lunedì 9 marzo 2015

Daodejing

Laozi, il filosofo cinese autore presunto dell'opera


Il Daodejing (道德經, 道德经, Pinyin: Dàodéjīng, Wade-Giles: Tao Te Ching «Libro della Via e della Virtù») è un testo cinese di prosa talvolta rimata, la cui composizione risale a un periodo compreso tra il IV e il III secolo a.C.
Il libro è di difficile interpretazione. A ciò si aggiunge il sospetto che le tavolette dalle quali era composto, mal rilegate, si slegassero frequentemente, in modo tale che blocchi di caratteri si mescolassero nel tramandarlo: da qui il sorgere di numerose questioni critiche e interpretative. Il testo permette di affrontare diversi piani di lettura e d'interpretazione.
L'opera è stata composta in una fase storica non ben delineata. Per secoli gli studiosi l'hanno attribuita al saggio Laozi (老子, pinyin: lǎozi), ma, in primo luogo, non vi è attestazione storica dell'esistenza dell'uomo, nemmeno lo storico cinese Sima Qian si dice certo del personaggio, inoltre il testo ha subito numerosi rimaneggiamenti sino al primo periodo Han (206 a.C.-220 d.C.). Tuttavia, l'esistenza del testo non è attestata prima del 250 a.C..
Il periodo tra il 403 a.C. ed il 256 a.C., chiamato degli Stati combattenti, fu un'epoca durante la quale i vari sovrani cinesi si dichiaravano guerra continuamente. Età violenta ma che, nonostante ciò, risultò essere l'apice della creatività del pensiero cinese. La tradizione racconta che Lao Zi decise di allontanarsi dalla corte Zhou perché, stanco delle lotte e del disordine, desiderava tranquillità. Partì con il suo bufalo ed arrivò al confine del suo stato dove venne fermato dal guardiano del valico, chiamato anche Yin del valico (关尹, pinyin: Guān Yǐn). Il guardiano riconobbe Lao Zi e gli disse che non poteva andarsene prima di aver lasciato un segno tangibile della sua saggezza. Fu in questa occasione che Lao Zi compose il Tao Te Ching. Finito di scrivere, Lao Zi se ne andò e di lui non si seppe più niente.
Il Daodejing è un testo relativamente breve, che consta di 5.000 caratteri: per questo motivo è noto anche come 五千文 (wù qian wen) o "[Classico] dei cinquemila caratteri". Il testo è suddiviso in ottantuno capitoli o "stanze" di lunghezza diversa, all'interno dei quali si ritrovano numerosi passaggi in rima, costituiti da veri e propri versi ritmati.
Il testo tratta argomenti molto eterogenei nelle diverse stanze: si tratta molto spesso di aforismi, massime e precetti che vengono proposti in un linguaggio in cui abbondano metafore e termini di significato ambiguo, spesso di difficile traduzione. Per questo motivo sono possibili diverse interpretazioni degli stessi passaggi.
Per le sue caratteristiche compositive il Daodejing si differenzia da altri importanti testi filosofici cinesi, quali i Dialoghi, in cui la stragrande maggioranza degli aneddoti riportano veri e propri frammenti di dialogo tra il maestro e i suoi discepoli, o il Zhuangzi, l'altro grande testo della tradizione taoista che invece è strutturato in veri e propri capitoli narrativi.
L'eterogeneità del contenuto non offre coordinate spazio-temporali o riferimenti specifici, rendendone difficile la datazione e la collocazione geografica: ciò, assieme al linguaggio usato, permette un'ampia varietà di interpretazioni del testo i cui insegnamenti sono stati applicati alle tematiche più disparate.
Il primo capitolo del Daodejing si apre con la seguente affermazione: "Il tao che può essere detto non è l'eterno tao". Una delle interpretazioni di questa frase, alla luce di altri passaggi del testo che ritornano su questo argomento, è che vi sia una dimensione dicibile del tao che però non arriva a sfiorare la vera natura di esso, che per definizione sfugge a qualunque tentativo di "presa" mediante il discorso e il linguaggio.
Circa il significato del titolo:
  • Dào/Tao letteralmente ha il significato di "via".
  • Dé/Te traducibile con "virtù".
  • Jīng/Ching qui usato nei significati di canone o "grande libro" o "classico"
Il titolo dell'opera si può tradurre come "il classico della Via e della virtù".
Nel secondo capitolo si afferma che il tao è al di là degli opposti, un'essenza che la dualità non comprende. Gli opposti (per es. il bene e il male) servono solamente per orientarsi, ma qualunque saggio sa che non esistono. Lo yin e lo yang (prodotti del tao) non esistono puri ma sono sempre in reciproca proporzione e il loro intreccio dà vita alle "10.000 cose" (tutte le cose) che non sono altro che un'interazione fra opposti.
Infatti il tao è "uno stile di vita, la via maestra che si riflette sia nel macrocosmo (l'organizzazione perfetta dell'universo) che nel microcosmo (lo stile di vita di ognuno di noi, l'arte di compiere ogni attività)".
Nel capitolo 11 Laozi parla di un vaso e dice che la sua utilità non sta nell'argilla usata per produrlo, bensì nel vuoto che può essere riempito. Questa constatazione ci fa entrare nell'ottica del wu (, cinese semplificato: ), da intendersi come nothing, nessuna cosa, quel vuoto che non è mancanza ma è il nulla, potenziale matrice di ogni cosa. In questa visione è più importante ciò che non è detto, ciò che si legge fra le righe, ciò che non si sente. È in quest'ottica che si comprende la brevità del Tao Te Ching.

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