giovedì 18 febbraio 2016

Brahman

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Brahman (devanāgarī ब्रह्मन्, lett. "sviluppo") è un termine sanscrito all'origine di molteplici significati nelle religioni vedica, brahmanica e induista.

Differenti significati del termine Brahman

Il termine sanscrito Brahman possiede differenti significati:
  • nella sua accezione di nome "maschile", brahmān indica nei Veda un officiante del sacrificio vedico in grado di pronunciare i mantra relativi alla conoscenza ispirata;
  • nella sua accezione di nome "neutro", brāhman indica nei commentari degli inni vedici denominati Brāhmaṇa il potere che ispira i cantori ṛṣi deputati alla trasmissione orale del sapere cosmico, ovvero "l'effusione del cuore nell'adorazione degli Dei" o la stessa invocazione (parola sacra opposta a vāc, parola umana);
  • nella forma derivata brāhmaṇa indica sempre come nome "neutro":
    • la prima delle quattro caste (varṇa): vedi brahmano;
    • dei testi vedici scritti in prosa e commentari dei Veda: vedi Brāhmaṇa;
  • nella successiva riflessione teologica e filosofica propria delle Upaniṣad vediche con il termine Brahman (nella forma "neutra") si indica l'unità cosmica da cui tutto procede: questo il significato più diffuso del termine;
  • nel successivo Induismo con Brahman si indica anche Brahmā, il deva creatore.
Da notare che nelle quattro raccolte degli "inni" dei Veda l'"origine primordiale" viene indicata con il termine Tat (Quello) e non ancora con il termine Brahman:
(SA)
«na mṛtyur āsīd amṛtaṃ na tarhi na rātryā ahna āsīt praketaḥ ānīd avātaṃ svadhayā tad ekaṃ tasmād dhānyan na paraḥ kiṃ canāsa»
(IT)
«Non c'era la morte allora, né l'immortalità. Non c'era differenza tra la notte e il giorno. Respirava, ma non c'era aria, per un suo potere, soltanto Quello, da solo. Oltre a Quello nulla esisteva»
(Ṛgveda, X,129,2)



Nei Veda il termine brahman richiama esclusivamente l'attività sacerdotale e quindi la sua forma "maschile", ad esempio nel Ṛgveda (X, 141,3) Brahman è il nome di Bṛhaspati in qualità di sacerdote degli Dei.
(SA)
«somaṃ rājānam avase 'gniṃ gīrbhir havāmahe ādityān viṣṇuṃ sūryam brahmāṇaṃ ca bṛhaspatim»
(IT)
«Invochiamo il re Soma in nostro aiuto, con i nostri canti e i nostri inni; gli Āditya, Viṣṇu , Sūrya e il sacerdote Bṛhaspati»
(Ṛgveda, X,141,3)



Origine del termine

Numerosi studiosi si sono occupati di ricostruire l'origine del termine brahman:
  • Jan Gonda fa riferimento, come d'altronde la cultura tradizionale indiana, alla radice di bṛh (forza);
  • George Dumézil lo ha collegato al termine latino flamen;
  • Paul Thieme rifiutando l'ipotesi di Gonda collega questo termine al greco morphē, quindi nella sua accezione di "forma", "formula";
  • Louis Renou ritiene invece che il termine derivi dalla radice brah col significato di "esprimersi enigmaticamente";
  • Jean C. Heesterman riassume queste posizioni e ritiene che l'origine del termine Brahman vada ricercato nei suoi collegamenti con l'epressioni delle formule sacre anche se la poliedricità della radice brah rende di fatto impossibile chiarirne l'origine.



Brahman e Brahmodya nella prima cultura vedica e nei Brāhmaṇa

Secondo Jean C. Heesterman il tema del Brahman è collegato, nelle quattro raccolte degli inni dei Veda alla contesa verbale, ovvero al rito del Brahmodya propria della cultura vedica con particolare riferimento al sacrificio del cavallo (aśvamedha). In questo contesto, prima del sacrificio i due officianti si sfidavano con domande enigmatiche, colui che riusciva a risolverle affermava di sé stesso:
(SA)
«brahmayāṃ vācaḥ paramaṃ vyoma»
(IT)
«questo brahman è il cielo più alto della parola»
Heesterman ricorda come queste contese non erano affatto pacifiche, il concorrente che insisteva a sfidare il vincitore con ulteriori enigmi avrebbe pagato con la sua testa i suoi affronti.
Quindi il termine Brahman originerebbe da una figura sacerdotale dell'India vedica vincitore nelle gare sacrificali poetico-enigmatiche. Con l'ingresso della letteratura in prosa dei Brāhmaṇa si osserva, a partire dal X secolo a.C., un radicale cambiamento: al rituale agonistico si sostituisce il rituale rigidamente codificato e pacifico.
«Questo cambiamento fondamentale è espresso in modo interessante in un mito ritualistico che narra della competizione sacrificale decisiva tra Prajāpati e Mṛtyu, o morte (Jaiminīya Brāhmaṇa, 2,69-2,70). Prajāpati conquista la vittoria finale perché riesce a "vedere" l'analogia, che gli consente di assimilare la panoplia sacrificale dell'avversario e di eliminarlo quindi in maniera definitiva. Conclude il testo: "da allora non vi furono più contese sacrificali»
(Jean C. Heesterman. Op.cit. pag.57)
Nel contesto dei Brāhmaṇa il Brahman da espressione dell'"enigma cosmico" oggetto di competizione sacerdotale, diviene la stessa formula sacrificale oggettiva e trascendente che si concretizza nel rituale.
Come evidenzia David M. Knipe la divinità che incarna e centralizza questo processo nei Brāhmaṇa è Prajāpati che lega l'antico Puruṣa vedico, ovvero colui che istituisce il sacrificio, l'impersonale Brahman (potere della formula sacra) e infine il dio personale Brahmā.
Così il Ṛgveda (X,90,7-8):
(SA)
«taṃ yajñam barhiṣi praukṣan puruṣaṃ jātam agrataḥ tena devā ayajanta sādhyā ṛṣayaś ca ye tasmād yajñāt sarvahutaḥ sambhṛtam pṛṣadājyam paśūn tāṃś cakre vāyavyān āraṇyān grāmyāś ca ye»
(IT)
«Quel Puruṣa, nato ai primordi, essi [gli Dei] lo aspersero come vittima sacrificale sull'erba. Con lui gli Dei, i Sādhyā e i cantori compirono il sacrificio. Da quel sacrificio completamente offerto fu raccolto il burro coagulato: esso divenne animali, quelli dell'aria, quelli della foresta e quelli dei villaggi»
(Ṛgveda (X,90,7-8))



Così, ad esempio, il Samāvidhāna Brāhmaṇa (I,1,3)
(SA)
«brahma ha vā idam agra āsīt tasya tejoraso 'tyaricyata sa brahmā samabhavat sa tūṣṇīṃ manasādhyāyat tasya yan mana āsīt sa Prajāpatir abhavat»
(IT)
«In origine vi era il Brahman soltanto; poiché il succo della sua forza si espandeva, divenne Brahmā. Brahmā meditò in silenzio con la mente e la sua mente divenne Prajāpati»
(Samāvidhāna Brāhmaṇa (I,1,3))
Sylvain Lévi osserva:
«Il sacrificio come Prajāpati è anteriore a tutti gli esseri, poiché questi non potrebbero sussistere senza di esso; esso nasce anche dai soffi della mente, poiché è essenzialmente mentale. [...] [Prajāpati] è altresì figlio delle Acque, poiché le Acque sono il principio della purezza rituale; oppure del Brahman, la formula sacra, poiché non c'è separazione tra rito e liturgia»
(Sylvain Lévi. La dottrina del sacrificio nei Brāhmaṇa. Milano, Adelphi, 2009, pag.46)



Il Brahman nelle Upaniṣad

Nato come sostantivo maschile negli inni dei Veda per indicare sia le figure sacerdotali che durante il sacrificio competitivo esprimono dei mantra enigmatici sul cosmo che lasciano non espressa la risposta sia le stesse espressioni enigmatiche, nei Brāhmaṇa, il brahman (sostantivo neutro) diviene il mantra rituale codificato, e il suo potere, che deve essere semplicemente appreso e conservato a memoria dal brahmano e recitato durante i riti.
Con le Upaniṣad si passa ad indagare la natura di questo Brahman che diviene l'origine di ogni cosa, l'Assoluto:
«Invisibile, inafferrabile, senza famiglia né casta, senza occhi né orecchie, senza mani né piedi, eterno, onnipresente, onnipervadente, sottilissimo, non soggetto a deterioramento, Esso è ciò che i saggi considerano matrice di tutto il creato. Come il ragno emette [il filo] e lo riassorbe, come sulla terra crescono le erbe, come da un uomo vivo nascono i capelli e i peli, così dall'Indistruttibile si genera il tutto.»
(Muṇḍaka Upaniṣad, I,1,6-7)
E che si identifica con il principio individuale, l'ātman:
(SA)
« tasya kva mūlaṃ syād anyatrādbhyaḥ adbhiḥ somya śuṅgena tejo mūlam anviccha tejasā somya śuṅgena sanmūlam anviccha sanmūlāḥ somyemāḥ sarvāḥ prajāḥ sad āyatanāḥ satpratiṣṭhāḥ yathā nu khalu somyemās tisro devatāḥ puruṣaṃ prāpya trivṛt trivṛd ekaikā bhavati tad uktaṃ purastād eva bhavati asya somya puruṣasya prayato vāṅ manasi saṃpadyate manaḥ prāṇe prāṇas tejasi tejaḥ parasyāṃ devatāyām sa ya eṣo 'ṇimaitad ātmyam idaṃ sarvam tat satyam sa ātmā tat tvam asi śvetaketo iti bhūya eva mā bhagavān vijñāpayatv iti tathā somyeti hovāca »
(IT)
« "E, dove risiederà la radice del corpo se non nell'acqua? Analogamente se riteniamo il germoglio l'acqua, figlio mio, il calore (tejas) sarà la sua radice. Se consideriamo il calore un germoglio l'essere (sat) sarà la radice. Tutti i viventi hanno le proprie radici nell'essere (sat), si basano sull'essere, si sostengono sull'essere. Ora mio caro ti è stato detto come queste tre divinità pervenute nell'uomo siano divenute triplici. Quando un uomo muore, mio caro, la parola rientra nella mente,la sua mente rientra nel soffio vitale, il soffio vitale rientra nel calore e questi rientra nella suprema divinità. Qualunque sia questa essenza sottile, tutto l'universo è costituito di essa, essa è la realtà di tutto, essa è l'Ātman. Quello sei tu (Tat tvam Asi) o Śvetaketu!". "Continua il tuo insegnamento o signore!". "Bene, mio caro" gli rispose. »
(Chāndogya Upaniṣad VI, 8, 6-7)
Esso è illimitato e inconcepibile:
«Al principio in questo universo soltanto il Brahman esisteva. Illimitato verso l'oriente, illimitato verso il mezzogiorno, illimitato verso l'occidente, illimitato verso settentrione, illimitato di sopra, illimitato da ogni parte. Esso è costituito di etere. Da questo etere esso desta questo universo. Da questo esso sorge e in esso va a finire. Di questo Brahman la forma luminosa è quella che arde nel sole lassù, nel fuoco senza fumo [e nel cuore]. Quello che è nel fuoco e quello che è nel cuore e quello che è nel sole, sono in realtà una sola cosa. Nell'unità con l'Uno va colui che così sa »
(Maitrāyaṇīa Upaniṣad VI,17)
Esso è l'Oṁ:
« L'Oṁ è tutto l'universo. Ecco la sua spiegazione: Passato, presente e futuro, tutto ciò è Oṁ. E anche ciò che va oltre il tempo, che è stato, è e sarà è Oṁ. Infatti ogni cosa è il Brahman. L'Ātman è il Brahman »
(Māṇḍūkya Upaniṣad, 1-2)



La forma personale del Brahman (Brahman Saguṇa)

Con il progressivo sviluppo di approfondimenti teologici il Brahman impersonale indifferenziato (nirdvaṃdva) divenne oggetto di un processo di personalizzazione in divinità specifiche, principalmente nella figura dei deva Viṣṇu e Śiva.

Un paragone con altre religioni

Alexandre Saint-Yves d'Alveydre propone questa interessante assonanza del nome con quello di Abramo affermando che: “Abraham è, come Brahmâ, il Patriarca dei Limbi e del Nirvana... I Brahmi dicono "estinguersi in Brahmâ", così come gli Ebrei dicono "addormentarsi nel seno di Abramo", vale a dire ritornare nei Limbi.”

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