Tabar, India, XVIII secolo
Ascia da battaglia è il termine
utilizzato per indicare una scure espressamente disegnata per un
utilizzo bellico e non lavorativo. Questo tipo di arma, in uso fin
dal Paleolitico, poteva essere ad una o due mani. Il peso poteva
variare tra gli 0,5 ed i 3 kg e le dimensioni tra i 30 cm e gli 1,5
metri. Armi simili all'ascia da battaglia ma di dimensioni maggiori,
come la bardola, rientrano nel novero delle armi inastate.
Costruzione ed utilizzo
Rispetto alla scure, ideata per
abbattere alberi, l'ascia da battaglia, destinata a colpire le
braccia o le gambe dell'avversario, ha testa metallica più leggera e
ricurva. L'arma, a seconda delle dimensioni, poteva essere brandita
ad una o due mani ed era destinata o a garantire la possibilità di
attacchi veloci e ripetuti o attacchi potenti, volti ad abbattere o
debilitare l'avversario.
Le asce da battaglia con testa
metallica a mezza luna, diffusesi in Europa durante il periodo romano
erano solitamente in ferro battuto con un bordo di acciaio al
carbonio o, caso tipico delle asce medievali, in acciaio puro. Il
manico in legno venne rinforzato da strisce di metallo, onde
garantire maggiore solidità nel caso di un attacco portato
dall'avversario sotto la testa dell'ascia. Alcuni modelli d'epoca
rinascimentale presentano manico interamente in metallo.
Storia
Nel corso della storia dell'umanità,
diversi attrezzi sono stati riconfigurati in armi. La scure, diffusa
in tutte le primitive culture umane, fu uno dei primi attrezzi ad
essere interessato da questo fenomeno. Nel corso di questo processo
evolutivo dall'attrezzo all'arma, processo che portò allo sviluppo
di armi altamente raffinate come la scure da lancio e la scure
d'arcione espressamente disegnata per le forze di cavalleria, si
originarono forme ibride, utilizzabili sia a fini lavorativi che a
fini bellici. L'ascia da battaglia, molto più economica e facile da
fabbricare di una spada fu sempre arma diffusissima tra le
popolazioni tecnologicamente poco evolute o tra le classi sociali più
povere.
Nell'immaginario popolare dei paesi
occidentali, le asce da battaglia sono associate ai Vichinghi. Questi
fantaccini e marinai scandinavi fecero certamente largo uso delle
asce da battaglia nei secoli delle loro scorrerie in Europa e
nell'Atlantico (VIII-XI secolo), producendone svariate tipologie:
asce da lancio, asce "barbute" con l'estremità inferiore
della testa allungata per garantire maggior peso al colpo (berdica) e
asce "uncinate" per agganciare il bordo dello scudo
avversario e strapparlo, lasciando il bersaglio scoperto per il
successivo colpo di ritorno.
Origini
Stando ai ritrovamenti archeologici,
l'uso dell'ascia a fini bellici in Europa risale almeno al periodo
Mesolitico (circa 6000 a.C.). Gli scontri tra le popolazioni europee
nel Neolitico intensificarono il processo di evoluzione tecnologica
dell'ascia da battaglia mentre, nel contempo, l'arma stessa diveniva
simbolo di potere ed autorità. Con l'avvento dei metalli, le asce
iniziarono ad essere realizzate in rame e bronzo.
Evoluzione dell'ascia da battaglia dal
Paleolitico all'Età del Bronzo: 1 Paleolitico, 2 Fine Paleolitico,
3-4 Neolitico, 5-Fine Neolitico, 6 Età del Rame, 7-11 Età del
Bronzo.
Le prime asce da battaglia di bronzo
ormai evolute, con incavo per l'impugnatura e non più da incastrare
in esso, apparvero nell'Antica Cina e nell'Antico Regno dell'Antico
Egitto, già distinte in armi vere e proprie ed armi di
rappresentanza, simboliche, riccamente decorate:
- I guerrieri della Dinastia Shang disponevano, oltre che delle normali asce da guerra, anche di armi ibride tra la lancia e l'ascia: il yuè, sorta di azza, ed il gē (ascia-daga), un'ascia inastata dalla testa molto puntuta;
- Arma d'ordinanza dei fanti egiziani durante l'Antico Regno, l'ascia da battaglia venne sostituita, durante il Nuovo Regno, dal khopesh, un'arma ibrida, assommante caratteristiche dell'ascia, della spada e della falce.
- Ascia da battaglia decorata dell'epoca Shang
- Khopesh del XVIII secolo a.C.
Europa
Età Antica
Cavaliere scita armato di
sagaris
Ascia bipenne cretese in bronzo
Nel bacino orientale del Mediterraneo,
la cultura micenea diffonde la labrys, ascia bipenne simbolo
del fulmine divino e del potere reale, ma la successiva evoluzione
bellica dell'Antica Grecia mette da parte le asce in favore della
spada e della lancia: l'ascia da battaglia è infatti completamente
assente dalla panoplia dell'oplita, né, per contro, l'uso dell'ascia
poteva essere compatibile con lo stile di combattimento della falange
oplitica.
Nella cultura greca il simbolo
dell'ascia da battaglia si lega intrinsecamente con le popolazioni
nomadi delle steppe orientali, siano esse vere (Sciti, Medi etc.) o
fittizie (Amazzoni), i cui cavalieri usavano servirsi della sagaris,
sorta di archetipo della scure d'arcione.
Durante l'Età del Ferro l'uso
dell'ascia da battaglia a scopi pratici andò però scomparendo
dall'areale mediterraneo. Se infatti, presso gli antichi romani, i
fasci littori ornati da lame di scure mantennero un potentissimo
significato simbolico, mancava invece completamente
dall'equipaggiamento del legionario romano, munito invece di ascia e
scure come strumenti lavorativi, l'ascia da guerra.
Medioevo
L'insediamento, nelle terre del vecchio
Impero Romano d'Occidente, di popolazioni germaniche (v. Invasioni
barbariche del V e VI secolo), diffuse in modo massiccio l'uso
dell'ascia da battaglia in Europa. Popolazioni germaniche come i
Franchi o i Sassoni legarono indissolubilmente il loro nome all'uso
di tali armi: i Franchi erano appunto noti per l'uso della francisca,
una scure da lancio portata in combattimento dal fantaccino in
supporto alla scure da guerra o alla lancia, mentre i Sassoni
diffusero nell'areale baltico-scandinavo il prototipo di ascia poi
diffuso dai Vichinghi. Nelle province più orientali del vecchio
impero, le genti degli Ostrogoti e dei Visigoti, tramite il contatto
con popolazioni ugro-finniche come gli Unni, fusero il modello della
scure da guerra germanica con la scure d'arcione tipica in uso ai
cavalieri della steppa.
Ascia da battaglia vichinga.
Tutte queste armi, prodotte in ambiente
romano-barbarico, erano spesso decorate. Incisioni runiche, fitoformi
o zoomorfe, in alcuni casi impreziosite da tarsie in oro, ornavano le
guance delle scuri da guerra, ribadendo l'importanza data dalla
società di provenienza al portatore dell'arma.
Ancora all'epoca di Carlo Magno, quando
la cavalleria pesante muoveva i primi passi della sua affermazione a
corpo militare risolutivo nel decidere l'esito delle battaglie,
l'ascia da battaglia era ancora parte integrante della panoplia del
guerriero. I successivi scontri tra le popolazioni germaniche
stanziate nelle terre romane ed i germani ancora barbari della
Scandinavia, ridiffusero in modo massiccio in Europa l'uso della
scure in combattimento, in tutte le varianti sviluppate dai
razziatori vichinghi.
Fu solo a partire dall'Anno Mille,
quando l'evoluzione metallurgica europea sviluppò l'archetipo
definitivo della spada lunga, che l'uso dell'ascia da battaglia,
soprattutto da parte dei soldati a cavallo, i milites per
antonomasia, iniziò a decadere. L'ascia restò arma di predilezione
delle classi sociali meno abbienti (i laboratores) per tutto
il periodo medievale mentre alcuni esempi illustri testimoniarono il
suo saltuario uso da parte dei grandi cavalieri: Riccardo Cuor di
Leone usò un'ascia durante gli scontri a Jaffa nella Terza Crociata
(1192) e Robert Bruce durante la Battaglia di Bannockburn (1314).
Proprio perché così legata all'uso
bellico delle classi meno abbienti, il modello dell'ascia contribuì
enormemente allo sviluppo di alcune tipologie di arma inastata che
godettero di particolare successo durante il medioevo europeo:
l'alabarda e la bardola, anche nota come scure da fante.
Un'altra arma inastata, diffusissima nei paesi scandinavi e baltici,
la berdica si costituisce poi quale diretta evoluzione della scure
danese.
A partire dal XV secolo l'ascia, nello
specifico la scure d'arcione, tornò in uso alla cavalleria europea.
Più che al contatto con le genti turche nei Balcani e negli Stati
crociati, dedite all'uso della scure d'arcione come tutte le
popolazioni nomadi euro-asiatiche, il ritorno dell'ascia da battaglia
sugli arcioni dei cavalieri fu nuovamente dovuto agli sviluppi della
metallurgia europea. Le corazze a piastre pesanti che ormai
fasciavano il corpo del guerriero a cavallo avevano vanificato l'uso
della spada lunga quale arma risolutiva nello scontro. Spinti dalla
necessità di ottenere armi con maggiore potenza d'impatto, gli
armaioli europei ridisegnarono armi rudimentali come la mazza e
l'ascia ottenendo il modello definitivo della mazza d'armi a coste,
del martello d'armi e dell'ascia d'armi. La nuova generazione di
scuri d'arcione presenta lama a mezzaluna, becco di piccone sul retro
della gorbia e cuspide verticale. Le innovazioni sviluppate per le
scuri d'arcione passarono poi alle scuri in uso alla fanteria,
irrobustite ed appesantite per permettere uno scontro alla pari con
un cavaliere appiedato.
Età Moderna
L'uso sempre più massiccio delle armi
inastate e delle prime armi da fuoco (archibugio, petrinale, pistola
a ruota etc.) spinse le forze di fanteria e di cavalleria dell'Europa
occidentale ad abbandonare sistematicamente l'uso dell'ascia da
battaglia durante il XVI secolo. In Europa Orientale, dove gli
scontri campanili finivano quasi sempre con il vedere contrapposti
numerosi schieramenti di cavalleria, la scure d'arcione, tanto quanto
la mazza d'arme o il picco da guerra, continuò ad essere utilizzata
per tutto il XVII secolo.
Asia
Asia centrale e Subcontinente indiano
Derviscio con tabarzin.
Le grandi civiltà dell'Asia Centrale e
del subcontinente indiano, soggette alle medesime correnti migratorie
che interessarono le propaggini orientali dell'Europa, svilupparono
modelli di ascia da fante e da cavaliere grosso modo assimilabili a
quelli occidentali.
In India la tradizione di un uso
marziale codificato per la scure è antichissimo. L'ascia da
battaglia farasa (dal sanscrito paraṣu) viene fatta risalire alla
figura divina di Parashurama, sesto avatar di Vishnu. Si tratta di
un'arma solitamente a lama singola, in forma di mezzaluna di notevoli
dimensioni, con manico in legno o bambù lungo tre-quattro piedi.
Interessante anche il tabarzin
(تبرزین), l'ascia da battaglia della
Persia (Iran). Il vocabolo indica in realtà una tipologia di armi:
asce con lama a forma di mezzaluna, a volte bipenni, con manico lungo
sei piedi o tre, interamente realizzato in metallo, molto sottile. Il
tabarzin finì con il rivestire anche un ruolo simbolico,
divenendo attributo dei dervisci musulmani. A partire dal XVI secolo,
l'egemonia culturale dell'Impero ottomano sulle terre dell'Asia
centrale fece del vocabolo tabar (ascia), da tabarzin,
il termine in uso per indicare la scure d'arcione tra le file della
cavalleria turca, afgana, indiana e pakistana.
Cina
Sud-Est asiatico
Asce della cultura Dong Son
Presso le civiltà sviluppatesi nelle
regioni dominate dalla foresta pluviale, l'ascia è diffusissima sia
come attrezzo che come arma o simbolo. La cultura di Dong Son,
originatasi nell'attuale Vietnam, abbondava di asce in bronzo. Nello
Sri Lanka venne sviluppata la Keteriya, ascia da battaglia ad una
mano oggi simbolo del Reggimento Gajaba dell'esercito nazionale.
Giappone
Allo stato attuale delle ricerca,
l'ascia da battaglia figurò molto raramente negli arsenali dei
samurai. Le poche testimonianze relative all'uso della ono, termine
che in lingua giapponese vale sia per l'ascia da lavoro che per
l'arma vera e propria, sono legate alla figura dei sōhei, i
monaci-guerrieri buddisti poi eliminati dallo Shogunato.
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