettorie sorprendenti, la si coltiva imparando a usare il bastone singolo o i due bastoni. Purtroppo questo discorso viene solo apparentemente accettato da molti allievi, i quali continuano a operare una sostanziale differenza tra il lavoro a mani nude e il lavoro con le armi. In sintesi, possiamo dire che maggiori saranno le abilità acquisite nel maneggio delle armi (scoperta delle traiettorie, vie di accesso al bersaglio, combinazioni di colpi, mobilità, parate, schivate, eccetera), maggiori saranno le abilità nel lavoro a mani nude. E’ dunque per questa capacità di trasportare da un’area all’altra le abilità acquisite che l’esperto di arti marziali filippine può cimentarsi con successo in diverse discipline, poiché è lo studio del principio marziale che conta e non il mezzo con cui tale principio si esprime.

domenica 18 agosto 2019

I 5 ANIMALI NEL KUNG FU GAR

Alla base di qualsiasi stile di kung fu, ritroviamo sempre il concetto di principio tecnico filosofico, che spiega in che modo il metodo marziale interpreta e utilizza i vari movimenti energetici presenti in natura. Gli animali sono sempre stati fonte di ispirazione per molti stili di kung fu. Dall'osservazione delle loro abitudini quotidiane e del loro comportamento durante la caccia, l'accoppiamento, la lotta per il territorio, è possibile individuare quali sono gli istinti prevalenti, le strategie di combattimento, i tratti caratteriali più tipici e gli aspetti fisici più distintivi di ogni animale.
L'Hung Gar, in quanto stile Shaolin, studia 5 animali di base: drago, tigre, gru, leopardo, serpente.

Il drago (Loong) è un animale mitologico di grandi dimensioni e rappresenta lo spirito. Sfrutta movimenti sia diretti che circolari, sia duri che morbidi, con un bagaglio tecnico completo e un atteggiamento sempre imprevedibile. Una delle sue principali caratteristiche è l'uso della respirazione e dei suoni energetici, che accrescono il potenziale del Ch'i (energia vitale) canalizzandolo nelle tecniche.

La tigre (Fu) rappresenta la fierezza, la forza, l'irruenza, il coraggio, il radicamento a terra, e rinforza l'apparato osseo e la massa muscolare. La sua caratteristica è di non retrocedere mai di fronte al pericolo.

La gru (Hoc) è elegante, morbida in apparenza ma dura all'impatto, sempre in perfetto equilibrio, e rinforza l'apparato tendineo. E' specializzata nell'attacco ai punti vitali del corpo, nell'uso delle schivate e delle azioni di controllo sugli arti dell'avversario.

II leopardo (Pao) potenzia lo scatto muscolare e tendineo, essendo un animale molto veloce ma di modeste dimensioni. Non potendo contare su una grande forza fisica né su una particolare resistenza, pianifica strategie adeguate e intelligenti per procurarsi il cibo sfruttando al massimo la sua velocità. E' un felino audace ma molto cauto.

Il serpente (She) nella filosofia del pensiero cinese rappresenta il Ch’i (energia vitale) e il sangue. E' un animale riservato e paziente, astuto e preciso. Il suo movimento sinuoso e avvolgente si concretizza in strategie di azione volte a schivare, avvolgere e controllare il nemico, ad attaccare con tecniche velocissime i punti vitali del corpo.

A prescindere dalla trattazione teorica, solo una pratica costante e protratta nel tempo può indurre a percepire nel corpo la sensazione e l'attitudine tipica di ogni animale, ed è attraverso la scoperta e l'esperienza di queste sensazioni che si riesce a penetrare anche nei segreti del suo spirito.
Gli animali forniscono al praticante un modello di comportamento intelligente cui attingere in combattimento, un sistema per potenziare e proteggere il proprio corpo, un bagaglio filosofico ricco di simbologie e di concetti basilari del pensiero cinese, e una metafora dei suoi stessi atteggiamenti, bisogni, istinti che caratterizzano la personalità di qualsiasi combattente e che trovano espressione nella pratica marziale.

sabato 17 agosto 2019

Le 8 diverse forme di Arti marziali in India

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Kalarippayattu: Kalarippayattu è una famosa arte marziale indiana nonchè uno dei più antichi sistemi di combattimento esistenti. E' praticata nella maggior parte del sud dell'India. Comprende colpi, calci e la pratica con armi di base, le tecniche di Footwork sono la chiave più importante della pratica del Kalarippayattu. Quest'arte marziale indiana è stata usata in molti film per renderla popolare, come Ashoka e il mito.


Silambam: una grande varietà di armi vengono utilizzate nel silambam, alcune delle quali non si trovano in nessun'altra parte del mondo. Nell'arte del Silambam vengono usati anche i movimenti di animali quali il serpente, la tigre, l'aquila, gli schemi di footwork svolgono un ruolo chiave anche qui. Un'altra parte del Silambam è il Kuttu Varisai, un tipo di arte marziale disarmata.


Gatka: i metodi di attacco e di difesa si basano sulle posizioni dei piedi e delle mani e dalla natura delle armi usate. E' anche praticato pubblicamente durante le differenti celebrazioni o in occasione di fiere nel Punjab.


Musti yuddha: arte marziale praticata nella città più antica dell'India " Varanasi ". Le tecniche utilizzate in quest'arte marziali sono i pugni, i calci, le ginocchiate e le gomitate. Questo stile è un'arte completa per lo sviluppo fisico, mentale e spirituale del praticante. Quest'arte marziale è molto rara da vedere in occasioni pubbliche.


Thang Ta: Thang Ta è il termine popolare per l'antica arte marziale Manipuri nota anche come Huyen LALLONG. Manipuri è un'arte marziali praticata con spade e lance, è un'arte che richiede forza fisica ma con una grazia sofisticata.


Lathi: Lathi è un'antica arte marziale dell'India. Si riferisce anche a una delle più antiche armi del mondo, usata in tutte le arti marziali. Il Lathi (bastone) viene praticato in Punjab e Bengala, regione dell'India. Il Lathi rimane ancora uno sport popolare in molti villaggi indiani.


Mardani Khel: Mardani Khel è un metodo armato di arte marziale creata dal Maratha. Quest'arte marziale tradizionale del Maharashtra viene praticata in Kolhapur.


Pari-khanda: Pari-khandaa stile di combattimento con spada e scudo di Bihar. Quest'arte venne creata dal Rajput. Alcuni passaggi e tecniche del Pari-khanda vengono utilizzate anche nella danza Chau.



venerdì 16 agosto 2019

ALLE ORIGINI DELLO SHOTO-KAN



Sarebbe stato difficile per chiunque prevedere la vastità della catastrofe che colpì Tokyo il primo giorno di settembre del 1923. Fu quello il giorno del Grande Terremoto di Kanto. Tutte le costruzioni della zona erano fatte di legno, e nelle ore di fuoco furibondo che seguirono il sisma, la grande capitale fu ridotta in rovina. Il mio dojo, fortunatamente, scampò alla distruzione, ma molti dei miei allievi semplicemente svanirono nell'olocausto di edifici caduti e bruciati.
Noi che sopravvivemmo facemmo tutto il possibile per soccorrere i feriti e i senzatetto nei giorni immediatamente successivi al terribile disastro. Con quelli dei miei allievi che non erano stati mutilati o uccisi, mi unii ad altri volontari per aiutare a procurare cibo per i profughi, per rimuovere macerie e per assistere nell'opera di sistemazione dei corpi dei defunti.
Naturalmente, l'insegnamento del karate era stato temporaneamente rinviato, ma salvare una vita non poteva esserlo altrettanto. Dopo poco, una trentina di noi trovò lavoro al ciclostile della Banca Daiichi Sogo. Non ricordo più quanto fossimo pagati né quanto tempo lavorammo, ma, mi ricordo, quel viaggio quotidiano dal dojo di Suidobata alla banca di Kyobashi sembrava non finisse mai.
Mi ricordo un particolare di quel pendolarismo quotidiano. A quei tempi, pochissima gente indossava scarpe nelle strade delle città giapponesi; ognuno calzava sandali o zoccoli di legno chiamati "geta". C'è un tipo di questi ultimi chiamato "hoba no geta", che sotto ha due denti estremamente lunghi e talvolta uno solo, ed io calzavo sempre questi ultimi per rafforzare i muscoli delle gambe.
Lo facevo da giovane ad Okinawa, e non vedevo alcun motivo per cambiare ora che facevo il pendolare per il mio lavoro alla banca. I "geta" ad un dente che calzavo erano tagliati in legno molto duro e facevano un gran rumore ad ogni passo, forte quanto quello dei "geta" di metallo di alcuni di coloro che si allenano nel karate oggi. Indubbiamente i passanti nelle strade mi guardavano ridendo fra sé e sé, divertiti dal fatto che un uomo della mia età dovesse essere così vanitoso da voler aumentare la sua altezza. Dopo tutto, avevo ben più di cinquant'anni all'epoca. Assicuro comunque i miei lettori che il mio scopo non era la vanità, consideravo i miei "geta" ad un dente una necessità per il mio allenamento quotidiano.
Col passare delle settimane e dei mesi, Tokyo cominciò ad essere ricostruita, ed alla fine arrivò il momento in cui ci rendemmo conto che il nostro dojo era in uno stato di vera rovina. Il Meisei Juku era stato costruito intorno al 1912 o 1913, e niente gli era stato fatto per molto tempo. Fortunatamente, ci fu concesso del denaro dal governo prefettizio di Okinawa e dalla Società di Cultura di Okinawa per attuare le riparazioni più urgenti.
Ma naturalmente dovevamo trovare nuovi ambienti mentre il Meisei Juku fosse stato rimesso a nuovo. Avendo sentito che avevo bisogno di locali per l'allenamento, Hiromichi Nakayama, grande istruttore di scherma e buon amico, mi offrì l'uso del suo dojo quando non era usato per la pratica della scherma. Inizialmente affittai una piccola casa vicino al dojo di Nakayama , ma presto potei affittarne una più grande con un vasto cortile dove io e i miei allievi potevamo allenarci.
Venne comunque, il giorno in cui questa sistemazione divenne inadeguata. Il numero dei miei allievi cresceva, ma così pure il numero degli allievi di scherma. La conseguenza era che io recavo disturbo al mio benefattore. Sfortunatamente, la mia situazione finanziaria era ancora precaria e non potevo fare ciò che era logicamente desiderabile, costruire un dojo specificatamente per il karate.
Fu intorno al 1935 che un comitato nazionale di sostenitori del karate sollecitò abbastanza fondi per il primo dojo di karate mai eretto in Giappone. Non fu senza un minimo di orgoglio che, nella primavera del 1936, entrai per la prima volta nel nuovo dojo(a Zoshigaya, quartiere Toshima) e vidi sulla porta un'insegna recante il nuovo nome del dojo: Shotokan. Era questo il nome che aveva deciso il comitato; non pensavo mai che esso volesse scegliere lo pseudonimo che usavo da giovane per firmare i poemi cinesi che scrivevo.
Ero triste, anche perché avrei voluto sopra a ogni cosa che i miei maestri Azato e Itosu venissero ad insegnare nel nuovo dojo. Ahimè!, nessuno dei due era più su questa terra, così il giorno che il nuovo dojo fu aperto ufficialmente, bruciai dell'incenso nella mia stanza e pregai per le loro anime. Agli occhi della mia mente, quei due grandi maestri sembravano sorridenti, mentre dicevano: " Buon lavoro Funakoshi, buon lavoro! Ma non fare l'errore di compiacerti di te stesso, poiché hai molto da fare. Oggi, Funakoshi, è solo l'inizio! " .
L'inizio? Avevo allora quasi settant'anni. Dove avrei trovato il tempo e la forza per fare tutto ciò che ancora doveva essere fatto? Fortunatamente non vedevo né sentivo la mia età, e decisi, come i miei insegnanti mi chiedevano, di non cedere. C'era ancora, mi avevano detto, molto da fare. In un modo o nell'altro, l'avrei fatto.
Uno dei miei primi compiti, con il completamento del nuovo dojo, fu di preparare una serie di regole da seguire ed un programma di insegnamento. Formalizzai anche i requisiti per i gradi e le classi ( " dan " e " " kyu " ). Il numero dei miei allievi cominciò a crescere di giorno in giorno, così che il nostro nuovo dojo, che era sembrato più che adatto ai nostri bisogni all'inizio, ora lo diventava sempre meno.
Benché, come dico, non sentissi la mia età, mi resi conto che non potevo assolutamente adempiere a tutti i doveri che si stavano costantemente accumulando. Non solo c'era il dojo da dirigere, ma anche le università di Tokyo stavano ora formando gruppi di karate nelle loro sezioni di educazione fisica, e questi gruppi avevano bisogno di istruttori. Chiaramente, era troppo per un uomo sovrintendere al dojo e viaggiare da università a università, così incaricai gli allievi anziani di insegnare nelle oro università al posto mio. Nello stesso tempo, assunsi il mio terzo figlio come assistente, delegandogli i compiti quotidiani di amministrazione del dojo, mentre io sovrintendevo l'insegnamento sia li che nelle università.
Dovrei puntualizzare che le nostre attività non erano limitate a Tokyo. Molte cinture nere del mio dojo come molti karateka delle università si impegnarono nei centri e nelle cittadine della provincia, con il risultato che il karate divenne noto in tutto il paese e furono costruiti un gran numero di dojo. Ciò mi conferì ancora un'altra missione, poiché col diffondersi del karate io ero costantemente assillato da gruppi locali per spostarmi qui e là a tenere conferenze e dimostrazioni. Quando ero via per qualche tempo, lasciavo la direzione del dojo nelle buone mani dei miei allievi più anziani.
Mi è stato spesso chiesto come è successo che io scegliessi lo pseudonimo di Shoto, che divenne il nome del dojo. La parola " Shoto " in giapponese significa letteralmente " onde di pino " e così non ha un grande significato arcano, ma vorrei dire perché la scelsi.
La città fortificata di Shuri dove sono nato è circondata da colline con foreste di pini delle Ryu kyu e vegetazione sub-tropicale, fra cui il Monte Torao, che appartenevaal Barone Chosuke ( il quale, di fatto, divenne uno dei miei primi mecenati a Tokyo ). La parola "torao " significa " coda di tigre " ed era particolarmente appropriata poiché la montagna era molto stretta e così foltamente boscosa che vista da lontano sembrava piuttosto la coda di una tigre. Quando aveva tempo, solevo passeggiare sul Monte Torao, talvolta di notte quando la luna era piena o quando il celo era così limpido che si stava sotto una volta di stelle. A quei tempi, se accadeva che ci fosse anche un po' di vento, si poteva udire lo stormire dei pini e sentire il profondo, impenetrabile mistero che si trova all'origine di tutta la vita. Per me il mormorio era una specie di musica celestiale.
Poeti di tutto il mondo hanno cantato le loro canzoni sul mistero che si trova nei boschi e nelle foreste, ed io ero attratto dalla seducente solitudine di cui essi sono il simbolo. Forse il mio amore per la montagna era intensificato poiché io ero stato figlio unico e fragile fanciullo, ma penso che sarebbe stato esagerato definirmi un "solitario". Tuttavia, dopo un'intensa seduta di pratica di karate, volevo solo uscire e passeggiare in solitudine.
In seguito, quando fui ventenne e lavoravo come maestro a Naha, andavo frequentemente in una stretta, lunga isola nella baia che vantava uno splendido parco naturale chiamato Okunoyama, con maestosi alberi di pino e un grande stagno con fiori di loto. La sola costruzione sull'isola era un tempio Zen. Anche qui solevo venire frequentemente a passeggiare da solo fra gli alberi.
Da quell'epoca ho praticato karate per alcuni anni, e divenendo più familiare con l'arte sono ora più conscio della sua natura spirituale. Godere la solitudine ascoltando il vento fischiare attraverso i pini era, mi sembrava, un'eccellente maniera per raggiungere la pace della mente che il karate richiede. E dato che ciò è stato parte del mio modo di vivere dalla più tenera fanciullezza, decisi che non c'era nome migliore di Shoto con cui firmare le poesie che scrivevo. Col passare degli anni, questo nome divenne, ritengo, meglio conosciuto di quello che i miei genitori mi diedero alla nascita, e spesso mi sono accorto che se non avessi scritto Shoto accanto a Funakoshi la gente non sarebbe stata portata a sapere chi fossi.

Gichin Funakoshi "Shoto" 

giovedì 15 agosto 2019

Kuji kiri

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Kuji Kiri 九字切り (taglio dei nove caratteri) sono una sequenza di particolari mudra (posture delle mani) aventi significati mistico/esoterici in alcune discipline e religioni orientali.
Il suo nome (in lingua giapponese) deriva dai termini ku nove, ji carattere e kiri taglio (5 orizzontali e 4 verticali alternati).
La sua rappresentazione classica viene riportata sopra un carattere che rappresenta l'oggetto d'interesse del praticante.

Kuji Kiri e arti marziali
Il Kuji Kiri è compreso sia nella scuola Tenshin Shoden Katori Shinto Ryu (dichiarata Tesoro Nazionale Vivente del Giappone) che tra le arti del Ninjutsu, l'insieme di tecniche di combattimento praticate nel Giappone feudale dai ninja.
Ai nove segni, spesso differenti, e segreti, nelle varie scuole, veniva attribuita la capacità di influenzare le condizioni personali, il comportamento degli avversari e persino e l'ambiente circostante.

Kuji Kiri e religione
La prima citazione del Kuji Kiri la troviamo nel libro fondamento della corrente Mahayana del Buddismo, al capitolo XXVI: Dharani - Formule Magiche.
Ulteriormente, secondo i principi del Taoismo, le dita delle mani corrispondono ognuna ad uno dei meridiani considerati dalla medicina cinese e la pratica del Kuji Kiri costituisce una sorta di stimolazione di tutto il sistema energtico corporeo.
Nella visione religiosa i nove segni vengono creati dalla gestualità di entrambe le mani, la mano sinistra "Taizokai" possiede una valenza ricettiva (Yin), e la mano destra "Kongokai" emettitrice (Yang). I nove tagli praticati con la mano destra stanno ad enfatizzare il taglio dell'ignoranza del Velo di Maya (ovvero il mondo sensoriale ingannevole) tramite la Spada della Saggezza. In questo modo, secondo la dottrina del Mikkyo, branca dell'esoterismo buddhista giapponese (sette Tendai e Shingon), si verrebbe a creare una sorta di "porta" nel mondo quotidiano che servirebbe ad accedere ad un diverso stato di coscienza, indispensabile ad una giusta concentrazione ed un giusto utilizzo delle proprie risorse energetiche.

Esecuzione dei Kuji Kiri
I Kuji Kiri venivano eseguiti con una posizione precisa delle mani; ognuna con un significato ed uno scopo ben precisi ed erano i seguenti:
  • Rin - La forza della mente e del corpo
  • Kyo - Direzione dell'energia
  • To - Armonia con l'universo
  • Sha - Guarire se stessi o gli altri
  • Kai - Premonizione del pericolo
  • Jin - Lettura dei pensieri altrui
  • Retsu - Padronanza del Tempo e dello Spazio ( in clan Shingan ryù Yagiu è al sesto posto e definisce la padronanza del dolore fisico)
  • Zai - Controllo sugli elementi della Natura
  • Zen - Illuminazione
Secondo le diverse scuole, formando ognuno dei Mudrā, il praticante può rimanere in silenzio o pronunciare il solo nome del mudra stesso (come nel Ninjutsu), oppure recita uno specifico Mantra come nella Tenshin Shoden Katori Shinto Ryu e nelle discipline religiose tutte. In alcune scuole Retsu è il sesto kuji kiri (shingan ryù) e definisce anche la padronanza del dolore fisico.





mercoledì 14 agosto 2019

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Tutti gli stili e le scuole di arti marziali originatesi in Asia analizzate e rivelate.
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Verranno analizzati i più importanti aspetti tecnici di ciascuno stile illustrando come questi stili oggi insegnati in tutto il mondo — possano essere fatti risalire alle proprie origini perse nella nebbia della leggenda.
La parte dedicata alle tecniche segrete illustra metodi di attacco e difesa, come anche esercizi di respirazione, rilassamento e circolazione dell'’energia.
Per favore evitate di contattarci se non realmente interessati. Grazie!



martedì 13 agosto 2019

Bloodsport cerca nuovi redattori! Ecco i requisiti


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Siamo nuovamente in cerca di redattori che ci aiutino a rispondere alle esigenze del crescente numero di lettori e all’aumento di notizie, di giorno in giorno più interessanti, provenienti dal mondo. Abbiamo in programma di aggiungere al team due o tre articolisti che possano scrivere almeno un post al giorno, sempre informatissimi sulle ultime notizie, con grande spirito di collaborazione e, preferibilmente, con qualche pregressa esperienza in questo campo.
Il redattore – per noi – ideale deve:
  • Saper scrivere bene, rispettando le regole della punteggiatura, delle maiuscole, ecc.
  • Analizzare e studiare lo stile di scrittura di bloodsport ed essere in grado di replicarlo nel migliore dei modi.
  • Essere sveglio e veloce, è fondamentale!
  • Essere sempre connesso (anche da mobile) e rintracciabile.
  • Essere molto motivato, appassionato e informatissimo prima degli altri.
  • Saper usare WordPress e un minimo di programmi di editing grafico (Photoshop, ecc.).
  • Avere almeno l’ABC della SEO.
Remunerazione: 1700 € mensili

Se pensate di avere le carte in regola, potete segnalarci il vostro interesse tramite la nostra  mail bloodsport1437@libero.it ; raccontateci qualcosa di voi e proponeteci uno o più articoli da scrivere per prova: valuteremo il più interessante e vi chiederemo di preparare un post su quel tema. Ci teniamo a specificare che saper scrivere è il principale requisito per entrare nel team di bloodsport: non barate e non fatevi aiutare in alcun modo, i nodi vengono al pettine.
Al di là delle severe regole sopra citate, entrare nella famiglia di bloodsport significa anche tanto divertimento, nuove amicizie in tutto il mondo e anche opportunità di allenarsi a porte chiuse con maestri di comprovate capacità, magari da soli. Dateci dentro!