Laozi, il filosofo cinese autore
presunto dell'opera
Il Daodejing (道德經,
道德经,
Pinyin: Dàodéjīng, Wade-Giles: Tao Te Ching «Libro
della Via e della Virtù») è un testo cinese di prosa talvolta
rimata, la cui composizione risale a un periodo compreso tra il IV e
il III secolo a.C.
Il libro è di difficile
interpretazione. A ciò si aggiunge il sospetto che le tavolette
dalle quali era composto, mal rilegate, si slegassero frequentemente,
in modo tale che blocchi di caratteri si mescolassero nel
tramandarlo: da qui il sorgere di numerose questioni critiche e
interpretative. Il testo permette di affrontare diversi piani di
lettura e d'interpretazione.
L'opera è stata composta in una fase
storica non ben delineata. Per secoli gli studiosi l'hanno attribuita
al saggio Laozi (老子, pinyin:
lǎozi), ma, in primo luogo, non vi è attestazione storica
dell'esistenza dell'uomo, nemmeno lo storico cinese Sima Qian si dice
certo del personaggio, inoltre il testo ha subito numerosi
rimaneggiamenti sino al primo periodo Han (206 a.C.-220 d.C.).
Tuttavia, l'esistenza del testo non è attestata prima del 250 a.C..
Il periodo tra il 403 a.C. ed il 256
a.C., chiamato degli Stati combattenti, fu un'epoca durante la quale
i vari sovrani cinesi si dichiaravano guerra continuamente. Età
violenta ma che, nonostante ciò, risultò essere l'apice della
creatività del pensiero cinese. La tradizione racconta che Lao Zi
decise di allontanarsi dalla corte Zhou perché, stanco delle lotte e
del disordine, desiderava tranquillità. Partì con il suo bufalo ed
arrivò al confine del suo stato dove venne fermato dal guardiano del
valico, chiamato anche Yin del valico (关尹,
pinyin: Guān Yǐn). Il guardiano riconobbe Lao Zi e gli disse che
non poteva andarsene prima di aver lasciato un segno tangibile della
sua saggezza. Fu in questa occasione che Lao Zi compose il Tao Te
Ching. Finito di scrivere, Lao Zi se ne andò e di lui non si seppe
più niente.
Il Daodejing è un testo relativamente
breve, che consta di 5.000 caratteri: per questo motivo è noto anche
come 五千文 (wù qian wen)
o "[Classico] dei cinquemila caratteri". Il testo è
suddiviso in ottantuno capitoli o "stanze" di lunghezza
diversa, all'interno dei quali si ritrovano numerosi passaggi in
rima, costituiti da veri e propri versi ritmati.
Il testo tratta argomenti molto
eterogenei nelle diverse stanze: si tratta molto spesso di aforismi,
massime e precetti che vengono proposti in un linguaggio in cui
abbondano metafore e termini di significato ambiguo, spesso di
difficile traduzione. Per questo motivo sono possibili diverse
interpretazioni degli stessi passaggi.
Per le sue caratteristiche compositive
il Daodejing si differenzia da altri importanti testi filosofici
cinesi, quali i Dialoghi, in cui la stragrande maggioranza degli
aneddoti riportano veri e propri frammenti di dialogo tra il maestro
e i suoi discepoli, o il Zhuangzi, l'altro grande testo della
tradizione taoista che invece è strutturato in veri e propri
capitoli narrativi.
L'eterogeneità del contenuto non offre
coordinate spazio-temporali o riferimenti specifici, rendendone
difficile la datazione e la collocazione geografica: ciò, assieme al
linguaggio usato, permette un'ampia varietà di interpretazioni del
testo i cui insegnamenti sono stati applicati alle tematiche più
disparate.
Il primo capitolo del Daodejing si apre
con la seguente affermazione: "Il tao che può essere detto non
è l'eterno tao". Una delle interpretazioni di questa frase,
alla luce di altri passaggi del testo che ritornano su questo
argomento, è che vi sia una dimensione dicibile del tao che però
non arriva a sfiorare la vera natura di esso, che per definizione
sfugge a qualunque tentativo di "presa" mediante il
discorso e il linguaggio.
Circa il significato del titolo:- Dào/Tao 道 letteralmente ha il significato di "via".
- Dé/Te 德 traducibile con "virtù".
- Jīng/Ching 經 qui usato nei significati di canone o "grande libro" o "classico"
Il titolo dell'opera si può tradurre
come "il classico della Via e della virtù".
Nel secondo capitolo si afferma che il
tao è al di là degli opposti, un'essenza che la dualità non
comprende. Gli opposti (per es. il bene e il male) servono solamente
per orientarsi, ma qualunque saggio sa che non esistono. Lo yin e lo
yang (prodotti del tao) non esistono puri ma sono sempre in reciproca
proporzione e il loro intreccio dà vita alle "10.000 cose"
(tutte le cose) che non sono altro che un'interazione fra opposti.
Infatti il tao è "uno stile di
vita, la via maestra che si riflette sia nel macrocosmo
(l'organizzazione perfetta dell'universo) che nel microcosmo (lo
stile di vita di ognuno di noi, l'arte di compiere ogni attività)".
Nel capitolo 11 Laozi parla di un vaso e dice che la sua utilità
non sta nell'argilla usata per produrlo, bensì nel vuoto che può
essere riempito. Questa constatazione ci fa entrare nell'ottica del
wu (無, cinese
semplificato: 无), da
intendersi come nothing, nessuna cosa, quel vuoto che non è
mancanza ma è il nulla, potenziale matrice di ogni cosa. In questa
visione è più importante ciò che non è detto, ciò che si legge
fra le righe, ciò che non si sente. È in quest'ottica che si
comprende la brevità del Tao Te Ching.
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